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Che fine ha fatto e che progetti ha l’ex presidente di Mantovani travolto dalla Retata Storica?

Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo

Che fine ha fatto Piergiorgio Baita, il genio del male, deus ex machina del Sistema Mose? È vero che è tornato in campo con una sua società? E cosa pensa della conclusione dell’inchiesta sulle dighe mobili veneziane? Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo. Non è stato facile: benché la vicenda giudiziaria sia in larga parte conclusa e la gran parte dei protagonisti abbia patteggiato una pena con la Procura, Baita non rilascia interviste e non ama parlare con i giornalisti. La vicenda Mose occupa però ancora molte delle sue riflessioni. E da esse scaturiscono opinioni, domande e persino l’idea di scrivere un libro. Come raccontiamo in queste pagine.

 

LAVORO – Richieste di consulenza ma nega di aver creato nuove società

IL POTERE – In laguna pochi non hanno ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova

PERSONAGGIO – Non rilascia interviste ma il regista del Sistema Mose non è in pensione

AUTORE – Ha un’ambizione: scrivere un manuale anti-corruzione

TEMPO LIBERO – Coltiva pomodori e riflette sugli esiti dell’inchiesta veneziana

IL PRECEDENTE – Piergiorgio Baita in aula nel 1994 per il processo della prima Tangentopoli veneta

Il “diavolo” coltiva pomodori. E pensa. E si arrabbia perché quel che è stato raccontato è, a suo dire, solo una parte del sistema Mose. I giornali si sono fatti fuorviare dallo specchietto per le allodole della politica, dice. Certo che il nome di Galan “tira”, ovvio che quando si parla di ministri e sottosegretari, la gente legge con voracità, ma è sfuggita all’attenzione dell’opinione pubblica una parte importante. Anzi, la parte più importante, che è quella che riguarda i grand commis di Stato. E cioè i funzionari, i grandi burocrati, quelli che erano parte integrante e indispensabile, loro sì, del sistema corruttivo del Mose.

Altro che i politici. I politici sono una variabile ininfluente e avranno incassato sì e no un quarto delle mazzette che sono state pagate, il resto è finito nella tasche di chi decide sul serio. E cioè di chi è a capo di un ministero o di un assessorato regionale e resta sempre lì, fisso, mentre i ministri e gli assessori cambiano.

Piergiorgio Baita, il “diavolo” dello scandalo Mose, non smette di pensare al fatto che lo hanno dipinto come il genio del male, il corruttore dei corruttori, mentre tira un filo a piombo tra una “gombina” e l’altra, toglie le erbacce e guarda crescere i cavoli e i carciofi, mentre consulta il calendario di Frate Indovino per vedere quando seminare i pomodori. Cirio e ciliegino, piccadilly e cuore di bue. Li pianta ad una settimana di distanza uno dall’altro, così l’orto non viene invaso dalla “buttata” improvvisa di pomodori che maturano tutti nello stesso periodo. Centellina i suoi interventi, scruta il tempo, parla con le piante. E ragiona. Solo i suoi amici più cari sanno che Baita è uno che ha le mani d’oro – ironie a parte – e che ha passato i domiciliari a pitturare casa e a rifare l’orto, che è la sua grande passione. Gli piace lavorare in casa e ancor di più nell’orto, si rilassa e pensa.

Non parla con i giornali, rifiuta tutte le interviste, ma risponde volentieri a chi lo ferma al bar o davanti all’edicola. E poi si confessa con quella ristretta cerchia di amici che gli sono rimasti amici, si confida su quel che vorrebbe fare e siccome un suo amico, senza tradire il mandato, pensa che sia utile far uscire allo scoperto il Baita-pensiero, utile a chiarire quel che resta da chiarire, ecco un riassunto di quel che ha pensato e detto Baita in questi mesi passati in silenzio dopo il patteggiamento per reati fiscali.

Intanto Baita dice a tutti di essere in pensione, racconta l’amico, ma non credo che abbia intenzione di starsene con le mani in mano per molto tempo ancora. Non è vero che ha messo in piedi una società con moglie e figlio, la Studio Impresa srl, che si occupa di pannelli fonoassorbenti. Le voci nascono da una banale visura camerale. La società esiste, è intestata a moglie e figlio, ma non opera e comunque lui non c’entra niente. Quel che nessuno sa, invece, è che qualcuno ancora lo cerca per consulenze sul project financing.

E dunque, consulenze a parte, che cosa sta facendo esattamente in questo momento Piergiorgio Baita?

 

IL MANUALE ANTI-CORRUZIONE

Sta scrivendo il manuale dell’appalto perfetto, cioè dell’appalto anti-corruzione. Sul serio?
Certo, se non sa lui come fare… Fossimo in America, uno così, che è stato il più abile di tutti – nel male – lo assumerebbero al ministero della lotta alla corruzione, gli darebbero una cattedra all’università o gli farebbero fare corsi per finanzieri e funzionari pubblici. Perché lui i trucchi li conosce tutti. Alcuni li ha imparati, molti li ha inventati. E dunque Baita sa perfettamente come si pilota un appalto e come un appaltino diventa un appaltone. Il punto nodale – secondo Baita – è che la repressione non serve a niente, inasprire le pene non porta ad alcun risultato, bisogna cambiare il meccanismo degli appalti. L’ha spiegata così ad una cena tra amici. Ha detto che l’errore sta nel focalizzare l’attenzione sulla questione del controllo pubblico dell’opera. Invece il metodo giusto è il controllo pubblico sul servizio che viene offerto grazie a quell’opera.

Allo Stato non deve interessare che siringa utilizzo per fare l’iniezione – ha sintetizzato Baita – Deve interessargli quante persone vaccino contro l’influenza e mi deve pagare per quante ne vaccino. Nel caso del Mose, per capirci, secondo Baita lo Stato non doveva mettersi nell’ordine di idee di andare a vedere come veniva costruita l’opera. Una volta scelto il progetto, doveva dire: ti pago solo se l’opera funziona. Baita ha raccontato ai magistrati di essersi scontrato con Mazzacurati sulla questione della gestione, infatti. Secondo lui bisognava fare, contemporaneamente all’appalto per i cantieri, anche quello per la gestione del Mose. Il gestore dell’opera deve poter discutere con il costruttore, altrimenti poi succede – succederà, secondo Baita – che il gestore arriva e inizia a dire che le lampadine che sono state messe non sono quelle giuste, che il cavo da 3 pollici doveva essere da 5 pollici. E siccome il gestore si trova l’opera già pronta, dirà che è in grado di gestire lo stesso l’impianto, ma che, certo, costa di più.

 

IL MOSE? ALTRI DUE ANNI

E a chi gli chiede quanto manchi alla fine del Mose, Baita conteggia che ci vogliono altri due anni, due anni e mezzo perché è stata completata solamente la bocca di porto del Lido, ma solo nella parte strutturale, mentre mancano ancora le infrastrutture vere e proprie e cioè tutti i comandi e gli apparati che servono a far funzionare le paratoie. Vuol dire che del Mose è stato montato l’hardware e neanche tutto, mentre manca ancora il software. Da qui in poi par di capire che ci dovrebbe essere un controllo serrato sul software proprio per non trovarsi nelle condizioni di avere in mano un’opera che funziona perfettamente, su questo Baita non ha alcun dubbio, ma che è costosissima.

Piergiorgio Baita la spiega così: io posso costruire una macchina che oggi costa tanto e domani consuma poco, oppure posso costruire un’opera che costa tanto oggi e che consuma tanto domani, chiaro? L’interesse pubblico dovrebbe essere quello di avere in mano una macchina che magari costa di più oggi, ma è risparmiosa domani, sull’utilizzo e la manutenzione. Mazzacurati aveva tutto l’interesse, proprio perché contava di tenersi la gestione del Mose, a costruire invece un’opera che costasse tanto anche nella fase dell’esercizio e della manutenzione. Ecco perché ha bloccato Baita quando il presidente di Mantovani ha proposto di fare la gara di gestione subito, mentre si costruiva. Qui doveva intervenire la politica, a chiarire i ruoli e le competenze. E invece il caso Mose dimostra – secondo Baita – come siano le imprese a comandare. Anche sulla politica. Le imprese che possono comandare a bacchetta l’assessore o il ministro perché lo tengono per la borsa, ma che devono fare i conti con i funzionari pubblici. Che sono i “casellanti” degli appalti, quelli che alzano o abbassano la sbarra mentre stai lavorando e che ti bloccano i finanziamenti, intervengono in corso d’opera. Ai funzionari non interessa chi vince l’appalto, interessa il “mentre” si realizza l’opera. Son lì che iniziano a mettere i bastoni fra le ruote. Ed è a quel punto che ti tocca dargli consulenze e che ti tocca nominarli collaudatori.

Tanto per dirne una, che c’entra un Magistrato alle acque come Maria Giovanna Piva con il collaudo dell’ospedale nuovo di Mestre? E un altro Magistrato alle acque, quel Patrizio Cuccioletta che era sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova, che ci faceva nel Comitato tecnico scientifico che ha approvato la Pedemontana?

 

IL RUOLO DELLA MINUTILLO

Grand commis a parte, Baita ha spiegato più volte agli amici che, secondo lui, la Procura ha creduto troppo a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan. La Minutillo, spiega, non era stata scelta per la sua genialità. Era stata assunta al Consorzio su richiesta di Lia Sartori, l’europarlamentare oggi in attesa di processo per finanziamento illecito ai partiti. Mazzacurati aveva piazzato la Minutillo alla Thetis solo per fare un piacere alla Sartori, e cioè a Galan il quale temeva che l’ex segretaria, licenziata in tronco, rivelasse cose inopportune. Ma siccome a Thetis guadagnava troppo poco e voleva 250 mila euro netti all’anno, Chisso aveva chiesto a Baita di assumerla come amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Ma non era operativa, non faceva niente e non capiva molto bene quel che succedeva. Ad esempio sui project avrebbe detto una cosa che non aveva senso e cioè che Baita aveva messo a disposizione 600 mila euro per “incoraggiare” i project. Stando alle spiegazioni fornite anche ai magistrati da Baita, la Minutillo non ha capito che quei 600mila euro erano l’equity e cioè una specie di caparra che bisogna versare se si vuole concorrere al project. Ma, argomenta Baita, siccome Claudia Minutillo ha il merito di aver aiutato la Procura ad arrivare ai politici, viene premiata con una credibilità su tutto il fronte.

E non c’è solo questo. Baita continua a stupirsi che la società veneziana abbia fatto finta di niente di fronte al fiume di denaro pubblico che Mazzacurati ha convogliato verso tanti privati che nulla c’entravano con il Mose. Secondo Baita quel che non è stato ancora capito fino in fondo è che il sistema Mose era una macchina del consenso, prima di tutto, non un sistema corruttivo sic et simpliciter. Mazzacurati pagava tutti: pochi soldi ai politici, tanti ai funzionari “controllori”, tantissimi alla città. E le anime belle che fanno finta di niente, secondo Baita dovrebbero spiegare prima di tutto a se stesse che cosa centri il Mose con il restauro di un convento o di un seminario o con una squadra di calcio. Quel che Baita si lascia sfuggire negli sfoghi che ha con gli amici è che a Venezia sono ben pochi quelli che possono dire di non aver avuto a che fare con i soldi del Consorzio. Mazzacurati era considerato alla stregua di una istituzione pubblica e c’era la processione alla sua porta. E se si chiede a Baita come sia stato messo in piedi un meccanismo così sofisticato, Baita risponde che il meccanismo è stato messo in piedi un po’ alla volta, anno dopo anno e che non era possibile rompere questo meccanismo perchè voleva dire tagliarsi fuori e non lavorare più. E lui aveva la responsabilità di 700 famiglie che lavoravano per Mantovani. Perché era chiaro che il sistema Mose andava bene a tutti e tutti facevano finta di nulla. Nessuno si è mai preoccupato che lo stipendio medio al Consorzio fosse di gran lunga superiore ai 100mila euro l’anno, nessuno ha mai avuto da ridire su studi e consulenze, su libri e partecipazioni al Festival del cinema del Lido. Come è possibile? A tutti è parso normale che il Consorzio, che pure viveva esclusivamente di soldi pubblici, facesse l’editore e il produttore cinematografico, si occupasse di convegni e di far fare giri in elicottero sui cantieri. E a tutti andava bene che di tutto questo si occupasse solo Mazzacurati. Il quale non ha mai voluto cedere un grammo del suo potere.

 

QUELLE COOP ROSSE

Baita racconta anche che la Mantovani era entrata nel Consorzio Venezia Nuova staccando un assegno da 72 milioni di euro, mentre il Consorzio Cooperative Costruttori di Bologna – 240 imprese associate e 20 mila dipendenti – invece era entrato a far parte del Consorzio senza versare un centesimo. Ma bisogna rileggere i suoi verbali di interrogatorio per capirne di più. In uno racconta, con un tocco di ironia, di non aver capito bene che cosa fosse successo dal momento che le coop rosse c’erano già dentro il Consorzio, con la Coveco. “Il Coveco è storicamente un associato del Consorzio Venezia Nuova, mentre il Ccc è entrato più recentemente e cioè quando Antonio Bargone era sottosegretario ai Lavori pubblici”, mette a verbale Baita. Bargone è stato al Governo dal 1996 al 2001 con Prodi, D’Alema e Amato, poi è diventato presidente della Società Austrada Tirrenica. Secondo Baita “dopo il suo intervento all’interno del Consorzio non si capiva chi dovesse rappresentare le cooperative, se il Ccc e cioè Omer Degli Esposti o il Coveco di Savioli. La mediazione fu favorita da Mazzacurati il quale decise di lasciare un veneto e cioè Pio Savioli a rappresentare le coop rosse nel Consorzio perché in grado di fare da equilibrio tra i due consorzi e le varie parti politiche che rappresentano, perché il Coveco fa riferimento ad una certa sfera della sinistra e il Ccc ad un’altra”. Ma il Coveco di Pio Savioli è finito dritto nell’inchiesta veneziana sul Mose mentre il Ccc di Esposti no. Ma chi è Degli Esposti? Il suo nome salta fuori nell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto di Filippo Penati, ex braccio destro di Pierluigi Bersani, nonché ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano. Penati è l’uomo che giura di non voler approfittare della prescrizione che gli porterà in dote la legge anticorruzione del ministro Severino. Salvo ripensarci un attimo dopo. Ebbene, con lui nell’inchiesta sulla Falck era finito anche il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruttori. E, con degli Esposti l’inchiesta aveva toccato pure Roberto De Santis, primo socio di D’Alema nell’acquisto della barca a vela Ikarus. Baita era convinto che la Ccc di Bologna avrebbe portato gli investigatori a Roma, invece non è andata così. Almeno per ora.

 

La iattanza e la sicumera con le quali il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, commenta le 27 pagine della commissione nazionale di Valutazione di impatto ambientale che, secondo gli ottimisti, affosserebbero il progetto di scavo del Contorta Sant’Angelo, dovrebbero invece mettere sul chi vive gli oppositori, e soprattutto coloro che non hanno perso la memoria delle vicende veneziane.

Costa garantisce che in 30 giorni risponderà ai quesiti “tombali” della Commissione Via, la quale, del resto, ha dato allo stesso Costa proprio 30 giorni per inviare le proprie integrazioni.

Ma come? Se solo per la caratterizzazione dei fanghi secondo gli esperti ci vorranno almeno 4–5 anni?

Qualcosa non torna e Maria Rosa Vittadini, già presidente di quella commissione Via che nel 1999 bocciò il Mose, lo ha lucidamente messo in evidenza in un incontro pubblico. La commissione politicamente non ha potuto bocciare lo scavo del Contorta, ma si è salvata l’anima con una procedura che, pur mettendo in evidenza tutte le criticità, le debolezze, le sciatterie di un progetto devastante, alla fine lo promuoverà.

È come se la commissione avesse detto a Costa che il suo progetto fa acqua da tutte le parti e nel contempo gli avesse dato le precise indicazioni su come tamponare i buchi, e il termine dei 30 giorni serve proprio al Porto solo per garantire che ottempererà alle prescrizioni.

In altre parole, tra un mese, cioè in quel marzo già indicato dal ministro Lupi come termine ultimo per l’approvazione del progetto, la commissione Via darà il suo sì, condizionandolo a centomila punti, ma intanto il passo più importante sarà stato fatto e alcuni lavori potranno partire.

Non c’è chi in questo scenario non possa rivedere la vicenda degli undici punti che nel 2003 portarono al Mose. Dovevano essere condizioni “tombali”, ma passarono presto nel dimenticatoio dopo che il sindaco Costa, sì, sempre lui, svendette la città al Consorzio Venezia Nuova, senza che nessuno, e in particolare quel polo rossoverde che si diceva paladino dell’ambiente, muovesse foglia.

Le parole furono tante, certo, ma nella sostanza tutti se ne fecero una ragione per perpetuare quel blocco di mero potere che da 25 anni governa la città e che, atto dopo atto, delibera dopo delibera, l’ha portata alla Disneyland di oggi, sempre con gli stessi protagonisti di allora, sottoscrittori di ogni provvedimento.

Vedrete che sarà così anche dopo i cento punti del Contorta: in qualche modo ingoieranno anche quello per non perdere il potere garantito da Ca’ Farsetti: la corda si tira ma non si rompe mai.

Silvio Testa – Autore dei saggi “E le chiamano navi” e “Invertire la rotta” .

 

Contatti e riunioni in corso nella sede dell’ex Magistrato alle Acque: agitazione tra i dipendenti, la Cgil chiede chiarimenti

Un’Agenzia pubblica per la gestione della salvaguardia e della manutenzione del Mose. Il progetto comincia a farsi strada al ministero delle Infrastrutture e causa agitazione fra i dipendenti del Provveditorato alle Opere pubbliche, l’ormai «ex» Magistrato alle Acque a cui il governo ha cambiato nome dopo lo scandalo del Mose. Qualcosa più di un’idea se da qualche giorno a palazzo Dieci Savi, sede del Provveditorato, sono in corso contatti e riunioni. Addirittura un bando per l’assunzione di nuovo personale.

«Si sta ragionando, ma è prematuro», frena il presidente Roberto Daniele, «c’è il problema della manutenzione del Mose, ma si porrà nel 2018. Intanto dobbiamo completare l’opera».

Rassicurazioni che non sono bastate al personale. La Cgil Funzione pubblica ha diffuso una dura nota contro l’amministrazione, accusata di prendere decisioni senza confrontarsi con i rappresentanti dei lavoratori. Un clima di incertezza amplificato dalla gestione «commissariale» del Mose e anche del Comune. Da mesi infatti non ci si confronta sulla politica da scegliere per il prossimo futuro. Travolto dagli scandali, il Mose dovrà comunque essere completato, questa è la direttiva del ministro Lupi e del governo Renzi. Che nel frattempo ha «declassato» lo storico Magistrato alle Acque, cambiandogli il nome.Ma se già negli ultimi anni l’organo lagunare dello Stato non ha sempre esercitato le sue funzioni di controllo, la sua «abolizione» non va nella direzione di una maggiore trasparenza e, appunto, controllo.

Come previsto dalla legge. «Il controllo sulla gestione e la manutenzione del Mose dovrà essere rigorosamente pubblico», ha detto al suo arrivo ai dipendenti del Consorzio Venezia Nuova il commissario Luigi Magistro. Ecco allora l’idea dell’Agenzia, che già comincia a circolare al ministero e avrebbe il via libera anche del Consorzio attraverso i suoi amministratori straordinari. Un ente di cui si parlava già venticinque anni fa, ai tempi della presidenza di Luigi Zanda. Ma l’Agenzia allora non vide mai la luce, anche perché allora il monopolio del Consorzio era molto forte.

Oggi se ne riparla. E stavolta sono i lavoratori del Magistrato alle Acque che vogliono vederci chiaro. Nello stesso progetto ci sarebbe anche la «sdemanializzazione» del centro sperimentale di Voltabarozzo, fiore all’occhiello del Magistrato alle Acque dove per oltre trent’anni sono state fatte le sperimentazioni in scala ridotta delle dighe mobili e degli effetti sulla laguna delle nuove opere di salvaguardia. Il centro di Voltabarozzo potrebbe essere ceduto dallo Stato, forse proprio alla costituenda agenzia.

Un groviglio che dovrà essere dipanato con l’arrivo della prossima amministrazione. Il Comune ha infatti da sempre rivendicato un ruolo di primo piano sulla gestione della salvaguardia. E nel caso dell’Agenzia rivendica le nuove competenze. La Cgil intanto, con una nota a firma del segretario Daniele Gamberini, ha chiesto ai vertici del Magistrato alle Acque un incontro urgente per esaminare la questione.

Alberto Vitucci

 

Lunga riunione ieri alla commissione di Impatto ambientale, poi il via all’iter. Cinque pontoni galleggianti e removibili

Via libera all’esame del quarto progetto alternativo per le grandi navi. Un incontro di tre ore, ieri mattina al ministero per l’Ambiente, e alla fine i progettisti dell’avamporto galleggiante al Lido hanno avuto l’ok dalla commissione per la Valutazione di Impatto ambientale: «Il progetto può andare all’esame ed essere pubblicato».

Una sorta di pre-esame, seguito dall’autorizzazione a protocollare. «Siamo molto soddisfatti, i tecnici del ministero ci hanno ascoltato e alla fine ci hanno… promosso», commenta soddisfatto Stefano Boato, docente Iuav e firmatario dell’ipotesi progettuale insieme a Maria Rosa Vittadini, Carlo Giacomini e ai paesaggisti Bristot e Stefani, «adesso comincia il confronto».

L’avamporto galleggiante, reealizzato grazie alla consulenza tecnica dell’ingegnere Vincenzo Di Tella – il progettista dell’alternativa al Mose delle paratoie a gravità – della società Principia e degli ingegneri Vielmo e Nicolosi, con il contributo di Giuseppe Tattara (impatti economici) e degli architetti Verlato e Zordan (per la nuova Stazione Marittima) è secondo i suoi proponenti «l’unico reversibile e rispettoso dei criteri indicati dalla Legge Speciale, cioè la gradualità, sperimentalità e reversibilità».

«Per realizzare il nuovo terminal», spiega Boato, «ci vorrà soltanto un anno dal giorno in cui verranno rilasciate le autorizzazioni. Il costo è di 140 milioni di euro, inferiore a quello di tutti gli altri progetti alternativi. Ma soprattutto, si potrà togliere in qualsiasi momento».

Niente cemento e niente sovrastrutture impattanti, dunque. Le banchine realizzate con sistemi galleggianti – già utilizzati in scala minore per darsene e porticcioli – potranno essere rimosse in soli sette giorni.

«Strada obbligata», hanno spiegato ieri i progettisti ai tecnici del ministero, «perché le navi diventano sempre più grandi e già oggi sono incompatibili con la laguna».

I giganti del mare si dovranno dunque fermare in… mare. «In questo modo», si legge nella relazione introduttiva al progetto, «non sarà necessario scavare nuovi canali né sbancare velme e barene».

La struttura è composta da cinque pontoni galleggianti e incernierati tra loro, collocati tra i moli foranei di Punta Sabbioni e San Nicolò, al Lido, davanti all’isola artificiale del Mose. Proprio alla centrale elettrica del Mose, potenziata fino a 40 Megawatt potrà allacciarsi la nuova Marittima, consentendo così di tenere spenti i motori durante la sosta delle navi e dunque di limitare l’inquinamento.

Il quarto progetto adesso comincia il suo iter e sarà inviato nei prosssimi giorni agli enti e al Porto per le osservazioni. Il Porto ha già espresso perplessità, soprattutto sul fatto che la Marittima sia spostata in mare. Bagagli e passeggeri, secondo i proponenti, sarebbero però raccolti in marittima e traspiortati al Lido con motonavi e zattere a bassa velocità.

Stessa idea già presentata con il progetto Venice Cruise 2.0 da Cesare De Piccoli e dalla società di ingegneria Duferco. Le strutture sono qui però fisse, e possono ospitare fino a cinque navi su una banchina lunga un chilometro lato Punta Sabbioni.

Il terzo progetto alternativo è quello di Marghera, presentato dallo studio D’Agostino: grandi Navi in Canale Industriale e canale Brentella, Marittima riservata a navi più piccole e yacht di lusso e case in social housing.

Quarto, ma forse il primo per il suo stato di avanzamento, è lo scavo del Contorta, unica soluzione sostenuta dal Porto ma non ancora approvata.

Alberto Vitucci

 

SALVAGUARDIA – Intanto è confermato lo slittamento dei lavori del Mose al primo semestre del 2017

Consorzio, una diga agli sprechi

I commissari straordinari hanno deciso un giro di vite per le consulenze e il personale

Ora si tirerà la cinghia. Insomma, altro segno dei tempi. Le paratoie alle bocche di porto in alcuni casi sono già state sistemate, altre verranno messe, ma da ieri c’è un altro spartiacque decisivo: arrivano le sforbiciate ai costi generali e chissà – probabilmente – anche al personale impiegato. Ma c’è di più il “taglio” riguarderà anche le tanto discusse (negli anni) consulenze. Insomma, il Consorzio Venezia Nuova volta un’altra pagina della sua travagliata storia recente.

E nel frattempo si vedono le prime “cure” messe in atto dai due commissari straordinari Francesco Ossola e Luigi Magistro, recentemente nominati dal Prefetto di Roma su richiesta dell’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. E le prime teste a cadere sono state quelle di Maria Teresa Brotto, già nota alle cronache per alcuni vicende giudiziarie legate alla vicenda “Sistema Mose” e l’avvocato Alfredo Biagini, ma non è escluso che altri dirigenti possano seguire nel breve, con un allontanamento dal Cvn.

Nel frattempo, ieri mattina, si è riunito il Comitato consultivo del Consorzio, peraltro appena nominato, insieme ai nuovi vertici dell’ente. Tre le priorità e una verifica (in sostanza una conferma) ovvero che le opere del Mose slitteranno al 2017, probabilmente al primo semestre di quell’anno, nonostante tutti gli sforzi anche della precedente gestione Fabris che puntava a consegnare l’opera entro il 2016.

Ma al di là di questo, la riunione ha affrontato la discussione sulle modifiche alla Convenzione con lo Stato in conseguenza di quanto accaduto nel giugno dell’anno scorso; la verifica sul cronoprogramma con lo slittamento dei tempi; gli interventi sulla riduzione dei costi (consulenze, personale, etc.) e infine la revisione contabile del bilancio 2014.

La riunione tra Cvn e Comitato consultivo è servita anche a mettere i puntini sulle “i” ovvero a chiarire le competenze di quest’organo che – come recita una nota del Consorzio – “non è organismo del Cvn ma, essendo stato istituito con disposizione prefettizia, svolge solo un’azione interlocutoria tra Consorzio e aziende. Il Comitato è stato invitato a fornire ogni elemento utile ai commissari per giungere in tempi brevissimi alla definizione delle linee guida che dovranno riguardare i profili esecutivi, finanziari e contabili delle attività in concessione». Della serie: bene l’azione del Comitato, ma chi comanda sono i commissari.

 

Gazzettino – Rinfresco da 60mila euro bufera su Veneto Acque

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

28

gen

2015

LA REGIONE CONTRO LA SUA PARTECIPATA

VENEZIA – Gli ex amministratori di Veneto Acque rischiano di dover restituire di tasca propria i 60mila euro spesi nel 2006 per un buffet. Trattasi del rinfresco organizzato il 25 febbraio 2006 a Fusina, presenti i ministri Pietro Lunardi e Altero Matteoli, il governatore Giancarlo Galan più altre 600 persone.

Dell’organizzazione dell’evento era stata incaricata la Bmc Brokers, società di San Marino presieduta da William Colombelli che sette anni dopo sarebbe finita al centro dell’operazione “Chalet” che portò in galera Piergiorgio Baita, lo stesso Colombelli e l’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, che lavorava con Colombelli. Quell’inchiesta ha avuto uno strascico con la Corte dei conti: i magistrati contabili si sono chiesti come mai Veneto Acque – che è una società partecipata al 100% dalla Regione e che si occupa di acquedotti – ha contributo con 60mila euro per quel buffet, senza contare che la Regione ne aveva messi altri 25mila.

In Regione nei mesi scorsi è arrivata una richiesta di chiarimenti da parte della Corte dei Conti: spiegateci – hanno chiesto i magistrati – perché una vostra società ha pagato il rinfresco di un evento con cui non ha niente a che fare.

La Regione ha girato la domanda al collegio dei revisori dei conti di Veneto Acque. I cui vertici, revisori compresi, nel frattempo sono cambiati. Pier Alessandro Mazzoni, che era amministratore delegato e poi direttore generale, è andato in pensione, ma è a lui e agli altri componenti del Cda che sono stati chiesti lumi.

La spiegazione fornita è che l’allora assessore competente, Renato Chisso, aveva scritto a Veneto Acque chiedendo di attivarsi per questa iniziativa. E la spa ha provveduto. Ma il parere che i revisori dei conti di Veneto Acque hanno ora fornito a Palazzo Balbi è che la società dovrebbe partire con una azione di responsabilità nei confronti dei suoi ex amministratori.

E sarà questo il mandato che la Regione – stando alla delibera portata ieri in giunta dall’assessore alle società partecipate, Roberto Ciambetti – presenterà all’assemblea dei soci (cioè se stessa) venerdì. Alternative – è stato spiegato – non ce ne sono, visto quel che hanno detto i revisori dei conti. A Mazzoni & C. sarà dunque chiesto di restituire a Veneto Acque i 60mila euro del buffet.

(al.va.)

 

I primi provvedimenti dei commissari

VENEZIA – Lettera di licenziamento. Il Consorzio Venezia Nuova dà il benservito a Maria Teresa Brotto, per anni direttore tecnico e di fatto numero due del pool di imprese che sta costruendo il Mose.

Primi effetti della «cura» avviata dai due commissari Luigi Magistro e Francesco Ossola, nominati dal prefetto di Roma su disposizione del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

Cancellata la struttura societaria del Consorzio, adesso le decisioni devono essere prese dai due commissari straordinari.

Magistro, ex ufficiale della Finanza e già direttore dell’Agenzia delle Entrate e della lotta all’evasione, sta spulciando in questi giorni migliaia di documenti.

L’indicazione è quella di interrompere i contratti con le persone che a vario titolo risultino coinvolte nell’inchiesta. Ma anche di «risparmiare» sulle spese legali e di rappresentanza.

Di questa seconda fattispecie fa parte il contratto di consulenza di Alfredo Biagini, avvocato del Consorzio, che ha seguito fin dall’inizio le vicende legate al Mose. Suoi i ricorsi e le memorie difensive – quasi sempre vincenti – presentate al Tar e al Consiglio di Stato. Ma la collaborazione tra Biagini e la nuova dirigenza del Cvn si è interrotta. Il tempo di concludere le cause aperte e poi Biagini tornerà al suo lavoro di libero professionista.

Scricchiola anche la consulenza con la società di Enrico Cisnetto. Contratto da oltre duecentomila euro rinnovato nel settembre scorso. Ma Magistro ha annunciato ai suoi collaboratori che «gli eventi saranno tagliati». Dunque il futuro per la società di Cisnetto si fa difficile. Spese ridotte – una strada per la verità imboccata già dal presidente Mauro Fabris prima di essere commissariato – ma soprattutto «trasparenza».

Sul sito del Consorzio saranno messi in tempo reale documenti e attività. Una volontà di «girare pagina» rispetto all’inchiesta e al recente passato. Intanto se ne va la Brotto, ingegnere padovano che aveva assunto nell’era Mazzacurati-Baita una posizione di rilievo. Presidente anche della Tethis e coordinatore del gruppo tecnico. Ha patteggiato la pena e adesso è stata licenziata. Le spetterà la liquidazione di legge, ma alla fine una cifra molto più bassa di quella ottenuta come buonuscita dall’ex presidente direttore Mazzacurati (sette milioni di euro).

La linea che Magistro ha illustrato nei giorni scorsi ai suoi collaboratori è molto chiara: «Chi ha patteggiato se ne deve andare, è un’ammissione di responsabilità». Per gli altri si dovrà attendere il processo.

Spese consulenze intanto sono al setaccio del nuovo amministratore, che si occupa della parte gestionale e finanziaria. Si sta preparando il bilancio, dopo la «cura dimagrante» degli ultimi mmesi. Ci sono da accantonare i 27 milioni di euro dovuti al fisco per chiudere le partite dopo gli accertamenti della Finanza. Sono accesi i riflettori del mondo dopo lo scandalo che aveva portato in carcere nel giugno scorso 35 persone. E c’è la partita della manutenzione e della gestione delle paratoie. «Dovrà essere gestita dallo Stato in modo trasparente», hanno annunciato i commissari.

Alberto Vitucci

Nuova Venezia – #Galandimettiti, l’hastag spopola

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28

gen

2015

La Rete chiede le dimissioni del parlamentare di Forza Italia

PADOVA «In quale paese un presidente di Commissione è agli arresti domiciliari e percepisce lo stipendio da parlamentare?». Se lo chiede Mimmo cinguettando su Twitter. L’hastag, gettonatissimo in queste ore, è #Galandimettiti e punta, senza tanti giri di parole, alle dimissioni dell’ex presidente del Veneto ed ex ministro Giancarlo Galan.

Palloncini (questo il nickname) allega invece due foto: un’immagine del parlamentare forzista, corredata dalla discalia «Arrestato con stipendio pubblico», e una foto della villa di Cinto Euganeo.

Il tweet ribadisce il concetto: «Agli arresti domiciliari e prende i soldi anche come presidente della commissione Cultura».

L’onorevole Giulia Grillo, parlamentare del Cinque Stelle, posta invece il video che documenta l’intervento pronunciato sabato sera a Cinto da Jacopo Berti, candidato governatore M5S. «Il Pd e Forza Italia», sottolinea Silvio, in riferimento alla proposta di sospensione del pagamento dell’indennità parlamentre, «hanno votato contro, ma vi rendete conto, votanti di questi cialtroni?». «Se voti per i ladri», commenta Slavina, «ti meriti di essere derubato».

 

Nuova Venezia – I grillini “assediano” villa Galan

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25

gen

2015

Sit in del M5S, Cappelletti: «L’ex governatore si dimetta subito da deputato»

LOZZO ATESTINO «Pronto? Come sta Galan? Salutatemelo tanto, è una personcina tanto onesta». Sono le 18.45 e in piazza a Lozzo Atestino, in collegamento da Roma, chiama il deputato Alessandro Di Battista accendendo gli oltre duecento grillini radunati nel piccolo Comune dei Colli Euganei. E’ questo uno dei momenti che ha animato la tappa veneta della «Notte dell’Onestà», l’evento organizzato dal Movimento 5 Stelle e che ha avuto un’appendice in Veneto. Cuore della protesta è Lozzo Atestino, il centro più vicino a Villa Rodella, la sontuosa tenuta di Cinto Euganeo in cui l’ex governatore Giancarlo Galan sta scontando gli arresti domiciliari.

In piazza delle Fratte sono in 250, capitanati dal candidato del M5S alla presidenza della Regione Veneto, Jacopo Berti. Con lui, oltre a numerosi esponenti del territorio, ci sono anche i senatori Enrico Cappelletti e Giovanni Endrizzi. La lunga carovana ha puntato presto l’obiettivo di giornata, ossia la dimora dell’ex ministro Galan.

In programma un flash mob «educato ma forte, una battaglia di legalità e giustizia» – per utilizzare l’annuncio M5S – proprio davanti alla casa del Doge. Le autorità presenti, schierate in gran numero sia in piazza che agli ingressi di Villa Rodella, hanno però imposto un doppio limite: ai manifestanti è stato vietato di passare per la strada che costeggia il palazzo di Galan, costringendo gli stessi ad imboccare una via parallela ma più lontana. La lunga carovana, armata di striscioni e stelle filanti, si è poi dovuta arrestare a più di cento metri dalla villa. Qui ha preso la parola Berti, che ha polemizzato in particolare contro la decisione della Camera di non accogliere l’emendamento del M5S alla riforma costituzionale, che chiedeva la sospensione del’indennità a Galan. L’ex ministro, nonostante i domiciliari, continua a presiedere la commissione Cultura. Il sit-in si è spostato nuovamente in piazza, dove dal palco allestito per l’occasione i promotori dell’evento si sono messi in contatto con i colleghi radunati a Roma.

Hanno preso la parola, tra gli altri, l’europarlamentare David Borrelli e il deputato Di Battista: «In Veneto state facendo un lavoro formidabile, è incredibile che non tutti i cittadini veneti conoscano la verità, e cioè che il presidente di una commissione parlamentare di fatto è un galeotto».

Nicola Cesaro

 

Rostellato all’attacco: «Inaccettabile che continui a presiedere la commissione»

Businarolo: «Ha patteggiato ma l’ex governatore prende ancora in giro i veneti»

PADOVA – Novantacinque voti favorevoli, trecentoquarantadue contrari, otto astenuti. La Camera dei deputati ha bocciato ieri, in sede di votazione sulla riforma costituzionale, l’emendamento del Movimento Cinque Stelle (primo firmatario il trevigiano Riccardo Fraccaro, eletto in Trentino-Alto Adige) che chiedeva la «sospensione dell’indennità al membro della Camera del deputato arrestato, privato della libertà personale o mantenuto in detenzione».

A più riprese i deputati pentastellati (tra loro anche Alessandro Di Battista, componente del direttorio grillino, hanno puntato il dito, in particolare, sul caso del deputato Giancarlo Galan, che dallo scorso giugno è impossibilitato a partecipare ai lavori della Camera (per effetto del suo coinvolgimento nella vicenda Mose) ma continua a presiedere la commissione Cultura e, soprattutto, a riscuotere una lauta indennità.

«Tra gli articoli trattati in aula», sottolinea la deputata padovana Gessica Rostellato, «c’era l’articolo 69 della Costituzione: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Ebbene, noi abbiamo richiesto che i deputati condannati e detenuti non percepiscano l’indennità. È inaccettabile che vi siano soggetti come Giancarlo Galan che, pur avendo patteggiato e quindi ammesso la colpa, siano ancora deputati».

Lancia in resta anche l’onorevole Francesca Businarolo, di Pescantina: « Questo principio è importantissimo per noi veneti. Galan ci ha preso in giro per quindici anni. Vive in una villa bellissima nel Padovano. Ha patteggiato; adesso è a casa e continua a riscuotere l’indennità da parlamentare. È presidente della commissione Cultura in questo asse destra-sinistra, che non si è ancora capito dove vuole andare».

È stato respinto anche l’emendamento grillino all’articolo 57 (primo firmatario Riccardo Nuti): «Non possono ricoprire la carica di senatore coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo». «In Parlamento ormai», annota il bellunese Federico D’Incà, «siamo rimasti l’unica forza di opposizione. Con il beneplacito del Patto del Nazareno Galan continua a mantenere la posizione e a riscuotere la sua indennità».

Non a caso i pentastellati, capeggiati dal candidato governatore Jacopo Berti stasera, dalle 17, manifesteranno a Cinto Euganeo nell’ambito della «Notte dell’onestà contro la corruzione e le mafie».

Claudio Baccarin

 

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