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Grandi opere e tangenti, dibattito a san leonardo

«Il problema si lascia irrisolto, per anni. Poi si crea l’emergenza e bisogna decidere in fretta. A quel punto passa la grande opera, i tempi e i controlli vengono allentati. E la corruzione dilaga».

È questo secondo Francesco Giavazzi, economista della Bocconi, il nucleo del sistema del malaffare. La sua causa, che permette poi di fare affari con i soldi dello Stato e di costruire opere non sempre necessarie e qualche volta dannose.

È la tesi illustrata ieri sera in un’affollata sala San Leonardo a Cannaregio da Giovazzi, autore del libro «Corruzione a norma di legge», scritto insieme al giornalista Giorgio Barbieri. Un magma presente da vent’anni, venuto in superficie con l’inchiesta della Procura veneziana lo scorso 4 giugno. Che non è limitato al solo progetto Mose.

«È successo così anche per l’Expo del 2015», dice Giavazzi, «tutto fermo per anni, poi i lavori si devono fare in fretta, per non perdere i finanziamento. E si va veloci anche con i certificati antimafia. Sta per succedere anche con le grandi navi e il canale Contorta. Decreto Clini Passera inapplicato per tre anni e adesso l’emergenza».

Un pubblico numeroso e attento quello venuto a San Leonardo per ascoltare la relazione di Giavazzi, ma anche la prima uscita pubblica – dopo l’annuncio della scesa in campo del suo concorrente Nicola Pellicani – del candidato alle primarie del centrosinistra Felice Casson, senatore Pd.

«Il Consorzio Venezia Nuova non è stato solo corruzione penale, tangenti e malaffare», attacca Casson tra gli applausi, «ma anche corruzione sociale. Un sistema per cui bastava pagare per andare avanti con le autorizzazioni».

Soldi dello Stato e concessione unica, niente gare d’appalto e prezzi gonfiati. E centinaia di milioni di euro messi da parte con i profitti e le evasioni fiscali delle aziende, per pagare il consenso.

«Per questo motivo non ci hanno mai ascoltato», tuona Armando Danella, per decenni responsabile dell’Ufficio legge Speciale del Comune, «i dubbi tecnici sul Mose venivano accantonati e mai presi in considerazione, anche se venivano da scienziati di fama internazionale».

Della corruzione diffusa in città parlano Gianfranco Bettin, Beppe Caccia e Roberto D’Agostino, ultimo presidente della disciolta società Arsenale spa che si era trovata a contendere gli spazi proprio al Consorzio Venezia Nuova. Luana Zanella, ex parlamentare dei Verdi, ricorda le battaglie in parlamento e in Europa, i pronunciamenti della Corte dei Conti e delle commissioni Europee sulle Procedure di Infrazione a cui la Regione, alcuni settori dello Stato e del governo non hanno mai dato ascolto.

«La corruzione si è inserita nei livelli più profondi, hanno distrutto la libera ricerca», ricorda Andreina Zitelli, docente Iuav e relatrice della Valutazione di Impatto ambientale che bocciò il progetto Mose nel 1998. Ma anche allora non era successo nulla. Giavazzi, che pure si era espresso a favore del Mose nel 2006, in un articolo di fondo apparso sul Corriere ha anche duramente criticato il candidato sindaco della maggioranza Pd, Nicola Pellicani.

«Primarie finte perché nulla cambi», ha scritto, «saranno le solite imprese a pagare la campagna elettorale».

In sala Pellicani non c’è, e nemmeno Jacopo Molina. C’è l’altro candidato alle primarie, il libraio Giovanni Pelizzato. Giavazzi sorride e firma autografi.

In sala interventi sul «monopolio da fermare, sulla necessità della concorrenza, legalità e trasparenza per la pubblica amministrazione. «Ci proveremo», promette Casson, «e in questa città non governeremo mai con la destra: quando si votano le leggi anticorruzione in Parlamento loro stanno sempre dall’altra parte».

Alberto Vitucci

 

Dopo i commissari, nominato l’organo consultivo di 5 membri

C’è Romeo Chiarotto nel Comitato imprese di Venezia Nuova

Dopo i commissari, il Comitato consultivo delle imprese. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha firmato il decreto di nomina del nuovo organismo che dovrà “assistere” il nuovo governo straordinario del Consorzio Venezia Nuova dopo lo scandalo Mose e lo scioglimento degli organi societari deciso dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.

I componenti del Comitato sono cinque, quattro in rappresentanza degli azionisti maggiori (che detengono almeno il 10 per cento delle quote consortili), uno per le imprese minori e locali. Si tratta di Salvatore Sampero (Mazzi costruzioni), Romeo Chiarotto, titolare della Mantovani, primo azionista del Consorzio, per il raggruppamento di imprese Venezia Lavori Covela-Mantovani; Luigi Chiappini (Consorzio San Marco), Americo Giovarruscio (ItalVenezia-Condotte) e Laura Lippi, ingegnere nominata dagli azionisti minori.

Il Comitato potrà segnalare ai due commissari che da un mese governano il Consorzio, Luigi Magistro e Francesco Ossola, le esigenze delle imprese e problematiche che dovessero sorgere nel corso dell’attività.

Il decreto del presidente Cantone, poi ripreso dal prefetto che ha decisio le nomine, del resto è molto chiaro: il commissariamento previsto dalla legge anticorruzione non deve mettere in discussione l’opera. Ma garantire al contrario che questa venga portata a compimento al riparo dai rischi di corruzione. Dunque ad avere il benservito, il mese scorso, è stato soltanto il presidente Mauro Fabris, subentrato a Giovanni Mazzacurati arrestato con l’accusa di corruzione.

L’opera di rinnovamento e di risparmi portata avanti da Fabris non è stata ritenuta sufficiente, e Cantone ha deciso di procedere con il commissariamento. Hermes Redi, direttore nominato dal Cda al posto di Mazzacurati – che ricopriva entrambi gli incarichi di presidente e responsabile tecnico – è invece rimasto al suo posto.

Adesso l’attività del Mose può proseguire.Tra le proteste dei comitati, che hanno chiesto qualche mese fa alla nuova dirigenza di verificare con attenzione tutti i passaggi autorizzativi della grande opera che sono risultati poi viziati dalla corruzione. Un sistema diffuso che è stato in buona parte scoperto dalla Finanza e dalla Procura veneziana, portando nel giugno scorso all’arresto di 36 persone, tra cui l’ex presidente della Regione Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso, funzionari dello Stato e tecnici.

Una grande opera da cinque miliardi con fondi garantiti dallo Stato e un sistema, quello della concessione unica, che ha portato negli anni in laguna un fiume di denaro. Finito poi in buona parte nelle tasche di corrotti e corruttori.

Adesso con la nomina dei commissari – e del comitato a garanzia delle imprese – il governo intende voltare pagina. E portare a compimento il Mose al più presto – anche se la data promessa del 2017 non sarà rispettata – al riparo dalla grande onda della corruzione e del malaffare.

 

Gazzettino – Cvn, Roma sceglie anche il Consiglio consultivo

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21

gen

2015

La decisione è stata presa nei giorni scorsi. E arriva sempre da Roma. Come nel dispositivo di nomina dei due commissari che hanno sostituito il vertice del Consorzio Venezia Nuova, anche questa volta è toccato al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro scegliere e nominare i rappresentanti del Consiglio consultivo del Cvn, un organo voluto con il riassetto dell’ente concessionario che, come si ricorderà, è stato profondamente modificato con la decisione del presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone che, su mandato del Governo, aveva azzerato i vertici del Cvn nell’onda lunga dello scandalo Mose. In quell’occasione l’addio dell’allora presidente del Cvn, Mauro Fabris sostituito con provvedimento prefettizio con due nuovi commissari: Francesco Ossola, esperto di ingegneria civile e Luigi Magistro, tra i maggiori conoscitori della macchina amministrativa statale.

Da ieri si completa il quadro delle nuove nomine che dovrebbero condurre il Consorzio all’obiettivo finale della realizzazione del sistema Mose. E in questo quadro vanno intesi i componenti del Consiglio consultivo. L’organo sarà composto da cinque persone: quattro esponenti per altrettanti gruppi di aziende che superano ciascuna il 10 per cento all’interno del pacchetto azionario del Cvn. A rappresentarle sono stati chiamati Americo Giovarruscio (quota Condotte-Consorzio Venezia); Luigi Chiappini (Consorzio veneto San Marco); Romeo Chiarotto (Co.Ve,.La e Mantovani); Salvatore Sarpero (Società consortile Mazzi.

L’ultima nomina ha riguardato il rappresentante delle aziende con una quota complessiva inferiore al 10 per cento nell’ambito del Consorzio Venezia Nuova. Per le piccole e medie imprese che partecipano ai lavori del Mose, è stata scelta Laura Lippi, l’unica donna del gruppo, che professionalmente proviene dalla azienda Ccc, Consorzio Cooperative Costruzioni.

Ma al di dei nomi, alcuni già presenti nella passata gestione come Giovarruscio, Serpero, Chiarotto, i compiti del Comitato consultivo saranno – oggettivamente – molto limitati e potranno essere quasi ed esclusivamente di indirizzo e in alcun modo non vincolanti, capaci di modificare le eventuali decisione prese dai due commissari Ossola e Magistro che, in tutto e per tutto, sono e rimangono i plenipotenziari dei destini del Consorzio Venezia Nuova fino alla conclusione del progetto Mose.

 

Un gruppo di professori presenta le banchine galleggianti

Le grandi navi non sono ancora le più grandi. Msc ha in costruzione un nuovo scafo passeggeri da 252 mila tonnellate (il doppio delle più grandi in circolazione oggi), Royal Caribbean cinque navi lunghe 348 metri. Questo impedisce di continuare a pensare di mantenere le grandi navi all’interno della laguna.

Lo sostiene un pool di professori (Stefano Boato, Carlo Giacomini, Maria Rosa Vittadini, Y. Bristot, A. Stefani) che ha presentato in questi giorni al ministero per l’Ambiente un nuovo progetto per un avamporto galleggiante alla bocca di porto di Lido.

La novità rispetto agli altri progetti alternativi alla Marittima è che si tratta di strutture «leggere», galleggianti e ancorate al fondale. Dunque rimovibili in pochi giorni, senza cemento e calcestruzzo. Davanti all’isola artificiale del Mose, in bocca di Lido, sarebbero allestite le nuove banchine capaci di ospitare fino a cinque grandi navi.

Costo 140 milioni di euro, tenpi di realizzazione, assicurano i progettisti «inferiore a tutti gli altri».

«Le ricerche scientifiche», dice il professor Stefano Boato, presentatore del progetto, «hanno dimostrato che le bocche di porto, i canali portuali e le grandi navi hanno ampiamente superato la compatibilità con l’ambiente lagunare».

Così è stata recuperata un’idea già avanzata negli anni Settanta dal presidente onorario di Italia Nostra, lo scomparso architetto Pino Rosa Salva, che prevedeva di costruire l’approdo per le navi in mare, come già realizzato a Montecarlo.

Progetto graduale, sperimentale e reversibile come prevede la Legge Speciale, non bisognoso di nuovo scavi in laguna – peraltro proibiti dal Palav, dal Piano Morfologico e dalle Leggi Speciali – come invece il Contorta.

Il progetto è stato arricchito in questa nuova versione con i contribuiti della società Principia degli ingegneri Di Tella, Nicolosi e Vielmo e dal punto di vista paesaggistico dagli architetti Verlato e Zordan. Mentre il professor Giuseppe Tattara ha analizzato gli aspetti occupazionali.

Perché la Marittima in questo modo, continua Boato, «sarebbe destinata a navi di lusso di dimensioni minori, i passeggeri portati al Lido con motonavi a bassa velocità, le merci su chiatte attraverso il canale dell’Orfano, sempre a velocità minima».

Una soluzione alternativa che adesso andrà all’esame del ministero per l’Ambiente. E che si aggiunge a quelle presentate da Roberto D’Agostino (Marghera), Cesare De Piccoli (Lido).

E ovviamente allo scavo del canale Contorta Sant’Angelo proposto dall’Autorità portuale, già in buono stato di avanzamento. «Ma è l’unica soluzione possibile», insiste il presidente del Porto Paolo Costa, «ma adesso il tempo stringe: ci dicano di sì o di no, perché la prossima stagione è alle porte. Le compagnie ci chiedono cosa fare e noi non abbiamo risposte. Una situazione che rischia di diventare drammatica se non si interviene per tempo».

Ma dopo che il Tar ha bocciato i ricorsi dei comitati contro l’ordinanza della Capitaneria che limitava gli accessi al canale della Giudecca, tutto è tornato come prima. Il governo non ha emesso le nuove ordinanze che aveva promesso e dunque le grandi navi possono tornare in canale della Giudecca senza limitazione alcuna. E senza alternative.

Alberto Vitucci

 

MOSE – All’esame le dichiarazioni di Dal Borgo

Un nuovo filone nell’inchiesta sul Mose: i rapporti tra i cavatori e gli amministratori pubblici. La Procura della Repubblica di Venezia sta vagliando e cercando riscontri alle dichiarazioni di Luigi Dal Borgo, l’imprenditore bellunese accusato di millantato credito che da tempo collabora con la magistratura. L’uomo avrebbe parlato di finanziamenti ripetuti nel tempo anche in questo settore.

 

TANGENTI IN LAGUNA – Un nuovo filone aperto dalle dichiarazioni dell’imprenditore bellunese Dal Borgo

“Sistema Mose”, nel mirino anche le cave

La Procura intende chiarire eventuali rapporti tra imprenditori del settore e amministratori pubblici

Enzo Casarin, già collaboratore di Chisso, chiamato in causa da Dal Borgo

Il prossimo filone dell’inchiesta della Procura di Venezia potrebbe svilupparsi sul fronte delle cave e di presunti contributi illeciti diretti ad amministratori e tecnici. Sono state le dichiarazioni di uno degli indagati dello scandalo relativo al cosiddetto “sistema Mose” ad illuminare la nuova pista, raccontando tutti i particolari a sua conoscenza. Gli investigatori si apprestano ad avviare i necessari accertamenti, al fine di cercare conferme e di acquisire possibili elementi di riscontro. L’impresa non è semplice: gli episodi finiti all’attenzione potrebbero essere piuttosto datati nel tempo e, come sempre accade nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, le prove documentali sono poche, se non inesistenti. E risultano essenziali le confessioni di chi decide, magari anche per interesse personale, di rompere il meccanismo illecito e di illustrarne i meccanismi agli inquirenti. Confessioni sempre molto rare.

Il primo a offrire spunti su questo nuovo filone è stato Luigi Dal Borgo, l’imprenditore bellunese accusato di millantato credito nell’inchiesta sul Mose, per aver fatto credere a Piergiorgio Baita, tra il 2011 e il 2013, di poter ottenere informazioni riservate sull’inchiesta che la Guardia di Finanza stava conducendo sulle false fatture emesse dalla società di costruzioni Mantovani spa.

Dopo essere finito in carcere, Dal Borgo ha accettato la scorsa estate di rendere alcuni interrogatori davanti ai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, nel corso dei quali ha raccontato di essersi prestato ad aprire alcune cassette di sicurezza in una banca austriaca per conto di Enzo Casarin, all’epoca segretario dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, e di aver saputo da Casarin che le somme custodite all’interno di quelle cassette appartenevano a Chisso. L’ex assessore è uscito dall’inchiesta patteggiando la pena di due anni e sei mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di corruzione.

Davanti ai magistrati Dal Borgo ha riferito anche degli stretti rapporti intrattenuti da alcuni cavatori con qualche amministratore pubblico, facendo riferimento a finanziamenti ripetuti nel tempo. Vero o falso? È quanto la Procura vuole accertare. Innanzitutto cercando conferme dell’esistenza di eventuali contributi, per poi verificare, in caso affermativo, se si sia trattato di versamenti regolari oppure no. E se tali versamenti fossero riferibili a specifici atti amministrativi.

La questione delle cave è una tra le più delicate e controverse. Da circa 30 anni il Veneto è in attesa di una legge e del relativo Piano regionale che regolamenti il settore per evitare che prosegua lo sfruttamento selvaggio del territorio. Invano. Per ben tre volte, dal 2003, il testo di legge approntato tra mille difficoltà in Regione è stato rispedito al mittente. L’ultima è accaduta pochi mesi fa, nel settembre dello scorso anno. Colpa della potente lobby dei cavatori, denunciano gli ambientalisti. Rinvio giustificato semplicemente della complessità della materia, si sono giustificati in Regione, auspicando che la normativa possa essere approvata prima della conclusione della legislatura, cioè entro la prossima primavera. Obiettivo alquanto ambizioso. Nel frattempo anche la Procura potrebbe iniziare a scavare.

 

MOSE – Il presidente di Assoagenti: «Le autorità non si fidano a far passare unità sopra i 218 metri»

MALAMOCCO – La conca di navigazione pensata per le navi lunghe fino a 280 metri. Al momento possono però passare solo navi medio-piccole

D’accordo, da una conca di navigazione progettata per navi fino a 280 metri e larga fino a 39 non potrà passare nemmeno una delle navi da crociera di nuova generazione. Questo è assodato perché tutte le unità più recenti superano queste misure. Il problema ancora aperto riguarda invece la possibilità di far arrivare in porto, con il Mose alzato, le navi di dimensioni inferiori a quelle di progetto.

Per Alessandro Santi, presidente di Assoagenti Veneto, l’associazione che raggruppa gli agenti marittimi e raccomandatari che si servono quotidianamente del porto di Venezia, le rassicurazioni fornite dall’ingegner Redi, direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, non sono sufficienti. Redi, un paio di giorni fa aveva detto che erano passate per la conca durante la posa dei cassoni del Mise oltre cento navi fino a 218 metri. Navi più grandi, aveva poi detto Redi, non ne sono passate e quindi non si sono potute fare le prove.

«Durante il periodo di posa dei cassoni iniziata il 19 giugno e terminata il 16 ottobre – smentisce Santi – il porto ha avuto l’entrata di 15 unità con lunghezza superiore ai 218 metri (tra le quali la mv Fyla da 235 metri). Quindi, contrariamente a quanto evidenziato da Cvn, vi sono state navi di dimensioni maggiori che potevano essere fatte transitare per la conca. Vi sono state molte navi di dimensioni comunque inferiori a quelle di progetto che non sono state fatte transitare per la conca ma hanno dovuto aspettare di transitare per la canaletta, proprio per i limiti imposti dalle autorità competenti, che evidentemente non si fidavano di farle passare per la conca. Questo – continua – a conferma della non idoneità della conca con i dati di progetto. E navi di tali dimensioni scalano regolarmente il nostro porto: le autorità competenti, a loro discrezione, possono provvedere a farle transitare in conca».

Ma gli agenti ne hanno anche per il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Costa, il quale afferma che con il molo offshore i problemi per le unità più grandi saranno risolti.

«Sulla base degli accessi del 2014, anche in presenza della piattaforma offshore per container e prodotti petroliferi, circa 2000 unità transitano annualmente in ingresso e altrettante in uscita – puntualizza Santi – Di queste, almeno 350, allo stato attuale e con i limiti in essere, sarebbero interdette al transito in conca».

Tra queste ci sono anche le preziose navi portacarbone che riforniscono la centrale Enel di Fusina.

«Ribadisco – conclude Santi – che gli operatori portuali e gli armatori che rappresento, richiedono semplicemente alle autorità preposte che la conca garantisca l’agibilità portuale con navi fino a 280 metri come da progetto e da accordi sottoscritti».

Michele Fullin

 

Acquisiti gli atti sui 50 milioni che la Regione ha destinato al restauro dello Studium e del palazzo del Patriarca. Gli errori sui lavori alla bocca di porto di Malamocco

VENEZIA – Un’indagine sulla pioggia di milioni di euro erogati dalla Regione Veneto a favore dello Studium Marcianum inaugurato nel 2008, voluto dall’ex patriarca di Venezia Angelo Scola, e un’altra indagine sulla conca di navigazione realizzata da Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova in bocca di porto di Malamocco – per far entrare le navi in laguna quando il Mose sarà alzato – che il porto di Venezia ha chiesto al ministero delle Infrastrutture di modificare (progetto da 15 milioni di euro) perché troppo piccola per far transitare in sicurezza le navi oltre i 280 metri di lunghezza.

Sono le due nuove inchieste avviate dal procuratore della Corte dei conti Carmine Scarano (conca di navigazione) e dal procuratore aggiunto Giancarlo Di Maio (Marcianum) sul fronte sempre più controverso delle spese di “salvaguardia” della laguna di Venezia. Marcianum.

La Procura veneta ha in corso da qualche mese un’indagine contabile sui 50 milioni di euro di Legge speciale che la Regione Veneto – allora retta da Giancarlo Galan – aveva stornato dalle opere di disinquinamento (cui erano per legge destinati) per assegnarli alla Curia veneziana per il restauro del palazzo patriarcale in piazza San Marco e la nascita dello Studium Marcianum in Punta della Salute, ambizioso e patinato polo teologico-culturale voluto dall’allora patriarca Angelo Scola. Scuola media, liceo classico, facoltà di Teologia per qualche anno finanziato con generosi contributi pubblici e privati. O entrambi: come nel caso dei 100 mila euro del Consorzio Venezia Nuova che l’allora presidente del Cvn e della stessa Fondazione Studium Marcianum, Giovanni Mazzacurati non mancava mai di versare.

Poi i conti che non tornano, l’inchiesta sulle Tangenti Mose che ha fatto venire meno i finanziatori più ricchi e “fedeli”, la decisione del patriarca Francesco Moraglia – appena giunto a Venezia, nel 2013 – di chiudere l’esperienza Marcianum, per non dipendere da chicchessia. E ora l’indagine della Corte dei conti per verificare se vi sia stato un uso improprio dei fondi di Legge speciale, partendo da quanto segnalato da un articolo della scorsa estate de “La Nuova di Venezia e Mestre”, che ripercorreva il fiume di finanziamenti erogati dalla Regione Veneto al Marcianum – e al Patriarcato – per anni gigantesco cantiere per trasformare il vecchio seminario in Punta della Salute nel polo culturale ecclesiastico in laguna, con tanto di foresteria da 70 camere, spazi di ristoro, sale multimediali, biblioteca, spazi espositivi e sale congressi. Come foresteria, uffici e nuove sale vennero realizzate anche nel palazzo patriarcale di San Marco.

Si potevano spendere a questo scopo fondi di Legge speciale per il disinquinamento? Questo intende chiarire l’indagine, con i finanzieri del Nucleo Tributario incaricati di acquisire la documentazione.

Mose e conca di navigazione. Di ieri, invece, la decisione del procuratore veneto Carmine Scarano di aprire un fascicolo contabile per stabilire se vi sia o meno qualche ipotesi di danno erariale in merito a una notizia delle ultime ore: la conca di navigazione realizzata sulla diga di Pellestrina – per garantire il transito delle navi anche in caso di Mose in attività – e costata 280 milioni di euro, va già modificata. Costo, altri 10-15 milioni, Sin dal 2006 i piloti del porto avevano evidenziato il fatto che la “lunata” realizzata a protezione della conca era troppo vicina e le navi superiori ai 280 metri avrebbero avuto difficoltà di manovra. Allarme rilanciato anche dalla Capitaneria di Porto, ma sempre respinto dal Magistrato alle Acque. Ora il presidente del Porto Paolo Costa – che la conca aveva voluto da allora sindaco di Venezia – ha formalizzato al ministero un progetto, per realizzare una sorta di muro di sponda rafforzato dove le navi possono appoggiarsi per virare e allinearsi. Bisognava farlo prima? C’è danno? Questo intende verificare l’indagine.

Roberta De Rossi

 

Il bacino consente il transito fra due specchi d’acqua

Ma cos’è la conca di navigazione? È un apparato idraulico interposto tra due specchi d’acqua, collocati a un livello differente. La sua funzione è quella di garantire il passaggio di navi, imbarcazioni e natanti. La conca di navigazione viene utilizzata ad esempio, per consentire la navigazione tra il mare e le acque interne. Detta anche bacino di navigazione, la conca è costituita da due o più paratoie stagne mobili; da un invaso; da un sistema di tubazioni e valvole. Attraverso il sistema di valvole si mette in comunicazione l’invaso con lo specchio d’acqua da cui proviene l’imbarcazione. Per il principio dei vasi comunicanti il livello all’interno del bacino raggiunge quello esterno, permettendo l’accesso dei natanti all’interno della conca. Il sistema di conche di navigazione più conosciuto al mondo è quello del canale di Panama. I bacini vengono largamente usati nel Nord Europa per mantenere isolato dal mare (e, nel contempo, consentirgli di comunicare con esso) il vasto sistema di canali navigabili interni.

 

Inchiesta dell’Espresso da oggi in edicola: comandano sempre gli stessi

I Gattopardi del Mose

VENEZIA «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». La tesi espressa da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, Il Gattopardo, sembra attagliarsi alla perfezione al destino del Mose, a sette mesi dal maremoto giudiziario che lo ha travolto. Non è un caso, insomma, che sia intitolata «I gattopardi non mollano il Mose» l’inchiesta, firmata da Gianfranco Turano con la collaborazione di Alberto Vitucci, che appare sull’Espresso, in edicola da oggi. «Il nuovo e sorprendente protagonista degli affari in laguna è l’incontenibile prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, amico del piduista e piquattrista Luigi Bisignani, nonché cinghia di trasmissione di chi ha spadroneggiato sui sei miliardi di appalto del Mose e non intende lasciare la presa». È proprio lui, il prefetto Pecoraro – raccontano Turano e Vitucci – che ha redatto l’ordinanza di commissariamento che ha dato il benservito a Mauro Fabris e ha nomina i due nuovi commissari del Consorzio Venezia Nuova: Luigi Magistro, braccio destro di Gherardo Colombo, ai tempi di Mani Pulite, e di Francesco Ossola, progettista dello Juventus stadium. Prima di Natale – si ricorda nell’articolo – il prefetto Pecoraro è addirittura sbarcato in laguna, nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale, e ha incontrato i rappresentanti delle tre principali imprese del Mose: Alberto Lang, per Condotte; Salvatore Sarpero, direttore generale di Fincosit; Romeo Chiarotto, proprietario della Mantovani. Insomma, i lavori saranno completati dalle stesse imprese che li hanno iniziati. Mentre i commissari resteranno in carica «fino a collaudo avvenuto». Questo significa almeno 2018 se i lavori, dopo l’ultimo slittamento, saranno completati nel 2017.

 

Il via libera al processo della giunta elezioni del Senato

«Matteoli incassò 550 mila euro per gli appalti a Socostramo»

VENEZIA – Un investimento di 25 mila euro per acquistare le quote aveva fruttato ben 48 milioni di utili. Molto più che un Gratta e Vinci quello strappato dall’impresa romana Socostramo srl dell’imprenditore Erasmo Cinque. Che, senza eseguire alcun lavoro, alla fine grazie all’ex ministro Altero Matteoli aveva guadagnato qualcosa come 48 milioni di euro. Un quadro chiaro e denso di prove quello ricostruito dai tre giudici per il Collegio dei reati ministeriali del Tribunale veneziano che ha chiesto – e ottenuto – dal Senato l’autorizzazione a procedere per l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti Altero Matteoli e i suoi «correi» Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Nicolò Buson, Erasmo Cinque e William Colombelli.

I tre giudici (Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi) ricostruiscono nella memoria inviata ai senatori i passaggi chiave che dimostrerebbe l’esistenza del reato di corruzione. Il reato, secondo i giudici, nasce in laguna nel giugno 2003 e continua nel maggio 2011, quando vengono sottoscritti gli «atti di impegno» per avviare il disinquinamento delle aree di Porto Marghera. Nell’ottobre del 2001 viene firmato il primo atto di transazione tra lo Stato e la Montedison che si impegnava allora a versare 271 milioni di euro a titolo di risarcimento per l’inquinamento prodotto a Marghera. L’ipotesi sostenuta da Matteoli è quella di affidare gli importi e l’attività di disinquinamento al Consorzio Venezia Nuova. Ma la condizione perché questo avvenga «è che di quei fondi doveva beneficiare la società Socostramo». Che nel novembre del 2000 era entrata a far parte della compagnia consortile di Venezia Nuova con una cifra irrisoria dello 0,006583 per cento, investendo poche migliaia di euro. Quota non sufficiente per partecipare a lavori così importanti, per cui del resto la Socostramo non era neanche attrezzata. Il rimedio è presto trovato: Mazzacurati assegna i lavori con il metodo del «fuori quota», e Baita associa l’impresa alla Mantovani, che effettua realmente i lavori. E rinuncia al 50 per cento dei suoi introiti in favore della piccola impresa.

Il Consorzio da parte sua, continua la memoria dei giudici, «beneficiava di un cosiddetto onere del concessionario per un ammontare complessivo di oltre 60 milioni di euro». Un’operazione con soldi dello Stato da cui tutti gli imputati traggono vantaggio. Matteoli avrebbe ricevuto secondo le indagini 400 mila euro in contanti da Mazzacurati e Baita, 150 mila da Colombelli e Nicolò Buson. «Le indagini hanno dimostrato un totale asservimento dei presidenti del Magistrato alle Acque (Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva) al volere di Mazzacurati, che li remunerava con denaro contante ed utilità». E un «asservimento al Consorzio Venezia Nuova da parte di Altero Matteoli, nella sua veste di ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture». Quanto all’imprenditore Cinque, «forte del suo rapporto con Matteoli, decideva le sorti dei presidenti del Magistrato alle Acque». E il legame tra i due era talmente forte che l’imprenditore convocava nel suo ufficio Cuccioletta. «Per redarguirlo e minacciare il suo trasferimento a direttore del Personale».

Alberto Vitucci

 

Il processo a milano

Il Consorzio Venezia Nuova parte civile contro Milanese

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato ma un tempo guidato da Giovanni Mazzacurati, il principale artefice del presunto «sistema corruttivo»al centro dello scandalo Mose, è parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri era in aula.

Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi.

Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia, che aveva come obiettivo quello di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine: insomma, in tal caso, secondo i difensori, l’inchiesta avrebbe dovuto partire da zero.

Il pm Roberto Pellicano, inoltre, in base alla sentenza con cui lo scorso 28 novembre la Cassazione ha scarcerato Marco Milanese, rimettendolo in libertà, ha leggermente modificato il capo di imputazione. Ha «bocciato» il reato di traffico di influenze ipotizzato nel provvedimento con cui oltre un mese fa la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere ma ha riformulato l’accusa: ha ritenuto sia corretto contestare all’ex deputato del Pdl il concorso in corruzione ma, e questa è la differenza rispetto a prima, non con un ruolo di pubblico ufficiale bensì con una veste di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e i rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’Economia che era anche presidente del Cipe».

Fu proprio il Cipe a decidere il maxistanziamento che nel 2003 ha di fatto sbloccato gli appalti per le paratoie del Mose da collocare nelle tre bocche di porto della laguna di Venezia. Per l’accusa Mario Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro da Mazzacurati in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni» per il Mose che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia. Il processo è stato aggiornato il prossimo 19 febbraio sempre a Milano.

 

SCANDALO IN LAGUNA

Il Consorzio Venezia Nuova si è costituto parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti. Mauro Fabris, già presidente, conferma che la decisione, presa ad ottobre, interesserà anche altri processi.

 

MAURO FABRIS «Una decisione presa ad ottobre, sarà così anche in altri casi»

TRIBUNALE – La costituzione è avvenuta nell’udienza a carico dell’ex braccio destro del ministro Tremonti

Processo a Milanese. Consorzio parte civile

Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato, si è costituito parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri mattina era in aula.
Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi. Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia e cioè di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine.

Secondo l’accusa Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro dall’ex presidente Giovanni Mazzacurati in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni» per il Mose e che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia.

«Si tratta di una decisione che avevamo preso lo scorso ottobre – spiega Mauro Fabris, già presidente del Consorzio che ora è guidato dai commissari – è una linea che il consiglio di amministrazione aveva scelto tempo fa e che viene seguita in ogni vicenda processuale di questo tipo. Anche sui recenti patteggiamenti valuteremo, non appena sarà depositata la sentenza, di diventare parte lesa. Siamo intenzionati a costituirci parte civile anche sul fronte dei prossimi processi in città legati alla vicenda del Mose. Penso al caso dell’ex sindaco Orsoni, ma non solo in quella circostanza».
Il processo a carico di Milanese è stato aggiornato al prossimo 19 febbraio.

 

PROCESSO MOSE – “Venezia Nuova” parte civile contro Milanese

MILANO – Il Consorzio Venezia Nuova, ora commissariato ma un tempo guidato da Giovanni Mazzacurati, il principale artefice del presunto “sistema corruttivo” al centro del caso Mose, è parte civile al processo in corso a Milano a carico di Marco Milanese, l’ex parlamentare ed ex braccio destro dell’allora ministro Giulio Tremonti e che ieri era in aula. Ad ammettere come parte civile il Cvn, così come il ministero dell’Economia, sono stati i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano presieduti da Oscar Magi. Il collegio non ha invece accolto le eccezioni presentate dall’avvocato Bruno La Rosa, uno dei difensori di Milanese, tra cui quella sull’incompetenza territoriale a favore di Venezia e cioè di ritrasferire il procedimento nella sede in cui è nato ed è incardinato il filone principale di indagine. Il pm Roberto Pellicano ha leggermente modificato il capo di imputazione. Ha ritenuto sia corretto contestare all’ex deputato del Pdl il concorso in corruzione ma, e questa è la differenza rispetto a prima, non con un ruolo di pubblico ufficiale bensì con una veste di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e i rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’economia che era anche presidente del Cipe”.

 

VENEZIA – L’ex ministro Matteoli può essere processato per corruzione per le vicende legate al Mose e alle bonifiche di Marghera. Il via libera è arrivato ieri dal Senato, che ha approvato a maggioranza (voto favorevole di Pd, Psi, Cinquestelle, no di Forza Italia) la richiesta di autorizzazione a procedere inviata dal Tribunale di Venezia («Collegio per i reati ministeriali») al presidente del Senato Pietro Grasso nell’ottobre scorso. Richiesta prevista dall’articolo 96 della Costituzione e dall’articolo 5 della Legge Costituzionale del 1989.

Sono parole molto pesanti quelle con cui i tre pm del Tribunale veneziano (Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi) hanno chiesto al Senato – e ieri ottenuto – l’autorizzazione a procedere in giudizio per l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture. Insieme a lui, come prevede la stessa legge, è arrivata l’autorizzazione a indagare anche per i «correi» coinvolti nell’inchiesta della procura veneziana sulla corruzione Mose.

Nella fattispecie l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita, gli imprenditori Nicolò Buson, Erasmo Cinque, William Ambrogio Colombelli.

«Le motivazioni della Procura veneziana sono state condivise dalla maggioranza dei senatori», commenta Felice Casson, senatore veneziano che fa parte della giunta per le autorizzazioni a procedere di Palazzo Madama, «è giusto che si faccia la massima chiarezza su questa vicenda».

Accuse pesanti quelle che pendono sul capo dell’ex ministro Altero Matteoli, nominato due volte responsabile dell’Ambiente – e poi anche delle Infrastrutture e Trasporti – nei governi Berlusconi.

«In violazione dei suoi doveri di imparzialità e di indipendenza», scrivono i giudici, «nell’asservimento delle proprie funzioni agli interessi del Consorzio Venezia Nuova», l’ex ministro avrebbe lavorato per far assegnare allo stesso Consorzio e alle imprese consorziate i finanziamenti per la bonifica di Marghera, in violazione della normativa sulle gare d’appalto, del codice sui contratti pubblici e delle direttive europee».

Sempre Matteoli avrebbe anche garantito a Mazzacurati e al Consorzio la nomina di un presidente «compiacente» (Patrizio Cuccioletta), completamente a disposizione del Consorzio venezia Nuova».

In cambio Matteoli, scrivono i giudici, «avrebbe ricevuto danaro contante direttamente da Mazzacurati e Baita nell’importo di 400 mila euro e altri 150 mila euro consegnati da Colombelli e Buson».

L’ex ministro di Forza Italia avrebbe anche ottenuto dal Consorzio l’assegnazione del subappalto della bonifica all’impresa Socostramo srl, «procurando a questa e al suo amministratore Erasmo Cinque un utile pari a 48 milioni, 672 mila 512 euro e 98 centesimi». Adesso le indagini possono proseguire anche sull’ex ministro.

Alberto Vitucci

 

DIFFICILE La conca di navigazione. Per gli operatori portuali c’è difficoltà di allineamento

COSTA (PORTO) «È già piccola. Per quello serve il molo offshore»

MOSE – Il direttore Redi risponde alle preoccupazioni degli agenti marittimi sulla funzionalità della struttura

La conca di navigazione di Malamocco funziona, almeno con le navi medio – piccole. Certamente non con le navi di ultima generazione, essendo stata progettata per sopportare il passaggio di scafi lunghi fino a 280 metri, larghi 39 e con pescaggio di 12.

Il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi, replica così alle preoccupazioni degli operatori marittimi veneziani. In particolare è stato il presidente dell’Associazione agenti e raccomandatari marittimi del Veneto, Alessandro Santi, a ricordare come al Ministero delle Infrastrutture siano state depositate formali richieste di intervento correttivo perché il complesso conca e lunata di protezione non consente il corretto allineamento delle navi soprattutto in entrata.

«Come non funziona? – risponde Redi – per quella conca sono passate un centinaio di navi mentre posavamo i cassoni. Navi lunghe fino a 218 metri, perché di più grandi in quel periodo non ne erano arrivate. Il Consorzio ha realizzato l’opera così come era stata progettata e approvata. E se qualcuno ritiene debbano essere fatte migliorie per un accosto più veloce se ne può parlare».

Anche i Piloti del porto (coloro che “guidano” le navi all’interno della laguna) condividono le preoccupazioni sulla mancanza di spazio per un corretto allineamento. Una situazione – dicono – che può però essere corretta facilmente. Per Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale, il limite era evidente da tempo e per questo è stato concepito il porto offshore.

«Il sistema Mose – specifica Costa – non è solo le barriere mobili, ma comprende anche la conca di navigazione e, dal Comitatone del Luglio 2011 anche la piattaforma offshore. La conca era stata disegnata a fine anni ’90 quando le navi erano più piccole e strette. Poi, ci siamo accorti che le navi oggi sono più di 300 metri e quindi la conca, anche perfettamente funzionante, non sarebbe stata sufficiente. Questo è sulle carte. Invece – aggiunge – ci siamo accorti che ha comunque un difetto di allineamento. Come si può fare per rimediare? Bisognerebbe realizzare una sorta di “muretto” su cui la nave si possa appoggiare, allineandosi e quindi entrare in sicurezza».

 

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