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Il Comune è già socio al 50% di Marghera Eco Industries srl, ma la Regione blocca la sua adesione

Giorgetti: «Prima vogliamo sciogliere i dubbi sulla sostenibilità finanziaria dell’intera operazione»

Marghera Eco Industries srl: sarebbe questo il nome della nuova società – costituita sulle “ceneri” di Live srl – che Comune di Venezia e Regione Veneto si sono impegnati a costituire con un’apposita delibera già approvata da mesi. La nuova società dovrebbe subentrare nella proprietà dei 108 ettari di aree industriali dismesse, cedute da Syndial (Eni) che ha anche messo a disposizione un fondo di 38 milioni per bonificarle e poi venderle, con un apposito bando di gara, sul mercato europeo a chi vuole rilanciarle con nuove attività industriali o logistiche.

Tutto sembrava fatto; il Comune di Venezia, malgrado il comissariamento, ha già formalmente aderito alla nuova società – al 50% – attraverso la controllata Immobiliare veneziana (Ive).

Mancava solo l’adesione della Regione, attraverso la controllata Veneto Acque spa e poi si sarebbe passati alla nomina di una governance paritetica e un manager esperto per portare a termine una sorta di “sogno”: risanare le aree industriali dismesse dall’Eni a Porto Marghera e venderle a prezzi calmierati con l’obbiettivo di farle diventare il perno di una “rinascita” di Porto Marghera con un nuovo sviluppo e nuovi posi di lavoro. Ma ora tutto si è bloccato e chissà quando si sbloccherà, di certo non prima del prossimo voto per le elezioni comunali e regionali.

L’alt è arrivato dalla Giunta regionale, sebbene il 7 gennaio scorso abbia approvato un’apposita delibera in cui decideva di mettere a disposizione «sino all’importo massimo di euro 150.000, il contributo di funzionamento che potrà essere destinato alle attività spettanti a Veneto Acque spa nella reindustrializzazione di Porto Marghera con la sua partecipazione alla società Live srl» poi denominata Marghera Eco Industries.

«Sì, è vero, abbiamo deciso di sospendere la costituzione della nuova società che deve acquisire le aree cedute da Syndial-Eni», conferma l’assessore regionale Massimo Giorgetti. «Prima di procedere sul percorso già definito vogliamo capire l’effettiva sostenibilità e compatibilità, dal punto di vista economico e finanziario, di quest’operazione. Non vorremmo mettere in piedi una nuovo società e firmare l’istanza di subentro nella proprietà, per poi ritrovarci senza i soldi necessari per le bonifiche e la messa in sicurezza di tutti i 108 ettari ceduti da Eni».

Quest’ultima, attraverso la sua consociata Syndial, ha messo sul piatto 38 milioni e l’autorizzazione ministeriale alle bonifiche su gran parte delle aree in cessione; ma evidentemente secondo la Giunta regionale, potrebbero non bastare, costringendo la Regione a trovare fondi che non ha per portare a termine gli interventi.

L’assessore Giorgetti, prima del Natale scorso, aveva assicurato che entro poche settimane non solo si sarebbe completata la costituzione della nuova società, ma sarebbe anche stato nominato un «manager di provata esperienza e affidabilità» per governarla. Il governatore Luca Zaia, dopo l’uscita di scena, pochi mesi fa, in seguito allo scandalo del Mose, del suo potente ex assessore Renato Chisso e del dirigente Giovanni Artico, che insieme avevano trattato con Eni l’operazione di cessione delle aree, ha deciso di andare con i piedi di piombo. Anche a costo di rinviare al dopo elezioni – almeno sei mesi – tutta la questione dell’adesione alla nuova società per la rinascita di Porto Marghera. «Ora», conclude Giorgetti, «avvieremo gruppi di lavoro con i tecnici del Comune e il commissario Zappalorto per fare insieme e al più presto le verifiche di sostenibilità».

Gianni Favarato

 

Costituito l’organismo di controllo dell’attuazione dell’Accordo di programma per Porto Marghera

Un Comitato per garantire i 23 progetti

Il commissariamento del Comune di Venezia e le elezioni dei nuovi consigli comunale e regionale non dovrebbero compromettere l’avvio, entro i tempi previsti, di tutti i 23 progetti inclusi nel nuovo “Accordo di programma per la riconversione e riqualificazione industriale di Porto Marghera”, finanziato con risorse pubbliche per quasi 153 milioni di euro e sottoscritto, il mese scorso, dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) dalla Regione Veneto, dal Comune e dall’Autorità portuale di Venezia.

Nei prossimi mesi, salvo sorprese e possibili intoppi burocatici non previsti, si potrebbe già vedere i primi cantieri che riguarderanno i tre progetti già definiti e a buon punto nell’iter autorizzativo. Si tratta dei progetti preliminari relativi alla realizzazione di un sottopasso a raso per la viabilità di accesso da via Torino alle aree del parco tecnologico e scientifico Vega e del padiglione Aquae di Porto Marghera con un sottopasso lungo la SR11 e di una rotatoria a raso; il ripristino strutturale del ponte stradale e ferroviario sul canale Brentella per collegare la Prima zona industriale e la Macroisola delle raffinerie (che però ha già avuto un alt dalla Sovrintendenza) e, infine, il progetto relativo alla manutenzione straordinaria della viabilità di collegamento tra via dell’Elettricità e via Fratelli Bandiera.

I tre interventi godono di un importo complessivo di spesa previsto di circa 19 milioni euro e hanno già avuto un primo via libera del Comitato di coordinamento per l’attuazione dei progetti previsti dall’Accordo di Programma, composto da dirigenti e funzionari degli enti sottoscrittori: Paolo Diprima per il Comune, Claudia Marcolin per l’Autorità Portuale, Luigi Fortunato per Regione e Stefano Martine per il ministero dello Sviluppo Economico.

«I soggetti sottoscrittori del presente Accordo di programma», recita il testo dell’Accordo, «si impegnano ad utilizzare forme di immediata collaborazione e di stretto coordinamento, in particolare laddove siano necessarie autorizzazioni e varianti urbanistiche di propria competenza, ricorrendo anche a strumenti di semplificazione dell’attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo, contemplati dalla vigente normativa».

«Al fine di garantire l’effettiva cantierabilità degli interventi proposti», recita ancora l’Accordo, «i progetti presentati devono essere corredati da un quadro autorizzativo coerente, procedendo ogni sei mesi al monitoraggio ed alla verifica dell’Accordo, e, se necessario, a proporre gli eventuali aggiornamenti da sottoporre all’istituito Comitato di coordinamento».

Del resto, la durata dell’Accordo, come espressamente scritto, è di «trentasei mesi dalla data di stipula, entro i quali dovrà essere almeno effettuata la consegna dei lavori» per tutti i 23 progetti previsti che riguardano anche a messa in sicurezza idraulica dei via dei Petroli, di tutta le aree a rischio allagamenti tra Marghera, Malcontenta e la Prima Zona industriale (dove hanno sede il nuovo Padiglione di Expo Venice, il Parco Vega e una serie di opere infrastrutturali che permetteranno di rimettere in ordine via dell’Elettricità, la nuova rotonda con via Fratelli Bandiera e il tanto atteso raccordo tra via Torino e via Righi con una rotonda e un sottopasso. Per realizzare i 23 progetti c’è un fondo complessivo di 152.630.000 di euro, messi a disposizione dal ministero dello Sviluppo (poco più di 102 milioni stornati dai rimborsi della multinazionale Alcoa per gli illeciti sconti energetici, sanzionati dalla Commissione europea); dalla Regione Veneto (20.250.000 euro); dall’Autorità Portuale di Venezia (15 milioni) e il comune di Venezia (4.350.000 milioni).

(g.fav.)

 

Lo stop della sovrintendenza

Bloccati i piani del Porto per il Molo Sali

Alla prima occasione, le tanto strombazzate semplificazioni delle procedure di autorizzazione dei progetti di bonifica e riutilizzo delle aree industriali abbandonate a Porto Marghera, si rivelano inutili. La prima vittima è il progetto relativo all’ampliamento del l’area portuale ex Monopoli nel Molo Sali – finanziato dall’Autorità Portuale di Venezia con un milione di euro – bloccato dalla Sovrintendenza veneziana del ministero dei Beni Culturali e Architettonici perché in esso si prevede la demolizione dei vecchi e cadenti immobili delle ex Manifatture Tabacchi in via Sali.

Secondo la Sovrintendenza su questo vecchio caseggiato c’è un vincolo che ne impedisce l’abbattimento per il suo valore di “memoria storica industriale”. Il Molo dei Sali è un’area poco accessibile dal recinto doganale, dentro la quale terreno e immobili degli ex Monopoli sono in stato di abbandono e su di essi nessuno (visto il loro pessimo stato, gli alti costi e i tempi lunghi per un eventuale recupero conservativo) ha messo gli occhi.

L’Autorità Portuale ha presentato un progetto specifico, già dotato dei necessari fondi, per «realizzare nuove aree infrastrutturate da dedicare a magazzini e piazzali».

In particolare il progetto punta a «potenziare la capacità di movimentazione e stoccaggio di merci alla rinfusa (in particolare siderurgico e agroalimentare) all’interno dell’Isola portuale; riqualificare, in termini ambientali e strutturali, aree dismesse per valorizzare le filiere siderurgiche e agroalimentari presenti nel porto di Venezia» in considerazione del fatto che «i prodotti alla rinfusa richiedono aree e magazzini adeguati con standard di certificazione internazionale.

La possibilità di costruire nuovi spazi conformi a questi standard permette una maggiore attrattività del porto commerciale di Venezia». L’iter autorizzativo di questo progetto prevede espressamente «il parere della commissione per la Salvaguardia di Venezia», che puntualmente è arrivato. A quanto si è saputo, lo stesso ministero dello Sviluppo (Mise) ha storto il naso dopo aver saputo della decisione della Sovrintenenza, mentre l’Autorità Portuale di Venezia è pronta al ricorso e ad un soluzione condivisa.

(g.fav.)

 

L’INTERVENTO

Riccardo Colletti – Segretario generale Filctem Cgil Venezia

La situazione preoccupa: si rischia l’appesantimento della burocrazia ma anche la continuità produttiva degli impianti e delle attività esistenti

L’ultimo accordo sulle bonifiche di Porto Marghera contiene, nel proprio dispositivo, gravissime lacune che possono sfociare in derive speculative e soprattutto nel non risolvere il problema della bonifica in se stessa, oltre al fatto che c’era chi sosteneva (Comune e Regione) che per effetto di quell’accordo si sarebbe limitato l’intervento della burocrazia.

Io credo invece che quell’accordo determini il progressivo appesantimento della burocrazia stessa ma soprattutto anche la non certezza della continuità produttiva degli impianti e delle attività esistenti.

L’accordo sulle bonifiche siglato al ministero dell’Ambiente al proprio interno, in un paragrafo specifico, assegna i lavori o la gestione a una società specifica; credo invece che un Ministero dovrebbe preoccuparsi di dare delle linee guida specifiche per risolvere la questione ambientale di uno dei siti di interesse nazionale qual è il Petrolchimico di Porto Marghera.

È fonte di preoccupazione la situazione in cui ci troviamo: attività dismesse, aree libere o liberabili e si riscontra un effettivo disinteresse per far evolvere, anche dal punto di vista industriale, quest’area e dietro questa cosa sono certo si nasconda più di una fonte speculativa delle aree, cosa che abbiamo sempre ribadito.

Mantenere una situazione così come quella attuale, dove gli accordi sottoscritti sino ad oggi, specie quelli delle bonifiche, senza legare a questi una programmazione industriale o quantomeno l’idea di una gestione del territorio magari anche diversa da quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi ma comunque un’idea che crei occupazione e sostenibilità ambientale, non è più materia di discussione in questo territorio.

È ancora aperta la ferita del Mose e penso che anche la vicenda delle bonifiche di Porto Marghera sia figlia della stessa gestione. L’unica differenza che abbiamo è che dentro alle speculazioni gli unici che non possono patteggiare sono i lavoratori e le imprese degli appalti, che vengono schiacciati da un sistema che nulla ha a che vedere con la tutela di un territorio segnato da profondi cataclismi politici e istituzionali.

Per questo credo nel modo più assoluto che l’accordo sulle bonifiche di Porto Marghera sia ben lontano dai propositi ambientali e per questo motivo credo sia giusto che quell’accordo venga rivisitato in tutte le sue parti e che si inserisca all’interno un elemento di tutela rispetto alle speculazioni che abbiamo visto in questi anni. Troppi sono gli elementi che ci fanno pensare che quell’accordo è inefficace.

Per questi motivi penso sia utile che si intervenga in tempi rapidi affinché non ci si accorga poi alla fine della necessità di mettere un commissario anche alla gestione di quell’accordo. Anche gli ultimi investimenti dovuti a una fonte di credito di circa 150 milioni di euro (multa alla società Alcoa) si sono ritrasformati all’interno del nostro territorio in interventi strutturali di contorno, soprattutto legati a un piano di sviluppo che non si sa se sia legato ad attività di carattere commerciale o turistico.

Quei soldi, come abbiamo ribadito su tutti i tavoli, andavano spesi per la riqualificazione ambientale vera e dovevano essere di sostegno alle industrie e imprese di Porto Marghera, garantendo così stabilità occupazionale e un futuro più certo.

Quei soldi, invece, sono stati spesi anche per rifare i marciapiedi di Via Fratelli Bandiera cosa giusta e utile ma che di industriale hanno ben poco ma rientrano in un ambito di riqualificazione urbana che nulla ha a che vedere con la riqualificazione industriale.

Queste non scelte mettono a serio rischio tutte le attività dell’industria e degli appalti; l’accordo sulle bonifiche contiene delle lacune serie, che possono generare speculazioni e forme di aggregazione poco trasparenti, così come abbiamo già visto con l’opera del Mose.

 

Gazzettino – Venezia. Pista incompiuta, ciclisti in rivolta.

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10

feb

2015

MOBILITÀ – Ancora in ritardo il percorso per andare in centro storico, manca tutto il tratto da via della Libertà ai Pili

Lavori in dirittura sul Ponte, ma ci vorranno due anni per completare l’opera

L’ALLARME «Impossibile raggiungere Venezia»

Ine Legerstee, ciclista pendolare, contesta il divieto per i ciclisti di utilizzare il cavalcavia di San Giuliano.

PER LE DUE RUOTE «Sarà ancora più rischioso arrivare in piazzale Roma»

LA PROTESTA «Siamo pronti a bloccare il primo viaggio del tram per Venezia»

Il mondo delle due ruote si sta preparando alla protesta. Clamorosa. Con tanto di blocco del tram. La chiamata alla lotta viene da Favaro, da Silvano Pavan, ma soprattutto da Ine Legerstee che chiunque vada in bici conosce e ri-conosce grazie al caschetto di capelli bianchi che viaggia a duecento all’ora in sella alla sua bicicletta sul ponte della Libertà. Olandese, Ine Legerstee dal 1980 va a lavorare a Venezia in bicicletta. Partendo da Favaro. Con qualsiasi tempo e contro tutti i consigli del marito, Silvano Pavan. Fatti quattro conti vuol dire che in bici ha fatto tre volte il giro del mondo. Ma adesso Ine Legerstee rischia di non riuscire ad utilizzare più la bici per andare a Venezia. «Se alle biciclette sarà impedito di utilizzare il cavalcavia di San Giuliano, sarà impossibile arrivare in centro storico. E ancora più impossibile sarà tornare indietro».

Non ha torto. La pista ciclabile sul ponte sarà finita nel giro di un paio di mesi. Doveva essere pronta per autunno 2014, in contemporanea con l’arrivo del tram a piazzale Roma. Ma mettiamo che sia pronta a giugno-luglio, resterà un moncone costosissimo – 2 milioni di euro – e irraggiungibile. Manca all’appello infatti il tratto dal Vega ai Pili. Per avere quel tratto di pista ci vorranno almeno due anni dal momento che oggi non c’è ancora il progetto definitivo. In ogni caso, anche se si completasse quel pezzettino, il ciclista sarebbe costretto a fare il giro del globo.

«Quando il cavalcavia di San Giuliano era chiuso per i lavori del tram, io il percorso alternativo l’ho fatto più volte. E intanto bisogna dire che si allunga di almeno 3 chilometri, rispetto a San Giuliano, ma ci si respira un bel po’ di smog passando per Mestre e Marghera», dice Ine, che il mondo ha iniziato a dirarlo in bicicletta negli anni ’70, seguendo le peregrinazioni di un poeta olandese, Hoofts Reis-Heuchenis che aveva percorso in lungo e in largo l’Italia nel Seicento. E adesso, se bloccano il cavalcavia di San Giuliano?

«Non lo so. Non è solo questo. La pista sul ponte della Libertà non prevede un’uscita verso piazzale Roma. Bisognerà andare verso il Tronchetto e poi risalire la rampa. E sarà ancora più impossibile da Venezia tornare a Mestre perchè la pista corre sul lato sud del ponte e quando si arriva ai Pili non si sa più dove andare. Mi piacerebbe sapere chi ha fatto il progetto».

Chi firma la pista sul ponte è di nuovo l’ing. Andrea Berro, il cui nome resta scolpito nella memoria dei ciclisti che utilizzano il Bici Park della stazione ferroviaria, che ha fatto il pieno di critiche. Di fatto la pista ciclabile sul ponte della Libertà, resterà inaccessibile per almeno due anni e cioè finchè non sarà finito il raccordo tra il Vega e i Pili- e ci vogliono altri due milioni di euro. Il che porta a quattro il costo totale dell’opera. Sarebbe costato molto meno fare un ponte dal parco di San Giuliano, come aveva previsto l’acrh. Di Mambro.

Ecco perché nel mondo delle due ruote si inizia a pensare ad una protesta clamorosa. Quando? Il giorno in cui si inaugurerà la tratta del tram per Venezia. Quel giorno ai piedi del cavalcavia di San Giuliano i cilcisti cercheranno di bloccare tutto, traffico e tram. In attesa che ai geni dell’assessorato alla Mobilità venga in mente una soluzione meno cervellotica di quelle che hanno pensato finora.

 

L’APPELLO – Nove gruppi chiedono un incontro con il commissario

E le associazioni chiamano Zappalorto

«Chiediamo un incontro urgente al commissario Vittorio Zappalorto per tornare ad affrontare il tema del collegamento ciclabile tra terraferma e centro storico». A lanciare l’ennesimo appello è un gruppo di nove associazioni cittadine, con in testa gli “Amici della bicicletta” e poi “Il tram che vogliamo”, “Rosso veneziano”, “La Salsola”, “Arte in bici”, “Nordic walking Mestre”, “Amici delle arti”, “Nordic Walking Italia” e “Legambiente”, che in questi giorni si sono incontrati per fare il punto della situazione. Per adesso, di certo c’è solamente la realizzazione della passerella a sbalzo sull’ultimo tratto del Ponte della Libertà verso il Tronchetto, dove non c’è più spazio per il marciapiede.

«Il quadro politico che si è delineato negli ultimi mesi non lascia certo ben sperare ed è impensabile attendere l’insediamento della nuova Giunta comunale per affrontare la questione» scrivono i firmatari che ricordano come nella bella stagione, tra marzo e ottobre, sono circa seimila persone – dato degli operatori del settore turistico – che usufruiscono del ferry boat per raggiungere il Lido e Pellestrina.

«Il punto di partenza privilegiato – continuano – è costituito dal parco di San Giuliano dove confluiscono le principali direttrici provenienti dal centro città e dai quartieri periferici. La prossima entrata in servizio del tram renderà estremamente pericoloso, se non addirittura interdetto come sembra, il transito sul cavalcavia di San Giuliano per pedoni e ciclisti. Non diversa è la situazione per la direttrice Venezia-Marghera-Stazione ferroviaria, in quanto i ciclisti e i pedoni si trovano contromano, non essendoci un collegamento sicuro con via dell’Idraulica».

Le associazioni annunciano delle iniziative pubbliche a breve per trovare soluzione a un problema aperto da tempo, prima dell’entrata in servizio della nuova linea tramviaria prevista entro il mese di maggio.

Alvise Sperandio

 

Nuova Venezia – Sul tram con la bici, destinazione Venezia

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10

feb

2015

Allarme delle associazioni dei ciclisti: «Troppo pericoloso il transito sul cavalcavia di San Giuliano». Actv cerca la soluzione

Venezia e Mestre unite dalla pista ciclabile sul ponte della Libertà? Un sogno che fatica a realizzarsi, nonostante i cantieri in corso. Il boom dell’uso della bicicletta in terraferma, si ferma in via Righi, di fronte alla pericolosità del traffico.

L’allarme. «La prossima entrata in servizio del tram renderà estremamente pericoloso, se non interdetto, il transito sul cavalcavia di San Giuliano per pedoni e ciclisti», denunciano le associazioni che da anni, a suon di manifestazioni, chiedono al Comune un percorso sicuro per le due ruote sulla rotta Venezia-Mestre. Già oggi raggiungere Venezia in bicicletta è impresa coraggiosa, che mette a rischio la vita.

Pochi giorni fa si è svolta una riunione tra la Federazione degli amici della bicicletta di Mestre e le associazioni “Il tram che vogliamo”, Rosso Veneziano, la Salsola, Arte in bici, il gruppo del Nordic Walking Mestre, gli Amici delle Arti, Legambiente. Una riunione per discutere della questione, spinosa. Alla fine la decisione è stata quella di chiedere, con urgenza un incontro al commissario straordinario del Comune, Vittorio Zappalorto. Un confronto che potrebbe essere il preludio di nuove manifestazioni di protesta.

Cantieri in corso. I cantieri per la pista ciclabile sul ponte della libertà, per la verità, sono in corso di realizzazione. Registra un paio di mesi di ritardo il cantiere della passerella a sbalzo verso piazzale Roma ma ora l’impresa Boemio costruzioni afferma di essere riuscita largamente a recuperare i ritardi causati essenzialmente dal maltempo. Comunque, per maggio, quando il tram comincerà ad effettuare le corse per Venezia, andare fino a piazzale Roma o al Tronchetto in bici sarà una impresa impossibile.

I rischi. Con l’impraticabilità per bici e pedoni del cavalcavia di San Giuliano, dove passeranno auto e tram, ai ciclisti tocca percorrere via Righi e i Pili, rischiando la vita, per raggiungere l’imbocco della nuova pista verso Venezia realizzata utilizzando il marciapiede di destra, in direzione Venezia, e il tratto a sbalzo. Manca all’appello il collegamento ciclabile con la pista sul ponte dal sottopasso di via Torino, costeggiando via Righi o via delle Industrie. Un progetto, utile a ciclisti e pure maratoneti, che è stato penalizzato dall’incertezza dei finanziamenti del malandato bilancio comunale e anche dallo stop amministrativo in Comune. Il progetto, assicura da mesi l’ex assessore Bergamo ha la copertura finanziaria ma non è ancora stato messo in gara e per vederlo realizzato, realisticamente, ci vorrà un anno e mezzo, almeno. In aiuto era arrivato anche Luigi Brugnaro, patron di Umana e proprietario dei terreni dei Pili, che ha già concesso il permesso al Comune per il passaggio della pista sulla sua proprietà.

Ricordano le associazioni dei ciclisti: «Non diversa è la situazione per la direttrice Venezia-Marghera-Stazione Fs in quanto ciclisti e pedoni devono muoversi in contromano non essendoci un collegamento sicuro con via dell’Idraulica».

Fusina non basta. Alternative? I ciclisti potrebbero arrivare a Fusina e da qui prendere il ferry boat per il Lido e Pellestrina. Ma anche raggiungere il terminal vicino a Marghera in bici, vista l’assenza di percorsi protetti, è un rischio da non consigliare. Passaggio per ventimila. E allora? Una soluzione c’è ed è semplice. Consentire alle bici di salire sul tram per arrivare in sicurezza fino a piazzale Roma e poi da qui raggiungere il Tronchetto. Il Comune ha chiesto ad Actv di studiare come realizzarlo. Uno stratagemma semplice e moderno che potrebbe potenziare quei 20 mila passaggi l’anno di cittadini e turisti che usano la bici per raggiungere Lido e Pellestrina con bici e mezzi pubblici. Un turismo sostenibile di cui Venezia per troppo tempo si è dimenticata. E che ora potrebbe, con il tram, svilupparsi.

Mitia Chiarin

 

Da Berlino a Roma ormai non è più una novità

Biciclette a bordo dei mezzi pubblici? Una possibilità che fuori da Venezia, in giro per Italia ed Europa, è una realtà. A Berlino, alcune carrozze della metropolitana riportano il disegno, stilizzato, di una bicicletta: in queste carrozze chi usa la bici per spostarsi può salire e la convivenza con gli altri passeggeri è garantita dal rispetto tra cittadini, senza polemiche e lamentele. Anche a Milano ai ciclisti che vogliono muoversi utilizzando anche i mezzi pubblici, Atm consente il trasporto, gratis della bici in metropolitana e su alcune linee tranviarie. A Roma, invece, il sito dell’Agenzia per la mobilità spiega che l’accesso con biciclette sulle linee metro A e B/B1 è consentito nei giorni feriali da inizio servizio alle 7 e ancora dalle 10 alle 12 e dalle 20 a fine servizio. E ancora, accesso consentito il sabato, nei giorni festivi e ad agosto per tutta la durata del servizio. Passeggeri con bici sono ammessi solo sulla prima carrozza. Anche sulla nuova metro C vigono analoghe regole per i clienti ciclisti.

 

PROGETTO EUROPEO “BICI LIBERA TUTTI”

Più pedali, più vinci: ragazzini premiati dal Comune

“Bici Libera Tutti”, sezione veneziana del progetto europeo “Bike theTrack – Track the Bike” di cui il Comune di Venezia è partner insieme a città di Danimarca, Germania, Portogallo, Slovenia e Olanda, ha visto venerdì scorso in Municipio la premiazioni dei vincitori di un gioco a cui hanno partecipato nel 2014 un centinaio di ragazzi tra i 9 e 16 anni. Durante la campagna durata sei mesi, i giocatori hanno guadagnato i biglietti della “bicilotteria” finale sia grazie ai chilometri percorsi in bici sia partecipando ad eventi organizzati dall’ufficio Biciclette del Comune. Targhe alla ciclista più giovane (Aida Pilar Bozzola), al ciclista che ha coinvolto più amici (Giovanni Bressan) e al ciclista più attivo (Leonardo Bortoletti). I biglietti guadagnati durante la campagna hanno fatto vincere ai giocatori premi: il primo (gita in bici a Gardaland per tutta la famiglia) è andato a Ludovica Bibiani. Il secondo (gita in bici a Sant’ Erasmo) è andato a Tommaso Dal Maso; il terzo (gita in bici ad Altino) se lo è aggiudicato Leonardo Bortoletti. Premi minori a Sebastiano Bortoletti, Gaia Dal Maso, Noemi Incani, Eleonora Buoso, Benedetta Bibiani, Leonardo Bortoletti e Sara Pezzin.

 

La produzione di etilene e propilene è quasi a regime e le fiaccole non serviranno più

MARGHERA – Le torce o fiaccole di Fusina hanno finito, quasi del tutto, di sputare fiamme e di impensierire chi le ha viste bruciare – dal centro storico o dalla terraferma – per ore ed ore, di giorno quanto di notte. Al Petrolchimico, infatti, sono state ultimate al 90% le procedure di riavvio degli impianti del cracking di Versalis (Eni) che – malgrado fosse stato deciso di chiuderli definitivamente – torneranno, seppure temporaneamente, a trasformare la virginafta in etilene e propilene.

Il processo di produzione dell’etilene è ormai a regime e per il propilene ci siamo vicini; ciò significa che non dovrebbe più necessario accendere le torce per bruciare le sostanze prodotte che ancora non hanno raggiunto la qualità ottimale.

Stando al contratto stipulato tra Versalis Spa (gruppo Eni) e la multinazionale Shell gli impianti di Porto Marghera produrranno cinque volte di più (da 78/80 mila tonnellate annue a più di 400 mila) di quanto facevano prima della fermata dell’anno scorso. Etilene e propilene prodotti a Porto Marghera non finiranno, però, direttamente alla Shell – che si rifornirà, invece, nell’impianto di cracking, sempre di Versalis-Eni, esistente a Brindisi – bensì continueranno ad alimentare la pipe-line collegata ai petrolchimici di Ferrara (95 chilometri di condotta), Mantova (125 chilometri) e Ravenna (169 chilometri) che li utilizzano, insieme ad altri intermedi chimici, per la produzione di polistiroli di vario tipo destinati principalmente ai settori automobilistico, elettrodomestico e dell’imballaggio.

Le torce – come spiegato nella prevista comunicazione inviata ancora lunedì scorso dalla direzione locale di Versalis alla Protezione civile e ai vigili del fuoco di Mestre – sono state accese per garantire la combustione, con il metano, di etilene e propilene ancora non a regime. Il tutto, con l’utilizzo della tecnolologia smokeless che permette di scaricare in atmosfera soltanto anidride carbonica e vapore acqueo.

«È giusto far sapere a tutti», spiega Cristian Tito, segretario dei chimici della Uil, «l’enorme professionalità messa in campo da tutti i lavoratori di Versalis che, di fronte alla sfida di mettere in marcia l’impianto in condizioni ambientali non facili per tali operazioni e in tempi decisamente stretti, hanno svolto e stanno svolgendo un lavoro eccelso nel pieno e più completo rispetto delle più severe norme vigenti in materia di sicurezza ed ambiente».

I complimenti ai lavoratori e ai dirigenti dell’impianto del cracking li hanno fatti direttamente anche l’amministratore delegato di Versalis, Daniele Ferrari e il direttore delle Risorse Umane, Fabrizio Bellini che venerdì scorso sono arrivati a Porto Marghera per verificare la situazione e rassicurare i sindacati dei lavoratori sul fatto che l’imprevisto e temporaneo riavvio del cracking «non metterà in disussione» gli investimenti per le nuove e previste produzione di chimica verde con la patner americana Elevance Renewable Sciences Company.

Gianni Favarato

 

Sono cominciate le procedure di riavvio degli impianti per rifornire temporaneamente Shell di etilene

MARGHERA – Con il barile di petrolio a prezzi più che dimezzati, tutto può succedere. Gli impianti del cracking di Versalis (Eni), destinati alla chiusura definitiva, sono tornati sorprendentemente a funzionare ieri, con tanto di utilizzo delle famose torce che per ore e ore hanno sprigionato alte fiamme ben visibili sull’orizzonte lagunare.

È la prima volta che succede e nessun osa dire se si tratta di un fatto temporaneo o, al contrario, una prospettiva per il futuro che potrebbe smentire l’accordo siglato nel novembre scorso da sindacati ed Eni, nel quale era prevista la «chiusura definitiva» per far posto ad un nuovo stabilimento di “chimica verde”.

Infatti, nessuno prevedeva il forte calo dei prezzi del barile di petrolio greggio che si sta verificando ormai da settimane nel mercato internazionale e sembra destinato a proseguire per almeno i prossimi due anni. Non lo prevedevano nemmeno l’Eni e la controllata Versalis e nemmeno la multinazionale Shell, che in seguito all’incendio di un suoi impianto di cracking in Olanda e alla decisione – visto il calo dei consumi – di non costruire più il nuovo impianto previsto in Qatar.

Secondo ultime notizie di stampa, Shell avrebbe però deciso di costruire un grande Petrolchimico (del valore di 11 miliardi di dollari) in Iraq , nella regione di Basra.

Fatto sta che Versalis spa ha sottoscritto il mese scorso un accordo che prevede il riavvio «temporaneo» dell’impianto di Porto Marghera che raffina la virgin-nafta per rifornire la Royal Dutch Shell di etilene e propilene . Così, già da lunedì scorso, la direzione di Versalis ha inviato alla Protezione Civile e ai Vigili del Fuoco il previsto avviso in cui annunciava l’inizio delle procedure di riavvio del cracking – fermo da quasi un anno – con la conseguente attivazione delle due torce collegate all’impianto.

E così è stato, le operazioni di riavvio «a freddo» prevedono l’allineamento di forni e compressori, fino a raggiungere il giusto assetto bruciano piccole quantità di etilene, propilene e metano «in regime smokeless immettendo dell’aria solo anidride carbonica e vapore acqueo, mentre le altre sostanze sono completamente bruciate nelle torce».

Non si sa fino a quando continueranno a restare attivi gli impianti del cracking. Certo è che Versalis e la capogruppo Eni appena due mesi hanno sottoscritto al ministero dello Sviluppo un accordo che prevede la chiusura del cracking per dare avvio al progetto di trasformazione del sito, che prevede lo sviluppo e la realizzazione di un nuovo Polo Tecnologico integrato di chimica da fonti rinnovabili, con la partnership con la società americana Elevance Renewable Sciences, Inc».

(g.fav.)

 

MARGHERA – A giorni l’entrata in funzione della struttura inizialmente prevista a metà febbraio. Torce accese

Il riavvio del Cracking di Porto Marghera era previsto per metà febbraio ma Versalis (gruppo Eni) sta bruciando i tempi e probabilmente l’impianto entrerà in funzione tra pochi giorni. Dai primi di dicembre sono in corso le manutenzioni propedeutiche alla rimessa in marcia della struttura chimica, e negli ultimi dieci giorni l’attività è stata intensificata, con prove quotidiane.

Ieri, in proposito, il Comune di Venezia ha diffuso una nota citando un fax con il quale Versalis avvisa che le operazioni di riavviamento dell’impianto comportano anche «l’attivazione delle torce di Fusina per la combustione dei prodotti generati in questa fase transitoria». Torce che ieri pomeriggio hanno allarmato più di qualcuno, che vedeva i bagliori luminosi levarsi dalle ciminiere.

Sempre Versalis aggiunge che durante la fase di messa a regime, e fino al raggiungimento delle normali condizioni operative, le torce potranno essere attive «per la combustione di modeste quantità di idrocarburi, sempre nei limiti di capacità smokeless delle stesse (senza emissione di fumo ndr.)».

Far ripartire un impianto fermo da oltre un anno, del resto, richiede una lunga fase di manutenzione per verificare la tenuta di pompe, guarnizioni, condutture, valvole. La Shell, dopo la firma dell’accordo con Eni avvenuta ai primi di gennaio, attende l’invio delle prime quantità di etilene e propilene che verranno prodotte per dieci mesi a Marghera, fino a quando la multinazionale non avrà riavviato il cracking olandese fuori uso da mesi a causa di un incidente.

In questi dieci mesi di funzionamento il Cracking veneziano, che prima della fermata produceva circa 400mila tonnellate l’anno, fornirà etilene e propilene eslusivamente a Shell, mentre le forniture delle materie di base ai petrolchimici padani di Ravenna, Ferrara e Mantova continuerà a farle arrivare a Marghera, via nave, da Brindisi e poi a inviarle tramite la pipeline.

Parallelamente i vertici di Versalis stanno lavorando per realizzare l’investimento da 200 milioni di euro che porterà alla creazione di un polo di chimica verde, anche in collaborazione con l’americana Elevance Renewable Sciences, che sostituirà la vecchia chimica di base e che diventerà operativo nel 2017, sempre che le istituzioni locali e nazionali concedano le autorizzazioni necessarie in tempi rapidi.

 

Contro la bocciatura dell’ampliamento decisa dal Tar a luglio dell’anno scorso

MARGHERA – Il revamping di Alles, la società del gruppo Mantovani che a Marghera tratta rifiuti speciali, era stato bocciato dal Tribunale amministrativo con una sentenza il 10 luglio scorso. Conseguenze di quella sentenza del Tar furono l’annullamento della delibera regionale di autorizzazione contro cui si era rivolto ai giudici il Comune di Venezia, con l’appoggio del Comune di Mira, di associazioni ambientaliste, comitati e semplici cittadini.

Ora, proprio contro la sentenza dei magistrati del Tar del Veneto (presidente Giuseppe Di Nunzio; consiglieri Riccardo Savoia e Marco Morgantini) dopo la camera di consiglio di aprile 2014, Alles ha deciso di ricorrere in consiglio di stato.

La notizia era nell’aria da tempo ma la conferma arriva leggendo tra le righe di una determina dell’avvocato Antonio Iannotta, direttore dell’Avvocatura civica del Comune di Venezia, che affida all’avvocato Nicolò Paoletti di occuparsi del patrocinio del Comune di Venezia nel ricorso in appello presentato da Alles che punta ad ottenere dal consiglio di stato l’annullamento della sentenza del Tar del 10 luglio dello scorso anno.

Quella sentenza era arrivata quasi un mese dopo lo scandalo Mose che ha portato allo scioglimento della giunta Orsoni e del consiglio comunale. La bocciatura dell’ampliamento dell’impianto che tratta rifiuti speciali anche pericolosi era arrivata dopo una sospensione per un anno decisa dalla terza sezione del Tar nell’agosto 2013. La sentenza annullava la delibera regionale 448 del 10 aprile 2013 che autorizzava il revamping dell’impianto esistente della Alles di Malcontenta nonostante i pareri contrari degli enti locali.

Ora la vicenda torna di fronte ai giudici, stavolta del Consiglio di stato. Secondo i giudici del Tar veneto l’ampliamento non era un adeguamento ma prevedeva «una significativa modifica del numero di codici autorizzati e di operazioni autorizzate».

 

Ecco i dati ufficiali Veritas. Al secondo posto Martellago, poi Scorzè

Bene anche la Riviera del Brenta. Ultima Venezia che però sta migliorando

SPINEA – La zona del Miranese campione di riciclo: nel 2014 tre comuni del comprensorio occupano il podio della classifica di Veritas sulla raccolta differenziata.

La regina è Spinea, che ha fatto registrare il 79,52% di rifiuti e materiali raccolti, smaltiti in maniera separata e poi riciclati. Seguono, nell’ordine, Martellago (79,09%) e Scorzè (78,20%). Tutti e tre i comuni devono il loro ottimo risultato alla recente introduzione della raccolta del secco in cassonetti a calotta, ovvero quelli apribili solo con la chiave personale.

Ma il trend positivo riguarda tutto il territorio dove Veritas gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti: la percentuale complessiva è infatti passata dal 58,34% del 2013 al 62,91% del 2014.

Provincia. Giù dal podio si distingue la Riviera del Brenta: Campagna Lupia ha ottenuto lo scorso anno il 77,83% di differenziata ed è il primo dei comuni con sistema di raccolta porta a porta, quindi con pagamento a corrispettivo.

Seguono Campolongo Maggiore (72,65%) e Camponogara (76,12%), anch’essi con sistema porta a porta.

Allargando il raggio d’azione, bene Cavallino-Treporti (68,71%, con porta a porta), poi Cavarzere (68,49%), che opera un sistema misto: porta a porta e cassonetti.

Chioggia registra il 62,29%, sempre con sistema misto, Dolo il 63,92%, Fiesso d’Artico il 69,38%, Fossò il 78,17%.

Il resto della classifica vede Marcon (72,23%), Meolo (77,90%), Mira (59,13%), Mirano (75,42%,), Mogliano (72,61%), Noale (76,90%), Pianiga (76,21%), Quarto d’Altino (72,71%), Salzano (73,29%), San Donà di Piave (77,33%), Santa Maria di Sala (76,10%), Stra (69,93%), Venezia (51,05%). Fanalino di coda è Vigonovo con il 65,34%.

Venezia. Nel Comune di Venezia superata dunque la soglia fatidica del 50%. Pur lontano dai primi, il capoluogo è in sensibile miglioramento, avendo registrato solo un anno prima il 43,17% di differenziata.

In particolare, Venezia, Murano e Burano hanno raggiunto il 25,96% ma sono Pellestrina e Lido (dove da circa un anno sono stati collocati i cassonetti a calotta) a fare registrare la migliore performance, passando dal 28,21% del 2013 al 54,96 dell’anno scorso.

Mestre. Anche Mestre è in crescita (64,20%), trascinata da Mestre-Carpenedo (58,93%, dal 46,22% del 2013), ultima municipalità in ordine di tempo a utilizzare i cassonetti per il secco a calotta. Restano invece stabili, ma comunque su buone percentuali, Chirignago-Zelarino (74,28%), Marghera (66,53%) e Favaro (65,64%).

Filippo De Gaspari

 

AMBIENTE – Felice Casson lancia l’allarme all’incontro sulle vittime del lavoro promosso dal Pd

«A Porto Marghera, ogni venti giorni, una persona muore da amianto». Decessi che vanno ad inserirsi tra i tremila morti all’anno in Italia. Ma i dati sono destinati ad aumentare dal momento che il picco delle morti causate dalla fibra “killer” si registrerà tra il 2020 ed il 2025.

A elencare questi numeri, da far tremare i polsi, è il senatore Felice Casson che, ieri sera, ha chiuso così il suo intervento all’incontro da lui organizzato, insieme al circolo del Pd di Marghera e a rappresentanti del Psi, nella sala consiliare di piazza Municipio, gremita come non mai.

«Sappiamo quanto difficile sia individuare responsabilità penali per crimini ambientali o per mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro. Di fronte a tale difficoltà, qualcuno lascia perdere. Questo – ha sottolineato – non è accettabile».

E lui, infatti, non lascia perdere: consegnerà al ministro dell’Ambiente un’interrogazione per capire come sia possibile che, da dati pubblicati da ditte indiane, l’Italia risulti, dal 2010 al 2012, il paese maggiore importatore di amianto dall’India. E ha presentato un disegno di legge con cui pretende che gli esposti all’amianto siano sottoposti a sorveglianza sanitaria e non vengano lasciati soli. Proposta di legge che verrà sostenuta alla Camera dei Deputati da Oreste Pastorelli (Psi) che parla di 30/40 milioni di tonnellate di amianto ancora da smaltire in Italia e della necessità di salvaguardare quanti si sono ammalati e stanno morendo da amianto.

Necessità ribadita da Lorenzo Rossetto, pensionato della compagnia lavoratori portuali, presente all’incontro aperto da Antonio Cossidente, segretario del Pd di Marghera e coordinato Diego Granata, segretario locale del Psi.

«In troppi si dimenticano della gente che si è ammalata dopo 40 anni di lavoro a Porto Marghera dove sono stati scaricati sacchi con migliaia di tonnellate di amianto. Le istituzioni – afferma Rossetto che denuncia l’assenza di molti sindacati dalla questione amianto – devono recuperare i soldi che mafia e camorra hanno rubato al paese e devono darli ai malati».

 

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