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Nei 92 ettari dove si producevano acrilico e acido solforico demolizioni e bonifiche aspettano di essere completate per far posto a chiatte e camion portacontainer 

Erbacce, buche, cumuli di calcinacci e crepe sui capannoni sono cresciute al ritmo della cassa integrazione che da cinque anni ricevono i sopravvissuti dipendenti della Montefibre. Nell’attigua area della Syndial (Eni) – che è stata diffidata dall’Autorità Portuale per il ritardo accumulato nelle bonifiche e demolizioni dei suoi impianti – gli sgangherati e vecchi impianti dell’acido solforico sono ancora lì, malamente in piedi. A guardarla in questo stato, oggi – cinque anni dopo la chiusura delle linee di produzione delle fibre acriliche e a vent’anni dalla chiusura del ciclo dell’acido solforico – la cosiddetta area MonteSyndial fa venire il magone, come tutte le altre grandi aree industriali dismesse e decadenti che nessun imprenditore ha avuto ancora il coraggio di riutilizzare. Gli unici movimenti che si vedono sono quelli delle autobotti che caricano le acque contaminate risucchiate dal sottosuolo per preservare la falda.

Stiamo parlando di un’area totale di ben 92 ettari, destinata a diventare la piattaforma di terra (retroporto) del previsto porto commerciale offshore – che entro il 2020 dovrebbe essere pronto a 8 chilometri al largo dell’imbocco di Malamocco in laguna – dove le chiatte provenienti dal terminale d’altura troveranno un’area automatizzata, collegata con la ferrovia e il sistema fluviale, per smistare container.

Già nel 2009, quando la crisi finanziaria ed economica era scoppiata l’anno prima, il presidente dell’Autorità Portuale – che ha comprato l’area, costata complessivamente 67 milioni di euro – puntava a farla diventare un nuovo e modernissimo terminal per container e merci in colli e una linea manifatturiera di seconda generazione.

Il riutilizzo logistico dell’area Montefibre sembrava anche un’ottima occasione per ricollocare nel nuovo terminal gli allora 350 dipendenti, ridotti oggi ad un centinaio, giunti al quinto e ultimo anno di cassa integrazione. Ma solo venti di loro sono stati assunti alla Demont, la società mestrina che ha vinto l’appalto per la demolizione degli impianti di Montefibre (già conclusa), la bonifica dell’amianto e la messa in sicurezza dell’intera area.

La crisi però non è passata e di imprenditori e operatori logistici pronti a investire nell’area Montesyndial, non si sono visti. Neanche l’Oleificio Medio Piave che ha comprato dall’Eni la vicina area dell’ex Clorosoda (44 ettari) per costruire una raffineria “green” di oli vegetali, si è dimostrato interessato alla lunga banchina di 1.400 metri che fronteggia l’area sul canale Ovest (con un pescaggio di 12 metri), sulla sponda opposta a quella dei terminal commerciali già operativi.

Il porto commerciale veneziano, comunque, ha tenuto bene, anzi i traffici sono progressivamente ripresi, tanto da far ben sperare anche sull’area MonteSyndial che alla fine del 2012, è stata inserita, con una atto integrativo di 81 pagine, al progetto del porto offshore che ha avuto il via definitivo nell’agosto scorso dal ministero dell’Ambiente. Nel dossier consegnato alla stampa dall’Autorità Portuale, il 2 agosto scorso, si spiegava che «il terminal onshore del porto d’altura verrà realizzato nell’area MonteSyndial e già nel 2013, 36 ettari saranno pronti e disponibili per potenziali investitori».

Vista l’ampiezza di quest’area il progetto dell’Autorità Portuale prevede di «impiegare la banchina MonteSyndial sia per accogliere navi di grandi dimensioni compatibili con l’accesso a Porto Marghera, sia le chiatte provenienti dal terminal d’altura per i flussi mediterranei e transoceanici».

In questo modo il Porto prevede di aumentare la «flessibilità d’utilizzo dell’area MonteSyndial e ne consentirà uno sviluppo in due fasi successive, la fase A corrispondente ad un terminal di tipo tradizionale e una fase B corrispondente ad un terminal a servizio dell’offshore per almeno 1 milione di Teu/anno». Per la zona alle spalle della banchina sul canale Ovest sarà «zona di stoccaggio dei container in attesa del successivo processo di carico sulle navi o su treni e camion e sarà suddivisa in spazi dedicati anche a container con merci pericolose, refrigeranti, vuoti e fuori sagoma».

Gianni Favarato

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Syndial replica «Operazioni complesse»

La demolizione dei capannoni e magazzini di Montefibre ormai vuoti; le vecchie linee produttive delle fibre acriliche e anche quella sperimentale delle fibre al carbonio vendute al ferrivecchi o spedite in fonderia, mentre si è ancora in attesa della messa in sicurezza dell’area, con la bonifica dell’amianto ancora presente e la demolizione degli edifici più fatiscenti e cadenti. Ben peggio è messa l’area AC (acido solforico) di proprietà di Syndial (Eni) che la stessa società aveva deciso di demolire e mettere in sicurezza per proprio conto. Tanto che l’Autorità Portuale di Venezia ha spedito recentemente una «diffida» in cui fa presente a Syndial i suoi «gravi ritardi» rispetto agli impegni presi per liberare e mettere in sicurezza l’area.

«La particolare complessità di queste operazioni, nell’ambito di un contesto industriale ancora attivo», replica Syndial, «ha comportato importanti sforzi tecnologici e in termini di risorse impiegate principalmente sulle bonifiche del sottosuolo, approvate con decreto del ministero dell’Ambiente».

La società dell’Eni fa presente che quest’anno «sono state introdotte variazioni normative» in materia di antimafia, gare d’appalto e certificazioni che «hanno comportato modifiche significative nei nostri programmi. Sono, comunque, state completate tutte le attività autorizzate nell’area venduta al Porto ed è stato demolito l’impianto del solfato ammonico».

Syndial prevede, infine, «di proseguire bonifiche e demolizioni dalla prossime settimane, in virtù di nuovi appalti che si stanno perfezionando in questi giorni, per una durata complessiva di circa 30 mesi». La settimana prossima è previsto un incontro tra Syndial e Porto per una verifica congiunta dei piani di lavoro.

 

Gazzettino – Legambiente: “Navi a Marghera”

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5

ott

2013

IL DIBATTITO SULLE CROCIERE – Legambiente attacca, Costa replica

(r.v.) Spostare la Marittima a Marghera, senza scavare nuovi canali. Secondo Legambiente il futuro della città “non viaggia sulle grandi navi”. Pianificazione integrata dell’area di Marghera dismessa dal ciclo della chimica e rigenerazione urbana «sono le chiavi per il nuovo rinascimento della città» scrive l’associazione in una lettera al presidente del consiglio Enrico Letta e ai ministri competenti Andrea Orlando, Massimo Bray e Maurizio Lupi. Una soluzione che coniugherebbe le ragioni dell’occupazione e della crescita economica con quelle della fruizione sostenibile.

«Legambiente invita il governo a definire una politica industriale che assuma il turismo e il futuro di Venezia come asset fondamentale per il Paese – dichiara Sebastiano Venneri, responsabile mare dell’associazione ambientalista – a non adottare soluzioni tampone, ma a pianificare il futuro di Venezia e dell’attività portuale partendo dalla rigenerazione di un’area inquinata e abbandonata di Marghera. Sarebbe una sfida per l’intero sistema Paese e non solo per la città e i suoi amministratori».

Per Legambiente va ripensato non solo il traffico delle grandi navi, ma l’assetto complessivo dell’accoglienza dei turisti in città con un solido investimento in grado di garantire l’attuale numero di toccate senza i rischi ambientali e l’impatto paesaggistico connessi al volume di traffico odierno passando attraverso il canale dei Petroli e non davanti a San Marco.
Legambiente boccia drasticamente le proposte di scavo di uno o più nuovi canali: «Laguna e città di Venezia sono un patrimonio mondiale inestimabile che va tutelato e protetto e non più aggredito e sfruttato».

Autorità portuale, ringraziando per la sollecitazione Legambiente, rassicura che da tempo «stiamo lavorando nell’esercizio delle competenze, anche pianificatorie, sull’intera area di Marghera a un piano di sviluppo che punta ad una Marghera post-chimica re-industrializzata sulla manifattura leggera e sulla logistica».
«Autorità Portuale non si sta limitando a pianificare ma sta già agendo concretamente e pagando con risorse proprie il disinquinamento dei fondali dei canali portuali lagunari, la bonifica e riconversione dell’area ex Alumix di 36 ettari che vedrà operare dal 2014 un nuovo terminal traghetti dedicato alle Autostrade del Mare, la bonifica e riconversione dell’area dismessa ex Montefibre – Syndial di quasi 100 ettari che diventerà il terminal portuale e logistico a terra del terminal d’altura (Off shore), la bonifica e l’ampliamento del parco ferroviario».

 

 

«Il futuro della città non viaggia sulle grandi navi. Scalo a Marghera, pianificazione integrata e rigenerazione urbana sono le chiavi per il nuovo rinascimento della città», «un semplice divieto, sebbene indifferibile, al transito delle navi da crociera davanti a San Marco non sarebbe sufficiente».

Così Legambiente scrive al presidente del consiglio Enrico Letta e ai ministri competenti Andrea Orlando, Massimo Bray e Maurizio Lupi, Una presa di posizione che è anche una risposta in tempo reale al «Sì al numero chiuso, mai a Marghera», del presidente del porto Paolo Costa, impegnato a difendere con le unghie il progetto di scavo del canale Contorta dell’Angelo per collegare il Canale dei Petroli alla Marittima, e mantenere così a Venezia lo scalo passeggeri.

Ieri il botta-e-risposta ambientalisti-porto è andato in scena via comunicati stampa. Legambiente pensa che «lo spostamento della stazione marittima per le navi da crociera a Marghera, possa rappresentare la giusta soluzione». L’invito al governo – spiega Sebastiano Venneri, responsabile mare dell’associazione – è «a definire una politica industriale che assuma il turismo e il futuro di Venezia come asset fondamentale per il Paese. Con lo spostamento lontano dal fragile cuore della città, si eviterebbe il passaggio delle grandi navi all’interno del Canale della Giudecca e del bacino di San Marco e si consentirebbe il rilancio della zona industriale».

«Come ambientalisti e come cittadini», aggiunge il presidente di Legambiente Veneto, Luigi Lazzaro, «non possiamo più accettare soluzioni del secolo scorso», bocciando «drasticamente le proposte di escavo di uno o più nuovi canali all’interno della laguna, avanzate dall’Autorità Portuale e da altri soggetti economici e politici».

«Siamo molto grati a Legambiente per la sollecitazione a risolvere il problema costituito dal passaggio delle grandi navi da crociera davanti a San Marco in un’ottica strategica che guardi anche “alla rigenerazione” dell’area inquinata e abbandonata di Marghera», replica in una nota al vetriolo il presidente dell’Autorità portuale, «ma ci piacerebbe che Legambiente potesse dare uguale attenzione al problema dei tempi e costi delle bonifiche». «Vogliamo rassicurarla», prosegue Costa, che ha bocciato il porto passeggeri a Marghera considerandolo incompatibile sia con le crociere sia con i traffici commerciali, «che l’Autorità Portuale sta lavorando ad un piano di sviluppo che punta ad una Marghera post-chimica re-industrializzata sulla manifattura leggera e sulla logistica. Non si sta limitando a pianificare, ma sta già agendo concretamente e pagando con risorse proprie il disinquinamento dei fondali dei canali portuali lagunari, la bonifica e riconversione dell’area ex Alumix di 36 ettari che vedrà operare dal 2014 un nuovo terminal traghetti dedicato alle Autostrade del Mare, la bonifica e riconversione dell’area dismessa ex Montefibre-Syndial di quasi 100 ettari che diventerà il terminal portuale e logistico a terra del terminal d’altura e la bonifica e l’ampliamento del parco ferroviario».

(r.d.r.)

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Dopo la fiducia all’esecutivo Letta l’associazione ambientalista chiedi tempi veloci per il piano annunciato dal ministro Orlando. Ironia dell’Autorità Portuale: «Uguale interesse per Marghera»

VENEZIA. All’indomani del voto di fiducia al Governo, Legambiente scrive al presidente del consiglio Enrico Letta e ai ministri Andrea Orlando, Massimo Bray e Maurizio Lupi sul transito delle grandi navi a Venezia, una questione che l’associazione ambientalista definisce prioritaria per il futuro della città lagunare e del suo patrimonio storico-architettonico. Urgono, secondo Legambiente, risposte concrete e provvedimenti immediati. Un semplice divieto, sebbene indifferibile, al transito delle navi da crociera davanti a San Marco non sarebbe sufficiente. L’associazione individua la soluzione nello spostamento della stazione marittima per le navi da crociera a Marghera, attraverso il passaggio per il canale dei petroli.

«Legambiente invita il governo a definire una politica industriale che assuma il turismo e il futuro di Venezia come asset fondamentale per il Paese – dichiara Sebastiano Venneri, responsabile mare dell’associazione ambientalista – a non adottare soluzioni tampone, ma a pianificare il futuro di Venezia e dell’attività portuale partendo dalla rigenerazione dell’area inquinata e abbandonata di Marghera. Sarebbe una sfida per l’intero sistema Paese e non solo per la città e i suoi amministratori».

Con lo spostamento della Marittima a Marghera, lontano dal fragile cuore della città, si eviterebbe infatti il passaggio delle grandi navi all’interno del Canale della Giudecca e del bacino di San Marco e allo stesso tempo si consentirebbe una pianificazione integrata di tutta l’area comunale attraverso il recupero e rilancio della zona industriale dopo gli anni di abbandono seguiti alla crisi del ciclo della chimica.

«Come ambientalisti e come cittadini – aggiunge il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro – non possiamo più accettare soluzioni del secolo scorso da parte di una lobby imprenditoriale che di quegli anni sta riproponendo il peggio. Ne’ ci interessano soluzioni parziali che si occupano di risolvere i problemi posti dalle singole attività all’interno della città. Vogliamo piuttosto una pianificazione strategica della città, vogliamo immaginare la Venezia del futuro, vogliamo giocare una sfida importante, non solo sulla vergogna degli inchini al campanile delle grandi navi, ma sul recupero di aree e identità, sulla ridefinizione degli spazi, sull’idea insomma di città che vorremmo realizzare».

Per questo la soluzione proposta da Legambiente ripensa non solo il traffico delle grandi navi, ma l’assetto complessivo dell’accoglienza dei turisti in città. Venezia oggi sfiora i 20milioni di visitatori all’anno, concentrati nel centro storico.

«Siamo certi che lo spostamento del porto delle grandi navi di pochi chilometri dal centro di una delle città più belle del mondo non possa rappresentare un deterrente alla visita e scoraggiare i visitatori che da ogni parte del mondo giungono a Venezia – concludono Venneri e Lazzaro – Mentre le aree meno interessate dalla pressione turistica, che oggi sentono maggiormente il clima di instabilità economica e che necessitano di interventi di rilancio, potrebbero goderne significativamente entrando a far parte a pieno titolo delle dinamiche cittadine».

Legambiente boccia drasticamente le proposte di escavo di uno o più nuovi canali all’interno della laguna, avanzate dall’Autorità Portuale e da altri soggetti economici e politici del territorio.

«Siamo molto grati a Legambiente e al suo responsabile mare Sebastiano Vanneri per la sollecitazione a risolvere il problema costituito dal passaggio delle grandi navi da crociera davanti a S. Marco in un’ottica strategica che guardi anche ”alla rigenerazione dell’area inquinata e abbandonata di Marghera’’».

Così l’Autorità Portuale di Venezia, in una nota, risponde alle alle sollecitazioni di Legambiente sulla vicenda del passaggio delle grandi navi di fronte a San Marco. «Vogliamo rassicurarlo che allo scopo e in quella direzione l’Autorità Portuale sta lavorando da tempo nell’esercizio delle competenze, anche pianificatorie, sull’intera area di Marghera. Stiamo lavorando ad un piano di sviluppo che punta ad una Marghera post-chimica re-industrializzata sulla manifattura leggera e sulla logistica», spiega.

«Farà piacere a Legambiente e a Vanneri sapere che a Marghera, e su Marghera, l’Autorità Portuale non si sta limitando a pianificare ma sta già agendo concretamente e pagando con risorse proprie: il disinquinamento dei fondali dei canali portuali lagunari; la bonifica e riconversione dell’area ex Alumix di 36 ettari che vedrà operare dal 2014 un nuovo terminal traghetti dedicato alle Autostrade del Mare. La bonifica e riconversione dell’area dismessa ex Montefibre – Syndial di quasi 100 ettari che diventerà il terminal portuale e logistico a terra del terminal d’altura (Off shore). La bonifica e l’ampliamento del parco ferroviario», ricorda l’autorità Portuale. «Ci piacerebbe che Legambiente potesse dare l’attenzione che oggi da al problema delle grandi navi anche al problema dei tempi e costi delle bonifiche», conclude.

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Nuova Venezia – Venezia. Grandi Navi.

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4

ott

2013

la Cgil non può essere succube del porto

Ho abbastanza anni per ricordarmi del sindacatucolo giallo chiamato Sida, creato alla Fiat da Valletta con l’aiuto della Cia che aveva il compito di tappettino dell’azienda e di spaccare il fronte dei lavoratori e soprattutto di combattere la grande Cgil.

Adesso mi domando, da iscritto alla Cgil, se il gruppo dirigente Cgil di Venezia sia all’altezza del suo gravoso compito o se – almeno sul problema delle grandi (mostruose) navi che attraversano il bacino di San Marco in attesa di un nuovo Schettino che magari distrugga il Palazzo Ducale – sia succube del fronte del porto e non riesca ad elaborare un progetto autonomo che salvaguardi l’occupazione e, soprattutto, la salvezza di Venezia, città unica al mondo.

La Cgil che io conosco, o forse conoscevo, riusciva a fare ciò, a unire i legittimi interessi dei lavoratori con quelli complessivi della società senza essere subalterna ai padroni delle ferriere. Probabilmente sono solo un illuso. Sono, nel mio piccolo, accanto ai No Tav per amore della nostra amata città.

Giorgio Trinca

 

LA RISPOSTA

Lo sforzo della Cgil sulla questione delle grandi navi

di Roberto Montagner – Segretario generale della Cgil di Venezia

Mi stupisce l’intervento di Giorgio Trinca sulla “Nuova Venezia” («la Cgil non può essere succube del porto») che, sulla vicenda grandi navi, non ha colto lo sforzo che la Cgil sta compiendo per promuovere soluzioni che puntino a preservare il delicato assetto della città senza penalizzare il lavoro.

A fronte delle posizioni da noi espresse ufficialmente in questi giorni, non capisco come Trinca possa tacciare la Cgil di “inadeguatezza” e “subalternità”, a meno che egli non ritenga che l’unico progetto possibile che la Cgil dovrebbe abbracciare per essere considerata “autonoma” e degna di “capacità progettuale” sia lo spostamento “tout court” delle grandi navi a Marghera.

Proprio perché autonoma e consapevole nel proprio giudizio, la Cgil rifiuta questa ipotesi che sarebbe doppiamente discutibile perché da un lato affosserebbe il porto commerciale ed industriale che invece ha bisogno di funzionare e portare ricchezza (umana e sociale oltre che economica) ad una città che rischia di diventare sempre più asfittica e dall’ altro lato favorirebbe interessi speculativi sulle pregiatissime aree di Marittima, premiando ancora una volta la rendita a discapito del lavoro e mettendo fine all’attività industriale.

Dopo la presa di posizione della Cgil e delle altre organizzazioni sindacali che mettevano in guardia dal rischio derivante dal trasferimento del polo crocieristico a Marghera, lo stesso sindaco ha dichiarato che va “esclusa ogni soluzione che possa danneggiare il porto commerciale dal momento che esso è parte essenziale della città e pilastro dell’economia del territorio, del tutto indipendente dal turismo e del quale non può essere vittima” e ha affermato di “condividere la responsabile posizione assunta dal sindacato”.

Tale posizione non significa consentire il transito delle grandi navi per il bacino di San Marco e il canale della Giudecca cui più volte la Cgil si è dichiarata decisamente contraria. Ma questo non significa spostare le grandi navi a Marghera, soffocando le attività commerciali ed industriali ivi presenti.

Altre strade ci sono e vanno percorse ed è proprio su questo che si sta misurando in queste ore la Cgil di cui Trinca ricorda la storica capacità di “unire i legittimi interessi dei lavoratori con quelli complessivi della società”. La stessa assemblea dei lavoratori portuali è stata esemplare. Nessuno si è alzato per chiedere il mantenimento dello “status quo”, tutti si sono prodigati per valutare le alternative che possano salvaguardare la città storica e consentire il dispiegarsi delle attività portuali.

Nelle more del decreto Passera/Clini ci sono varie possibilità da esplorare e di qui bisogna partire. Una volta individuato il progetto risolutivo si può anche pensare ad una fase transitoria – fatta anche di piccoli passi – che conduca al superamento del problema fino all’approdo finale, i cui tempi però devono essere i più rapidi possibili. Già la commissione parlamentare sta vagliando la questione.

Una cosa deve essere chiarissima, ossia che le grandi navi non sono compatibili con la tutela della città storica così come non lo sono con Marghera. Il sindaco, il Magistrato alle acque e l’Autorità portuale devono indicare la soluzione. Se questa avrà tale impostazione, da parte dei lavoratori non ci saranno preclusioni a dare un contributo per rendere fattibile un percorso che conduca al nuovo e definitivo assetto alternativo della crocieristica a Venezia.

 

«Diritto di critica». Respinta la richiesta di risarcimento di un milione dell’ex ministro Clini. «Farò ricorso»

Il Tribunale civile di Roma dà ragione a Gianfranco Bettin nella causa civile per danni intentata dall’ex ministro e oggi direttore generale dell’Ambiente, Corrado Clini.

«Ha esercitato correttamente il diritto di critica», si legge nella sentenza della prima sezione civile del Tribunale della capitale, che ha respinto la richiesta di risarcimento danni a mezzo stampa (un milione di euro) chiesta da Clini.

Soddisfatto Bettin, assessore all’Ambiente del Comune e all’epoca prosindaco e consigliere regionale dei Verdi. Bettin aveva firmato nel 2005 un’interrogazione urgente al presidente Galan in cui chiedeva chiarimenti su una vicenda di rifiuti pericolosi, portata alla luce dall’Espresso. Negli anni Novanta, insieme ai rifiuti tossici della Jolly Rosso, che tra le polemiche si era deciso di bruciare nell’inceneritore SG31 del Petrolchimico a Marghera, diceva l’inchiesta dell’Espresso firmata da Riccardo Bocca, potrebbero essere finiti in fumo anche rifiuti radioattivi.

L’articolo finisce in Parlamento, con una interrogazione firmata da Luana Zanella e in Regione con la richiesta di Bettin. Che chiede di far luce anche sulle responsabilità dell’epoca. Nel 1990 il direttore dell’Ufficio di medicina del Lavoro dell’Usl era Corrado Clini, poi diventato ministro dell’Ambiente.

«Non l’aveva presa bene», racconta Bettin, «e mi ha chiesto un milione di euro. Per la prima volta la Regione ha ritenuto di non tutelare il suo consigliere che aveva fatto ricorso all’istituto dell’interrogazione. Ma adesso il giudice ha respinto la richiesta di risarcimento».

«L’argomento riguardava il diritto alla salute pubblica e rivestiva rilievo anche se riferito a vicende di 15 anni prima», scrivono i giudici. E, ancora: «È stato ripetutamente sostenuto in giurisprudenza», si legge nella sentenza di primo grado, «che in materia di diritto di critica non si pone un problema di veridicità delle asserzione, poiché per definizione i giudizi e le asserzioni non possono essere ricondotti a verità oggettive, in quanto soggettivi e opinabili».

Dunque, il diritto di critica può essere esercitato purché non si riduca a «un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore del soggetto interessato».

Clini è stato condannato al risarcimento delle spese processuali. «Sono soddisfatto», commena Bettin, «anche se il peso di lunghi anni di causa e il costo del processo non possono dirsi cancellati da questo esito. Conforta il fatto di avere agito correttamente e di aver cercato con mezzi leciti di sapere la verità su episodi inquietanti».

«Credo che ricorrerò in appello», replica l’ex ministro Clini, da qualche mese tornato al suo posto di direttore generale nel ministero dell’Ambiente, «perché in quell’occasione mi ero sentito diffamato, le accuse non erano fondate».

«La motivazione del ricorso», continua Clini, «sta in una frase dei giudici. Dove sostengono che in fondo se poi sono diventato ministro non ero stato danneggiato. Non ce l’ho con Bettin, ma voglio che la verità dei fatti sia ristabilita».

Alberto Vitucci

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LA SENTENZA – Respinta la maxirichiesta di indennizzo per risarcimento intentata dall’ex ministro

Negli anni Novanta finirono sostanze contenenti uranio impoverito nell’inceneritore del Petrolchimico

Respinta la maxi richiesta di risarcimento danni per diffamazione, avviata dall’ex ministro ed ex direttore del Ministero della Salute, Corrado Clini, nei confronti di Gianfranco Bettin. A portare alla luce la decisione del Tribunale civile di Roma è lo stesso assessore all’Ambiente che anni fa aveva duramente criticato l’allora direttore generale del ministero dell’Ambiente.

La vicenda in questione è quella che gravita attorno ai rifiuti tossici trasportati a bordo della nave “Jolly Rosso” alla fine degli anni Ottanta. Tra il 1989 e il 1990 nel forno dell’inceneritore Sg31 del Petrolchimico vennero smaltiti rifiuti tossici e nel 2005 il settimanale l’Espresso pubblicò la notizia che in due referti dell’Ulss 36 si sosteneva che nel forno era finito l’uranio, timore questo segnalato, già nel 1990, dagli operai di Marghera.

«Già nel 1990 il dottor Clini – dice Bettin che era consigliere regionale dei Verdi – reagì polemicamente accusandomi di diffamazione e chiedendo un risarcimento di un milione di euro. La Regione non aveva voluto tutelarmi per quella interrogazione e così la causa civile decollò».

Il Tribunale civile di Roma ha sostenuto che “la notizia relativa alla presenza dell’uranio impoverito, all’interno dei rifiuti della Jolly smaltiti a Marghera, era stata oggetto dell’interesse dei giornali già nel 1990. Successivamente venne pubblicata la relazione dell’Ulss 36 dove risultava provata la presenza di uranio radioattivo in percentuali superiori a quelle stabilite per legge. L’argomento involgente il diritto alla salute pubblica rivestiva rilievo anche se riferito a vicende accadute 15 anni prima. Il diritto di critica può essere esercitato con espressioni aspre purchè non ci sia aggressione gratuita e distruttiva dell’onore. In questo caso il consigliere Bettin si è limitato a chiedere a Clini (che essendo stato poi nominato Ministro non ha avuto pregiudizio) perché non avesse dato la notizia dell’uranio. Il riferimento era pertinente».

È possibile che ora Clini ricorra in appello, ma secondo Bettin questa decisione pone un punto fermo. «Cioè il diritto – scrive l’assessore all’Ambiente – non solo alla critica ma a chiedere la verità su fatti che hanno segnato a fondo la nostra città e il nostro paese in anni lontani ma le cui implicazioni sono ancora lungi dall’essere state chiarite completamente. Tale diritto è stato solennemente ribadito con questa sentenza. Il peso di lunghi anni di complicato iter processuale (dal 2005), l’attesa durata diversi mesi (da maggio 2013), dalla chiusura delle udienze fino al pronunciamento della sentenza, il costo della causa che ho dovuto comunque sostenere – al di là delle spese legali che per disposizione del giudice mi verranno risarcite, una piccola parte di quelle effettivamente sostenute in tutti questi anni – oltre che l’enormità della richiesta di danni non possono dirsi cancellati da questo felice esito, ma certamente conforta il riconoscimento di aver agito correttamente su vicende inquietanti».

 

GRANDI NAVI – Il sindaco Giorgio Orsoni chiederà a palazzo Chigi una rapida riconvocazione dell’incontro

GLI ALLEATI    «Orlando e Lupi sanno bene come stanno le cose»

ENORMI – Il gigantismo navale ha convinto quasi tutti gli attori in campo della necessità di trovare alternative almeno al transito davanti a S. Marco

Passata la crisi di governo, il Comune torna alla carica affinché l’incontro ad alto livello sulle grandi navi, previsto inizialmente per martedì 1, si tenga al più presto.

«Chiederò al più presto che venga rifissato l’incontro – spiega il sindaco Giorgio Orsoni – perché qui abbiamo perso fin troppo tempo. A Venezia serve una decisione presa in tempi brevi e una soluzione anche temporanea ma che consenta di affrontare la questione da subito senza lasciarla lì».

In questo momento, la sua “apertura” verso la Marittima, purché gli arrivi e le partenze avvengano per il canale Vittorio Emanuele, sembra essere l’opzione con maggiori probabilità di essere adottata. Il Comitato Cruise Venice plaude, ma i “No grandi navi” sostengono che si eliminerà solo il passaggio, mentre gli altri problemi rimarranno.

«Anzi – attaccano – con la commistione dei traffici merci e passeggeri in canale dei Petroli aumenterà e con essa il rischio di incidenti. Inoltre si continuano ad ignorare gli aspetti legati all’inquinamento di questi mostri».

Il sindaco va avanti, poiché sa bene che in questo momento non sarebbe possibile chiudere la laguna alle navi.

«Ho sempre detto che quella poteva essere una soluzione – continua – che poi va nello stesso senso di quella di Marghera. Alcune navi potrebbero andare a Marghera, altre in Marittima. Da ciò che so in pochi mesi, il Vittorio Emanuele si può scavare. È una soluzione immediatamente fattibile, magari facendo un senso unico nell’immediato. Si possono fare grandi cose, basta non interstardirsi nel voler scavare nuovi canali».

Il ministro dell’Ambiente sembra aver in mente proprio questa soluzione, dopo averla dichiarata pubblicamente anche nel periodo di “vacanza” dell’esecutivo.

«Mi pare che sia Orlando che Lupi abbiano capito come stanno le cose e mi auguro che in tempi brevi si arrivi ad una decisione seria e risolutiva».

Intanto, il senatore del Pd Felice Casson, ha depositato al Senato un’interrogazione ai ministri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e dei Beni culturali in cui evidenzia a quali difficoltà andrebbe incontro un progetto come quello caldeggiato dall’Autorità portuale sullo scavo e l’allargamento del canale Sant’Angelo Contorta. Casson esordisce affermando che ogni intervento che comporti la realizzazione di nuovi canali navigabili contrasta con la legislazione speciale per Venezia.

«Mi chiedo – attacca Casson – se i ministri interrogati non ritengano che, data la natura ambientale del tema trattato, non debba essere interessato in primo luogo e direttamente il ministro dell’Ambiente con i suoi uffici. Il Governo, per la scelta definitiva – conclude – deve avvalersi di un ente terzo che garantisca l’attendibilità scientifica, senza accontentarsi di istruttorie addomesticate da enti e uffici già dimostratisi proni in passato verso interessi gestiti da società private quali il Consorzio Venezia Nuova e le società crocieristiche».

Michele Fullin

 

Grandi navi

CONTROLLARE ANCHE I FLUSSI TURISTICI

I tavoli di lavoro, gli incontri, i dibattiti si sono succeduti a ritmo intenso con relazioni ed illustrazioni di alto livello ed ora le indicazioni sono chiarissime:

1 – non può più essere sottovalutato il livello di sostenibilità turistica, già ampiamente superato senza provocare danni esistenziali ai residenti con pesanti ricadute sulla residenzialità.

2 – Le eventuali rotte alternative per le grandi navi, anche nel periodo transitorio prima del loro allontanamento dalla laguna, non potranno prevedere interventi in contrasto con la sostenibilità ambientale.

Da queste due indicazioni derivano l’urgenza della definizione e la assunzione di provvedimenti che stabiliscano i limiti, l’organizzazione e il controllo dei flussi turistici dalle varie porte di accesso alla città: porto, aeroporto, ferrovia, rete viaria.

Per quanto riguarda i “condomini galleggianti” non si potranno prevedere rotte alternative che comportino nuovi scavi di canali nella laguna o altre devastanti manomissioni o si compromettano definitivamente i progetti di rilancio e riqualificazione della zona industriale di Marghera.

Per il porto di Venezia – che nella storia ha dovuto affrontare problemi analoghi – i Savi alle Acque hanno scelto di adeguare le dimensioni del naviglio o scelto il sistema dell’alibo, senza mai scavare per evidenti valutazioni strategiche militari ed economiche, nuovi canali portuali. Le vie d’acqua esistenti – canale dei petroli, canale vittorio Emanuele – potrebbero consentire nel breve periodo ed in attesa del definitivo allontanamento, come già avvenuto, il raggiungimento della Marittima senza i mai abbastanza deprecati passaggi per S. Marco e Canale della Giudecca. L’intelligenza dei tecnici, la lungimiranza di politici e amministratori devono prefigurare soluzioni nel medio periodo che tengano conto delle indicazioni emerse.

William Pinarello

 

 

La riconversione della vecchia raffineria dell’Eni mette fine al traffico di greggio in laguna

Mai più petroliere e meno navi cisterna in laguna. La raffineria veneziana dell’Eni in via di riconversione per produrre olio vegetale per carburanti biodisel, non ha più bisogno del petrolio. Il greggio arrivava fino a pochi mesi fa nell’isola dei Petroli (a poche centinaia di metri dall’inizio del ponte della Libertà per Venezia) con un oleodotto sublagunare del diametro di 107 centimetri e lungo circa 11 chilometri che collega la raffineria con il pontile di San Leonardo, all’inizio del cosiddetto canale dei Petroli che comincia alla bocca di Malamocco e arriva a Porto Marghera. Il pontile petrolifero è attivo dal 1972, quando entrò in funzione, insieme all’oleodotto di proprietà di Eni, per evitare che le petroliere piene di greggio entrassero in laguna, con tutti i rischi conseguenti in caso di un possibile incidente nautico, per raggiungere la raffineria. Le norme in vigore da allora prevedono che a San Leonardo – che offre un pescaggio utile (oltre 13 metri) maggiore di quello che c’è nel canale dei Petroli – possono arrivare solo petroliere con una portata inferiore a 85 mila tonnellate a pieno carico e fino a 180 mila a carico parziale. Quelle di stazza e con un carico maggiore erano costrette a fermarsi fuori della laguna ed usare delle bettoline per scaricare a San Leonardo.

Nell’oleodotto sublagunare le petroliere, tramite le proprie pompe di bordo, scaricavano il greggio che raggiungeva i serbatoi di stoccaggio dell’isola dei Petroli, con portate che si aggirano sulle 5 mila tonnellate l’ora, per poi essere inviato alla raffineria per la trasformazione in carburante. Fino alla raffineria dell’Eni (attiva dal 1926) arrivavano e arrivano tutt’oggi materie prime come la virgin nafta, additivi per la benzina senza piombo, benzine da cracking (Lcn) e gasoli pesanti con navi cisterna che entrano in laguna e percorrono tutto il canale di Petroli.

In conseguenza della fine dell’arrivo di petrolio, il pontile di San Leonardo con l’oleodotto sublagunare, potrebbe ora diventare il nuovo attracco per navi cisterna con prodotti petrolchimici grezzi o semilavorati che entrerebbero ancora in laguna, ma si fermerebbero prima di imboccare il canale dei Petroli per arrivare in raffineria via oleodotto.

I responsabili di Eni Rafining & Marketing stanno, infatti, ancora verificando se l’oleodotto può essere anche lui «riconvertito» per trasportare, al posto del petrolio greggio, prodotti già raffinati (benzine e diesel) che verranno immagazzinati nei depositi dell’isola dei Petroli, per continuare a servire le pompe di benzina della rete Eni nel Nordest, prima rifornita dalla raffineria veneziana.

Con la riconversione degli impianti già avviata, la raffineria dalla prossima primavera comincerà a lavorare non più petrolio, ma olio vegetale di palma che – come confermato anche nei giorni scorsi e previsto dagli accordi sindacali siglati – potrebbe essere scaricato dalle navi a San Leonardo e poi prendere la strada dell’oleodotto. Bisognerà attendere ancora qualche settimane prima che i tecnici di Eni mettano a punto, in accordo con le autorità competenti, il nuovo piano di utilizzo di San Leonardo.

(g.fav.)

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MIRA    «L’Eni mostri il piano su San Leonardo»

MIRA – Il sindaco di Mira Alvise Maniero prende carta e penna e scrive all’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni per avere un incontro urgente e chiarimenti sul progetto “Green refinery” che coinvolgerà la laguna di Venezia e il territorio di Porto San Leonardo, nel comune di Mira.

«Abbiamo appreso – scrive il sindaco a Scaroni – che Eni sta per realizzare in laguna il progetto ‘Green refinery’ e ha chiesto all’Autorità Portuale di rinnovare per un ventennio la concessione delle aree demaniali a partire dall’1 gennaio 2014. Inoltre sulla base dell’accordo Porto – Eni sono previste opere di protezione dell’oleodotto lagunare in relazione al progetto delle Autostrade del Mare a Fusina».

«Si tratta – continua il sindaco – di un progetto e di interventi che avranno grande importanza per la laguna, sul cui ambito ha competenza anche il Comune di Mira, nel cui territorio ricade il porto di San Leonardo».

Da qui in primo luogo la richiesta di poter disporre della documentazione in proposito (l’accordo sottoscritto tra Eni e l’Autorità Portuale e lo studio di Saipem per le barriere davanti a Fusina; l’istanza per la concessione ventennale; il piano industriale di Eni).

Su questi punti il Comune di Mira chiede all’Eni un incontro urgente: «Questa giunta – dice l’assessore all’Urbanistica Luciano Claut – è interessata alla compatibilità ambientale delle nuove strutture, alle opere di mitigazione e compensazione degli ambiti lagunari, che è fondamentale che vadano concordati con tutti gli Enti interessati».

La lettera del sindaco di Mira è stata consegnata a Scaroni dal capogruppo M5S in X Commissione del Senato, Gianni Girotto.

(a.ab.)

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MIRA – Il sindaco: «Parte del territorio è mirese»

«Vogliamo disporre della documentazione sul progetto “Green-refinery” che Eni sta per realizzare nella laguna di Venezia. Parte del territorio lagunare è mirese, compreso il Porto San Leonardo».

Il sindaco di Mira Alvise Maniero ha scritto all’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni chiedendo un incontro urgente e un maggior coinvolgimento nel progetto che consentirà ad Eni di integrare il tradizionale schema della raffineria di Venezia con un ciclo “green” per la produzione di biocarburanti di elevata qualità.

«Eni ha chiesto all’Autorità Portuale di Venezia di rinnovare per un ventennio la concessione delle aree demaniali a partire dall’1 gennaio 2014 – spiega Maniero – e sulla base dell’accordo tra Autorità Portuale ed Eni sono previste opere di protezione dell’oleodotto lagunare in relazione al progetto di Apv denominato “Autostrade del Mare” a Fusina. Si tratta di un progetto e di interventi che avranno grande importanza per la laguna di Venezia, sul cui ambito ha competenza anche il Comune di Mira, dal momento che nel suo territorio è collocato il porto di San Leonardo. Per questo motivo vogliamo valutarne compatibilità ambientale e opere di mitigazione del progetto ed abbiamo chiesto di disporre della documentazione in proposito, tra cui l’accordo sottoscritto tra Eni e l’Autorità Portuale, lo studio di Saipem per le barriere davanti a Fusina ed il piano industriale di Eni».

La lettera del sindaco di Mira è stata consegnata a Scaroni dal capogruppo M5S in X Commissione del Senato Gianni Girotto, che ne è anche cofirmatario.

 

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