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CA’ SABBIONI «C’è qualcosa che non va quando i corsi d’acqua assumono colori del tutto innaturali, bisogna intervenire». A denunciare la situazione a Ca’ Sabbioni sono i residenti e il portavoce della delegazione di zona di Malcontenta, Dario Giglio, che temono che nei canali siano stati sversati pericolosi veleni. «Il canale Oriago», spiegano Luciano Asti e Dario Giglio, «che è una deviazione del Naviglio Brenta in direzione dell’area industriale di Porto Marghera da alcuni giorni è completamente rosso. Sulla superficie galleggiano chiazze schiumose e pesci morti. Abbiamo avvertito i pompieri e anche l’Asl speriamo che siano fatti dei controlli in tempi rapidi abbiamo davvero paura per la nostra salute». Un altro canale che presenta problemi è il Brentelle che scorre dietro alle abitazioni in via dei Salmoni e via delle Carpe e Ca’ Sabbioni, ed uno dei più inquinati di Porto Marghera. «L’acqua in questo canale è inquinatissima », dice Luciano Asti, «credo che non si tratti più di acqua ma di un liquame velenoso mischiato alla fogna. Ho visto galleggiare nutrie morte nei giorni scorsi e ho avvisato anche io i vigili urbani». Della situazione è a conoscenza anche la Municipalità di Marghera. «Tantissimi i residenti a Ca’ Sabbioni e Malcontenta», conferma il presidente Flavio Dal Corso, «mi stanno avvisando degli inquinamenti in atto. Ho chiesto al comune di attivare l’Arpav al più presto per le analisi sulle acque. Se ci sono delle responsabilità per inquinamenti vanno individuate».

(a.ab.)

 

Nuova Venezia – Firme eccellenti: “No alle Grandi navi”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

22

lug

2014

«Fermiamole grandi navi»

Appello internazionale a Renzi: il governo decida subito

Un appello internazionale a Renzi lanciato dai Comitati privati. Borletti Buitoni: «Per Venezia il massimo della tutela»

«Il mondo si mobilita per salvare Venezia dalle grandi navi ». Sono già 63 le firme eccellenti raccolte dai Comitati privati per la Salvaguardia e inviati sotto forma di appello al premier Matteo Renzi e al ministro delìi Beni culturali Dario Franceschini: «Il governo decida al più presto e tolga le grandi navi dalla laguna». Tra le firme nomi illustri del mondo della cultura, del cinema, della moda, della letteratura e dell’architettura. Tra questi Norman Foster, Cate Blanchet, Calvin Klein, il premio Nobel Vidia Naipaul, James Ivory, Susan Sarandon e Jane Fonda. «Per più di 13 secoli Venezia è sopravvissuta alle inondazioni, alle pestilenze e ai conflitti bellici», scrivono i comitati al governo, «e ora in periodo di pace la regina dell’Adriatico, dichiarata Patrimonio mondiale dall’Unesco rischia di essere travolta dagli enormi transatlantici che la attraversano quotidianamente, indifferenti al rischio che il loro passaggio implica». Chiediamo che venga affrontato con urgenza il problema del passaggio delle grandi navi davanti a San Marco». Un appello già raccolto dalla sottosegretaria ai Beni Culturali Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del Fai, il Fondo per l’Ambiente italiano. «Sono grata ai comitati per questa iniziativa », dice, «è gente che per Venezia si è impegnata concretamente dopo l’alluvione del 1966. Io credo che come governo dobbiamo prenderci la responsabilità di prendere una decisione al più presto. Per quanto ci riguarda ci dovrà essere la massima tutela del patrimonio monumentale della città». Quanto al Comitatone, annunciato per i primi giorni di agosto, Borletti si augura che sia convocato al più presto: «Una decisione va presa con urgenza». E il canale Contorta, proposto dall’Autorità portuale? «Non sono un esperto di idraulica», dice il sottosegretario, «ma la laguna ha un equilibrio molto fragile. Qualsiasi soluzione alternativa dovrà essere condivisa e valutata dal ministero per l’Ambiente. «Abbiamo voluto lanciare questo appello», dice il presidente dei Comitati privati Umberto Marcello Del Majno, «perché siamo molto preoccupati: nel vuoto politico locale, con la città senza sindaco,non vogliamo che si dimentichi l’emergenza grandi navi o si facciano scelte sbagliate». «Sappiamo che c’è una mobilitazione locale su questo tema », continua Del Majno,«ma Venezia interessa il mondo. E il mondo si è mobilitato». Non è il primo appello del genere che riguarda lo «stop» alle grandi navi in Bacino San Marco. Ma anche dopo il naufragio della Costa Concordia, su Venezia il governo aveva deciso a metà. Il decreto firmato dai ministri Clini e Passera era stato sospeso per la laguna «in attesa di alternative».Ma adesso, due anni e mezzo dopo la tragedia del Giglio, le alternative sono ancora sul tavolo, C’è lo scavo del nuovo canale Contorta, chiesto dal Porto, il nuovo canale dietro la Giudecca (Vtp e il sottosegretario Zanetti), ma anche l’ipotesi Marghera per le navi grandissime, avanzata dal Comune, con la possibilità di arrivare in Marittima scavando il canale Vittorio Emanuele. E infine le soluzioni del porto «fuori dalla laguna », le ipotesi Boato, Claut e De Piccoli che chiedono di spostare il terminal al Lido trasportando i crocieristi con battelli medio grandi. Ma la decisione ancora non c’è.

Alberto Vitucci

 

Rizzetto contro il blocco del progetto da un miliardo di euro atteso dai cittadini

«Accordo del 2008 superato, servono una nuova intesa e una guida ai cantieri»

MARGHERA –  Marghera non ci sta a veder tramontare il progetto del Vallone Moranzani, un grande piano da un miliardo di euro, atteso dalla Municipalità e dai cittadini per cambiare il panorama tra Marghera e Malcontenta con un grande parco e una nuova viabilità. L’inchiesta Mose con i suoi arresti eccellenti ha bloccato un processo avviato solo in parte. Si allarmano tutti ora: dal presidente della Municipalità Flavio Dal Corso ai partiti. Marco Rizzetto, segretario del Pd di Marghera, e coordinatore della terraferma per la segreteria, si rivolge direttamente a Luca Zaia, presidente della Regione Veneto: «Ha la responsabilità politica di aver lasciato un territorio alla mercé di tecnici e politici che hanno fatto il buono e il cattivo tempo e di non aver dato ancora una nuova guida all’accordo », attacca. «Ora la Regione e Zaia si prendano le proprie responsabilità, chiariscano il ruolo della società Sifa e aprano un tavolo per un nuovo accordo». Del resto, denuncia Rizzetto, tutto è praticamente fermo: «Non si scavano i canali, non si interrano gli elettrodotti di Terna, la San Marco Petroli resta dove è e la viabilità viene realizzata solo per la parte che interessa al Porto». Il parco? Oggi appare un miraggio dopo che l’accordo sul Vallone ha preso il via nel 2008 con i migliori auspici. In completamento sono invece le due discariche dell’area dei 23 ettari, sito provvisorio di stoccaggio dei fanghi che dovranno dar vita al nuovo parco; il terminal Ro-Ro delle autostra del Mare dell’Autorità portuale e il nodo viario di Malcontenta per separare i traffici urbani da quelli commerciali. «Un progetto completamente stravolto che alla fine consente risposte solo al Porto e non ai cittadini », dice Marzo Rizzetto che denuncia come gli organi regionali in questi anni «abbiano nascosto carte, dati e cifre» e «assegnato i lavori delle discariche alla Sifa, partecipata della Mantovani » e poi hanno dato «manforte a Terna in un iter amministrativo poi bocciato dal Tar e dal Consiglio di stato per l’interramento degli elettrodotti che ora restano dove sono». Critiche anche alla Provincia che ci ha messo «cinque anni per redigere il progetto definitivo della viabilità e poi se ne è tirata fuori passando le competenze al Porto. Ad oggi non sappiamo quanti soldi ci siano in cassa, cosa è stato speso, cosa realizzato e quali sono i materiali stoccati. Il silenzio della Regione appare assordante», denuncia il giovane esponente del Pd di Marghera. Il dirigente regionale Giovanni Artico, uscito dall’inchiesta Mose dopo la scarcerazione, è stato sostituito da Alessandro Benassi ma al dirigente dell’Arpa non è stato assegnato il Progetto Venezia a cui il grande progetto del vallone fa riferimento. E quindi, è tutto fermo.

(m.ch.)

 

L’INTERVENTO

di Riccardo Colletti  – Segretario generale Filctem Cgil di Venezia

Dopo l’incontro nazionale tra i segretari generali e il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ci troviamo di fronte al totale disimpegno della società sul mondo della raffinazione e alla poco trasparente idea sulla chimica verde in quanto, dalle dichiarazioni che abbiamo letto, non si capisce se l’Eni intenda rispettare i passi fatti a Porto Marghera e, soprattutto, il piano investimenti per creare la nuova chimica. Le segreterie nazionali hanno convocato ieri gli esecutivi unitari per programmare le forme di protesta coinvolgendo tutte le categorie interessate perché, proprio il prolungamento della fermata del cracking e la poca chiarezza sul secondo step della Raffineria, inevitabilmente mettono in grande difficoltà le aziende degli appalti e dei servizi collegati a questa attività. Con questo intervento vorrei richiamare quel piccolo nucleo di politica onesta che è rimasta in questo territorio affinché, insieme a noi, si assuma la responsabilità della difesa delle attività produttive e dell’occupazione nell’area di Porto Marghera. Troppi sono coloro che, in questi ultimi vent’anni, utilizzando la politica hanno commesso lo scempio di questo territorio tra corrotti, disonesti e affaristi che sono quelli che hanno determinato l’uscita di importanti gruppi industriali in favore della speculazione. È ora di dire basta agli spot pubblicitari che abbiamo sentito anche pochi giorni fa dall’ennesimo presidente del Consiglio che tra le sue proposte metteva al centro quella dell’occupazione, e del lavoro in generale, dicendo che è stanco di sentire i partiti del “no”. Purtroppo è da tempo che noi sentiamo i partiti del “no” e tra questi vi è il ministero dell’Ambiente che ha sempre strumentalmente negato la possibilità di effettuare gli investimenti non concedendo permessi specifici che potessero far ripartire gli impianti, in accordo anche con le aziende che magari avevano già idea di disimpegnarsi da questo territorio e l’Eni ha una grande responsabilità su queste scelte. Dalle ultime dichiarazioni, Eni si nasconde dietro un parere del Ministero per non far ripartire il cracking di Porto Marghera; se realmente i problemi fossero le caldaie della centrale del cracking, perché Eni non si fa fornire il vapore dalla società Edison che è a 50 metri dagli stessi impianti del cracking fino a quando il ministero dell’Ambiente darà il parere favorevole per il riavvio delle caldaie della centrale? Questa strategia del disimpegno di Eni o della poca chiarezza su come questa società italiana dovrebbe muoversi nei prossimi anni è forse una strategia condivisa con il nuovo presidente del Consiglio e con questo Governo? E se così fosse, come si concilia il disimpegno di Eni e quindi un ulteriore e spropositato aumento della disoccupazione con le dichiarazioni fatte dall’ennesimo presidente del Consiglio secondo cui il lavoro e l’occupazione sono tra le priorità di questo Governo? Chi c’è dentro il nuovo consiglio di amministrazione dell’Eni… amici degli amici degli amici dei nuovi politici oppure persone capaci di rafforzare strategicamente l’industria italiana sia nella chimica sia nella raffinazione? Perché in effetti le scelte di disimpegno complessivo su questi settori stanno rafforzando le industrie russe ma anche quelle tedesche e, guarda caso, proprio in questi settori strategici per la vita industriale di questo Paese. Purtroppo noi siamo portati a pensare male e ormai a non essere più sorpresi quando si aprono inchieste e qualcuno va a finire in galera. Cosa c’è di nuovo in Italia nelle scelte politiche che si stanno compiendo che ci può far pensare il contrario? E il sindacato in questo caso può restare da solo a combattere una battaglia di così ampie proporzioni? Il gruppo Eni in questo territorio ha compiuto disastri dal punto di vista occupazionale ma, se si disimpegna sugli investimenti previsti a Porto Marghera, di sicuro ci saranno anche quegli ambientali e nessuno può permettere a questa società di decidere il futuro di questo territorio senza che venga messa sul banco degli imputati. La prova evidente di quanto sostengo è che Eni non rinuncia a dare i 38 milioni per le bonifiche sui terreni chela stessa società sta cedendo a una Newco creata dal Comune di Venezia e dalla Regione Veneto; è questo l’obolo che Eni sta pagando alle istituzioni? Peccato che sull’altare del sacrificio ci vanno a finire i lavoratori e le loro famiglie; dove sono finiti tutti quelli che dicevano che le scelte che si stavano compiendo su Porto Marghera erano innovative e strategiche e che addirittura si creava nuova occupazione? Perché c’è questo silenzio che sembra essere la condivisione dell’atto finale della chiusura di tutte le industrie di Porto Marghera? Magari i soldi che metterà l’Eni a disposizione per le bonifiche faranno gola ai prossimi consorzi che si costituiranno per la gestione dei duemila ettari di Porto Marghera, ma se questo dev’essere l’epilogo è necessario amplificare a tutti i livelli della nostra organizzazione e del sindacato tutto per aprire una battaglia che salvaguardi l’occupazione e le attività industriali italiane. Per questo chiediamo alla confederazione della nostra organizzazione di aprire una vertenza pesante nei confronti di questo Governo e della società Eni assieme alla nostra categoria.

 

POSTI DI LAVORO IN BILICO – Per i biocarburanti       e la “chimica verde” a Porto Marghera erano previsti 100 milioni di investimenti

RAFFINERIA – Andrea Martella, deputato Pd, chiede la convocazione dell’amministratore delegato

L’ACCUSA  «A rischio il futuro di Porto Marghera e di altri siti»

Convocare al più presto i vertici di Eni e capire le reali intenzioni del “cane a sei zampe” sulle sue attività di raffinazione in Italia.
Il deputato veneziano Andrea Martella, vicepresidente del Pd alla Camera, ha chiesto al presidente della commissione Attività Produttive, Guglielmo Epifani, di convocare Eni e sindacati. L’annuncio di Claudio Descalzi, nuovo amministratore delegato di Eni, di una riorganizzazione nel settore della raffinazione ha mandato in fibrillazione i lavoratori degli impianti italiani.
«Questo piano – spiega Martella – metterebbe a rischio il futuro di realtà industriali importanti come Porto Marghera, Gela, Taranto e Livorno, oltre ad una serie di impianti petrolchimici come Priolo e Brindisi. Tale decisione tra l’altro verrebbe assunta in palese contraddizione con il piano industriale del management precedente che, invece, aveva assicurato una serie di investimenti proprio in alcuni dei siti oggi a rischio chiusura, come ad esempio Gela (700 milioni di investimenti) e Porto Marghera (100 milioni), per produrre biocarburanti e realizzare impianti di chimica verde. Tutto questo – conclude Martella assieme ai parlamentari del Pd Luigi Taranto, Dario Ginefra, Elisa Mariano, Marco Donati, Fausto Raciti, Giovanni Burtone e Marco Carra – ovviamente comporta il serio rischio di perdere centinaia di posti di lavoro con tutto ciò che ne consegue. La rottura della trattativa tra Eni e organizzazioni sindacali ha già fatto scattare proteste tra i lavoratori provocando serie tensioni in un settore strategico per l’industria italiana».
Infatti, a Venezia è già attivo lo stato di agitazione, che in questi giorni ha portato al blocco degli straordinari e all’abbassamento progressivo della portata della pipeline dell’etilene. Domani il coordinamento sindacale nazionale si riunirà per decidere eventuali nuove forme di protesta, mentre è in via di definizione lo sciopero di due ore del prossimo 29 luglio, rivolto a tutti i dipendenti italiani del gruppo Eni.

 

I giudici annullano la delibera della giunta Zaia impugnata dall’ex sindaco Orsoni

L’impianto della Mantovani doveva trattare rifiuti pericolosi. Bettin: «Vittoria»

Niente revamping per Alles, la società del gruppo Mantovani che a Marghera tratta rifiuti speciali. Delibera regionale annullata e ricorso vinto dal Comune di Venezia contro il via libera all’ampliamento dell’impianto di Marghera. Una delibera contro cui si erano mobilitate amministrazioni comunali (l’ex giunta di Venezia retta da Orsoni e in seconda battuta Mira), comitati e associazioni ambientaliste. È stata depositata in segreteria il 10 luglio la sentenza dei magistrati del Tar del Veneto (presidente Giuseppe Di Nunzio; consiglieri Riccardo Savoia e Marco Morgantini) dopo la camera di consiglio di aprile 2014. Una sentenza che arriva dopo una sospensione per un anno decisa dalla terza sezione del Tar nell’agosto 2013. La sentenza annulla la delibera regionale 448 del 10 aprile 2013 che autorizzava il revamping dell’impianto esistente della Alles di Malcontenta per il trattamento di rifiuti speciali anche pericolosi. «Il progetto avrebbe comportato l’aumento di una significativa quantità di rifiuti da trattare ma soprattutto prevedeva un aumento del tipo di rifiuti e un allargamento dell’area di provenienza, che avrebbe reso possibile il loro arrivo indiscriminato. La deliberazione regionale venne assunta d’imperio, contrariamente a quanto prevede il Prg del Comune di Venezia e con il parere contrario sia del Comune che della Provincia di Venezia», ricorda l’ex assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin che ora può cantare vittoria. Il progetto di revamping dell’impianto di Alles, hanno ribadito i giudici del Tar, «non è un mero adeguamento dell’impianto esistente » e non è possibile «consentire una significativa modifica del numero di codici autorizzati e di operazioni autorizzate». Per un nuovo impianto di questo tipo servono un’autorizzazione edilizia della Provincia (citata in giudizio dal Comune con un intervento poi dichiarato inammissibile dai giudici), un preliminare assenso del Ministero dell’Ambiente (l’impianto ricade nell’area Sin di Porto Marghera) e del preliminare ok dell’Osservatorio Rifiuti dell’Arpav che accerti la «indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento », si legge nella sentenza. Bettin commenta: «Ora sarà possibile evitare che Marghera diventi la pattumiera che qualcuno voleva. Si sta andando per un’altra virtuosa strada, dopo la chiusura dell’inceneritore di rifiuti urbani e dell’SG31, questo nuovo risultato conferma che Marghera può e deve diventare polo di industria e attività sostenibili ». Ma avverte: «Occorre vigilare perché nel presente vuoto politico e istituzionale in Comune di Venezia qualcuno non tenti colpi di mano».

Mitia Chiarin

 

La Municipalità: «Marghera non è una pattumiera»

«Era nell’aria da tempo una decisione di questo tipo e non possiamo ora che esserne soddisfatti». Il presidente della Municipalità di Marghera, Flavio Dal Corso, gioisce per la decisione del Tar. «Questo ricorso aveva una valenza ben più ampia del caso in sè per Marghera. Abbiamo sempre sostenuto il no a modifiche di impianti che avrebbero fatto ripiombare Marghera negli anni del peggiore inquinamento e del conflitto sociale. Un progetto che apriva la strada ad un percorso che non vogliamo più. Deve essere chiaro che Marghera non è il luogo dove si tratta e incenerisce il peggio del prodotto industriale del Veneto e del Paese. Per Marghera serve un futuro di distretto industriale. Altri territori si tratti i loro rifiuti», dice Dal Corso. Alles, società della galassia Mantovani aveva ottenuto il via libera dalla Regione nonostante le forti contrarietà di enti locali, associazioni, comitati. «Quello della commissione», dice Dal Corso, «a noi era sembrato un colpo di mano della commissione regionale, avvallato dalla delibera regionale».Mala Municipalità continua a vigilare. Dopo gli arresti in Regione, non si ha più notizie dei cantieri del Vallone Moranzani.

(m.ch.)

 

MARGHERA – No ad Alles, il Tar boccia l’ampliamento della discarica

BETTIN «Porto Marghera non deve diventare una pattumiera»

BATTAGLIA – Per Gianfranco Bettin la sentenza del Tar favorisce lo sviluppo di «un’industria finalmente compatibile con l’ambiente»

PORTO MARGHERA – Accolto il ricorso del Comune contro il progetto di trattamento di rifiuti speciali e pericolosi nel sito di Malcontenta

Lo spettro dei rifiuti pericolosi si allontana da Porto Marghera. A un anno di distanza dall’impugnazione, il Tar del Veneto ha accolto il ricorso del Comune di Venezia (sostenuto anche da quello di Mira) contro la delibera regionale che aveva approvato il “revamping”, ovvero il potenziamento dell’impianto di trattamento di rifiuti speciali di Alles. La terza sezione del Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza pubblicata il 10 luglio ma resa nota solo ieri, ha riconosciuto le ragioni dei ricorrenti che contestavano il via libera di Palazzo Balbi al progetto di Alles, società controllata volta dalla Mantovani con base a Malcontenta. Dopo l’accoglimento, lo scorso inverno, della sospensiva della delibera, i giudici del Tar sono entrati nel merito riconoscendo che il progetto di Alles va considerato come un nuovo impianto e non come un normale ampliamento di quello esistente. L’azienda, infatti, era intenzionata a trattare a Malcontenta nuove tipologie di rifiuti speciali e pericolosi provenienti anche dall’esterno dell’ambito lagunare. La «significativa modifica del numero di codici autorizzati», si legge nella sentenza, avrebbe richiesto un iter diverso, con il coinvolgimento della Provincia, che a sua volta si era costituita in giudizio. Inoltre, rilevano i giudici, l’ampliamento dell’attività doveva ottenere l’assenso del ministero per l’Ambiente per la bonifica dei terreni dove doveva avvenire lo smaltimento dei rifiuti. E in ogni caso sarebbe stato necessario il parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Arpav «tenendo conto del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento».
La “bocciatura” della delibera regionale è stata accolta con soddisfazione da Gianfranco Bettin, che come assessore all’Ambiente uscente aveva sostenuto la “battaglia” contro Alles: «Porto Marghera – dichiara – non deve diventare una pattumiera, un polo globale di smaltimento dei rifiuti ovunque prodotti ma un’area che, trattando e smaltendo i propri rifiuti si trasforma nella direzione di un’industria finalmente compatibile con l’ambiente e la salute». Ragioni che verosimilmente saranno condivise dai cittadini di Marghera e Malcontenta che, da oltre un anno, si erano mobilitati per bloccare il progetto dell’azienda.

 

Blocco del cracking, i sindacati ricordano all’azienda: «Gli accordi si rispettano»

Comparto logistico in sciopero fino al 18 luglio. Bettin: «Il governo intervenga»

«Nell’incontro che si terrà il prossimo 18 luglio a Roma con le segreterie nazionali ed i delegati di tutta Italia, la nostra posizione sarà di totale chiusura verso ogni soluzione che penalizzi Marghera». Per la Raffineria Eni gli accordi vanno rispettati, dicono le segreterie territoriali di Filctem Cgil,FemcaCisl e Uiltec Uil. Sì al tavolo governativo ma anche la necessità di incontri urgenti con Regione, Prefetto, commissario comunale e Ministero dell’Ambiente per chiarire la posizione di Eni e del nuovo amministratore delegato Descalzi. Escatta la protesta. «I delegati del coordinamento Eni di Marghera, con la piena condivisione delle segreterie territoriali, dichiarano che per ottemperare a quanto sottoscritto il 10 febbraio scorso sulla chimica verde di Versalis, che prevedeva la fermata dell’impianto del cracking fino al 18 agosto e la realizzazione di investimenti per circa 200 milioni di euro nella chimica verde, non accetteranno ulteriori rinnovi della cassa integrazione e che quindi tutti i lavoratori rientreranno al lavoro il prossimo 3 agosto», dicono i sindacati. E ancora scioperi. «Da subito si avvieranno le procedure di raffreddamento previste per legge per la Raffineria di Venezia e per la parte chimica di Eni», proseguono. Dalle 6 di oggi «si abbasserà la portata della pipeline dell’etilene a 29 tonnellate l’ora fino a nuova comunicazione » e da oggi al 18 luglio nel turno 6-14 scatta lo sciopero dell’intero comparto logistico. Per l’ex assessore comunale all’Ambiente Gianfranco Bettin «se la nuova dirigenza Eni dovesse davvero tradire gli impegni assunti in questi anni per riconvertire e rilanciare la presenza di un’industria chimica sostenibile e innovativa a Porto Marghera si comporterebbe come certe aziende chimiche del passato lontano e recente hanno fatto, distinguendosi per un’azione meramente speculativa ai danni di lavoratori e territorio ». Bettin ricorda il lavoro fatto dal Comune per il rilancio di Marghera e l’appoggio ai piani di bioconversione della raffineria: «La «possibile marcia indietro, con l’abbandono di impianti strategici, tradisce tutto questo. Il vuoto politico-istituzionale, seguito allo scioglimento dell’amministrazione comunale, sta complicando gravemente le prospettive. Occorre che, nel vuoto locale (che deve finire al più presto, tornando al voto e restituendo rappresentanza e guida alla città), agisca intanto il governo senza ripetere oggi l’ errore commesso negli anni ’80 quando, con la fine di ogni seria politica industriale, si abbandonò anche la chimica innovativa, la ricerca, per fossilizzarsi sulla chimica di base, inquinante e rischiosa e senza prospettive sui mercati. Ci sono ancora le condizioni per una svolta positiva, ma bisogna contrastare la tendenza liquidatoria di Eni, che colpirebbe al cuore la città e le sue prospettive».

(m.ch.)

 

MALCONTENTA – Il presidente della Municipalità Dal Corso ha scritto al governatore del Veneto Zaia

Uno degli effetti dell’inchiesta sul Mose è il blocco dell’accordo tra istituzioni, privati e cittadinanza

«Il Vallone Moranzani si riduce a una discarica e a nuovo asfalto» dice preoccupato e allarmato Flavio Dal Corso, presidente della Municipalità di Marghera.
Avanti di questo passo, in effetti, si rischia che il progetto del Vallone Moranzani si riduca a un grande intervento sulla viabilità di Malcontenta. Il che da un lato è un bene, perché altrimenti buona parte dei 500 camion giornalieri che nel giro di un anno entreranno e usciranno dai cancelli del nuovo terminal per i Traghetti di Fusina, andranno ad intasare il centro del paese. Dall’altro lato, però, è un male perché Malcontenta, in cambio di una nuova gigantesca discarica per i fanghi dei canali industriali, otterrà solo nuove linee ferroviarie, strade e svincoli per raggiungere direttamente la Romea senza passare per il centro abitato. Perderà, cioè, la possibilità di ottenere un nuovo parco cittadino sopra alla discarica, un bosco, la sistemazione idraulica del territorio per evitare di finire sott’acqua, il trasferimento della San Marco Petroli lontano dal centro abitato e l’interramento dell’elettrodotto.
Perciò Dal Corso ha scritto una lettera al governatore del Veneto Luca Zaia, chiedendogli di sbloccare lo stallo in cui versa l’Accordo di programma. Anche perché quello del Vallone è un progetto che ha fatto storia in Italia, e in vari ambienti europei, dato che è il risultato della collaborazione tra istituzioni, aziende e cittadini i quali hanno accettato di avere appunto una nuova discarica nel loro territorio in cambio, però, di interventi a loro favore.
L’interramento dell’elettrodotto è compromesso già da un bel pezzo, a causa di problemi burocratici e dei privati che hanno presentato ricorso contro Terna per il nuovo elettrodotto Dolo-Camin e hanno vinto. Siccome il rifacimento della linea che passa sopra a Malcontenta fa parte dello stesso intervento, anche questo è bloccato e al momento non c’è nessuna speranza che Terna ripresenti due progetti separati.
«Al problema di Terna ora si aggiunge l’inchiesta sulle tangenti legate al Mose che, tra gli altri, ha visto arrestati due dei protagonisti del Vallone, l’assessore Renato Chisso e, soprattutto, il nuovo commissario al Recupero territoriale e ambientale Giovanni Artico (rimesso in piena libertà a fine giugno ma destinato ad altro incarico in Regione ndr.)» spiega Dal Corso che lamenta come alla fine, quindi, rimangano solo i pur importanti lavori che sta realizzando l’Autorità portuale veneziana sulla viabilità.
«Il governatore ha nominato un nuovo dirigente al posto di Artico, Alessandro Benassi, ma non abbiamo alcuna notizia di sue iniziative – conclude Dal Corso -. Zaia potrebbe, piuttosto, rinominare l’ingegner Roberto Casarin, l’ex commissario che ha creato il Vallone Moranzani, altrimenti davvero rischiano di saltare non solo gli interventi previsti ma l’intero Accordo di programma. E l’impatto delle nuove attività logistiche legate al terminal traghetti, senza gli interventi ambientali, diventerà molto pesante per i cittadini».

 

Il neo amministratore delegato del “Cane a sei zampe” annuncia ai chimici di Cgil, Cisl, Uil il suo piano di riorganizzazione “lacrime e sangue” per le produzioni legate a petrolio ed etilene in perdita da anni

Ci risiamo, tra i lavoratori e la società del “Cane a sei zampe”, è scontro aperto. Il neo nominato gruppo dirigente di Eni ha annunciato un nuovo piano di riorganizzazione interna, finalizzato a tagliare di netto tutte le produzioni in perdita, a cominciare dalla raffinazione del petrolio e della virginafta per i quali c’è una totale saturazione del mercato, a livello mondiale, per l’eccessiva offerta di prodotti a prezzi non remunerativi. A Porto Marghera – dove le due società Eni attive, Versalis e Raffinazione, occupano ancora poco più di 600 lavoratori – si parla di nuove proteste dopo i due giorni di sciopero (lunedì e martedì scorsi) che hanno bloccato la pipe-line e le navi cisterna che riforniscono di etilene e propilene i petrolchimici emiliani. Già ieri in Sicilia (Gela e Priolo) e in altri siti dell’Eni (Brindisi, Taranto, Livorno) sono scattate proteste dopo l’incontro a Roma tra i segretari generali dei chimici di Cgil, Cisl, Uil e il nuovo ad di Eni, Claudio Descalzi. Dopo l’incontro, i sindacati hanno indetto per il prossimo 18 luglio un coordinamento nazionale dei delegati di tutte le società dell’Eni per decidere iniziative di lotta. Sull’esito dell’incontro Eni non ha diffuso alcun comunicato stampa, ma secondo l’Ansa, l’incontro si sarebbe concluso con la rottura delle trattative sul nuovo progetto industriale di Eni, tutto lacrime e sangue per i lavoratori, illustrato a grandi linee da Descalzi. Un piano respinto dai sindacati che hanno risposto chiedendo un intervento diretto del Governo e intimando a Descalzi «di rispettare con onestà e coerenza gli accordi sottoscritti dai suoi predecessori ». Il progetto prevede una «riorganizzazione generale degli organici » per far fronte «al surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato» che garantisce le continuità operativa solo per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e della propria quota del 50% su quella di Milazzo». In discussione sono invece le 4 raffinerie di Gela, Taranto, Livorno e la seconda fase della raffineria di Porto Marghera e il petrolchimico di Priolo. Eppure, appena qualche mese fa, quando era ancora amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a Porto Marghera, i lavoratori e le istituzioni avevano tirato un sospiro di sollievo. Dopo il salasso degli ultimi vent’anni che ha portato alla chiusura della maggior parte di cicli produttivi e degli impianti delle società controllate da Eni al Petrolchimico, era arrivato prima il piano industriale di Paolo Scaroni che prevedeva di salvare la raffineria di petrolio di Porto Marghera e due terzi dei posti di lavoro, riconvertendola(come è già stato fatto con oltre 100 milioni di euro di investimento) alla produzione di olio vegetale da miscelare con il diesel. Poi c’è stato l’accordo che aveva sancito la continuità produttiva anche dell’impianto del cracking della virginafta della controllata Versalis (ex Polimeri Europa) e la costruzione di un impianto di “chimica verde” integrato per produrre bio-lubrificanti utilizzando il brevetto di una multinazionale americana. Ma nel giro dell’ultimo mese – dopo l’uscita di scena di Scaroni – il nuovo a.d. ha cambiato le carte in tavola. Del resto Descalzi, già manager di Eni, è conosciuto dai colleghi per aver sempre sostenuto con forza la necessità di tagliare i “rami secchi” di Eni che causano solo perdite economiche, a cominciare dalle raffinerie e dal cracking dell’etilene. Alla luce della nuova organizzazione prevista da Descalzi e anticipata dall’agenzia di stampa Agi «le attività delle divisioni E&P eR&M (ovvero produzione e raffinazione di prodotti petroliferi) e le società Versalis e Syndial, confluiranno in unica attività di business, mentre le funzioni di servizio al business saranno centralizzate, con massimo beneficio in termini di efficienza ».

Gianni Favarato

 

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