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Passa l’ipotesi Costa sul nuovo canale. Ma il Comune vota contro, Provincia e Comune di Mira si astengono.

Orsoni: «È l’opinione del Porto, non della città»

Avanti con il nuovo canale per le grandi navi. No a Marghera e «sì» al mantenimento delle navi da crociera in Marittima. Il presidente del Porto Paolo Costa tira dritto. E si fa dare mandato a maggioranza dal Comitato portuale per presentare l’alternativa su cui lavora da tempo. Ieri mattina il voto. Ma il Comune, rappresentato dal nuovo assessore alle Attività produttive Alfiero Farinea, ha votato no. «Non è questa l’opinione del Comune», dice, «noi presenteremo un nostro progetto alternativo». Astenuti anche la Provincia e il comune di Mira. «Non abbiamo visto questi progetti alternativi», dice il rappresentante di Ca’ Corner, il leghista Giovanni Anci. Favorevole invece il rappresentante della Regione, l’assessore pdl Renato Chisso. Ma il sindaco Orsoni non ci sta. Ieri a Roma per la riunione dell’Anci, annuncia battaglia già stamattina alla presentazione dell’anno portuale. «Quella di Costa è l’opinione del Porto, ho chiesto al governo che a decidere sia la città», dice il sindaco. Il Comune sta lavorando sull’ipotesi Marghera, per recuperare le banchine dell’ex Syndial e adibirle all’attracco delle grandi navi. «È l’unica soluzione realizzabile in tempi brevi», dice Orsoni. Ma il Porto insiste. «Il 25 luglio presenteremo al ministero», scrive Costa in una nota, «il progetto realizzato insieme alla Capitaneria di porto e al Magistrato alle Acque, che prevede di allontanare le navi di stazza superiore alle 40 mila tonnellate dal percorso che dal Lido porta alla Marittima attraverso San Marco e il canale della Giudecca». Progetto che prevede di far arrivare le navi sempre in Marittima («La sola indicazione utile a garantire la vitalità del comparto croeristico) attraverso la bocca di Malamocco e quindi via canale Contorta, che andrà allo scopo adeguato».

Un «no» senza appello all’ìpotesi Marghera. «Quelle aree non possono essere utilizzate per le navi da crociera», conclude la nota, «per non compromettere l’attività e quindi l’occupazione del porto commerciale e delle industrie del’hinterland che da questo dipendono». Analisi condivisa dalla Cgil. «L’idea del Comune è inadeguata», commenta il segretario Umberto Tronchin, «le crociere vanno mantenute in città perché danno lavoro a 5 mila persone, e a Marghera non c’è spazio per i due traffici insieme». Franco Corradi, rappresentante delle aziende terminalistiche, dice di «condividere appieno» la proposta del presidente Costa. Spostando le crociere a Marghera», scrive, «molte aziende sarebbero costrette a chiudere». Opinioni diffuse all’interno del Comitato portuale, organismo che comprende sindacati, industriali ed enti locali, da sempre schierato a sostegno delle iniziative dell’Autorità portuale. Ma il dibattito è aperto. Il 25 luglio è convocata a Roma la riunione al ministero delle Infrastrutture che dovrebbe autorizzare l’approfondimento di progetti alternativi condivisi. Il Contorta, ipotesi su cui il Porto lavora da mesi. Ma anche Marghera (il progetto sarà illustrato dal Comune nelle prossime settimane). E poi la Marittima a Punta Sabbioni di Cesare De Piccoli, l’opzione di fermare le navi a Santa Maria del Mare, anche questa rilanciata da Costa «ma a patto che si costruisca anche la sublagunare». Poi c’è l’opzione zero, lanciata dai comitati e rinvigorita dopo gli ultimi incidenti. «È un modello distruttivo, bisogna cambiare». Dibattito infuocato e scontro di poteri.

Alberto Vitucci

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Ordinanza Clini-Passsera del marzo 2012, ma in laguna c’è la deroga

Un anno e mezzo di deroghe. Di tutte le aree sensibili del Paese, l’unica ad avere avuto sospesa l’ordinanza Clini Passera è proprio la più delicata di tutte. Dopo la tragedia del Giglio e l’affondamento della Costa Concordia, il governo Monti aveva approvato un decreto per limitare l’accesso delle grandi navi superiori alle 40 mila tonnellate nelle aree a rischio. Ma a Venezia il decreto non è mai stato applicato. «Aspettiamo le alternative progettuali», aveva detto il ministro Corrado Clini nel marzo del 2012. Un anno e mezzo dopo, le alternative sono ancora soltanto ipotesi, e sulla soluzione non c’è accordo. Intanto le grandi navi da crociera aumentano di numero e di dimensioni. Le più grandi possono portare 4 mila passeggeri e 1500 uomini di equipaggio, misurano 330 metri di lunghezza e oltre 60 di altezza, con una stazza lorda di 135 mila tonnellate.(a.v.)

 

Gazzettino – Venezia. Crociere, il Porto “marcia” su Roma

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28

giu

2013

LA POLEMICA – Replica a Orsoni «Marghera non può ricevere i passeggeri»

GRANDI NAVI – Continua il braccio di ferro con il Comune. E oggi si inaugura l’anno portuale

Il Comitato Portuale dà mandato al presidente Costa per presentare al ministero il progetto del canale Contorta

Ormai è un botta e riposta quotidiano. Se uno attacca, l’altro ribatte contrattaccando. Il tema, è quello delle grandi navi, Porto e Comune (Paolo Costa e Giorgio Orsoni) sono ai ferri corti, si sa. L’ultimo atto di questo braccio di ferro su dove mandare le crociere allontanandole da San Marco (in Marittima con lo scavo del canale Contorta secondo il Porto, a Porto Marghera secondo il Comune), si è consumato ieri, quando il Comitato Portuale che ha dato mandato al presidente Paolo Costa di presentare – alla riunione indetta a Roma il prossimo 25 luglio dai Ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente – il progetto realizzato assieme alla Capitaneria di Porto e al Magistrato alle Acque, che prevede appunto di allontanare le navi di stazza superiore alle 40mila tonnellate dal percorso che dal Lido porta alla Marittima attraverso il Bacino di San Marco e il canale della Giudecca. Il progetto prevede di far giungere le navi in Marittima attraverso la Bocca di porto di Malamocco e quindi via canale Contorta-S.Angelo, che andrà allo scopo adeguato, per consentire il passaggio delle navi in andata e ritorno, senza transitare così davanti a San Marco.
«La Marittima – si legge in una nota dell’Autorità portuale – viene quindi considerata come la sola localizzazione utile, nel medio periodo, per garantire la vitalità del comparto crocieristico ritenuto di assoluta importanza per l’economia portuale, veneziana, regionale e nazionale. Il Comitato ha anche confermato la propria convinzione che le aree di Marghera non possano essere utilizzate per l’attracco delle navi da crociera per non compromettere l’attività, e quindi l’occupazione, del porto commerciale e delle industrie dell’hinterland che da questo dipendono». Posizione rafforzata da Franco Corradi, rappresentante delle aziende industriali terminalistiche in seno al Comitato portuale: «Se la collocazione delle grandi navi nel porto commerciale di Marghera dovesse concretizzarsi – afferma Corradi – è bene che già si sappia che le aziende industriali che servono il traffico delle merci generali e contenitori, saranno costrette alla chiusura con il danno che ne conseguirebbe anche in termini occupazionali». E secondo Umberto Tronchin, rappresentante dei lavoratori in Comitato Portuale «se il Comune pensa di limitare il traffico commerciale a Porto Marghera, noi non siamo assolutamente d’accordo perché esiste una realtà consolidata di imprese e di lavoratori che va assolutamente salvaguardata e garantita.
Una risposta al sindaco Orsoni. Il quale, dopo l’incidente alla nave da crociera Zenith, portata per i soccorsi alla banchina Vecom di Porto Marghera aveva colto lo spunto per dimostrare come, a suo avviso, quella possa essere la destinazione ideale delle grandi navi.
Il Comune sta lavorando su questo progetto, che porterà a Roma il 25 luglio. E a giorni lo renderà noto nei dettagli. Ma, intanto, in questo contesto oggi alle 10.45 si celebra l’apertura dell’anno portuale, con il presidente della Regione, Luca Zaia.

 

Gazzettino – Venezia. “Grandi navi, decide il Comune”

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27

giu

2013

LE ISTITUZIONI  – Il sindaco sempre più fermo: «Quest’ultimo incidente ha mostrato che Marghera è l’alternativa più immediata»

L’assessore Bettin: «Il ministro dell’Ambiente si rimette alla sovranità locale, ma che sia sovranità vera»

«La vicenda della Zenith ha mostrato come l’utilizzo delle banchine di Porto Marghera per ospitare anche le navi passeggeri sia una soluzione fattibile e attuabile in breve tempo».

Il sindaco Giorgio Orsoni torna sull’argomento grandi navi all’indomani del recupero della “Zenith” (47mila tonnellate di stazza, quindi appena al di sopra del limite delle 40mila previste dal decreto Clini-Passera) e dopo che la nave è passata senza grossi problemi lungo il canale dei Petroli.

«Se il passaggio in una fase di emergenza non ha creato problemi – ha aggiunto – vuol dire che si può fare. Il ministro Orlando mi ha fatto un’ottima impressione e ha ragione quando dice che la volontà deve partire dalla città mi trova d’accordo. Noi come comune ce la metteremo tutta per cercare una soluzione condivisa, ma spetta al Comune decidere su cosa è bene per la città».

Tuttavia, nonostante l’ostilità del porto, il quale ritiene che la scelta di Marghera sia impraticabile per motivi di sicurezza, Orsoni ha detto che la sua scelta per un’alternativa transitoria è proprio Marghera.

«Il 25 luglio – ha sottolineato – non andremo all’incontro con il Governo a mani vuote. Stiamo facendo, con le nostre risorse interne, uno studio completo sulla fattibilità dell’idea che porteremo a Roma, possibilmente anche prima di quella data».

L’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, è ovviamente sulla medesima lunghezza d’onda e ritiene che scelte di capitale importanza, quale questa,

“non debbano essere sottratte alla sovranità della città”.

Bettin ha ricordato come, attraverso l’iniziativa del sindaco e del Consiglio comunale, si sia fortemente ribadita la volontà di dire una parola risolutiva sullo scottante argomento, anche in considerazione di quanto dichiarato l’altro giorno dal ministro dell’Ambiente, che aveva rinviato proprio in sede locale la soluzione della questione.

«Apprezziamo – ha dichiarato Bettin – la sottolineatura sulla sovranità politica della comunità locale, ma ribadiamo però che questa deve essere una sovranità vera e cogente, poiché se è limitata solo all’espressione della volontà, ma la competenza per legge è di altri, il nostro rimane solo un esercizio politico, seppure importante».

L’assessore ha puntualizzato quindi i vincoli che il Consiglio comunale ha dato sulla questione delle grandi navi, cioè il rispetto del decreto Clini Passera e nessun impatto devastante sulla laguna.

“Aggiungo anche un’altra questione e cioè: esiste un problema di limiti alla grandezza delle grandi navi oppure no? Perché ora in laguna, a pochi metri da San Marco, passano navi che sono tre, quattro volte più grandi del Titanic, con evidenti rischi».

 

L’AVARIA DELLA ZENITH

Avaria alla Zenith e grandi navi, l’altolà del prefetto.

Cuttaia: «Occorre riflettere, ogni scelta tenga conto di quanto successo martedì»

Notte da incubo per i 1.672 passeggeri ripartiti da Marghera solo all’alba

L’avaria della “Zenith” andrà studiata, anche per valutare meglio i rischi del traffico crocieristico in laguna. Lo ha detto il prefetto, Domenico Cuttaia, che ora attende le «valutazioni della Capitaneria di porto, da trasmettere poi agli organi centrali. É giusto che da un’esperienza importante come questa si acquisiscano tutti gli elementi utili per prendere una decisione». La nave ha attraccato a Marghera solo a mezzanotte e mezza. I passeggeri, stremati, sono stati trasportati in aereoporto per rientrare in Spagna.

Un’inchiesta tecnico-amministrativa per capire le origini dell’incendio sviluppatosi nella sala macchine della “Zenith”, che ha mandato in avaria il motore. Gli esperti della Capitaneria di Porto di Venezia si sono messi subito al lavoro. Ieri mattina hanno ascoltato gli ufficiali e il comandante di macchina della nave della compagnia spagnola Pullmantur. Poi è toccato agli ispettori alla sicurezza della navigazione salire a bordo della Zenith per una prima verifica dei luoghi. Tra gli obiettivi dell’inchiesta, individuare eventuali negligenze all’origine dell’incendio.

 

A BORDO  «Situazione difficile senza corrente elettrica e per alcune ore al buio»

L’EMERGENZA – Ca’ Corner ha coordinato le fasi del recupero della nave da crociera

I rimorchiatori restano in emergenza. La nave deve essere tenuta incollata a riva

Sono state trenta ore di lavoro ininterrotto per i molti soccorritori che hanno contribuito a recuperare la nave Zenith e impedire che passeggeri ed equipaggio rimanessero in mare aperto in balìa delle onde. Anche ieri, nonostante la Zenith si trovasse in banchina legata a solidi cavi, l’emergenza non si è potuta considerare cessata. Senza motori in grado di funzionare almeno per azionare servizi minimi come i verricelli, la nave non è infatti da considerarsi autosufficiente, tanto che sarebbe impossibile per l’equipaggio compiere anche un’operazione di routine come la sostituzione dei cavi in caso di colpi di vento. Quindi, anche sui terminali di Vecon, l’emergenza è continuata tutto il giorno, con il personale della Capitaneria di porto (l’autorità marittima) a coordinare le operazioni.
Particolarmente delicato il lavoro dei rimorchiatori della Panfido, che dopo aver agganciato la nave in mare e averla trainata fino alle acque sicure di Porto Marghera, sono stati impegnati almeno fino alla tarda serata di ieri. Anzi, invece di quattro ce n’erano tre: due in operatività e uno a disposizione nel caso si verificasse un’emergenza.
I due rimorchiatori sono appoggiati alla fiancata della nave in fase di spinta e così facendo la tengono “incollata” alla riva fungendo in pratica da motori esterni. È interessante sapere come hanno fatto notare anche dalla Capitaneria, che i motori sono rimasti accesi ininterrottamente per un giorno e mezzo e potrebbero rimanere così per molti altri giorni ancora.
Capitaneria ed equipaggio, assieme stanno facendo le verifiche tecniche per vedere se la nave è in grado di alimentarsi per avere i servizi essenziali di bordo e far quindi cessare l’emergenza: ieri sera ispettori e tecnici erano ancora a bordo.
Al momento, infatti, a fornire energia elettrica sono alcuni gruppi elettrogeni esterni che sono stati posizionati in banchina.

 

Il prefetto: «Incidente che fa riflettere»

Cuttaia: «Un episodio che ci deve aiutare a prendere le decisioni giuste in tema di grandi navi»

Un «caso grave di incidente», fortunatamente risoltosi senza danni. E un’«esperienza importante» per Venezia e la sua macchina della protezione civile, «da cui trarre tutti gli elementi di valutazione possibile per poi prendere delle decisioni» anche sul futuro delle grandi navi in laguna.

Così, il giorno dopo l’avaria della “Zenith”, il prefetto Domenico Cuttaia non si sottrae alle domande su cosa sarebbe potuto accadere se la nave da crociera si fosse fermata in mezzo al Bacino di San Marco o nel canale della Giudecca, a ridosso delle case.

«Non sono un tecnico – ha risposto il prefetto -. Ma attendo dalla Capitaneria di porto le valutazioni tecniche a riguardo, da trasmettere poi agli organi centrali. É giusto che da un’esperienza importante come questa si acquisiscano tutti gli elementi utili per poi valutare il dafarsi».

Insomma le disavventure della “Zenith” contribuiranno a chiarire il quadro sui rischi di questo traffico lagunare, tanto importante quanto contestato.
Intanto la Prefettura si gode la soddisfazione di un’emergenza superata brillantemente. Cuttaia non nasconde le difficoltà della lunghissima giornata: iniziata alle 4.20 del mattino, quando la nave al largo di Chioggia ha lanciato il segnale d’allarme, finita alle 5 del mattino del giorno dopo, quando è partito l’ultimo dei cinque voli charter con a bordo gli sfortunati crocieristi.

«Ci sono stati momenti in cui ci siamo preoccupati davvero – ha rivelato il prefetto – Il guasto era importante. E il disagio è stato grande, perché in una nave senza energia i passeggeri non potevano stare nelle cabine, non era possibile cucinare pasti caldi e poi è calato il buio».

Per tutto il pomeriggio la protezione civile si è preparata all’arrivo dei 1.672 passeggeri (tutti spagnoli, tranne 200 giapponesi) e i 603 membri dell’equipaggio, con tanto di riunione serale a cui hanno partecipato proprio tutti: forze dell’ordine, sanitari, volontariato.

«Avevamo studiato due possibili strade – ha raccontato il prefetto – l’imbarco immediato sugli aerei per il rientro in Spagna o una sistemazione alberghiera che, grazie a Federalberghi, avevamo trovato a Jesolo, a Mestre non era possibile».

Alla fine si è optato per la prima soluzione: sono stati trovati una trentina di pullman e organizzati otto charter per la Spagna (uno da Bologna, gli altri da Tessera), mentre in albergo sono stati sistemati solo i 200 giapponesi.
La nave è arrivata a Marghera a mezzanotte e mezza, dopo una lentissima navigazione al traino dei quattro rimorchiatori.

«É stata un’operazione tecnica molto complessa – ha sottolineato Cuttaia – E il momento più difficile è stato proprio l’ingresso in banchina, ma è andato tutto bene. Noi eravamo schierati per ogni evenienza, c’erano anche i sommozzatori. Tra porto e aeroporto, avevamo mobilitato 200 persone».

Complicate anche le operazioni di sbarco da una nave completamente al buio, finite dopo le tre di notte, con i vigili del fuoco impegnati ad accompagnare i crocieristi con le torce per le scalette.

«Erano tutti esausti e anche arrabbiati, ma trovare l’assistenza li ha un po’ rasserenati – ha concluso il prefetto – Alla fine ci ha ringraziato anche il console di Spagna».

 

L’ASSISTENZA – Cibo e ristoro prima di salire sui bus

SCHIAVON (AJA)  «Una macchina ben rodata»

IL PIANO – E gli hotel di Jesolo hanno messo a disposizione subito 650 stanze

(g.b.) Pronti in meno di un’ora ad accogliere 1100 persone. È stata questa la risposta della città alla richiesta della Prefettura che agli albergatori jesolani, martedì sera, ha chiesto la disponibilità ad ospitare gran parte dei passeggeri che su trovavano a bordo della “Zenith”. E da Jesolo la risposta non si è fatta attendere. In tutta fretta l’Aja, l’Associazione albergatori della città, ha allestito una vera e propria «unità di crisi» capace di dare le prime risposte in mezz’ora mettendo a disposizione 650 camere rimaste poi inutilizzate visto che tutti i passeggeri una volta a terra sono stati trasferiti all’aeroporto di Tessera per tornare in Spagna. «Abbiamo ricevuto la richiesta della Prefettura alle 19.30 – spiega Massimiliano Schiavon, presidente degli albergatori – e alle 20 abbiamo dato la certezza di poter accogliere 1100 naufraghi. Appena ricevuta la richiesta abbiamo richiamato in servizio il personale dell’Associazione visto che ormai gli uffici erano chiusi. Assieme agli addetti di un’agenzia di viaggio abbiamo avviato tutte le procedure necessarie per reperire le camere richieste, trovando tra l’altro un’immediata disponibilità da parte dei nostri soci». Schiavon sottolinea quindi la rapidità della categoria nel garantire una disponibilità di camere così elevate: «La macchina organizzativa che abbiamo allestito in pochi minuti è stata perfetta: si è trattato di un’unità di crisi preparata in tutti i suoi aspetti». Due i fattori, inoltre, che hanno spinto la Prefettura a rivolgersi a Jesolo bypassando anche altre località come la stessa Venezia: «La presenza di numerosi alberghi (oltre 300) – conclude il presidente dell’Aja – e il fatto di aver già dato la stessa disponibilità un anno fa in occasione delle alluvioni avvenute in Veneto».

 

Un incubo durato 24 ore. All’alba il rientro in aereo

Tutto è finito alle 4.45 del mattino, quando ormai iniziava ad albeggiare su Venezia. In pratica 24 ore dopo il principio d’incendio che aveva fatto scattare l’allarme e il piano di emergenza a bordo della Zenith. L’ultimo charter che ha riportato in Spagna i passeggeri della sfortunata avventura è decollato alle 4.45 dalla pista del Marco Polo con la benedizione del console spagnolo in Italia giunto da Milano e che per tutto il giorno ha seguito da vicino le operazioni di soccorso della nave battente bandiera maltese dell’armatore Pullmantur.
Una giornata lunghissima per i passeggeri fatta di attese e spostamenti dalla nave ad un bus e dal bus all’aereo. A mezzanotte e 40 la nave è riuscita ad attraccare al terminal “Liguria” della Vecom a Porto Marghera alla fine di via dell’Azoto dopo un lungo e problematico traino dei quattro rimorchiatori reso difficile anche dal mare agitato e dalla corrente che ha ritardato e creato ostacoli alle operazioni di soccorso soprattutto all’ingresso del canale Ovest dove era buio pesto.
A Marghera tutto era pronto per l’accoglienza: la grande macchina operativa messa a punto dalle forze dell’ordine, dalla stessa Vecom, Autorità Portuale, Guardia Costiera, Vigili del Fuoco, società che operano nell’ambito aeroportuale (dagli scaricabagagli, una trentina, agli addetti all’installazione dei bagni chimici, hostess, elettricisti) e Save, su richiesta dell’armatore, ha consentito ai 1.672 naufraghi di potersi sfamare (comprati tramezzini e panini a volontà, oltre bibite di ogni genere), rigenerarsi e quindi salire ciascuno su uno dei 23 bus turistici che da oltre un’ora aspettavano i loro passeggeri in transito per trasferirli allo scalo di Tessera dove han trovato senza problemi le tremila valigie che erano a bordo della Zenith.
I pullman avevano fatto il loro ingresso, puntualissimi, uno dopo l’altro, alle 23.30 dal varco della Dogana del porto commerciale. La Zenith quando ormai è passata da un pezzo la mezzanotte fa il suo ingresso a Marghera, serve più di una manovra per garantire l’attracco in sicurezza, me le operazioni si concludono con successo. I passeggeri sono impazienti di scendere. Ma tutto avviene nel massimo ordine. Uno alla volta i bus escono dalla dogana e partono per il breve viaggio verso il Marco Polo dove i charter giunti dalla Spagna stanno attendendo i naufraghi. Il primo gruppo giunge in aerostazione all’1.40. Il primo dei cinque voli decolla alle 3.08, l’ultimo alle 4.45. Ma grazie al personale Save, a quello degli handler e ai bar rimasti aperti per offrire un caffè e qualcosa di caldo ai passeggeri in attesa dell’imbarco, anche al Marco Polo tutto fila liscio e alle 4.10 lo scalo veneziano è già pronto e in ordine ad accogliere i passeggeri per i primi voli di linea del mattino. Una parte dei passeggeri della nave, circa 350, sono stati trasferiti a Bologna dove sono partiti con un volo per Barcellona, sempre predisposto dalla Paullmantur.
Viaggio sfortunato per i passeggeri spagnoli, esame a livello di logistica e organizzazione per operazioni di soccorso pienamente superato invece da Venezia.

 

IL RECUPERO – La nave è stata trainata a Porto Marghera, dove è giunta a tarda sera proveniente dalla bocca di Malamocco. E sull’utilizzo dello scalo commerciale per i passeggeri è tornata a infiammarsi la polemica tra il presidente del Porto Costa e il sindaco Orsoni. 

INCIDENTE La nave trainata a Marghera dopo 20 ore di odissea. Si riaccende lo scontro Costa-Orsoni

Incendio sulla Zenith al largo di Chioggia alle 4 del mattino, passeggeri sul ponte con i giubbotti

LA PROVENIENZA – L’ultima parte del viaggio era iniziata da Ravenna

ATTIMI DI ATTESA – Passeggeri sul ponte con i giubbotti di salvataggio

L’ALLARME – Alle 4 di mattina l’avviso di pericolo. Aperta l’inchiesta.

Al largo di Chioggia va in avaria un motore della Zenith con a bordo 1.672 turisti spagnoli e 603 persone di equipaggio. In tilt anche l’energia elettrica

L’allerta in Capitaneria e la mobilitazione. Quattro i rimorchiatori e i vigili del fuoco

Distress system call. L’allarme, nella sala operativa della Capitaneria di porto di Venezia, è arrivato con questo segnale, sulla frequenza di emergenza. Erano le 4 e 20. E per gli uomini della Maritime rescue sub centre, questo il nome del servizio che gestisce l’emergenza, inziava una lunga giornata di lavoro. Contattato il comando della Zenith sul posto venivano inviate le tre motovedette della Capitaneria, la motobarca dei vigili del fuoco, i primi due rimorchiatori della Panfido (il Marina C. e l’Hippos) a cui ne sarebbero seguiti altri due (Angelina C. e Ivonne C.). A bordo sono saliti sia vigili del fuoco che marinai della Guardia costiera per seguire da vicino le operazioni di spegnimento e quelle – purtroppo non andate a buon fine – di riaccensione delle macchine. L’operazione di recupero ha comportato la “liberazione” della nave (era all’ancora) e l’aggancio ai rimorchiatori, in modo di arrivare a bassa velocità, circa 3-4 nodi (7 chilometri orari) all’ingresso della bocca di porto di Malamocco scortati dalla Guardia costiera e dai pompieri per poi proseguire fino a Marghera. Le operazioni, con la nave completamente in avaria e priva di elettricità, si sono protratte fino in tarda serata in condizioni meteomarine tutt’altro che favorevoli.

 

La crociera era iniziata da poche ore. La Zenith procedeva nella notte in direzione di Venezia, i passeggeri erano a letto in attesa dell’emozionante sbarco in laguna, quando il fuoco si è sprigionato in sala macchine. Un incendio presto domato, ma l’inizio di un incubo per oltre duemila persone: prima svegliate alle 4 del mattino per indossare le cinture salvagente e radunarsi nei punti di raccolta; quindi bloccate a largo di Chioggia per dieci ore senza elettricità, nella speranza (vana) che il motore potesse essere riparato; poi lentamente trainate dai rimorchiatori fino a Marghera, dove la nave ha gettato gli ormeggi solo in tarda serata. Nessuno si è fatto male e il sistema dei soccorsi coordinato dalla Capitaneria di porto di Venezia ha funzionato, per carità, ma una vacanza è andata in fumo e l’incidente ha già riacceso la polemica sulle grandi navi a Venezia.

 

LA NAVE – Un colosso da 47mila tonnellate ma già con 20 anni di vita 

Un’altra prova di come questi giganti del mare, che solcano quotidianamente il bacino di San Marco, siano pur sempre macchine che si possono rompere. In questo caso la Zenith – con le sue 47.473 tonnellate di stazza, 1.828 passeggeri trasportabili, circa 600 persone di equipaggio – non è nemmeno un gigante. Fabbricata nel 1992, battente bandiera maltese, appartiene alla compagnia spagnola Pullmantur. Oramai da qualche anno arriva a Venezia ogni tre settimane per sue crociere estive, tra coste della Croazia, isole greche e Istanbul. Lunedì era partita da Ravenna dopo aver imbarcato 1.672 passeggeri per lo più spagnoli, scaricati da appositi charter atterrati a Bologna. Mollati gli ormeggi alle 22, doveva arrivate a Venezia alle 7 del mattino per poi ripartire alle 18.

 

Tutto sembrava procedere per il meglio fino alle 4 della notte. Poi l’incendio improvviso, sulle cui cause la Capitaneria di Porto aprirà ora un’inchiesta. L’equipaggio ha provveduto a spegnere le fiamme, mentre scattava l’allarme e sul posto, a circa 16 miglia al largo del porto di Chioggia, arrivavano i primi soccorsi: tre motovedette della Capitaneria di Venezia e Chioggia, una motobarca dei vigili del fuoco, due rimorchiatori della Panfido. Saliti a bordo, i pompieri si sono immediatamente precipitati verso la sala macchine, invasa da un denso fumo. Dopo aver constatato che il fuoco si era sviluppato da un generatore di corrente ad alta tensione, hanno provveduto a circoscriverlo, scongiurando così eventuali danni peggiori. Il comando di bordo aveva, intanto, fermato le macchine della Zenith che dipendono proprio dall’efficienza degli impianti che producono elettricità. Gli assi delle eliche sono, infatti, mossi da grandi motori elettrici, a loro volta alimentati dalla tensione prodotta da un certo numero di generatori di corrente alternata. Raffreddate le macchine, per ore si è sperato di poter far ripartire i motori. Ma il tentativo è fallito. E quando i tecnici mandati dall’ente verificatore hanno confermato che i motori, in quelle condizioni, non potevano essere riavviati, la Capitaneria ha organizzato il rientro via Malamocco. Lunghe ore di attesa e di disagio in una nave che, a corto di energia, si trasforma in un inferno galleggiate. Attorno alle 14 sono stati chiamati altri due rimorchiatori che con gli altri due, molto lentamente (alla velocità di quattro nodi), hanno trainato la nave fino alla bocca di porto di Malamocco. Impresa particolarmente complessa, sia per il traffico che per le condizioni del mare. Gli equipaggi dei quattro rimorchiatori hanno faticato non poco per fornire assistenza alla nave in condizione di mare non facile. Solo in tarda sera, lungo il canale dei petroli, la nave ha raggiunto le banchine della Vecon a Marghera, appositamente liberate per l’emergenza. Nel frattempo Pullmantur e Tositti & Cambiaso Risso, l’agenzia a cui si appoggia l’armatore spagnolo, avevano organizzato il rientro degli sfortunati croceristi. Pullman e di nuovo voli charter per tornare a casa nella notte, stravolti, senza nemmeno aver visto Venezia.

Roberta Brunetti-Michele Fullin (ha collaborato Roberto Perini)

 

Fiamme in sala macchine. Paura sulla nave da crociera

NOTTE DI PAURA

L’INTERVENTO – I pompieri avvolti da fumo. Scongiurati danni peggiori

AREA CHIUSA – Blindato l’accesso alla banchina. Il trasferimento a bordo di bus

PORTO MARGHERA – In serata l’arrivo alla Vecon. Un’odissea durata 20 ore

Il lento rientro attraverso il canale di Malamocco, i passeggeri hanno dovuto affrontare al buio l’ultimo tratto del viaggio

L’ODISSEA – I passeggeri con i giubbotti sul ponte della Zenith

Un’odissea durata circa 20 ore, quella dei 1.828 passeggeri e dei 620 membri dell’equipaggio della Zenith. Una lunga attesa prima di approdare alla banchina Vecon a Porto Marghera, dove ad attenderli c’erano i soccorsi di terra e i bus che dovevano portarli all’aeroporto di Tessera. Da qui, con voli charter, i protagonisti di questa avventura se ne sono tornati in patria, in Spagna per la maggior parte. Le operazioni di recupero e traino della nave, iniziate già di prima mattina, si sono protratte a lungo.

Solo nel pomeriggio la Zenith si è mossa dal largo di Chioggia in direzione Venezia, a una velocità di 4 nodi, scortata da 4 rimorchiatori. Alle 20 la nave era ancora a 4 miglia al largo della bocca di porto di Malamocco, la via più breve per entrare in laguna, con poca energia e i passeggeri stremati anche per il caldo (non c’era corrente e quindi neppure l’aria condizionata che in una nave passeggeri è fondamentale). Le condizioni meteo non hanno aiutato, con vento e mare formato, hanno reso molto difficoltose le operazioni di aggancio. I rimorchiatori della Panfido hanno cercato di portare anche energia elettrica a bordo per azionare gli argani e salpare l’ancora, ma alla fine la decisione è stata quella di tagliare la catena. La nave, in balìa di se stessa senza corrente diventa un contenitore poco abitabile e i passeggeri si sono ammassati sul ponte o vicino ad aperture. L’unica fonte di energia per alcuni servizi primari erano le batterie, che hanno fornito corrente per poche ore. Il traffico delle navi commerciali in uscita dalla bocca di porto di Malamocco ha costretto la Zenith ad aspettare prima di poter entrare. Alle 20.30 finalmente un pilota del porto di Venezia e salito a bordo, a circa un miglio e mezzo da Malamocco, ed è quindi iniziata la fase di entrata. Poco dopo le 21 ha varcato la bocca di porto e, dopo aver percorso il canale dei Petroli, solo alle 23 è arrivata all’ormeggio alla banchina Vecon, nel canale industriale Ovest. Vecon è un terminal per container che, anche se per un certo periodo ha accolto pure traghetti misti merci e passeggeri, non è certo attrezzato come un porto crocieristico. Per cui i vertici e il personale del terminal hanno operato al meglio per organizzare l’accoglienza, grazie anche al nuovo piazzale recentemente inaugurato e non ancora del tutto occupato dai container. In quel punto della banchina l’approdo per la Zenith è stato agevole e i passeggeri hanno potuto trovare sotto bordo i pullman pronti per trasportarli all’aeroporto. 

 

LE POLEMICHE – L’utilizzo della banchina per ormeggiare la Zenith in avaria ha riaperto lo scontro 

LA RISPOSTA «Finalmente il Porto riconosce l’esistenza di una situazione emergenziale»

Giorgio Orsoni sindaco di Venezia

LA PRECISAZIONE «Questa disponibilità supperisce in via eccezionale al bisogno di un porto rifugio»

Paolo Costa presidente del Porto

Il Porto: «Usare la Vecon è stata un’eccezione, meglio il terminal in mare»

Il sindaco: «Questo episodio dimostra che Porto Marghera è la soluzione» 

Il percorso di emergenza fa di nuovo litigare Paolo Costa e Orsoni

Botta e risposta al vetriolo, tra il presidente dell’autorità portuale Paolo Costa, e il sindaco Giorgio Orsoni, sull’avaria della Zenith, fatta ormeggiare, vista l’emergenza, in una delle banchine di Marghera, dopo aver percorso il canale dei petroli, proprio come propone il Comune per tutte le grandi navi. Il primo non ha fatto a tempo a spiegare che questo utilizzo è solo in «in via eccezionale», che servirebbe un porto rifugio nel futuro porto off-shore in mare; che il secondo gli ha ribattuto a muso duro che questa è come una «confessione del Porto» sul fatto che Marghera è, invece, l’unica soluzione possibile all’«emergenza» rappresentata ormai dalle dimensioni stesse delle navi da crociera. Così in giorni di polemica sempre più accesa tra Porto e Comune, l’incidente sembra capitare a fagiolo per rilanciare la tesi del sindaco, determinato a battersi per l’immediato trasferimento delle grandi navi a Marghera. É Costa il primo a parlare, attraverso un comunicato che sembra mettere le mani avanti su un tema tanto controverso. L’Autorità portuale ringrazia la Capitaneria di Porto per i soccorsi, e la Vecon che «ha accettato di ospitare temporaneamente la nave passeggeri, pur dovendo riprogrammare l’attività del terminal commerciale e l’ormeggio delle navi presenti in banchina». Una disponibilità che «sopperisce in via eccezionale alla necessaria identificazione di un porto rifugio per le navi, una necessità alla quale sarà in grado di rispondere il porto off-shore che potrà ospitare – oltre ad un termina petrolifero e uno container – anche uno spazio per soccorrere le navi in difficoltà, a qualsiasi titolo» conclude il presidente dell’Autorità portuale. Quanto basta a scatenare la reazione di Orsoni.

«Questa dichiarazione risolve il problema – ribatte, ironico, il sindaco – Finalmente il Porto riconosce che in situazioni emergenziali si debbono usare le banchine di Marghera. Ma la situazione emergenziale c’è, a prescindere dalla singola nave che va in avaria. É la dimensione stessa delle navi che determina una situazione emergenziale. E quella dell’Autorità portuale è di fatto la confessione che Marghera è la soluzione».

Più esplicito di così. Il sindaco, aggiunge anche di essere pronto a decidere per lo spostamento delle navi a Marghera.

«Questa è la soluzione praticabile nell’immediato. Se invece vogliamo tirarla in lungo e prenderci in giro, possiamo inventarci le cose più fantasiose, anche un porto sopraelevato».

Orsoni ricorda come lo scavo di qualsiasi canale comporti almeno due anni di lavoro, mentre gli eventuali porti off-shore allontano la soluzione di altri vent’anni. Passare per il canale dei petroli e ormeggiare a Marghera, come ha fatto ieri la Zenith, è l’unica cosa che si può fare nell’immediato.

«In passato i governanti del Porto non hanno capito che si sarebbe arrivati a questo punto – continua il sindaco – Ora, se si vuole affrontare il problema con umiltà e serietà, si deve prendere atto che questa è l’unica strada emergenziale».

 

LE REAZIONI DOPO IL CASO ZENITH

I No navi: «E se accadeva in Bacino?»

La replica: «Basta strumentalizzare»

Un appello al ministro Orlando: «Si valutino tutti i progetti»

Venturini (Udc): «La città non può perdere un settore strategico»

Dopo l’incidente della Zenith, il Comitato No grandi navi getta benzina sul fuoco del già acceso dibattito.

«L’incendio scoppiato questa notte nella sala macchine della nave partita da Ravenna – attacca il portavoce del Comitato, Silvio Testa – dimostra una volta di più quanto sia inconsistente la sicumera con cui il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Costa, e il suo sodale della Venezia terminal passeggeri, Sandro Trevisanato, liquidano la possibilità di incidenti nel cuore della città e in laguna. Per non andare alla deriva senza motori – aggiunge – la Zenith ha dato fondo alle ancore tra Porto Levante e Chioggia: cosa succederebbe se un incidente analogo avvenisse in Bacino di San Marco oppure con la nave da crociera in coda nel Canale dei Petroli tra una petroliera, una chimichiera, una porta carbone, come vorrebbero Costa e il sindaco, Giorgio Orsoni, con le loro proposte?».

      Per i “No grandi navi” il decreto Clini – Passera va applicato da subito e qualche critica va anche al ministro dell’Ambiente Andrea Orlando.
     

«Non ci ha voluti incontrare – conclude – ma se l’avesse fatto gli avremmo detto che istituzionalmente è inaccettabile che il 25 luglio, se quella è la data ultima, si decida solo tra le proposte che incidentalmente oggi sono sul tavolo».

      Molto critico sulla linea dei “No navi”, il capogruppo dell’Udc in Consiglio comunale, Simone Venturini, il quale ritiene che la polemica sia strumentalizzata.
      «Il punto di partenza – afferma – di qualsiasi discussione sul tema delle grandi navi deve essere il seguente: possiamo permetterci di perdere un settore strategico come quello crocieristico a causa di una discussione spesso superficiale o a causa di uno scontro tra tifoserie? Io credo di no. Venezia, nell’attuale situazione economica, non può rinunciare al settore crocieristico. Sarebbe una scelta folle e chiunque sostiene questa ipotesi dovrà risponderne a migliaia di lavoratori, alle loro famiglie e all’intero tessuto economico della provincia».
      Venturini fa parte delle cosiddette “colombe”, coloro che non intendono buttare il bambino con l’acqua sporca. Una visione abbastanza condivisa in una città toccata dalla crisi forse meno di altre, ma pur sempre con gli indici economici in calo.
      «Venezia – puntualizza – non rischia di crollare a causa della crociere. Rischia però di collassare a causa dell’assenza di lavoro e di prospettive occupazionali, in terraferma e in centro storico. Si trovi pertanto una soluzione tecnica – conclude – che garantisca la tutela della città storica, il ruolo di Home port a Venezia, che non faccia scappare le compagnie armatoriali e che valorizzi gli investimenti già fatti in Marittima. Nel frattempo, si eviti di mettere in discussione l’arrivo e la partenza della navi da crociera».

 

 

Orlando striglia Orsoni e Costa: «Non può essere Roma a decidere, trovate una proposta condivisa»

VENEZIA. Basta baruffe in “famiglia”, le navi da crociera debbono restare fuori dalla laguna, il sindaco Giorgio Orsoni e il presidente del Porto, Paolo Costa debbono trovare un accordo condiviso entro il 25 luglio prossimo. È questo, in sostanza, il monito lanciato ieri dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, a Orsoni e Costa che continuano a fare a gara tra loro su chi la spara più grossa, proponendo continuamente nuove e contrapposte soluzioni per le Grandi navi. Da ultima quella di Costa – alternativa a quella da lui stesso proposta con lo scavo del nuovo canale Contorta per evitare il passaggio nel bacino di San Marco – di realizzare una nuova stazione Marittima a Santa Maria del Mare, dove adesso si costruiscono i cassoni del Mose, e poi portare con la Sublagunare turisti e merci da Tessera e Fusina all’isola di Pellestrina.

Il sindaco Orsoni non è stato da meno, ha rimesso nel cassetto la sua vecchia ipotesi (utilizzare il canale Vittorio Emanuele per far raggiungere via Canale dei Petroli l’attuale stazione marittima alle navi da crociere) e ha lanciato una nuova proposta, subito contestata dai sindacati dei lavoratori chimici, di utilizzare le aree e le banchine di Syndial (Eni) a Porto Marghera , cioè le stesse dove si continua a prospettare la realizzazione di due nuovi impianti di chimica verde, uno dell’Oleificio Medio Piave, l’altro del gruppo Mossi&Ghisolfi, in grado di creare nuovi posti di lavoro.

«La decisione già presa da tempo di togliere le Grandi navi da crociera dalla laguna va attuata al più presto con un accordo condiviso tra le istituzioni e gli enti locali competenti»,

ha detto ieri il ministro dell’Ambiente, dopo aver tirato le conclusioni del convegno su “Energia ed edilizia sostenibile”.

Ma che succederà se Costa e Orsoni continueranno a polemizzare tra loro, senza mettersi d’accordo prima del 25 luglio? Per quella data è convocato il tavolo al Ministero per decidere, una volta per tutte, un percorso delle Grandi navi che risparmi piazza San Marco e tutto il Bacino da improbabili, ma non impossibili incidenti, come insegnano il naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio e il recente e grave incidente nel porto di Genova.

«La soluzione va trovata nel territorio»,

ha ribadito il ministro Orlando,

«gli enti locali competenti non possono continuare a tergiversare, il decreto che estromette le Grandi Navi da Venezia va attuato. Comune e Autorità Portuale debbono pronunciarsi e se hanno proposte diverse tra loro debbono sceglierne una e condividerla per il bene del territorio, dei cittadini e delle imprese».

«Un accordo quadro condiviso è l’unica strada praticabile»,

ha ripetuto Orlando

«non si sono altre strade. Non può essere un ministero a stabilire da Roma quel che deve decidere il territorio interessato».

Gianni Favarato

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«Ci rivolgiamo all’Unesco e all’opinione pubblica internazionale per difendere la laguna»

VENEZIA – No alla cementificazione della laguna.

«Ci rivolgeremo all’Unesco e all’opinione pubblica internazionale per fermare chi vuole distruggere la laguna e trasformarla in Rotterdam».

Italia Nostra va all’attacco delle nuove proposte progettuali lanciate dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa. E annuncia battaglia. Costa si è detto disposto a spostare la Marittima a Santa Maria del Mare – dove sono i cantieri del Consorzio Venezia Nuova per costruire i cassoni del Mose – ma

«a patto che si trasformi il sistema dei trasporti»,

costruendo due sublagunari da Tessera e da Fusina a Pellestrina.

«Così non si risolve il problema delle grandi navi ma si distrugge la laguna»,

dice Italia Nostra. E annuncia la presentazione di un nuovo richiamo all’Unesco, organismo mondiale per la protezione dei territori e delle opere d’arte. Se Venezia è patrimonio dell’Umanità, il mancato rispetto da parte delle istituzioni della sua delicatezza potrebbe portare anche a una clamorosa cancellazione, come già successo per Dresda. Polemica che si infiamma in vista dell’appuntamento di fine luglio, quando al governo dovranno essere presentati i progetti alternativi alle grandi navi davanti a San Marco. Le idee sono diverse, ma l’emergenza è ormai riconosciuta da tutti. Chi deciderà sulle soluzioni migliori per la città? «Stiamo mettendo a punto un gruppo di esperti per lavorare sui progetti e presentarli al governo», dice il sindaco Giorgio Orsoni. Che non intende rinunciare alla sovranità sul suo territorio in favore del «concessionario» Autorità portuale. Anzi. La richiesta già presentata al governo è quella di prendere in considerazione una modifica della legge per consentire al Comune un reale «governo delle sue acque». Uno dei primi punti del programma elettorale di Orsoni, che adesso torna di attualità. Sul tavolo ci sono allora le alternative del canale Contorta proposto dal Porto, la nuova Marittima a Punta Sabbioni (Cesare De Piccoli), terminal per grandi navi a Marghera (il sindaco Orsoni) e adesso la nuova boutade di Costa: Navi a Santa Maria del Mare, senza più smantellare i cantieri del Mose con due sublagunari. Costa spinge anche il progetto del nuovo off shore, la piattaforma in mare da 2 miliardi e mezzo di euro per le petroliere e le grandi navi portacontainer. Ma questo è un altro fronte aperto. Perché a preoccuparsi non sono soltanto gli ambientalisti, ma anche le cooperative della pesca. Grandi opere proprio nei tratti di mare e di laguna interessati dalla pesca potrebbero dare il colpo definitivo a un’attività già in crisi. E l’assessore veneto alla pesca Franco Manzato ammonisce:

«Aspettiamo risposte. Ma dovrà essere un progetto a impatto zero».

Alberto Vitucci

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Le reazioni alla proposta del presidente dell’Autorità portuale di realizzare la Marittima a Pellestrina: «Impossibile»

Il dibattito sulle grandi navi diventa incandescente. A mettere pepe nell’annosa questione che sta dividendo la città e l’opinione pubblica è a proposta lanciata dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa il quale, dopo aver sostenuto la necessità dello scavo di un nuovo canale, il Contorta Sant’Angelo, per permettere l’accesso delle grandi navi passando da Malamocco, ieri ha cambiato idea rilanciando l’idea della Marittima a Santa Maria del Mare, dove adesso si costruiscono i cassoni del Mose. Una proposta che non ha mancato di suscitare reazioni, a incominciare da quelle del sindaco Giorgio Orsoni che si è sempre battuto per quella che definisce «l’unica alternativa realizzabile in tempi brevi» e cioè Marghera, dove la banchina dell’ex Syndial potrebbe essere attrezzata a ricevere le navi da crociera, scavando soltanto l’area di evoluzione e utilizzano il già profondo canale Malamocco-Marghera.

«La proposta della Marittima a Santa Maria del Mare fa parte della fantasia di Costa, fantasia che tutti gli riconosciamo. Del resto siamo in estate, periodo in cui la fantasia galoppa», commenta Orsoni. «Una proposta, oltre che fantasiosa, anche di ardua concretizzazione. Non si capisce, infatti, come si possa arrivare a Santa Maria del Mare». «Lo stesso Costa sostiene che per collegare l’isola al resto della città c’è bisogno di fare la sublagunare», continua il sindaco. «Ma se non siamo riusciti a fare una piccola sublagunare fino alle Fondamente Nuove figuriamoci se riusciamo a fare un sublagunare fino a Pellestrina. Un’opera del genere significa lanciare una palla in avanti in 20 anni. Questo, infatti, sarebbe il tempo necessario per la sua realizzazione. E nel frattempo? Inoltre, una volta che si costruisce un porto di quelle dimensioni si devasta un luogo piccolo, delicato, che ha anche un notevole pregio ambientale. Già ci sono state proteste per la darsena ipotizzata a a San Nicolò. Figuriamoci per una struttura che sarebbe molto, ma molto più grande».

Reazioni immediate anche da parte del Comitato No Grandi Navi che arrivano a pochi giorni dalla clamorosa protesta contro i “mostri” del mare.

«Anche Costa comincia a capire che le navi vanno estromesse dalla laguna. E questo è già un primo passo. La soluzione che prospetta, cioè quella di realizzare la Marittima a Santa Maria del Mare, è però poco praticabile perché Pellestrina è un’isola e dunque si pone il problema di come portare le merci e i turisti da lì a Venezia. Costa rilancia l’ipotesi della sublagunare? L’ipotesi è inaccettabile»,

commenta il portavoce del comitato, Silvio Testa.

«È evidente, comunque, che qualsiasi porto dentro la laguna ha gli anni contati a causa dell’innalzamento del mare, del crescente gigantismo delle navi, non solo quelle da crociera ma anche delle petroliere e delle navi container, e del Mose. Se si vuole salvare il porto e con il porto il lavoro che ci gira intorno, è indispensabile portare le navi fuori dalla laguna».

Ma ci sono anche altre ipotesi alternative, come quella lanciata da Cesare De Piccoli (il terminal a Punta Sabbioni, davanti al Mose), o l’ipotesi di tenere le navi fuori della laguna, in mare aperto. O, ancora, chi propone il terminal a Sant’Erasmo, come l’ex capo dei piloti Ferruccio Falconi. (m.pi.)

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Gazzettino – Marghera. Vega, piano di salvataggio

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22

giu

2013

MESTRE – Orsoni cerca l’intesa con Treviso e Padova per creare il Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana

Vega, operazione di salvataggio

Saranno create due società: una per l’immobiliare e un’altra per la ricerca. Ci sono 8milioni di “buco”

Il sindaco prova a sbrogliare la matassa del Vega. Ieri Giorgio Orsoni ha spiegato alla sua Giunta quel che intende fare per ripianare il buco – che è vicino agli 8 milioni di euro – e per evitare che il Comune, che è il socio di maggioranza di Vega, debba mettere mano di nuovo al portafogli fra qualche mese. La prima operazione è quella di spaccare in due il Vega, creando due società indipendenti. Una società si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Il sindaco inoltre lancia l’idea del Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana, mettendo insiemeMarghera, Treviso e Padova.

Il sindaco punta a farlo diventare il parco scentifico della città metropolitana

DUE SOCIETÀ DISTINTE – Patto con Treviso e Padova. Saranno create due società indipendenti: una si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Sinergia con le realtà di Padova e Treviso.

FUTURO – Il Vega rappresenta la possibilità di ripensare Marghera come luogo industrializzato

Il sindaco prova a sbrogliare la matassa del Vega spaccandolo in due e facendolo diventare il Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana. Ieri Giorgio Orsoni ha spiegato alla sua Giunta quel che intende fare. Per ripianare il buco – che è vicino agli 8 milioni di euro – e per evitare che, una volta chiusa la falla, fra sei mesi il Comune, che è il socio di maggioranza di Vega con il 37 per cento debba mettere mano di nuovo al portafogli. Orsoni conta di fare questa doppia operazione per salvare il Parco scientifico e tecnologico di Marghera ovvero l’unica possibilità concreta di mantenere una qualche attività industriale in Terraferma. La prima operazione è quella di spaccare in due il Vega, creando due società indipendenti. Una società si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Prima di far questo, però, bisogna azzerare il debito nei confronti delle banche che, ad oggi, hanno chiuso tutti i rubinetti. Per far questo Orsoni conta di mettere mano al patrimonio del Vega, che è di 15 milioni di euro. Vuol dire dimezzare in un colpo solo il patrimonio del Vega e lasciarlo “scoperto” nel caso di nuovi guai. Ma altra soluzione non c’è, a meno che il Comune non metta mano al portafogli e, in questo momento non se ne parla proprio. Dunque, azzeramento del debito, scorporo e creazione di due società. Una, quella immobiliare, verrà diretta da un esperto del settore – così assicura Orsoni – l’altra, invece, dedicata alla ricerca e all’innovazione continuerà ad essere diretta da Michele Vianello. Peraltro il sindaco approfitta del cambio della guardia a Treviso – dove il Comune è passato dalla Lega al centrosinistra – per lanciare l’idea del Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana, mettendo insieme Marghera, Treviso e Padova. Peraltro queste ultime due sono giù in sinergia tra di loro. Ancora non è chiaro se si farà un unico polo dell’innovazione, a Marghera, con la presenza in Consiglio di amministrazione degli altri due Comuni, oppure se il Parco scientifico e tecnologico di Padova e quello di Treviso resteranno per conto loro ed entreranno solo in sinergia con Marghera. La soluzione indicata da Giorgio Orsoni era stata messa a punto dal sindaco assieme all’ex assessore Antonio Paruzzolo il quale, peraltro, si è dimesso proprio perchè non è riuscito ad evitare che ai vertici delle società controllate dal Comune, compreso il Vega, fossero nominati rinominati i soliti noti e cioè quelli che hanno portato al disastro, secondo Paruzzolo, le aziende. Il 28 giugno c’è l’assemblea dei soci e tutto lascia pensare che la soluzione proposta da Orsoni sarà approvata da tutti i soci dal momento che, oltre al Comune, che detiene il 37,3 per cento, nella compagine societaria ci sono Syndial con il 18,4 e Veneto Innovazione della Regione con il 17 per cento. Orsoni ha informato i suoi assessori che la Regione è d’accordo con questa ristrutturazione di Vega e Comune e Regione insieme fanno la maggioranza abbondante. Quindi alla fine sembra che la quadra sia stata trovata, anche se con il sacrificio di oltre 8 milioni di euro di patrimonio pubblico.

Maurizio Dainese

 

SOCIETA’ IN ROSSO – Buco da 9 milioni. Ecco come è nato

Vega? Partiamo dal 1993, data di nascita del Vega – acronimo di “Venice Gateway”, “cancello-porta di Venezia”. Nelle intenzioni dei promotori del Parco scientifico tecnologico – 34 soci tra cui gli enti locali, Università, Istituti bancari – l’idea di costruire un futuro per la Marghera industriale. I fondi per far nascere il Vega arrivano dall’Europa: 30 milioni di euro. Nel 2000 arriva “Nova Marghera” – l’impresa Pio Guaraldo dei Marinese – società che costruisce la seconda parte del Vega. Le due strutture, la prima nata dalla ristrutturazione del vecchio Cral, vengono unite in un unico complesso. Nel 2004, completata la costruzione del Parco scientifico e tecnologico, il Vega ha un buco di 25 milioni di euro. Che viene ripianato vendendo a Condotte i terreni per il Vega 2, terreno di proprietà dell’Eni – che è socio di Vega – e prospiciente al Canale Brentella. Solo che Vega si impegna nero su bianco a pagare i costi dell’eventuale bonifica del terreno venduto, che non vengono quantificati e, ora si sa, sono di 3 milioni di euro. Ecco il primo “buco”, ereditato dalla gestione attuale. L’altro “rosso” certo – 2 milioni di euro – salta fuori da Nanotech, una iniziativa molto importante per la ricerca sulle nanotecnologie. Vega dice di avanzare dalla regione un paio di milioni di euro. E siamo a 5 milioni. Poi ci sono contenziosi con i fornitori di energia – i Marinese – per un altro milione di euro. E siamo a 6. Il resto (da 2 a 3 milioni) è “colpa” degli attuali dirigenti del Vega.

 

 

LE ALTERNATIVE – Lo scontro si inasprisce. Conto alla rovescia per l’incontro fissato a Roma con il ministro delle Infrastrutture per esaminare le varie proposte

«Il Porto non ha competenze sull’Urbanistica. A decidere sui progetti delle grandi navi dovrà essere la città». Il sindaco Giorgio Orsoni ha risposto a muso duro all’uscita del presidente dell’Autorità portuale – ex ministro ed ex sindaco di cui Orsoni era stato assessore – sulle grandi navi. Citando articoli di legge e normative, il sindaco ha ancora una volta stoppato il protagonismo di Costa, noto per essere molto attivo nel sostenere i progetti che propone. E di nuovo tra Comune e Porto il fossato si allarga. «Ingerenze fuori luogo», ha scritto il sindaco dopo la netta presa di posizione di Costa in commissione. Arrivando a minacciare di bloccare i nuovi progetti su tram e garage. Lo scontro sulle grandi navi si inasprisce. A un mese dall’appuntamento fissato a Roma dal ministro delle Infrastrutture si comincia ad esaminare i progetti sul tavolo. Lo ha fatto in questi giorni la commissione consiliare. Costa ha difeso la sua idea di scavare il nuovo canale Contorta Sant’Angelo. «La Marittima non si tocca, le navi devono arrivare lì», ha detto, «altri progetti non ce ne sono». Con il nuovo Contorta, scavato da 3 a dieci metri in laguna centrale (costo 40 milioni di euro) le grandi navi potrebbero arrivare in Marittima dalla bocca di porto di Malamocco e non più dal Lido. Orsoni insiste per Marghera. Banchine ex Syndial da attrezzare, tempi più brevi, costi limitati. Navi oltre i 300 metri lontano dalla città. Cesare De Piccoli, ex vicesindaco, europarlamentare e viceministro, propone invece da tempo una soluzione radicale: navi fuori dalla laguna, nuovo terminal a Punta Sabbioni. Banchine capaci di ospitare otto grandi navi, impatto relativo anche se bisognerà studiare bene i trasporti da e per l’aeroporto. Ma il Porto non ci sta. Niente Punta Sabbioni perché si dovrebbe ricostruire la Marittima. Niente Marghera, perché quel canale è già abbastanza intasato dal traffico delle navi mercantili. In un primo tempo aveva proposto anche l’alternativa a Santa Maria del Mare, utilizzano la piattaforma in cemento costruita dal Consorzio Venezia Nuova per i cassoni del Mose. Ma adesso sembra puntare sul Contorta. «Grande opera, rimedio peggiore del male», dicono gli ambientalisti. Aumenterebbe il disastro della laguna e la perdita dei sedimenti, dice chiaro il professore Luigi D’Alpaos, esperto di idraulica. Il Comitato No Grandi Navi critica l’indecisione del Comune e insiste: «Quelle navi in laguna non devono entrare». Battaglia adesso non più soltanto ambientale ma anche politica. Con il Comune da una parte, il Porto dall’altra. E le navi sempre più grandi. (a.v.)

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Gazzettino – Venezia. Le ingerenze del porto

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21

giu

2013

“Porto, ingerenze fuori luogo ” di Giorgio Orsoni

L’audizione del presidente dell’Autorità Portuale avanti le Commissioni consiliari, tenutasi nella giornata di ieri, ha confermato quanto vado dicendo da tempo: chi rappresenta interessi economici forti non riesce a percepire (forse anche perché male consigliato) l’importanza di riconoscere i limiti entro cui può sviluppare la sua azione. Mi riferisco evidentemente, a quei soggetti (privati e non) che agiscono nell’economia in situazioni monopolistiche o, comunque, perché investiti di competenze pubblicistiche settoriali.
Oggi la stampa riporta un’affermazione del Presidente per nulla condivisibile e frutto di un palese fraintendimento delle competenze portuali. A suo avviso «il Pat contiene soltanto dei desideri del Comune» giacché esso, per essere operativo, deve ottenere l’intesa dell’Autorità portuale. Come se l’Autorità portuale fosse soggetto di pianificazione generale alla stessa stregua degli enti locali territoriali.
Il Porto non ha poteri di pianificazione urbanistica, ma esclusivamente, come recita l’art. 5 della L. 84/94, il potere di approvare un piano del porto il quale deve disciplinare le funzioni e gli usi dei terreni all’interno dell’ambito portuale. Tale piano, come dice la legge, e subordinato alle scelte della pianificazione generale comunale.
In altri termini il Piano portuale deve considerarsi alla stregua di un qualsiasi piano attuativo, limitato ad un ambito definito e soggetto alle scelte di pianificazione generale, e comunque all’approvazione comunale.
Fin quando non si fa chiarezza su tale inequivocabile presupposto si finisce con il danneggiare il complesso sistema di pianificazione del territorio della città.
Infatti, l’errata prospettiva in cui si sta ponendo il Porto ha di recente determinato l’impugnazione avanti il Tar del Pat, solo perché non sono state recepite sue richieste di logistica al di fuori dell’ambito portuale ed in contrasto con lo stesso Piano regionale!
Il che genera gravi difficoltà alla soluzione di importanti problemi di organizzazione del nostro territorio, che avrebbe invece necessità di collaborazione da parte di tutti i soggetti coinvolti ed alla stregua del rispettivo ruolo e secondo le gerarchie istituzionali stabilite dalla legge ed i compiti che essa attribuisce a ciascuno.
In questa prospettiva è corretto che il Porto si preoccupi, come gli impone la legge, di proporre soluzioni per evitare i passaggi delle cd “grandi navi” davanti a San Marco.
Ma la preoccupazione non può diventare ingerenza nei poteri che sono attribuiti agli enti territoriali.
Il Porto nella sua interezza sta all’interno della programmazione generale del territorio come parte di esso e ad esso subordinato.
Con grande disponibilità ed umiltà il Comune di Venezia ritiene di valutare tutte le proposte che fossero avanzate, purché conformi alle proprie scelte pianificatorie.
Ciò al solo fine di individuare quelle più rispettose degli interessi della Citta’ e della sua Laguna.
Giorgio Orsoni Sindaco di Venezia

 

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