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La considerazione: «Ogni cittadino dà in solidarietà al resto del Paese 3.700 euro all’anno»

Le polemiche che sono seguite all’aumento dei pedaggi autostradali scattato in questi primi giorni dell’anno, mi danno lo spunto per fare una riflessione sul rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie locali. In Italia ci sono una decina di Regioni dove si pagano più tasse rispetto alla media nazionale. In linea generale, ciò è dovuto a due ordini di motivi: il primo è legato al fatto che in queste realtà territoriali il livello di reddito è superiore alla media nazionale; il secondo è riconducibile alla fedeltà fiscale che in alcuni territori è maggiore che in altri. Per contro, queste realtà ricevono pochi contributi da parte dello Stato, confermando, tra i cittadini e gli imprenditori, la sensazione che nella parte più sviluppata del Paese si paghi molto e si riceva poco.

Il Veneto è un caso molto emblematico: il suo residuo fiscale pro capite (dato dalla differenza tra quanto si versa a Roma di tasse e contributi e quanto si riceve in termini di servizi e trasferimenti) è pari a poco più di 3.700 euro. Ciò vuol dire che ogni cittadino veneto dà in solidarietà al resto del Paese 3.700 euro all’anno. Consapevoli che le opere pubbliche si dovrebbero realizzare con le tasse che i contribuenti pagano regolarmente, in virtù della cronica mancanza di risorse pubbliche, le grandi infrastrutture del nostro Paese, ed in particolar modo nel Veneto, vengono sempre più realizzate con il meccanismo del «Project financing». In altre parole, per costruire una grande opera (sia essa un’autostrada o un ospedale) si chiede il coinvolgimento di soggetti privati, ponendo così rimedio alla mancanza di risorse pubbliche. E’ chiaro che questi privati partecipano all’iniziativa solo se hanno un ritorno economico: spesso questo beneficio si traduce in nuove tariffe o con aumenti di pedaggio per quanto riguarda i nuovi tratti autostradali, che poi, però, ricadono sulle tasche dei contribuenti e delle imprese che operano in quell’area.

Alla luce di tutto questo, proviamo ad indovinare in quale parte del Paese viene maggiormente utilizzato il «Project financing »? Guarda caso proprio al Nord, con il risultato che i contribuenti del settentrione si pagano queste infrastrutture due volte. Dapprima con le tasse, che in misura maggiore di altre parti del Paese versano allo Stato, poi attraverso il pagamento di ticket e di tariffe, per coprire gli investimenti privati. L’obiezione che qualcuno potrebbe sollevare è abbastanza scontata: senza il loro apporto, quasi sicuramente queste opere, necessarie per modernizzare il Paese, non si potrebbero realizzare. Questo è assolutamente vero, tuttavia, voglio sollevare una questione di principio: perché i veneti, e in generale i cittadini del Nord, devono pagare le grandi opere due volte , quando «subiscono» un livello di pressione tributaria che non ha pressoché eguali nel resto d’Europa, mentre in altre parti del Paese continua a pagare «Pantalone»? Mi riferisco alla famigerata Salerno- Reggio Calabria. Secondo l’ex ministro Corrado Passera, la superstrada senza pedaggio doveva terminare entro la fine del 2013. Invece, a distanza di oltre 50 anni dall’avvio dei lavori, ci sono ancora 13 chilometri di cantieri aperti e 58 chilometri non finanziati. E mentre in questi giorni i nostri ticket autostradali hanno subito i rincari più elevati d’Italia, con la legge di Stabilità approvata prima di Natale, il Parlamento ha deciso di rifinanziare la «grande incompiuta» con altri 340 milioni di euro. E’ proprio il caso di dire: oltre il danno anche la beffa.

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Non sono autostrade per pendolari

C’ è un punto in cui il rapporto tra costi e benefici non lascia scelte. E i pendolari che usano l’autostrada, anche se confortati da uno stipendio di tutto rispetto, l’hanno già superato. La scelta obbligata è la statale. O la provinciale. O le stradine, quelle che neanche il navigatore.

Colpa dei rincari e dei tempi. Nel senso di congiunture. Il macro clima influisce sempre di più sulla meteorologia del risparmio e la curva dei conti personali è cambiata. Il “massì, lasciamo questi tre-quattro euro al casello che torniamo prima dalla famiglia” è diventato un lusso. Perché gli euro ora sono cinque, otto o dieci. Al giorno. E la famiglia ha bisogno anche di quelli per vivere bene, alle volte solo per sopravvivere.

Per qualcuno “la scelta” tra fare e non fare l’autostrada vale uno stipendio. Caso specifico, uno fra tanti: ci aiutano il cruscotto e l’econometro di un duemila diesel. Da Treviso centro (abitazione) a Padova Fiera (posto di lavoro) sono 52 chilometri in autostrada e 46 lungo la Noalese. L’autostrada da Padova Est a Treviso Sud, più lunga e comunque più veloce, costa 9 euro e 60 andata e ritorno che per 220 giorni lavorativi l’anno fa 2.112 euro. E c’è un altro fattore che incide sulla differenza, scoperto provando le due tratte: l’econometro. Tra l’autostrada, percorsa a 120 all’ora, e la Statale, percorsa a 70, l’automobile fa 5 chilometri in più al litro che con calcolo approssimativo, fidatevi, fanno circa 2 euro e mezzo di benzina al giorno. Altri 500 euro l’anno di differenza.

Ai già ragguardevoli costi andrebbero aggiunti, questa volta in ambedue i casi, la benzina (3.600 euro l’anno) e l’usura dell’auto (0,21 centesimi al chilometro), calcolo che il Corriere del Veneto ha fatto solo qualche giorno fa su diverse tratte. Non è questo il nodo, va ricordato a completezza del quadro ma qui stiamo ragionando solo sull’aumento dei pedaggi. Capitolo tempi. In autostrada sono 41-44 minuti da garage a garage, abbastanza stabile. Lungo la Statale da 52 minuti a 1 ora e 8 minuti a seconda del traffico e dell’ora, naturalmente al netto di incidenti o giornate limite. Diciamo da 10 a 25 minuti in più a tratta. E chi sta alzando la manina nell’ultimo banco per parlare di mezzi pubblici la abbassi pure: ci sono impieghi e orari e percorsi e distanze che rendono l’automobile indispensabile.

Il punto è proprio questo: è veramente una scelta? No, non lo è. Non è nemmeno un dramma, che come ci scriveva qualche giorno fa un volontario in India la fine del mondo è un’altra cosa. Ci si può tranquillamente accontentare delle strade ordinarie (e così da Padova a Mestre, da Mestre a Treviso o da Verona a Vicenza). Resta da capire se i comuni di Quinto, Scorzè, Santa Maria di Sala e tutti quelli tagliati dalla Noalese (che potrebbe essere il Terraglio, la Riviera del Brenta, la Regionale 11 o un’altra statale) saranno contenti di farsi attraversare da migliaia e migliaia di veicoli in più. Magari anche i Tir come hanno minacciato gli autotrasportatori. E viene da chiedersi se è veramente questa la soluzione per la mobilità in Veneto, evitare (e non boicottare) un servizio nato (al prezzo di grandi investimenti) per decongestionare il traffico, migliorare la sicurezza, sostenere il lavoro e l’economia.

A queste tariffe non ci sono alternative e se fossimo i concessionari delle nuove arterie a pagamento in costruzione con il project financing – dalla Pedemontana alla Romea commerciale, dalla superstrada per Jesolo alla Nogara mare – saremmo un tantino preoccupati per il piano di rientro.

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«Il Passante il mio capolavoro. Farei in project anche i treni»

Galan e il caso dell’autostrada «pagata due volte». L’ex governatore: meglio il pedaggio che le tasse allo Stato.

VENEZIA— Giancarlo Galan, ce l’hanno tutti con lei. Dicono che il Passante si sta rivelando una fregatura, che per ripagarlo i veneti sono costretti a buttare il sangue al casello. Lei l’ha voluto, ideato, costruito. Col senno di poi, è stato un errore?

«Sta scherzando, vero?».

No. Dal governatore Luca Zaia al presidente di Cav Tiziano Bembo tutti dicono di avere le mani legate, che il piano finanziario approvato al momento della realizzazione del Passante non lascia scappatoie davanti agli aumenti matti e disperatissimi necessari a ripagare Anas dell’investimento.

«Se qualcuno pensa di governare il Veneto dando la colpa dei rincari dei pedaggi a Galan, forse è meglio che vada a coltivare gli asparagi. Il Passante l’ho voluto io e lo rivendico. Zaia non lo voleva ed è una verità. Ma se fosse stato per lui e per la Lega staremmo ancora aspettando il tunnel scavato nel fango grazie a una fantomatica macchina di una società svedese…».

Nulla di cui pentirsi dunque?

«Al contrario, c’è molto di cui andare orgogliosi. Chieda ai veneti se stanno meglio ora, col Passante, o prima, con la tangenziale di Mestre. Quanto a Cav, è il capolavoro della mia vita. Con quella società abbiamo smentito chi va dicendo che il Veneto è un gigante economico e un nano politico, abbiamo sconfitto l’Anas, Pietro Ciucci, l’establishment romano, i grand commis di Stato. E per che cosa, per creare una poltrona in più e farci sedere il capo staff di un partito in consiglio regionale? No. L’abbiamo fatto per dimostrare che su 32 chilometri di autostrada si possono fare utili mostruosi e che le risorse spropositate che lo Stato lascia normalmente ai concessionari privati possono essere dirottate nelle casse della Regione, che poi li reinveste sul territorio».

Intanto, però, i veneti si pagano l’autostrada due volte: con le tasse e con i pedaggi.

«C’è un fondo di verità in questo, una verità che purtroppo non riguarda solo le autostrade ma anche gli ospedali e molte altre opere. Dopo di che, se vogliamo essere onesti, dobbiamo anche dire che sul piano infrastrutturale molte risorse destinate al Veneto vengono assorbite dal Mose».

Non c’è alternativa? Dalla Pedemontana alla Nogara-Mare, passando per la Nuova Valsugana e la Romea Commerciale, dobbiamo abituarci a pagare due volte quel che altrove (sul Grande Raccordo Anulare di Roma, ad esempio) è gratis da sempre? «Possiamo inveire contro Roma ladrona quanto vogliamo ma è così. E finché le cose non cambieranno, delle due l’una: o le strade si fanno con i privati o, semplicemente, non si fanno».

C’è chi invoca la ri-nazionalizzazione…

«Ma siamo impazziti? Va bene che spira il vento dello statalismo più sfrenato ma non diciamo fesserie. Preferisco pagare il pedaggio a un privato efficiente e trasparente, in cui è chiaro a chi vanno gli incassi e come vengono utilizzati (bene o male che sia), piuttosto che sborsare più tasse per uno Stato lento, burocratico, opaco, in cui non si capisce mai chi ha le responsabilità delle buche e dove vanno a finire i soldi. Ha presente com’è presa la Cesena-Orte?».

La frammentazione dei concessionari, ben cinque in Veneto, non aiuta a semplificare il quadro.

«E’ una follia. Quella di riunire le concessioni in un’unica società è sempre stato un mio cruccio ma come nel caso delle multiutilities per fare certe operazioni servono le persone, non bastano le intenzioni. E purtroppo in questi settori ci sono interessi diversi che si faticano a conciliare».

Lei ha governato questa regione per 15 anni. E’ soddisfatto del risultato ottenuto sul piano della mobilità?

«Molto è stato fatto e sfido chiunque a negarlo. Certo, c’è ancora tanto da fare. Penso che il Veneto sia una grande città diffusa, che si articola in due poli: Venezia e Verona. Questi due poli vanno collegati con le strade e le autostrade, un sistema ferroviario metropolitano, due scali aeroportuali possibilmente sotto il medesimo ombrello societario, due piattaforme logistiche, Verona e Padova-Venezia, un porto e un grande polo medico. Penso sia questa la direzione su cui lavorare».

A proposito di sistema ferroviario metropolitano: è come un miraggio, lo immaginiamo da anni ma non si concretizza mai.

«E’ difficile dirsi soddisfatti quando si pensa alla metropolitana di superficie. E’ un progetto che ho ereditato da chi mi ha preceduto e che ho tentato in ogni modo di portare avanti. Disgraziatamente era concepito secondo quei vecchi sistemi statalisti di cui parlavamo prima e i risultati si vedono: oltre alla suggestione c’è ben poco. Ah, se solo potessi tornare indietro! Farei sedere attorno a un tavolo tecnici e progettisti, poi farei una bella gara… ».

Non lo dica…

«E invece sì che lo dico: rifarei in project financing pure quello!».

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Auto e treno, i costi e i tempi. Che cosa conviene ai pendolari

Usare la macchina tutti i giorni costa fino a mille euro al mese

La ferrovia è più economica ma solo per chi ha orari d’ufficio

VENEZIA — Studenti, stagisti, impiegati, operai, ingegneri. E ancora: avvocati, medici, infermieri, commercianti, insegnanti. In veneto ogni mattina quasi un milione di persone esce di casa e si riversa sui treni regionali o sulle autostrade. Percorre chilometri e chilometri per andare dal Comune dove abita a quello dove lavora. E arrivata sera, inverte la marcia rigettandosi nelle stazioni e sulle strade rifacendo lo stesso percorso al contrario. Il Veneto della «metropoli diffusa» è una terra di pendolari in un mondo di tariffe che non smettono di crescere. Poco importa che siano pedaggi autostradali o abbonamenti ferroviari. Il prezzo che si paga per andare al lavoro è sempre più alto. Per questo motivo, alla luce degli aumenti delle tariffe autostradali del primo gennaio e dei disagi denunciati periodicamente da chi prende il treno due volte al giorno abbiamo deciso di mettere a confronto i diversi mezzi di trasporto. E di sottolineare i vantaggi e gli svantaggi dell’automobile e del treno.

Spese a confronto (auto)

Andare al lavoro in macchina non costa poco. Basta dare un’occhiata alla tabella per scoprire che con la stessa cifra ci si può pagare un anno di affitto nella città dove si lavora. Secondo i calcoli ufficiali dell’Automobile club d’Italia (Aci) i pendolari che usano un’automobile a diesel spendono mediamente 0,25 centesimi al chilometro comprensivi del carburante e dell’usura dell’auto che include anche il cambio gomme obbligatorio (l’alternanza estive- invernali) imposto dalla legge due anni fa. Ipotizzando un lavoratore che infila la strada dieci volte a settimana (cinque all’andata e cinque al ritorno) per quarantotto settimane (tutti hanno diritto a un mese di ferie) e aggiungendo la spesa dei pedaggi (aggiornati al primo gennaio) il risultato è di quelli salati. Di fatto chi si muove nella Città metropolitana allargata spende da un minimo di cinquemila euro (Venezia- Treviso) a un massimo di diecimila euro all’anno (Treviso- Padova). Non basta? Allora chiedete a chi va da Verona a Padova o viceversa. Là la spesa supera di poco i mille euro al mese. Praticamente uno stipendio. Non resta dunque che lasciare l’auto in garage e prendere il treno.

Spese a confronto (treno)

Il treno è decisamente più economico. Anche aggiungendo una spesa di trecento euro all’anno per fare un abbonamento all’autobus che porta fino alla stazione (o dalla stazione di arrivo al luogo di lavoro) è molto difficile arrivare a spendere più di cento euro al mese. I prezzi degli abbonamenti mensili, anche se sono recentemente aumentati, sono senza ombra di dubbio i più bassi d’Europa.

Tempi a confronto (treno)

I tempi di percorrenza dei treni regionali però non sono competitivi. A parte il fatto che le stazioni dei piccoli Comuni non sempre sono collegate alle case dei veneti dagli autobus di linea e che in quelle dei capoluoghi non si sa mai dove parcheggiare, basta ascoltare le lamentele quotidiane di chi prende un treno per affrontare la tratta casa-lavoro con un certo senso di preoccupazione. I treni sono lenti, rari. E non sempre rispettano gli orari di partenza e arrivo. E non solo. Per chi deve fare i turni o per chi non va o non torna dal lavoro nelle cosiddette fasce protette (7-9 e 17-19) prendere un treno è una vera e propria avventura. Per muoversi tra i capoluoghi della PaTreVe comunque si deve uscire di casa almeno un’ora prima per arrivare al lavoro anche negli orari canonici. E non diversa è la situazione del Polo Ovest. Da Verona a Vicenza o da Rovigo a Verona ci vuole più di un’ora e mezza per arrivare a destinazione. E non sempre la giornata fila liscia come si vorrebbe. Per chi finisce di lavorare dopo le 21 o per chi inizia prima delle 7 infine non c’è quasi nulla da fare. I treni, per molte tratte, non ci sono proprio e non resta che tirare fuori la macchina dal garage e lasciare giù mezzo stipendio.

Tempi a confronto (auto)

Al momento, l’automobile è il mezzo più rapido per muoversi in Veneto. Pur sapendo che a causa del traffico, dei semafori e delle code non si riesce quasi mai a superare una media di 60 chilometri all’ora nemmeno nelle tratte autostradali, chi usa l’auto nell’area della Città metropolitana arriverà al lavoro a qualunque orario in un massimo di un’ora (la tratta più lunga è Padova-Treviso). Nei tragitti più brevi i tempi sono dimezzati: chi abita a Venezia ci mette meno di trenta minuti sia per andare a Padova che per andare a Treviso. Più lunga infine è la strada di chi va da Padova a Verona. Ci vuole quasi un’ora e mezza per arrivare a destinazione. Ma con un treno regionale le ore diventano quasi tre. E alle volte, il tempo è denaro.

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Pedaggi, in Veneto rincari record. Ecco quanto costa andare al lavoro

Gli aumenti più pesanti d’Italia. E a Dolo la tariffa cresce del 250% in una notte. Chi si sposta nella PaTreVe pagherà dai 1300 ai 2300 euro all’anno

VENEZIA—Se non ve ne siete già accorti tornando dalle vacanze, ve ne renderete conto a brevissimo quando riprenderete ad andare al lavoro regolarmente. Le autostrade costano di più. I pendolari che percorrono la A4 tra Verona e Padova o la Valdastico (A31) devono sborsare per il pedaggio l’1,44% in più rispetto al 31 dicembre 2013, chi si muove lungo il Brennero deve affrontare un aumento dell’1,63%, chi fa uso del Passante deve fare i conti con una crescita media delle tariffe del 6,26% e chi ha bisogno della A31 tra Rovigo e Padova o della A27 tra Venezia e Longarone spende il 4,43% in più. La botta più forte è dedicata a chi va dal Veneto al Friuli. La tratta dell’A4 tra Venezia a Trieste e quella della A28 tra Portogruaro e Pordenone aumentano infatti del 7,17%. Non basta? Allora fate quel pezzetto di autostrada che va da Dolo a Padova, il famoso «girello» dei pendolari che volevano risparmiare andando dal capoluogo lagunare a quello patavino. Bene. Là l’aumento è stato un secco +250%, per scoraggiare gli automobilisti a fare i furbi.

 

Andare da Venezia a Padova o da Dolo a Padova adesso costa 2,80 euro, 50 centesimi in meno per chi viene da Venezia, due euro in più per chi viene da Dolo, con buona pace dei residenti della Riviera del Brenta (che però potranno usufruire di uno sconto del 40% sulla tariffa se faranno la tratta più di venti volte al mese). Inutile aggiungere che i veneti non sono stati tra gli italiani più fortunati quanto a tariffe. A conti fatti sono quelli che hanno subito gli aumenti maggiori tra quelli accordati dal ministero delle Infrastrutture su richiesta dei concessionari. A fronte di una crescita nazionale media delle tariffe del 3,9% i concessionari che operano in Veneto hanno ottenuto un aumento del 4,3%. Perché? Perché dei 23 concessionari di tutta la rete autostradale italiana i tre che hanno ottenuto aumenti maggiori a livello nazionale (Autovie Venete, Cav e Autostrade per l’Italia) operano tutti nella nostra regione. Una mazzata che si traduce in centinaia di euro in più da pagare per chi deve prendere l’autostrada tutti i giorni per andare al lavoro e che nel prossimo futuro si rifletterà anche sui bilanci dalle aziende che fanno circolare le merci per il territorio regionale. In attesa di capire quanto incideranno le nuove tariffe sui prezzi delle merci, ci dobbiamo accontentare di capire quanto influisce l’aumento dei pedaggi sugli stipendi dei residenti della mitologica PaTreVe.

 

Partendo dal presupposto che si lavora cinque giorni a settimana per 48 settimane (siamo ottimisti e calcoliamo un mese di ferie all’anno, ndr) chi vive a Venezia e lavora a Padova, per esempio, quest’anno per percorrere all’andata e al ritorno i 25 chilometri che separano i due capoluoghi lascerà alla A4 Holding 1344 euro all’anno, mentre chi percorre i 60 chilometri che vanno da Treviso a Padova (con il ritorno fanno 120) inizi pure a ragionare su un possibile trasloco in pianta stabile o il 2014 gli costerà di pedaggio 2304 euro (e non contiamo la benzina e l’usura dell’auto). Lasciando il fronte della Città metropolitana allargata e spostandosi più a Ovest, chi va da Verona a Vicenza o viceversa metta in conto di spendere 1344 euro, mentre chi va da Verona a Rovigo si metta proprio una mano sul cuore: in un anno dovrà pagare 3984 euro. Dura la vita autostradale anche per chi va da Verona a Padova o viceversa. Per andare al lavoro dovrà lasciare all’A4 Holding 2592 euro all’anno, più di duecento euro al mese, per capirci. Meno difficile da digerire la tratta Vicenza Padova che con 912 euro è l’unica sotto i mille tra capoluoghi veneti. Ma basta già spostarsi poco fuori, per esempio a Montecchio, per dover sborsare 1296 euro ogni anno, circa cento euro al mese. D’altra parte, a sentire il ministero dei Trasporti, sarebbe potuta andare molto peggio di così. I concessionari avevano chiesto aumenti molto più corposi dicendo di aver fatto enormi investimenti per mantenere efficiente la rete autostradale. E con il calo delle auto in circolazione a causa della crisi non ci stavano più dentro con le attuali tariffe. Di parere del tutto diverso le associazioni dei consumatori che già prima dell’entrata in vigore dei nuovi prezzi si erano scagliate contro «una serie di aumenti ingiustificati ». A commentare per tutti comunque ieri è stata la Cna che non è voluta entrare nel merito della questione, ma per bocca dei suoi rappresentanti nazionali ha rammentato al ministro Maurizio Lupi che «c’è poco da stupirsi se domani ritorneranno i forconi in piazza».

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I sindaci schierano i vigili: «Se i pendolari passano da noi sarà un disastro»

Dopo i rincari dei pedaggi autostradali, il timore è che il traffico si sposti nei paesi e lungo le statali

VENEZIA — Automobilisti di tutto il Veneto segnatevi bene a mente questa informazione: a partire dal 7 gennaio e per tutta la settimana a venire i comandanti della polizia municipale schiereranno tutti i loro agenti agli incroci principali delle città di provincia per controllare eventuali anomalie del traffico. «Con la fine delle festività e la ripresa della vita lavorativa e scolastica ordinaria ci troviamo davanti alla prova del fuoco – spiega il comandante della polizia municipale del Comune di Mira Mauro Rizzi -. Se a causa dell’aumento dei pedaggi autostradali ci dovesse essere un riversamento del traffico lungo le statali e le regionali sarebbe un problema. Già ci sono i lavori in corso che creano disagi, ma così aumenterebbero anche i rischi per la viabilità».

Il timore delle forze dell’ordine della Riviera del Brenta è che a fronte di un aumento secco delle tariffe di Cav (nel caso della tratta Dolo- Padova il prezzo del pedaggio è balzato da 80 centesimi a 2,80, con un aumento del 250%), i pendolari della zona saluteranno per sempre i caselli e si incolonneranno con pazienza lungo le strade secondarie che passano per i centri urbani. «Se quelli che facevano il tornello per non pagare l’intera tratta dovessero attraversare la città non so che cosa succederebbe – confessa il comandante di Dolo Alberto Baratto -. Al momento non abbiamo rilevato crescite preoccupanti del traffico urbano e lungo la Riviera, ma con la fine delle feste potrebbe intensificarsi. In ogni caso siamo pronti per eventuali emergenze». A creare ulteriori preoccupazioni sono le minacce degli autotrasportatori. Secondo l’Aiscat, l’associazione delle concessionarie autostradali, le strade a pedaggio della regione sopportano tutti i giorni il passaggio di 895 mila veicoli. Anche se solo una piccola parte si riversasse nel traffico urbano, i disagi sarebbero incalcolabili.

«Non solo a livello di tempi e spostamenti – interviene il sindaco di Jesolo Valerio Zoggia che teme un ulteriore intasamento della Triestina, la statale che collega la terraferma veneziana al Friuli passando lungo il litorale -, ma soprattutto per la qualità dell’aria che respiriamo». La diminuzione della velocità dei mezzi in coda e l’aumento dei tempi di spostamento dovuti al traffico porterebbero anche a una possibile crescita dei Pm10 nei centri abitati con un forte impatto anche sulla salute e sulla qualità della vita. «Credo che il governo dovrebbe correre subito ai ripari pensando a forme di sgravi fiscali per chi usa le autostrade per lavoro – continua Zoggia – non possiamo permetterci un cambio di abitudine degli automobilisti in questo senso». «Prenderemo le decisioni che servono dopo il monitoraggio di questa prima settimana – aggiunge il primo cittadino di Portogruaro Antonio Bertoncello, anche lui interessato dalle sorti della Triestina -. Al momento però non abbiamo dati e non ci fasciamo la testa prima del tempo».

Sul fronte opposto dal punto di vista geografico, ma dello stesso parere il sindaco di Rubano Ottorino Gottardo che rischia di trovarsi investito dal traffico di pendolari tra Vicenza e Padova. «La mia speranza è che gli automobilisti si facciano scoraggiare dal fatto che la velocità sulle nostre strade è molto più bassa di quella autostradale – spiega -. Capisco che le tariffe siano aumentate, ma anche il tempo è un costo, quindi al momento ci limitiamo a monitorare la situazione ». Da stamattina i comportamenti dei pendolari saranno tenuti sotto controllo anche dalla polizia stradale che valuterà, sulla base di una possibile diminuzione del traffico autostradale, di rafforzare le pattuglie sulle strade regionali e su quelle urbane. «Se il traffico autostradale dovesse subire variazioni ce ne accorgeremo immediatamente », conclude il comandante della polizia stradale di Venezia Maria Faloppa.

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Tosi: «I rincari erano inevitabili, paghiamo anche gli sprechi del passato»

Il sindaco e concessionario, presidente della Brescia-Padova, che nel 2012 ha prodotto ricavi per 322 milioni di euro

VERONA — Gli aumenti autostradali? Inevitabili. A Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, ma anche presidente della Brescia-Padova, la concessionaria autostradale veneta parte del gruppo A4 Holding, di cui resta di fatto il vero «forziere » (nel 2012 ha prodotto ricavi per 322 milioni di euro e un utile di 38, quelli che consentono al bilancio consolidato di A4 Holding di chiudere in attivo per 18,5 milioni di euro, visto che la gestione delle partecipate – dalle costruzioni, all’immobiliare, alle telecomunicazioni, e perfino ai campi da golf – era in rosso per 41 milioni), non ci sta a vestire i panni del colpevole dei rincari autostradali: «Per quel che ci riguarda, avevamo proposto un aumento del 4% e ci è stato riconosciuto un ben più limitato 1,89%». Riduzione tra l’altro che non sta per niente bene a Brescia- Padova, determinata a chiedere una riconsiderazione di quanto concesso, che potrebbe sfociare, in caso di risposta negativa, in un contenzioso davanti al Tar. Ma il problema degli aumenti resta.

I vostri non saranno i rincari più vistosi, ma in questo momento tutti pesano molto. Possibile che in un’epoca di spending review, le società autostradali non riescano ad evitarli?

«Il problema è diverso. Bisognerebbe guardare nel Paese alle situazioni di serie A e B che si creano tra aree dove le autostrade sono gratis, dove le infrastrutture sono costruite e mantenute dallo Stato, e altre dove lo Stato non spende nulla e le opere si fanno sulla base dei pedaggi gestiti da spa private».

Già, ma proprio per questo, visto che in Veneto le tasse pagate non servono a costruire grandi opere, che vengono pagate una seconda volta con i pedaggi, come per il Passante, non si potrebbe almeno evitare di pagarle una terza volta, come con gli aumenti Cav del 6%, i cui piani finanziari dovrebbero esssere già definiti?

«Non conosco in concreto la genesi degli aumenti sul Passante. Ma so che il criterio di fondo con cui i ritocchi vengono concessi è la tenuta del piano finanziario. Immagino che ci saranno stati extra-costi ».

Eppure il tema resta sul tappeto.

«Quegli aumenti non sono fatti a capocchia, sono concessi su opere inserite nei piani finanziari: non si traducono in guadagni per le concessionarie».

Sì, ma provare a tagliare spese?

«Negli ultimi anni sono stati compiuti contenimenti drastici rispetto ai decenni d’oro. Da cui ci trasciniamo risultati come una gestione del personale che ci costa in media 70 mila euro l’anno. Una cifra enorme; e non parlo di dirigenti, ma della media per dipendente. Oltre alle scelte sbagliate sulle acquisizioni societarie fatte in passato».

È l’accusa del consigliere regionale ex Udc e ora di Futuro popolare, Stefano Valdegamberi, secondo cui i pedaggi, magari indirettamente, sostengono un insieme di società in perdita.

«Valdegamberi sbaglia però a collocare nel tempo le responsabilità: che sono di chi ha gestito nel passato, e cioè degli amici suoi. Noi abbiamo passato gli ultimi anni a ripulire la Brescia-Padova, buona parte di quelle società l’abbiamo dismessa ».

La crisi ha ridotto il traffico sulle autostrade. I rincari non rischiano di deprimerlo ancora, inducendo ad un ritorno sulla rete ordinaria, azzerando tra l’altro l’obiettivo-decongestione, per cui si fanno le grandi opere?

«Non credo che il rischio sia reale. I tempi di percorrenza non rendono comunque competitive le strade ordinarie. E sono fattori di cui tengono conto piani finanziari e adeguamenti tariffari».

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Autostrade, Zaia lancia il bollino annuale

Il governatore propone il modello austriaco della «vignetta» per spalmare i costi dei pendolari. Le mani legate sui treni

Presidente Luca Zaia, l’aumento dei pedaggi autostradali ha mandato i veneti su tutte le furie. I pendolari sono inferociti e le chiedono di intervenire perlomeno su Cav, la concessionaria che gestisce il Passante e la Venezia-Padova partecipata al 50% dalla Regione. Lo farà?

«Ho già parlato col presidente Tiziano Bembo, una soluzione per ammortizzare l’impatto degli aumenti dev’essere trovata. Non sta a me dire come, gli uffici di Cav ci stanno lavorando».

Avrà pure una proposta…

«Personalmente sono favorevole all’introduzione della “vignetta” sul modello austriaco o sloveno. Un sistema mutualistico per cui tutti sono tenuti a sottoscrivere il bollino autostradale, ad un costo di una cinquantina di euro all’anno, così che spalmando su una platea più vasta i costi, questi gravano meno sui singoli utenti. Ma mi chiedo: i veneti sarebbero disponibili? Anche quelli che usano di rado l’autostrada? Senza contare che un’autostrada meno cara disincentiverebbe l’uso dei mezzi pubblici, con nuove polemiche. E’ un equilibrio complicato».

Certo gli aumenti deliberati a inizio anno gridano vendetta.

«Restiamo su Cav. Quando fu costruito il Passante, e ricordo che tutti lo chiedevano per liberare la tangenziale di Mestre, fu spiegato urbi et orbi che questo sarebbe stato ripagato con i pedaggi. Così è andata e ora l’equilibrio finanziario della società va salvaguardato».

Non si possono trovare dei correttivi in corsa?

«Soluzione alternative andavano studiate prima, ora è tardi. Per la Pedemontana, ad esempio, abbiamo già stabilito l’esenzione totale per gli studenti fino a 23 anni e per i pensionati over 65».

Passante, Pedemontana, Nogara- Mare, Romea commerciale. Il Veneto di domani sarà «a pagamento».

«L’autostrada è un’infrastruttura ma è anche un servizio che, in quanto tale, va pagato. Bisogna essere onesti: nessuno costruisce le strade gratis, per farle servono i soldi. Dove li troviamo? E’ come se chi ha acquistato la casa col mutuo poi si lamentasse degli interessi… ».

E così i cittadini pagano due volte: con le tasse e con i pedaggi.

«E’ un ragionamento criptoleghista che mi trova perfettamente d’accordo. Stiamo lottando da anni contro questo andazzo e non prendo lezioni dai rivoluzionari del sofà. E’ un fatto incontestabile che il Veneto paghi ogni anno 21 miliardi di euro di tasse, denari sprecati in mille rivoli che quando servono per le autostrade o i treni non si trovano mai».

Le concessionarie dicono che «gli adeguamenti» servono per ripagare gli investimenti. Quali?

«Non sta a me fare l’avvocato difensore dei concessionari. Ci sono dei dubbi in proposito? Si vada in procura».

Forse si stava meglio quando si stava peggio, con le autostrade nazionalizzate…

«Questo è populismo allo stato puro. Secondo lei i 2 mila miliardi di debito pubblico da dove sono saltati fuori? C’è stata un’epoca, quella dell’Italia del boom, in cui spendere 100 o spendere 1.000 era lo stesso. Oggi non sarebbe più sostenibile».

Un’alternativa all’automobile ci sarebbe: il treno. Ma alla fiaba della metropolitana di superficie ormai non crede più nessuno. E lei?

«Le ragioni per cui alcune infrastrutture non ci sono o sono in ritardo vanno ricercate nel passato ed è inutile star qui a recriminare. Si dice: perché la PaTreVe non ha un servizio metropolitano come Barcellona, Londra, Parigi? E’ un paragone senza senso: si tratta di aree di dimensioni differenti, urbanizzate in modo diverso. Dolo non è il Tibidabo e sulla nostre linee circolano appena 200 mila persone: siamo ben lontani dalle economie di scala di certe metropoli europee».

Forse se si facessero più investimenti l’utenza aumenterebbe.

«La Regione fa sempre la sua parte, ovviamente col bilancio che ha, mettendo sul trasporto pubblico oltre 700 milioni l’anno. Lo Stato dov’è? Ci riempie di spot sull’Expo di Milano ma non ha fatto nulla per migliorare i trasporti che serviranno i 15 milioni di turisti che arriveranno nel 2015».

Vanno aumentati i prezzi dei biglietti?

«Vedere cammello, pagare moneta. Il servizio ferroviario ci costa caro già oggi per cui pretendo da subito treni capienti, confortevoli, puntuali, “giapponesi”, sulle corse che ci sono. Vogliamo poi migliorarci ulteriormente, aggiungendone di nuove? Pensiamo a come finanziarle. Mi ripeto: i servizi si pagano. Tutti guardiamo con ammirazione alla tutela dell’ambiente in Germania ma lì un metro cubo d’acqua arriva a costare 7 euro. Qui ci sarebbe la rivoluzione. Ad esempio, perché non differenziare i prezzi degli abbonamenti? Ci sono pendolari- operai e pendolari-manager, studenti di famiglie facoltose e studenti figli di cassintegrati».

La gara nel 2015 risolverà i problemi?

«Una gara in Veneto è già stata fatta e l’ha vinta Trenitalia. Ne faremo un’altra e sarà l’occasione per mettere nero su bianco le aspettative dei veneti. Poi toccherà al governo dare un segnale, eliminando quello che è un monopolio di fatto. Ricordo che la trafila è: ministero delle Finanze, Ferrovie dello Stato, Trenitalia. Un trittico che spiega molte cose».

Resta senza risposta la Grande Domanda: può esistere un «Veneto metropolitano» all’interno del quale è impossibile muoversi?

«Ci sono dei problemi, non lo nego, e stiamo lavorando duro per risolverli, senza chiacchiere. Ma sia chiaro: io penso al Veneto, non alle suggestioni elettorali come la PaTreVe. A Belluno non hanno forse diritto alle autostrade ed ai treni come tutti gli altri? ».

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Gazzettino – Venezia. Nel 2013 acqua sempre piu’ alta.

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2014

CENTRO MAREE – Le statistiche confermano il fenomeno dell’innalzamento del mare

Il Mose sarebbe entrato in funzione 6 volte oltrepassata quota 110 cm

Se il Mose fosse già stato operativo nel 2013 sarebbe entrato in funzione per sei volte. Tanti sono stati, infatti, gli episodi di acqua alta al di sopra dei 110 centimetri. Nell’anno appena concluso si sono registrati complessivamente 162 i casi di alta marea, ma nelle altre 156 occasioni l’acqua alta si è attestata su valori eguali o superiori agli 80 cm. I dati, come di consueto, sono stati forniti dall’Istituzione Centro previsioni e segnalazioni maree.

La punta massima annuale di marea è stata registrata il 12 febbraio alle ore 0.05 con un livello di 143 cm; la punta minima il 17 dicembre alle ore 17.05 con meno 51 cm. Un dato piuttosto singolare: in un’occasione il livello di 80 cm è stato superato da una punta minima di marea, il 23 novembre alle ore 7.05 con 84 cm.

«Il livello del medio mare, calcolato sui valori orari, è risultato intorno ai 36.3 cm sullo zero mareografico di Punta della Salute – spiega il Centro maree – è il secondo più alto livello dopo i 40.1 cm del 2010 (che per la marea fu peraltro un anno record sotto molti aspetti) e nettamente superiore ai 29.3 cm del 2012. Il livello mensile massimo si è registrato a novembre, con 51.6 cm; il minimo a dicembre con 24.6 cm; da notare che i livelli di marzo (45.8 cm) e di maggio (39.9 cm) sono i più alti mai registrati in quei due mesi. Questi dati confermano il trend di elevazione del livello del mare, che negli ultimi dieci anni ha avuto una media sui 30 cm, dovuti quasi tutti all’eustatismo, cioè all’innalzamento del livello del mare, come documentato dall’eguale andamento del caposaldo di Trieste».

Oltre la metà degli eventi di marea sostenuta di quest’anno (85) ha registrato livelli di poco superiori agli 80 cm e non superiori ai 90 cm; altra conferma è la carenza di maree inferiori a -50 cm. Le alte maree eguali o superiori a 80 cm furono 103 nel 2012, 60 nel 2011, 202 nel 2010 (il dato del 2013 è quindi il secondo nella graduatoria); quelle eguali o superiori a 110 cm furono 8 nel 2012, soltanto una nel 2011, 18 nel 2010. Per il direttore del Centro Maree, Paolo Canestrelli gli insoliti alti livelli del medio mare nei primi mesi dell’anno sono collegati al tempo molto perturbato mentre l’autunno ha avuto un andamento sostanzialmente tranquillo.

Raffaele Rosa

 

I CASI BAITA E MAZZACURATI

FRODE FISCALE – I primi arresti a febbraio per false fatture milionarie alla società Mantovani

LA PROCURA – Gli inquirenti mantengono il massimo riserbo sugli sviluppi

CONFESSIONI – In molti hanno deciso di collaborare con gli investigatori

LA GIUDIZIARIA – Il Nucleo di polizia Tributaria stringe il cerchio: lo tsunami potrebbe investire presto la politica

L’inchiesta che fa tremare il Veneto

Tangenti, decisivi gli elementi forniti da Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati al pm Ancilotto

IL CONSORZIO – Nel mirino sono finiti anche alcuni appalti per la salvaguardia

È iniziata da un banale accertamento fiscale l’inchiesta penale che potrebbe condurre ad una nuova Tangentopoli, dopo quella che negli anni Novanta rovesciò gli equilibri politico-economici del Veneto.
A dieci mesi di distanza dai primi arresti la Procura di Venezia sta tirando le fila di un’indagine che, con il passar del tempo, si è fatto sempre più complessa e delicata. Tutti si aspettavano nuovi arresti per l’autunno, ma gli interrogatori fiume dell’ex presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, e dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, hanno aperto decine di fronti nuovi sui quali si sono resi necessari riscontri e verifiche accurate. E così il 2013 si sta chiudendo senza senza nuovi indagati o arresti. Nei corridoi del Palazzo di giustizia di Venezia si ipotizzano novità per primavera e molti personaggi eccellenti – appartenenti sia al mondo imprenditoriale che a quello amministrativo che politico – hanno incaricato i rispettivi legali di verificare se anche il loro nome è finito all’attenzione degli inquirenti e se a breve siano attesi sviluppi. Ma dalla Procura il riserbo è assoluto e non arrivano conferme di alcun tipo.

GLI APPALTI – Baita che Mantovani hanno riempito migliaia di pagine di verbali. Il primo, in particolare, ha spiegato al pm Stefano Ancilotto – ora affiancato dai colleghi Stefano Buccini e Paola Tonini – che non vi era appalto per il quale non si pagasse. Dal suo racconto non verrebbe risparmiato nessuno, sia a centrodestra che a centrosinistra: finanziamenti non dichiarati – illeciti, insomma, nella migliore delle ipotesi; corruzione nella peggiore. Gli appalti finiti nel mirino sono numerosi il che fa pensare che l’inchiesta non si concluderà a breve e potrebbe avere pesanti effetti sugli equilibri politico-imprenditoriali che hanno governato il Veneto negli ultimi anni e che, in parte, continuano a gestirlo anche oggi.

28 FEBBRAIO – È la prima data da ricordare per ricostruire l’inchiesta che fa tremare il Veneto che conta: i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria arrestano Baita con l’accusa di aver frodato il fisco attraverso la creazione di false fatture per circa 8 milioni di euro. Assieme a lui, su ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alberto Scaramuzza, finiscono in carcere anche il direttore amministrativo della Mantovani, il ragionier Nicola Buson, 66 anni; Claudia Minutillo, 49 anni, di Mestre, ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan, poi diventata collaboratrice di Baita in qualità di amministratore delegato di Adria Infrastrutture, e William Colombelli, 50 anni, presidente della società Bmc Broker Srl, con sede a San Marino, una delle “cartiere” utilizzate dalla Mantovani per le false fatture che, secondo le Fiamme Gialle, servirebbero per costituire fondi neri.

CONFESSIONI – Le prime conferme arrivano dopo poche settimane con le confessioni di Minutillo, Busanon, Colombelli, i quali finiscono presto ai domiciliari. Baita “cede” soltanto in tarda primavera, dopo aver lasciato il professor Piero Longo e aver preso come difensore Alessandro Rampinelli: da quel momento è un fiume in piena.

12 LUGLIO – In carcere, nell’ambito di un’inchiesta parallela coordinata dal pm Tonini, finisce Giovanni Mazzacurati, accusato di turbativa d’asta per aver pilotato l’esito di un appalto per lavori portuali. Anche il presidente del Consorzio Venezia Nuova, difeso da Giovanni Battista Muscari Tomaioli, sceglie la strada della collaborazione con la Procura e viene ben presto rimesso in libertà. I suoi verbali d’interrogatorio sarebbero pieni di spunti investigativi ritenuti molto interessati.

PATTEGGIAMENTI – In attesa delle attese svolte nell’inchiesta, lo scorso 5 dicembre Baita ha chiesto e ottenuto l’applicazione della pena – 1 anno e 8 mesi – per le false fatture milionarie, dopo che la Mantovani ha versato al Fisco circa 6 milioni di euro. Patteggiamento anche per Minutillo, Buson e Colombelli.

 

L’OPINIONE

Il ritiro da parte del Magistrato alle Acque del progetto di allargamento e arginamento del Canale dei Petroli è una notizia che infonde una grande speranza e va dato atto al Ministero dell’Ambiente di aver svolto un ottimo lavoro. Oggi si può dire che forse non tutto è perduto, che, forse, la “pazzia” non ha contagiato ancora tutte le menti di questo nostro martoriato Paese.

Forse si può sperare che il progetto di realizzazione del nuovo Canale Contorta non venga inserito nella Legge Obiettivo che lo esenterebbe dal confrontarsi con la legislazione vigente in tema di protezione ambientale della Laguna di Venezia e con le necessità di protezione della Città di Venezia.

Solo così si potrà avere il tempo di verificare che i dati forniti dai vari Enti sulle caratteristiche del canale sono diversi dalla realtà e più precisamente: la lunghezza dello scavo non è di soli 4 km, bensì di oltre 5,5 km; il volume dei metri cubi di fango da asportare sale ad oltre 9 milioni di mc cui si sommano i quasi 4 milioni da asportare dal Canale dei Petroli per il suo allargamento.

I costi aumenterebbero del 50% per l’obbligatoria modifica delle linee dei servizi che verrebbero intercettati (acquedotti, fognature, oleodotti, elettrodotti) mentre i tempi di realizzazione si dilaterebbero oltre ogni misura.
Rimangono da calcolare gli effetti che questo enorme canale avrebbe sul livello dell’acqua in Laguna e, quindi, in Città.

Ebbene quegli effetti, possono essere stimati con buona approssimazione anche con metodo empirico da qualsiasi persona in grado di usare un computer e di collegarsi al sito del Comune di Venezia e, da qui, all’Ufficio Maree per accedere ai dati delle 12 stazioni di rilevamento perennemente in funzione.

Chi lo farà potrà rendersi conto che vi è sempre una differenza tra il livello del mare registrato alle bocche di porto e quello delle zone più interne: in condizioni normali e con marea crescente la differenza tra il porto del Lido e Punta della Salute varia da 2-3 cm a circa 20.

Questa differenza corrisponde alla resistenza che la Laguna odierna riesce ad opporre al mare nella fase di riempimento che dura mediamente 6 ore.

Nel corso del 2011, ad esempio, quei pochi centimetri di differenza minima di livello tra mare e laguna hanno tenuto all’asciutto piazza San Marco, per oltre una cinquantina di giornate. Non vi fosse stata, Piazza San Marco sarebbe andata sotto quasi il doppio delle 60 volte accadute, e la permanenza dell’acqua alta si sarebbe allungata di quasi un’ora in tutte le occasioni.

Insomma, lo scavo del Canale di Contorta avrebbe un effetto di “alimentazione” alla marea crescente da riuscire a ridurre e probabilmente azzerare quella piccola residua resistenza che ancora oggi, nonostante tutto, la Laguna riesce ad opporre al mare.

Se poi lo si guarda in prospettiva, si capisce che l’effetto di quel canale indurrebbe la chiusura del Mose in modo molto più frequente e questo, di certo, non a vantaggio del Porto.

Insomma, tutte le ipotesi che riguardano nuovi canali, rappresentano non solo una sciagurata ipotesi sul piano ambientale, ma il peggior “veleno” per la crocieristica per l’evidente accelerazione che indurrebbe al riempimento del bacino lagunare.

Renzo Scarpa – Consigliere Comunale di Venezia

 

Lettera di Orsoni per convocare il Comitatone, venti senatori del Pd scrivono al premier

VENEZIA – Pressisng del sindaco e dei parlamentari Pd sul governo, perché non si dia per scontato lo scavo del canale contorta Sant’Angelo, nuovo accesso alla Marittima, come soluzione ai problemi del transito delle grandi navi in laguna.

Nei giorni scorsi – dopo le ordinanze della Capitaneria che regolamentano gli accessi davanti a San Marco, in attesa di portare il progetto alla Commissione di valutazione d’impatto ambientale, con il placet del ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi – il sindaco Giorgio Orsoni ha scritto al premier Enrico Letta per sollecitarlo a riunire il Comitatone, unica sede legittimata secondo la Legge speciale ad assumere decisioni sugli interventi in laguna di Venezia.

Nel rilevare come le decisioni prese non vadano tutte secondo la linea concordata ad ottobre negli incontri tra lo stesso Letta e le amministrazioni locali e il Porto, per una azione condivisa a tutela della città, pur con rispetto per le esigenze del porto e del suo indotto occupazionale, il sindaco chiede una sede dove affrontare in modo sistematico e con decisioni a lungo termine, il tema del diverso accesso alla Marittima per le navi da crociera, l’annunciata realizzazione di un porto off shore commerciale (senza coinvolgimento delle autorità locali), stigmatizzando «un non corretto governo del territorio», i problemi di accesso determinati dai lavori del Mose a navi passeggeri e non, ricordando come ogni atto «vada subordinato alle decisioni che la Legge speciale attribuisce al Comitatone».

Sul tema sono intervenuti – sempre con una lettera al premier Letta – anche 20 senatori Pd, sollecitando «una soluzione progettuale urgente che non preveda ulteriori interventi traumatici in un ecosistema delicatissimo e già stremato dalle ripetute manomissioni».

I parlamentari spiegano di aver appreso «con estrema preoccupazione» del progetto di scavo del canale da inserire nella legge obiettivo. Il capogruppo Zanda e le senatrici e i senatori Albano, Bertuzzi, Cantini, Casson, Cirinnà, Cuomo, D’Adda, Di Giorgi, Esposito, Favero, Ginetti, Lo Giudice, Micheloni, Pegorer, Pezzopane, Puppato, Ricchiuti e Spilabotte scrivono che si tratta di un intervento «che da più parti viene valutato estremamente pericoloso, che si collocherebbe in un corpo lagunare già in equilibrio precario ed in preda ad intensi processi erosivi che ne stanno profondamente modificando la morfologia, mettendo così in pericolo non solo l’ecosistema lagunare, ma anche la stessa salvaguardia di Venezia, che peraltro è prevista, tutelata e normata da apposita legislazione speciale».

(r.d.r.)

 

GRANDI NAVI – Lettera al presidente Letta, Orsoni: «Subito il Comitatone»

I senatori del Pd: «No al Contorta»

IL PUNTO – Ok della Regione all’inserimento dell’opera nella legge obiettivo

SALVAGUARDIA Il sindaco Giorgio Orsoni chiede al Governo una convocazione urgente

Venti senatori del Pd scrivono: «Si faccia un terminal esterno»

Il sindaco Giorgio Orsoni non ha nessuna intenzione di restare a guardare mentre altrove si decide sulle sorti della laguna per i prossimi decenni. Il riferimento è al canale Contorta Sant’Angelo, la cui realizzazione – voluta fortemente dall’Autorità portuale – viene data per scontata sia dalla Capitaneria di porto che dalla Regione. Dal momento che non è questo il volere della città, Orsoni ha preso carta e penna e ha chiesto urgentemente al presidente del Consiglio Enrico Letta la convocazione del Comitatone.

La richiesta era nell’aria da qualche settimana, ma la notizia che la Regione è d’accordo per l’inserimento del nuovo canale nella legge Obiettivo (che garantisce di bypassare molti controlli cruciali per accelerare i tempi) lo ha indotto ad agire entro la fine dell’anno. Il 2014, insomma, comincerà allo stesso modo del 2013, con un provvedimento che bloccherà le grandissime navi a partire da novembre, ma sbloccando un’opera molto controversa della quale poco o nulla si sa in merito all’influenza che questa avrebbe sulla dinamica delle grandi masse d’acqua in laguna.

Il sindaco, in sostanza, contesta il fatto che una decisione del genere non può essere presa contrariamente alle decisioni del Comitatone, il quale non si è ancora espresso. Lo stesso vale per il cosiddetto porto container offshore, la cui autorizzazione l’Autorità portuale dà per scontata: i riflessi che esso avrebbe sul traffico marittimo e sull’economia della città non sarebbero indifferenti e di qui la decisione di approfondire tutti questi temi (non ultima, la compatibilità del traffico portuale con l’allestimento e poi l’entrata in esercizio del Mose) nella sede stabilita dalla Legge speciale tuttora vigente, vale a dire il Comitatone.

Contro lo scavo del nuovo gigantesco canale per portare in Marittima le navi da crociera dopo che queste saranno entrate da Malamocco ci sono anche venti senatori del partito democratico, che hanno scritto un appello a Letta e ai ministri Maurizio Lupi (Infrastrutture) e Andrea Orlando (Ambiente).

La richiesta di valutare anche la soluzione di un terminal fuori della laguna è stata sottoscritta da Felice Casson, Donatella Albano, Laura Cantini, Monica Cirinnà, Vincenzo Cuomo, Erica D’Adda, Maria Rosa Di Giorgi, Stefano Esposito, Nicoletta Favero, Nadia Ginetti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, Carlo Pegorer, Stefania Pezzopane, Laura Puppato, Lucrezia Ricchiuti, Maria Spilabotte e Luigi Zanda.

«La navigazione delle grandi navi – scrivono – nella laguna di Venezia richiede una progettazione urgente che non preveda ulteriori interventi traumatici in un ecosistema delicatissimo e già stremato da ripetute manomissioni. Il rischio di fondo è di trasformare la laguna in un lago».

 

Botta e risposta tra l’eurodeputato Andrea Zanoni e il commissario Ue all’Ambiente sui fondi europei per il Mose. Il parlamentare IdV, aderente al gruppo Liberali e democratici per l’Europa, ha richiamato in un’interrogazione le indagini della magistratura su alcuni appalti legati alla grande opera:

«Non possiamo permettere che quasi un miliardo di fondi europei finisca in attività illecite e in un progetto sul quale fioccano dubbi di funzionalità e rispetto dell’ambiente», ha scritto Zanoni a Janez Pocnik, chiamando in causa il Consorzio Venezia Nuova nella sua qualità di concessionario unico.

Il commissario gli ha replicato che «i servizi interni della Banca europea degli investimenti preposti alle indagini hanno contattato le autorità giudiziarie e di polizia italiane per ottenere maggiori informazioni sul procedimento in corso, e stabilire se esso incida anche sui lavori effettuati nell’ambito del progetto finanziato dalla Bei (le paratoie, ndr)».

Aggiungendo che sulle modifiche progettuali sollecitate dall’eurodeputato, ogni decisione spetta alle autorità nazionali.

Non meno dura la presa di posizione di Arianna Spessotto, parlamentare e portavoce del Movimento 5 Stelle a Montecitorio. Firmataria di un ordine del giorno legato al Ddl di Stabilità dove definisce il Mose «un progetto scandaloso e costosissimo», chiedendo al Governo l’interruzione dei finanziamenti per il completamento dei lavori.

  «Oltre 400 milioni di euro – ha spiegato la deputata – nonostante dalle indagini possano emergere ulteriori perdite erariali e danni all’economia nazionale. Il blocco si configura come un atto dovuto, a difesa dei principi di legalità e trasparenza sulle gare d’appalto».

V.M.C.

 

DOPO LA TEMPESTA GIUDIZIARIA

VENEZIA – Il gruppo Mantovani prova a voltare pagina e si interroga sulla strategia per il futuro. In discussione c’è un modello di business che, al netto dei guai legati alla tempesta giudiziaria, è fortemente legato al mercato interno (per non dire quasi esclusivamente) e, in particolare, al Veneto.

Nei giorni scorsi, la società che fa capo alla famiglia Chiarotto ha accolto un nuovo manager di sicura esperienza. Si tratta di Maurizio Boschiero, ex Condotte, che ha lasciato la direzione generale di Veneto City Spa.

I guai giudiziari hanno portato a svalutazioni di poste per 20 milioni sul bilancio 2012. Sull’esercizio corrente, poi, ci sarà da tenere conto del maxi assegno da 6 milioni versato all’Agenzia delle Entrate per chiudere il capitolo relativo all’evasione fiscale realizzata attraverso l’emissione di fatture false. Ma il gruppo è chiamato anche a fare “i conti” con la strategia impostata nel corso degli anni da Piergiorgio Baita. L’investimento in Serenissima, in questo senso, è sicuramente un capitolo importante. Non l’unico, però. La Mantovani, infatti, opera esclusivamente sul mercato interno.

Nel 2012 i nuovi lavori acquisiti hanno subito un calo del 45% (da 405 a 223 milioni) rispetto all’anno precedente determinando una flessione del portafoglio ordini dell’8%, ovvero (valori di fine esercizio) da 2,5 a 2,3 miliardi. Con la sola eccezione dei lavori per la realizzazione della “piastra” per l’Expo 2015, le principali commesse del gruppo relative al quinquennio 2008-2012 parlano in modo chiaro: project financing del nuovo polo ospedaliero Ulss 4 – Alto Vicentino (dove Mantovani ha il 25%); Porto di Venezia, dragaggio canali a 10,50 metri (60,4%); centro protonico di Trento (49%); Autovie Venete, Terza corsia tratto Quarto d’Altino-San Donà (42,5%).

Nel 2012 il giro d’affari è cresciuto a quota 423 milioni (utile netto di 11,3 milioni) grazie alle commesse del Mose e ad altri lavori per l’Autorità portuale di Venezia. Considerando, però, che i lavori per la realizzazione del sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia dovrebbero terminare nel 2016, per la Mantovani il tema diventa quello della diversificazione. Ovvero dell’affrancamento da quella che è stata definita la “monocultura” Consorzio Venezia Nuova, dove la Mantovani, negli anni, ha raggiunto la maggioranza relativa (32%).

(m.mar.)

 

Per Venezia Nuova la nomina di un nuovo legale di fiducia, il penalista Sgubbi: verso il distacco dall’ex presidente Mazzacurati, difeso dall’avvocato Biagini

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova vuole voltare pagina. Da mesi nel mirino delle inchieste della Procura veneziana – che hanno portato in carcere prima il presidente della Mantovani Piergiorgio Baita poi il presidente fondatore Giovanni Mazzacurati – adesso il pool di imprese cambia la strategia e va all’attacco.

«Sono vicende di singoli, il Consorzio non c’entra», aveva detto fin dall’inizio il nuovo presidente Mauro Fabris, democristiano di lungo corso nominato al vertice dell’organismo, «ci costituiremo parte civile».

Ora il Consorzio ha nominato come suo avvocato di fiducia il legale penalista bolognese Filippo Sgubbi, docente universitario, professionista famoso, difensore tra gli altri di Calisto Tanzi (Parmalat) e Giovanni Consorte (Unipol). Una virata che prelude al distacco con l’avvocato storico del Consorzio, Alfredo Biagini, che ha accettato invece di difendere l’anziano presidente finito nei guai. Sgubbi ha già depositato il mandato negli uffici della Procura. E offerto agli inquirenti la «massima disponibilità a collaborare». Ora in qualità di delegato potrà essere informato, come prevede il codice, degli sviluppi dell’inchiesta. Che promette novità nelle prossime settimane, vista la grande mole di dichiarazioni e intercettazioni raccolte dalla Guardia di Finanza.

Anche grazie ai lunghi interrogatori degli arrestati, in primo luogo Mazzacurati e Baita, è stato possibile ricostruire un quadro dell’attività del Consorzio negli ultimi vent’anni. Si indaga infatti sulle imprese che fanno parte del pool e sulle società satellite, sui rapporti con la politica, regionale e nazionale, con dirigenti dello Stato e funzionari degli uffici. Un intreccio di vicende ora al vaglio dei tre pubblici ministeri che si occupano insieme dell’inchiesta (Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini), diventata unica pur essendo partita da fatti diversi. Adesso Baita è uscito dall’inchiesta, avendo patteggiato. Inchiesta che ha portato in carcere anche l’ex presidente di Adria Infrastrutture, l’ex segretaria di Galan Claudia Minutillo, il ragioniere Nicolò Buson, ex direttore amministrativo della Mantovani, e William Colombelli, della società di San Marino che secondo l’accusa contribuiva a far fatture false per accantonare i fondi neri, il vicequestore bolognese Giovanni Preziosa. Indagine partita dall’evasione fiscale delle aziende, che adesso vuole accertare dove siano finiti quei i soldi. Per questo si cercano tracce nei conti bancari, anche stranieri, si stanno esaminando verbali di sedute delle riunioni che approvarono i progetti, il ruolo di tecnici, dirigenti del Magistrato alle Acque, politici. E si scava sul meccanismo della concessione unica, che ha consentito in questi anni di accantonare sotto la voce «oneri del concessionario» centinaia di milioni di euro, il 12 per cento dell’ammontare complessivo dei lavori del Mose che sfiora i 5 miliardi. È questa la seconda fase dell’inchiesta, che procede spedita. E che potrebbe portare con l’anno nuovo clamorose novità.

Intanto il Consorzio si smarca, affidando un incarico a un professionista «di peso» come il bolognese Sgubbi. Anche qui una svolta nella squadra degli avvocati, come già fece Piergiorgio Baita scegliendo Alessandro Rampinelli e Enrico Ambrosetti al posto dei padovani Pietro Longo – difensore di Berlusconi – e Paola Rubini.

Alberto Vitucci

 

Pronta la delibera preparata dall’Avvocatura civica su indicazione del sindaco «Non c’è nel Piano regolatore portuale né nel Prg». Il 22 dicembre l’ultima nave

Non c’è nel Piano regolatore portuale. Non è previsto nemmeno nel Prg comunale in vigore. Dunque, il progetto per scavare in mezzo alla laguna il nuovo canale Contorta Sant’Angelo è «illegittimo».

Questa almeno l’opinione del Comune, che ha dato mandato all’Avvocatura civica di predisporre la delibera e il ricorso al Tar. Decisione annunciata dal sindaco la settimana scorsa, poi sospesa per i dubbi espressi in maggioranza da alcuni settori del Pd e dell’Udc. Ma adesso il provvedimento è stato confermato. Il Comune dunque farà ricorso al Tar contro il decreto firmato la settimana scorsa dal comandante della Capitaneria di porto, l’ammiraglio Tiberio Piattelli, in applicazione del decreto Clini-Passera. Che indicava appunto il nuovo canale quale «via di navigazione praticabile alternativa al canale della Giudecca per le navi al di sopra delle 40 mila tonnellate».

Progetto che andrà comparato con gli altri in sede di Valutazione di Impatto ambientale. Ma che al Comune non piace. Così l’Avvocatura civica, su indicazione del sindaco, ha provveduto a mettere nero su bianco le motivazioni del ricorso. Ci si richiama appunto alla mancanza di pianificazione , ma anche alla legge 241 e alla «leale collaborazione tra enti» che in questo caso sarebbe stata disattesa. Delle decisioni in essere infatti il Comune non sarebbe mai stato informato.

Battaglia che si annuncia feroce, in vista della ripresa dell’attività croceristica in primavera. L’accesso delle navi è oggi sospeso per i lavori del Mose – fino all’aprile 2014 – e l’ultima grande nave passeggeri ad arrivare (a Marghera, per la chiusura del Lido) sarà il 22 dicembre la «Oriana», della P&O cruises. Attraccherà a Marghera, con prevedibili proteste da parte dei sindacati del Porto per il timore di danno al traffico commerciale. «Ma non è così», ribadisce il sindaco Orsoni, da sempre favorevole al trasferimento delle grandi navi nelle navi di Marghera «si dovranno studiare sistemi per permettere la convivenza dei due traffici. Ma si può fare in tempi brevi». Alternativa che però il Porto non ha nemmeno preso in considerazione. Votando in comitato portuale una delibera che dava il via libera al Contorta, con il voto contrario del Comune e l’astensione della Provincia e del comune di Mira. Atto anch’esso impugnato davanti al Tar dal Comune. Il prossimo scontro si profila sulle procedure per l’approvazione del progetto. I comitati parlano già di «procedure truffa» se sarà assegnato alla valutazione del Cipe (Legge Obiettivo). Procedura sollecitata dalla Regione, bocciata al Senato in una interrogazione a Enrico Letta firmata da deputati del Pd, Cinquestelle, Psi.

Alberto Vitucci

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