Nuova Venezia – Lavori del Mose, arrestato Mazzacurati
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13
lug
2013
BUFERA SUL MOSE
Fatture false e turbativa d’asta per l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova
Retata per le gare truccate
Sette arrestati fra cui l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati
VENEZIA – C’è una legge, quella per la salvaguardia della laguna di Venezia del 1984, che permette al Consorzio Venezia Nuova di concedere i lavori senza alcuna gara pubblica o bando, essendo «concessionario unico». Ma gli appalti degli enti pubblici veneziani devono essere gestiti come prevedono le regole, invece l’ex presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati (si è dimesso quindici giorni fa) avrebbe gestito, stando alle accuse che hanno fatto scattare le manette ai suoi polsi, una gara per lo scavo dei canali portuali di grande navigazione dell’Autorità portuale come si trattasse di «cosa sua». «È stato individuato il ruolo centrale», scrivono in un comunicato gli investigatori della Guardia di finanza del Nucleo di Polizia tributaria che hanno fatto le indagini, «nel meccanismo di distorsione del regolare andamento degli appalti di Giovanni Mazzacurati, che predeterminava la spartizione delle gare allo scopo di garantire il monopolio di alcune imprese sul territorio veneto, di tacitare i gruppi economici minori con il danaro pubblico proveniente da altre Pubbliche amministrazioni e quindi di conservare a favore delle imprese maggiori il fiume di danaro pubblico destinato al Consorzio Venezia Nuova».
Ieri, su richiesta del pubblico ministero Paola Tonini, in manette sono finiti in sette agli arresti domiciliari, tra cui Mazzacurati nella sua casa veneziana, e il suo braccio destro per i rapporti di rappresentanza, l’ex socialista Federico Sutto (è stato segretario di Gianni De Michelis prima di Giorgio Casadei e sindaco di Zero Branco), e Pio Savioli, consigliere nello stesso Consorzio Venezia Nuova per il Consorzio Veneto Cooperativo. Ad altri sette indagati è stato applicato l’obbligo di dimora nel loro comune di residenza. Gli interrogatori da parte del giudice Alberto Scaramuzza inizieranno giovedì prossimo. Mazzacurati è difeso dagli avvocati Giovanni Battista Muscari Tomaioli e Alfredo Biagini, Savioli dall’avvocato Paolo De Girolami, i Boscolo Bacheto dall’avvocato Loris Tosi, Barbigiasn dall’avvocato Marco Vassallo, Sutto, per ora d’ufficio, dall’avvocato Barbara De Biasi.
Circa 500 uomini delle «fiamme gialle» hanno eseguito in Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia , Emila Romagna, Toscana, Lazio e Campania circa 140 perquisizioni negli uffici di numerose imprese e aziende e nelle case di indagati e di chi potrebbe conservare documenti utili alle indagini. Le indagini del Nucleo di Polizia tributaria sono partite nel 2009, ancor prima di quelle che hanno portato all’inchiesta del pubblico ministero Stefano Ancilotto su Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Hanno preso le mosse da una verifica fiscale, una delle tante, alla Cooperativa San Martino di Chioggia: i finanzieri hanno scoperto l’esistenza di una società austriaca, la «Istra Impex»con sede a Villach, grazie ad alcuni file in cui i titolari avevano nascosto la contabilità «nera». I controlli hanno riguardato la fatturazione dal 2004 al 2009 per i lavori del Mose. Grazie alla società in Austria, di cui secondo l’accusa erano amministratori di fatto Mario e Stefano Boscolo Bacheto, sarebbe stato fatto lievitare il costo dei sassi da gettare sulla diga nella bocca di porto di Chioggia e acquistati in Croazia e delle palancole grazie alle fatture per operazioni inesistenti per cinque milioni e 864 mila euro. Il sospetto, quindi, è che in Austria i titolari della San Martino avessero creato fondi neri. Sono scattate le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Lo sviluppo delle indagini ha permesso di ricostruire le manovre, tra i mesi di maggio e giugno 2011, per pilotare l’appalto dell’Autorità portuale per lo scavo dei canali navigabili. Si trattava di un lavoro diviso in tre stralci per complessivi 15 milioni di euro. Un appalto che alla fine è stato vinto dall’Associazione temporanea d’imprese composta dalla «Lavori Marittimi e Dragaggi,» da «Zeta srl»,, «Clodiense Opere Marittime srl», «Somit srl», «La Dragaggi srl», la «Tiozzo Gianfranco srl», la «Nautilus stl» e la «Boscolo Sergio Menela e Figli e C. srl». Una gara vinta con un ribasso dell’11 per cento, quando invece in analoghe gare il ribasso praticato è stato anche del 46 per cento. In questo modo l’Autorità portuale ha speso da due a quattro volte di più per il dragaggio di quei canali. Alla gara avevano partecipato altre due ditte, la «Rossi Costruzioni generali srl» e la «Sales spa», che avevano presentato ribassi del 2,8 per cento e del 2,2 per cento, evidentemente fittizie. Ma soprattutto non avevano partecipato alla gara la «Mantovani, la «San Martino», la «Co.Ve.Co.» e la «Nuova Coedemar». Stando alle accuse, a fronte delle doglienze del titolare della «Lavori9 Marittimi Dragaggi» di non aver ottenuto dal Consorzio lavori per il Mose, Mazzacurati lo avrebbe assicurato che il lavoro del Porto se lo sarebbe aggiudicato lui. Con la collaborazione di Sutto e Savioli avrebbe convinto le imprese più importanti a lasciar perdere e a non presentare offerte, in cambio di alcuni lavori del Consorzio per la ricostituzione delle barene, e alle due che si erano presentate alla gara di proporre un ribasso ampiamente inferiore a quello di chi doveva vincere. I titolari di tutte le ditte coinvolte, chi non si è presentato e chi ha vinto, sono sotto inchiesta.
Giorgio Cecchetti
LE DEFINIZIONI DELL’ORDINANZA «Dominus, padre padrone, chi decide di vita e di morte»
«Regista nella predisposizione di comportamenti collusivi», «Dominus assoluto del Consorzio Venezia Nuova», «Padre padrone degli appalti», «Colui che decide della vita o della morte delle imprese». Queste le frasi prese dall’ordinanza di custodia cautelare e dai resoconti degli ufficiali della Guardia di finanza che ieri hanno tenuto la conferenza stampa per definire Giovanni Mazzacurati. Il pezzo da novanta di questa inchiesta assieme a Piergiorgio Baita, ma l’ex presidente della Mantovani, in questo caso ha un ruolo passivo, si limita ad eseguire i «consigli« dell’anziano ingegnere a capo del Consorzio e a non presentare l’offerta per il bando di gara dell’Autorità portuale. Mentre Mazzacurati agisce, ordina, impone e si arrabbia pure. Quando quelli del Consorzio Veneto Cooperativo, quattro minuti prima della scadenza finale, presentano la loro offerta, più economicamente conveniente, disobbedendo alle direttive, Mazzacurati prende il telefono e urla a Savioli: «Hai fatto un trucco e mi vuoi anche far passare per scemo, che razza di truffanti». (g.c.)
Cimici della Finanza «Chi guarda da fuori può capire l’inciucio»
Le intercettazioni: «Il capo supremo ha dato l’ordine»
Il pm Tonini aveva chiesto l’arresto di Baita: negato dal gip
VENEZIA – Il pubblico ministero Paola Tonini, che ha coordinato le indagini della Guardia di finanza, aveva chiesto che anche Piergiorgio Baita finisse nuovamente in manette, ma il giudice Alberto Scaramuzza, che aveva accolto la stessa richiesta del pm Stefano Ancilotto il 28 febbraio scorso, nell’ordinanza di custodia cautelare scrive che l’ingegnere «non ricopre più alcun ruolo nella Mantovani perché in seguito di altre vicende processuali distinte, anche se connesse alle odierne vicende, e per le quali si trova agli arresti domiciliari, il medesimo si è già dimesso da tutti gli incarichi, iniziando altresì un rapporto collaborativo con l’autorità giudiziaria».
Per la prima volta, in un documento ufficiale, si ha la conferma che Baita ha parlato e che proprio per questo il rappresentante della Procura che lo ha fatto arrestare cinque mesi fa è disposto all’accordo sul patteggiamento per una pena di un anno e dieci mesi. Durante la verifica fiscale alla Cooperativa San Martino, gli investigatori della Guardia di finanza hanno anche scoperto i file con la contabilità nera ed hanno anche rintracciato dove siano finiti, almeno in parte, i fondi creati in Austria con la fatturazione fasulla. «La documentazione extracontabile è rilevante», scrive il magistrato, «anche perché alla colonna uscite annovera una serie di elargizioni a persone fisiche. Tra queste emergeva in particolare il nome di Tomarelli Stefano, con accanto le cifre di 20 mila+ 20 mila, e di Pio Savioli, con accanto le cifre 25 mila + 60 mila. Tali soggetti sono corrispondenti ai nomi di due individui che avevano ricoperto incarichi dirigenziali nel Consorzio Venezia Nuova, risultando entrambi consiglieri dal 2002 del Consorzio…In tali file, per il 2006 e il 2006, sono rappresentate uscite verso Savioli di complessivi 600 mila euro (cifra veramente ingente). Il giudice sostiene che i comportamenti di Savioli, Sutto e dello stesso presidente Mazzacurati hanno dimostrato l’esistenza di una vera e propria regia all’interno del Consorzio Venezia Nuova nella predisposizione di comportamenti collusivi, a volte intimidatori, finalizzati all’alterazione delle gare oggetto di contestazione». C’è in particolare una intercettazione ambientale, grazie ad una microspia piazzata nell’ufficio di Savioli, in cui parla con il suo presidente Franco Morbioli .«Devo andare in San Martino a fare», gli racconta, «il capo supremo ha dato l’ordine…quella lì di 11 milioni, è una gara di 11 milioni, cifre pesanti, quello si e allora loro, Mantovani, Flavio (Boscolo Contadin) e Mario (San Martino) si sono messi d’accordo: 50,25 e 25». E ancora: «Sono andati a piangere da Mazzacurati i piccoli e allora lui ha chiamato Baita. Baita esce ha chiamato Flavio esce e a me tocca andare a dire a Mario di andare fuori dalle balle». Sempre durante un colloquio tra i due, la cimice riesce a captare le perplessità di Morbioli sulla gara dell’Autorità portuale per il dragaggio dei canali: «Le cose così vanno fatte bene perché chi guarda esternamente la roba qua e sa leggere vede che c’è un inciucio». (g.c.)
Quei trent’anni senza concorrenti
Dighe mobili, la storia del Consorzio Venezia Nuova
La concessione unica e le “quote garantite” alle imprese
VENEZIA – Che ci fosse qualcosa nell’aria, l’anziano ingegnere lo aveva capito da tempo. Così cogliendo al volo il consiglio del suo cardiologo, Giovanni Mazzacurati “padre del Mose” aveva deciso di andarsene. Quindici giorni dopo le dimissioni ecco l’arresto per “turbativa d’asta”. Quasi una beffa per un uomo che ha gestito per trent’anni in regime di monopolio – e senza bisogno di gare – la salvaguardia di Venezia e della laguna. Il crollo di un mito. Perché anche agli avversari della grande opera Mazzacurati era sempre apparso come la “faccia perbene” del Consorzio. L’ingegnere padovano di famiglia borghese, figlio d’arte che aveva libero accesso nelle stanze di ministri e grand commis di Stato. Che sapeva portare a casa finanziamenti anche in tempi di crisi. Un uomo potente, ora inciampato nella buccia di banana degli appalti per lo scavo dei canali portuali.
Crollo di un mito. O di un avversario potente, a seconda dei punti di vista. Che arriva dopo l’uscita di scena di un altro protagonista della salvaguardia negli ultimi anni, Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, arrestato a fine febbraio per fatture false. Una storia lunga trent’anni, quella di Mazzacurati. Che molti ricordano a fianco di Luigi Zanda, primo presidente del Consorzio, negli anni Ottanta come direttore. Poi a convincere della bontà della sua creatura, molto influente sulla nomina di consulenti e perfino dei ministri. Il monopolio. «Se l’accusa è di turbativa d’asta, non riguarda i lavori del Mose, che come si sa sono fatti in regime di monopolio». Il ragionamento che trapela dal Consorzio Venezia Nuova non fa una grinza. Ma mette l’accento su un «sistema», quello della mancata concorrenza, che secondo alcuni è all’origine di molte storture e dell’aumento dei costi della grande opera. La storia. Il Consorzio Venezia Nuova nasce nel 1983, con la seconda Legge Speciale, la 798, approvata allora all’unanimità dal Parlamento. Si riprendono i concetti della prima Legge del 1973, introducendo il nuovo «concessionario unico». Dovrà realizzare le opere di salvaguardia con fondi garantiti dallo Stato, senza gare d’appalto, puntando sul grande progetto Mose per la chiusura delle bocche di porto. Progetto già messo a punto proprio da Mazzacurati, che nel 1982, proveniente dalla Furlanis, aveva cominciato la sua carriera con le imprese del pool. Del Consorzio fanno parte le più grandi imprese edili italiane: Impregilo, Mazzi, Fincosit, Condotte, fino alle cooperative del Coveco e alle imprese locali. A metà degli anni Novanta Impregilo comincia la sua avventura per il progetto del Ponte di Messina e lascia le sue quote alla padovana Mantovani della famiglia Chiarotto. Le quote lavoro. Costituito il Consorzio vengono definite oltre alle quote societarie anche le “quote lavoro”. Significa che ogni impresa socia ha diritto a una quota di lavori garantiti «se dimostra la sua competenza in materia». Un sistema per anni in equilibrio che in tempi di crisi aveva sollevato dure proteste da parte delle realtà locali, escluse anche dai subappalti. Un fiume di denaro per il Mose e la salvaguardia, andato alle stesse imprese. La Corte dei Conti. Il sistema del monopolio è finito più volte in questi anni nel mirino della Corte dei Conti. Ma le denunce sono rimaste spesso lettera morta. Famosa quella scritta nero su bianco in un’ordinanza di centinaia di pagine dal consigliere della Corte Antonio Mezzera. Sotto accusa l’aumento dei costi del Mose derivanti dal monopolio, la mancanza di alternative, le troppe consulenze e la poca distinzione tra il controllore (Magistrato alle Acque) e il controllato (Consorzio Venezia Nuova). Concessione “illegittima”. La legge 206 del 31 maggio 1995 abolisce la concessione unica, in applicazione delle norme europee. Ma il governo Berlusconi raggiunge con l’Europa un compromesso (lodo Buttiglione) e la situazione non cambia. Si decide che dovranno essere messe a gara soltanto le forniture di materiali per le paratoie. Gli altri lavori vanno avanti con il solito sistema. Un fatto su cui Italia Nostra presenta un esposto all’Unione europea. Ancora aperta anche la procedura di Infrazione della commissione petizioni dopo l’esposto presentato dai Comitati No Mose con 12.500 firme. I sassi. Uno dei filoni dell’ultima inchiesta riguarda le fatture emesse per l’acquisto di palancole e massi provenienti dall’Istria utilizzati per i lavori alle bocche di porto. Milioni di metri cubi di materiale usato per le tre dighe foranee (costo circa 40 milioni di euro l’una), per le «spalle» del Mose e per la nuova conformazione dei fondali. Costi di cui spesso ambientalisti e comitati hanno chiesto la verifica. Piuttosto difficile perché i lavori, come diceva lo stesso Baita «sono fatti sott’acqua». Il prezzo chiuso. I fatti dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Baita e poi di Mazzacurati «non hanno alcun rapporto con la salvaguardia», ha precisato ieri il Consorzio. I lavori del Mose sono definiti dalle Leggi speciali che li affidano in regime di monopolio al Consorzio Venezia Nuova e dalle convenzioni firmate tra le imprese del Consorzio e lo Stato (Magistrato alle Acque). L’ultima convenzione è quella che stabilisce il «prezzo chiuso». Il costo del progetto di massima era di un miliardo e mezzo di euro alla fine degli anni Ottanta (3200 miliardi di lire). È arrivato a 4 miliardi e 200 milioni a fine anni Novanta, poi adeguato con delibera firmata dall’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, a 5 miliardi e 600 mila euro. Oggi sono quasi tutti garantiti dal Cipe. Manca all’appello circa un miliardo di euro, in buona parte da utilizzare per gli interventi di compensazione e mitigazione imposti dall’Unione europea dopo l’archiviazione della Procedura di infrazione per i cantieri abusivi a Santa Maria del Mare. Le alternative. Comitati, esperti idraulici e Comune hanno sempre denunciato la mancanza di studi seri sulle alternative al progetto Mose, che ha portato a una lievitazione dei costi. Le proposte del Comune, messe a punto dopo un lungo dibattito, erano state portate nel 2008 all’esame di una commissione presieduta allora da Carlo Malinconico, il sottosegretario del governo Prodi poi finito nei guai per le vacanze pagate. E Angelo Balducci, condannato per la cricca e le tangenti dei costruttori. Balducci, già presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici e potente dirigente del ministero, era anche stato ingaggiato come collaudatore del Mose insieme a Fabio De Santis, anche lui condannato per le tangenti. Il Consorzio non c’entra. «Il Consorzio e il Mose non c’entrano con queste vicende». I legali e i nuovi dirigenti del Consorzio si affannano a ripeterlo. Lo avevano detto all’indomani dell’arresto di Baita, sostituito in un batter di ciglia al vertice della Mantovani da un ex poliziotto, Carmine Damiano. E anche adesso dopo gli arresti (domiciliari, vista l’età) di Mazzacurati, il padre del Mose. Difficile però circoscrivere gli episodi a singole responsabilità di personaggi che hanno avuto un ruolo così importante nella storia del Consorzio. Che da almeno trent’anni attraverso le sue imprese si occupa anche di lavori di bonifica a Marghera e di messa in sicurezza, di rifacimento sponde e di scavi e dragaggi dei canali portuali. Attività condotte spesso a stretto contatto con la politica, locale e nazionale. Il futuro. Riprende vigore il partito di coloro che chiedono la fine della concessione unica. Dovrebbe finire con i lavori del Mose, nel 2016, anche se il Consorzio Venezia Nuova dovrà garantire almeno per i primi due anni l’avvio del sistema. I lavori per le dighe mobili sono giunti al 75 per cento anche se la parte più difficile – la posa delle paratoie, appena cominciata – deve ancora venire, insieme alla verifica del funzionamento di un sistema complesso e costoso, che funziona sott’acqua. Che dunque ha bisogno di una delicata e continua manutenzione. Attività per cui, almeno in teoria, sarà necessario indire una gara d’appalto.
Alberto Vitucci
MAURO FABRIS, NEO PRESIDENTE: «FINANZA ANCHE A CASA MIA»
Il direttore Redi minimizza: «Le attività del Mose estranee all’inchiesta giudiziaria»
«Che ci fosse qualcosa nell’aria lo immaginavo. Ma una bufera del genere appena arrivato….» Mauro Fabris, 55 anni, è presidente del Consorzio Venezia Nuova da meno di due settimane. Ieri mattina i carabinieri si sono presentati anche a casa sua a Vicenza per acquisire dei documenti. «Cercavano fatture del Consorzio», dice. E spiega: «Quando ho smesso di fare il parlamentare nel 2008 ho ripreso la mia attività di consulente per la comunicazione e il monitoraggio dell’attività parlamentare. In questa veste ho avuto rapporti con il Consorzio, di cui adesso sono diventato presidente. Io non ero in casa, hanno mostrato a mia sorella una carta firmata dal giudice. Ho consegnato quello che avevo, tra cui una fattura che mi è stata restituita. Il maresciallo è stato molto gentile». Stupore e attesa. I fatti per cui sono scattati gli arresti ovviamente non riguardano la gestione Fabris. E nemmeno quella di Hermes Redi, ingegnere che ha preso il posto di Mazzacurati come direttore, ieri in Spagna per lavoro. «Posso solo ribadire che siamo a disposizione dei magistrati», dice Fabris, «vogliamo collaborare per fornire ogni dettaglio utile all’inchiesta». Redi ha diffuso in serata, attraverso lo studio legale Biagini, una nota in cui sostiene che le «attività del Mose sono estranee all’inchiesta» e che «i convolgimenti di dipendenti del Consorzio peraltro di livello impiegatizio sono marginali». Riservandosi di valutare «iniziative su comportamenti che possano ledere l’immagine del Consorzio». I finanzieri hanno perquisito ieri mattina anche la nuova sede del Consorzio Venezia Nuova all’Arsenale e gli uffici di Tethis, società acquisita dal Consorzio. Non c’era la presidente Maria Teresa Brotto, vicedirettore del Consorzio. I dipendenti hanno dovuto attendere un’ora prima di poter entrare negli uffici. Telefoni e computer sono stati isolati, mentre i militari cercavano documenti e fatture relativi ai rapporti delle società con il Consorzio Venezia Nuova.(a.v.)
l’intervista
Cacciari: «Un mostro creato dai politici e adesso tocca a loro»
L’ex sindaco: colpa di chi ha difeso il regime di monopolio. Ne denunciai i pericoli alla Corte dei conti, fu tutto archiviato.
VENEZIA «Adesso tocca alla politica. Devono emergere le responsabilità di chi ha creato questo mostro giuridico che si chiama Consorzio Venezia Nuova. E di chi ha sempre difeso in questi anni il suo regime di monopolio nei lavori di salvaguardia in laguna. Non si poteva che arrivare a questo punto. E adesso non si può dare ogni colpa alle strutture tecniche del Consorzio». Massimo Cacciari è stato sindaco di Venezia per la terza volta dal 2005 al 2010. Periodo in cui, con il voto contrario del Comune e dello stesso Cacciari, il governo Prodi aveva dato il via libera al proseguimento dei lavori del Mose, avviati nel 2003 dal governo Berlusconi con la benedizione del patriarca Scola e dell’allora sindaco Paolo Costa. Non erano state nemmeno considerate le proposte alternative che venivano dal territorio. Bocciate senza nemmeno analizzarle le idee che il Comune e Cacciari avevano proposto in alternativa alle dighe mobili del Consorzio. Le paratoie a gravità, le barriere provvisorie e rimovibili, gli interventi alternativi. In Consiglio dei ministri Prodi aveva detto «no» al Comune e anche a due suoi ministri (Mussi e Pecoraro Scanio) che avevano presentato le relazioni negative dei loro uffici. L’allora governatore Giancarlo Galan aveva applaudito. Cacciari, se li aspettava questi arresti eccellenti? «Era chiaro che prima o poi qualcosa sarebbe successo. Questa indagine mette in evidenza un vizio originario, che è stato per anni denunciato da pochi. La madre, anzi il padre di tutti i problemi: la situazione di assoluto monopolio in cui il Consorzio ha operato in questi trent’anni». La politica ha assecondato? «Beh… Abbiamo perso la memoria? E le voci critiche, non molte per la verità, sono state sempre inascoltate. Si dà il caso che tra i critici ci fosse anche il sottoscritto, che all’epoca era sindaco della città interessata ai lavori del Mose». Il governo vi aveva convocato per decidere. «Abbiamo scritto migliaia di pagine sull’argomento, critici ed esperti di fama che mettevano in luce proprio queste cose: il rischio del monopolio e delle turbative, i prezzi aumentati, la mancanza di studi su alternative meno costose e più efficaci per difendere Venezia dall’acqua alta. Siamo stati quasi derisi allora. E allora il governo Prodi decise di andare avanti comunque con la grande opera». Qui però stiamo parlando di turbativa d’asta e prezzi lievitati. «Anche questo sta scritto da anni, ad esempio nelle ordinanze della Corte dei Conti. Il regime di monopolio ha portato a questa situazione. Ricordo che dopo la denuncia ero stato convocato e ascoltato da un gruppo di togati sonnacchiosi. Tre minuti in tutto, poi avevano deciso l’archiviazione». Significa che questa storia dei prezzi e dei lavori «gonfiati» non è una novità? «Io dico che in quell’indagine della Corte dei Conti c’era già scritto tutto». Non che le gare d’appalto venivano truccate come emerge adesso. «Voglio dire chiaramente che io stimo l’ingegner Mazzacurati. È stato un avversario sulla questione del Mose ma con me si è sempre comportato con grande correttezza. Aspettiamo che la magistratura finisca il suo lavoro, ma mi sembra un po’ facile scaricare tutto su di lui e sulla struttura tecnica del Consorzio». Che significa? «Che bisogna cercare le responsabilità di chi ha creato questo mostro. Una responsabilità politica, bypartisan». Facciamo nomi? «Beh, Prodi e Berlusconi, prima di tutto. E qualcuno che non ha mai voluto sentir ragione a mettere in discussione quel progetto. E soprattutto procedure di concessione unica e mancanze di controlli che hanno dato l’input a effetti come questi». Il vizio dunque sta nella Legge speciale. «In alcune parti della legge del 1984. Quando si decise di costituire un concessionario unico per le opere di salvaguardia in laguna e di puntare tutto su un’unica grande opera, il Mose, senza badare alle alternative e dirottando tutti i fondi della salvaguardia di Venezia su quell’opera. Un potere enorme, che poi si è esteso anche a tutti gli altri grandi lavori in laguna. Con quel sistema monopolistico di gestione dei lavori e dei pochi appalti era inevitabile, quasi fisiologico che si arrivasse a questo punto». Ci sono delle responsabilità individuali di chi, sembra, ha fatto fatture false e truccato le gare. «Su questo i giudici indagano, fanno bene. Ripeto, io e pochi altri queste cose le denunciamo inascoltati da anni. Ma al di là dei singoli episodi c’è un sistema mostruoso che ha creato tutto questo. Lavori affidati sempre alle stesse imprese, piccole aziende locali soffocate dalla mancanza di fondi e dal monopolio delle grandi imprese che si spartivano tutto». Vuol dire che non crede alla colpevolezza di Mazzacurati? «Rispetto il lavoro della magistratura. Voglio solo dire che il mandante di questa situazione è la politica. Si è creato un sistema che ha dato questi frutti. E oggi, dopo tanti anni si scopre che alcune imprese erano favorite rispetto ad altre. Quando queste cose le denunciava il sindaco di Venezia, a Roma non ho trovato ascolto».
Alberto Vitucci
La politica non c’entra. Ma qualcuno trema.
Giancarlo Galan: «Mazzacurati meritava davvero la misura cautelare?»
Luigi Schiavo (Ance): qualcosa non va nei codici etici di noi imprenditori
VENEZIA – L’attesa del «tintinnar» di manette per la politica, ancora una volta, è andata delusa. Non ci sono politici nella nuova retata che ha portato in carcere il vertice del Consorzio Venezia Nuova ad appena quattro mesi dall’inchiesta che ha decapitato la Mantovani. Ma anche in questo caso le persone finite agli arresti domiciliari con la politica coltivavano un’abituale frequentazione. Il cuore dell’inchiesta della Procura di Venezia è di nuovo il sistema delle fatturazioni su estero (in questo caso l’Austria) di alcune forniture – palancole e sassi da annegamento – a prezzi decisamente superiori a quelli di mercato. Ma se è chiaro il percorso dall’Italia all’Austria per costituire la provvista, non si conosce per il momento il percorso a ritroso che potrebbe effettivamente aver alimentato il mondo della politica. Ma la politica, per adesso, tira un sospiro di sollievo e conferma fiducia nella magistratura. «Sgomento di fronte alla portata dell’inchiesta» si dice Gennaro Marotta, segretario regionale dell’Italia dei valori: «Se è vero che le società cartiere erano tali e facevano fondi neri, questi soldi a che servivano? A chi finivano? La gravità e la delicatezza della situazione è evidente, confidiamo nel lavoro di inquirenti e magistratura, ma certo non è un bel segnale per Venezia». Marino Zorzato, vice presidente della giunta regionale, sottolinea proprio l’estraneità del mondo della politica ed esclude legami con la precedente inchiesta su Piergiorgio Baita: «Non vedo collegamenti tra quest’inchiesta e quella sulla Mantovani. Si tratta di storie diverse, di magistrati diversi, di provvedimenti diversi. Mi sembra più un fatto, esecrabile, tra imprese private. Sono fatti che, se dimostrati, vanno assolutamente condannati ma, ripeto, mi sembrano più vicende legate a rapporti tra imprese». «É difficile entrare nel merito di una vicenda i cui particolari apprendiamo soltanto ora e in modo frammentario – commenta il governatore Luca Zaia –. Ho piena fiducia nell’operato della magistratura l’unica titolata a fare chiarezza e a tutelare gli interessi dei veneti, nella speranza che, in un momento cruciale e tormentato per la nostra terra, l’istruttoria si svolga nel più breve tempo possibile per il bene del Veneto». «Le mie sensazioni sono due – riflette Giancarlo Galan, per tre volte governatore del Veneto –. La prima è umana ed è per Giovanni Mazzacurati: ingegnere idraulico che, a 81 anni, sta per realizzare il sogno della sua vita. Mi chiedo: meritava davvero la misura restrittiva? La seconda è di grande dispiacere: io, a differenza di Massimo Cacciari, al Mose ci ho sempre creduto. Sono e resto convinto che si tratti di una grandissima opera di ingegneria idraulica, straordinaria e mondiale. Vederla sporcata da questa vicenda mi provoca un grande dispiacere». «La politica non si chiami fuori – attacca il capogruppo di Verso Nord, Diego Bottacin –. Questa vicenda è l’ennesima conferma dell’assoluta assenza di libertà e di concorrenza nelle commesse pubbliche. Questo sistema tiene fuori le imprese migliori e tiene dentro le imprese amiche, soffocando la concorrenza e facendo pagare ai cittadini un sovrapprezzo inaccettabile». «Forse lo Stato e non solo per il Mose dovrebbe rivedere le regole d’ingaggio dei concessionari unici, le modalità di assegnazione della concessione e di utilizzo dei fondo» aggiunge Gennaro Marotta. Stesso ragionamento di Luigi Schiavo, presidente regionale di Ance costruttori, che non esita a fare autocritica: «Non è il primo caso, non sarà probabilmente l’ultimo. Evidentemente c’è qualche cosa che non va nelle regole: in quelle dello Stato ma anche nei nostri codici etici». Non va per il sottile Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista: «Il Mose è come la Tav in Val di Susa: grandi opere per grandi mazzette, solo che le mazzette si scoprono dopo, quando i danni sono già stati fatti e i soldi pubblici sprecati». In una nota il consigliere regionale della Federazione della sinistra Veneta, Pietrangelo Pettenò, rileva: «L’arresto di Mazzacurati getta un’ombra su tutta la città e chiama le forze politiche ed istituzionali che hanno governato e operato le scelte sul territorio ad una grande iniziativa di chiarificazione e trasparenza».
Daniele Ferrazza
Il chioggiotto Tiozzo «Imprese note e ben radicate»
Sorpresa e stupore per il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Lucio Tiozzo, che vive a Chioggia, la città dove l’inchiesta si è abbattuta come un ciclone coinvolgendo alcune delle più conosciute imprese di lavorazioni marittime. «Sono tutte imprese conosciute e radicate nel tessuto economico ed industriale del territorio», spiega il capogruppo Pd. «Non ho elementi per commentare, aspettiamo che la magistratura completi il proprio lavoro». «A Chioggia esiste un distretto delle opere marittime: piccole e medie imprese che sanno lavorare in mare con professionalità».
Puppato: quei sospetti del Consiglio veneto
L’ex capogruppo Pd: facemmo un sopralluogo per le cerniere pagate più dei prezzi di mercato
VENEZIA «Non conosco i dettagli di quest’inchiesta, ma certamente ancora una volta è rimesso in discussione il modello di governo del centrodestra nel Veneto». Laura Puppato, ex capogruppo del Pd in consiglio regionale ed oggi senatore della Repubblica, rivendica il merito di aver puntato l’indice contro la gestione dei lavori del Mose, un paio d’anni fa. «Report dedicò un’intera trasmissione al Mose e al sistema di lavori che alimentava. Ne parlai in Regione e feci un’interrogazione». Cosa la colpì, all’epoca? «Il caso delle cerniere che venivano fatte pagare molto più dei prezzi di mercato e richiedevano una manutenzione più costante e prolungata di tutti gli altri pezzi». Come andò a finire? «Chiedemmo un sopralluogo di due commissioni regionali sui cantieri del Mose, incalzammo la giunta regionale». In qualche modo, dunque, qualche sospetto c’era. «C’erano degli elementi che ci avevano portato ad accendere i riflettori su questa grande opera e sulla gestione del Consorzio Venezia Nuova». Ancora un’inchiesta che lambisce le grandi opere nel Veneto: che impressione si è fatta? «Credo che questa sia l’occasione per una riflessione più generale. Negli ultimi dieci anni siamo stati pervasi dalla cultura delle grandi opere: una deriva che ha prestato terreno alla demagogia politica del fare e, dall’altro, ha portato a pagare prezzi altissimi». Qualche esempio? «La Maddalena, il ponte sullo Stretto, L’Aquila, gli stessi F35 sono tutte facce della stessa medaglia. Pervasi dalla cultura del fare, in assoluta emergenza, le grandi opere, finiamo per realizzarle pagandole di più del dovuto perché sotto c’è una foresta di corruzione, concussioni, turbativa d’asta» Che cosa si può fare, dunque? «Far uscire le grandi opere pubbliche dal tunnel dell’emergenza, riflettere se si tratti di investimenti necessari, anche alla luce della situazione generale. E poi è necessaria la trasparenza, assoluta, nelle procedure e nei percorsi. I cittadini non possono continuare a pagare prezzi più alti per delle opere pubbliche che all’estero costano meno». (d.f.)
l’ambientalista beppe caccia
«Opere con procedure straordinarie, ecco il cuore del malaffare»
«Dopo l’arresto di Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani SpA, per frode fiscale, il nuovo filone di indagini che ha portato ieri mattina all’esecuzione di provvedimenti cautelari a carico del presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e di altre 13 persone per turbativa d’asta, dimostra che la realizzazione di grandi opere infrastrutturali, spesso inutili, attraverso procedure straordinarie sottratte ad ogni controllo, è il cuore del malaffare, della costruzione di veri e propri sistemi di potere finalizzati all’accaparramento di enormi risorse pubbliche da parte di pochi». È il commento di Beppe Caccia, consigliere comunale della lista In Comune, che, ancora una volta – come già per il caso-Baita – punta i riflettori sugli effettivi negativi dell’operazione Mose, «grande opera che è costata e costerà oltre sei miliardi di euro, finanziamenti dello Stato sempre e comunque reperiti nonostante la crisi e le varie spending review. Risorse di tutti i cittadini che sono state finora gestite, senza alcuna trasparenza e fuori da ogni verifica, da un consorzio di imprese private, i cui metodi sono oggi sotto gli occhi di tutti. Origine di tutti i mali, di cui oggi vediamo emergere solo qualche dettaglio, è infatti il perverso meccanismo della concessione unica da parte dello Stato dei lavori per la salvaguardia fisica di Venezia e della sua Laguna, meccanismo che dal 1984 in poi ha consegnato ad una lobby d’imprese un enorme potere di condizionamento della vita economica e politico-amministrativa della città e dell’intera regione». Conclude il consigliere ambientalista: «Mentre ci auguriamo che ulteriori sviluppi delle indagini chiariscano una volta per tutte come sono stati impiegati e a chi sono stati dirottati i fondi neri accumulati all’estero dal Consorzio Venezia Nuova e dai suoi soci, è proprio il sistema della concessione unica che dev’essere quanto prima superato».
Orsoni: «Metodo rozzo però il sistema è in crisi»
Il sindaco di Venezia critica la gestione delle concessioni affidate ai privati
«Dovrebbero essere gestite nell’interesse pubblico, ma bisogna vigilare»
VENEZIA «Fatture false, appalti pilotati: mi pare un metodo alquanto stravagante e un po’ rozzo d’agire». Così, di prima battuta, il sindaco Giogio Orsoni commenta la notizia del giorno, tra le mani i primi lanci di agenzia sugli arresti di Giovanni Mazzacurati & Co. che hanno terremotato il Consorzio Venezia Nuova, con accuse di false fatturazioni, fondi neri, moltiplicazione di costi per le casse pubbliche e appalti pilotati. A scanso di equivoci: «rozzo» non si riferisce all’operato degli investigatori, ma al (presunto) agire degli indagati. «Certo, se queste prime accuse saranno accertate», prosegue Orsoni, che legge le notizie con l’occhio dell’avvocato, oltre che del sindaco, «sarebbe una grave distorsione non solo dell’uso dei fondi pubblici destinati al Mose, ma anche della concorrenza delle imprese locali, con riflessi in prospettiva negativi, perché la distorsione della concorrenza, altera anche il corretto comportamento delle aziende, con trattamenti previlegiati». Poi arriva il giudizio dell’amministratore e del politico, che da anni protesta per l’espropriazione subita dal Comune di decisioni su parti e funzioni strategiche del proprio territorio, gestite in maniera autonoma dai concessionari dello Stato, si tratti di salvaguardia (con la concessione unica al Consorzio Venezia Nuova), del porto con l’Autorità portuale o dell’aeroporto. con Save. «Il sistema delle concessioni», prosegue Orsoni, «dovrebbe essere contingente e limitato, ma soprattutto ha bisogno di amministrazioni che siano grandi controllori, molto efficaci e puntuali nelle verifiche. Non mi riferisco solo alla realizzazione del Mose, ma in generale: la gestione delle concessioni è prevista dalla legge, ma è impropria. Penso anche a porto o aeroporto. In generale, le concessioni private dovrebbero essere gestite nell’interesse pubblico, ma essendo i privati i cointeressati, questi possono perseguire scopi che – talvolta – se non sufficientemente controllati, possono far prevalere i loro interessi rispetto a quelli del concessionari». Dunque, che fare? «Mi pare che quest’inchiesta, metta in discussione tutto il sistema, simile com’è nel meccanismo a quanto contestato all’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, nel creare cartiere e fondi neri», conclude Orsoni, «per il Mose c’è ancora oltre 1 miliardo di euro da spendere, non noccioline. Bisogna vigilare da vicino: non a caso ho chiesto da tempo che il Magistrato alle acque sia trasferito al Comune. Non dico che il nostro controllo sarebbe più efficace, ma serve un maggiore verifica da parte delle amministrazioni, per avere più occhi e più vicini».
Roberta De Rossi
«Salvare le dighe mobili dal discredito»
Il presidente della Provincia di Venezia Zaccariotto: temo ricadute negative su economia e politica
VENEZIA «Questa nuova ondata di arresti che coinvolge imprese e personaggi del nostro territorio genera un grande senso di sgomento, proprio perché, alla fine, non può non avere ricadute negative sul sistema delle imprese e sulla politica, oltre che direttamente sulla gente. In attesa di capire quali sarà l’esito finale di questa inchiesta a largo raggio della magistratura, sarebbe estremamente negativo se venisse coinvolta nel discredito un’opera come il Mose, che al di là dei giudizi di ognuno, è un’infrastruttura di enorme importanza e ormai vicina alla conclusione. Mi auguro veramente che questo non accada». È il pacato commento del presidente della Provincia Francesca Zaccariotto alla nuova inchiesta sul sistema delle imprese legate anche alla costruzione del Mose, che ha portato tra l’altro anche all’arresto dell’ingegner Giovanni Mazzacurati, fino a pochi giorni fa presidente del Consorzio Venezia Nuova. Che si faccia chiarezza su tutto e che la magistratura vada fino in fondo – commenta invece il segretario provinciale del Pd Michele Mognato – se, come pare, si configureranno illeciti legati al sistema delle imprese e dei loro rapporti. In senso generale, la Corte dei Conti ha già detto da tempo che c’è qualcosa che non funziona in profondità nel nostro Paese». «Premesso che è doveroso attendere l’esito dell’inchiesta della magistratura – aggiunge invece il parlamentare veneziano Andrea Martella – emerge comunque un nodo, già evidenziato in passato che è il ruolo del Consorzio Venezia Nuova come concessionario unico delle opere di salvaguardia in laguna, con una capacità di spesa di rapporti assoluta. È un’anomalia che va superata nell’interesse dei veneziani». «Confido che la Magistratura faccia fino in fondo il proprio ruolo, facendo chiarezza su un sistema che per decenni ha strozzato l’economia della Città di Venezia – commenta invece il capogruppo delle Federazione della Sinistra in Consiglio comunale, Sebastiano Bonzio – per come configurato dall’inchiesta odierna che ha portato all’arresto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e quella che tre mesi fa ha portato, tra gli altri, alla custodia cautelare per il reato di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale” del presidente della Mantovani. Pretendiamo che si esca dalla logica delle opere utili solo per chi le fa e che, finalmente, si operi per rivoluzionare questo sistema».
«Appalti, troppo potere dal monopolio»
Il senatore Casson: il Parlamento approvi una legge per contrastare la corruzione, il sistema più malato degli anni ’90
VENEZIA – Senatore Felice Casson, un passo indietro a vent’anni fa, quando lei era Gip a Venezia. In che occasione lei ha conosciuto Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani e protagonista dell’inchiesta giudiziaria che continua a riservare sempre nuovi clamorosi sviluppi? «Ero Gip del processo sulla tangentopoli veneta che ha portato a giudizio Franco Ferlin, portaborse di Carlo Bernini e Giorgio Casadei, portaborse di Cesare De Michelis. In quegli anni la procura della repubblica di Venezia si era fermata troppo presto su Baita, che aveva appena cominciato a parlare e aveva dato l’illusione di raccontare tutto. Così il manager è tornato libero e su quel fronte tutto è continuato peggio di prima». I magistrati hanno già accordato il patteggiamento a Piergiorgio Baita per l’inchiesta sull’evasione fiscale con le società cartiere estere: secondo lei è una procedura corretta o troppo veloce? «No, nessun dubbio, è una procedura correttissima. Il pm ha valutato le dichiarazioni rese dall’imputato come utili per l’ottica processuale e ha proposto il patteggiamento. Ha seguito la prassi: penso che i positivi sviluppi si vedranno più avanti. La strategia processuale è stata perfetta: è corretto che il magistrato inquirente acquisisca gli elementi probatori e li sottoponga al vaglio del dibattimento in tempi rapidi proprio per evitare che i processi restino aperti in eterno. Ora con il patteggiamento di Baita si chiude una fase e se ne apre una di nuova. Da parte mia, massimo rispetto per il lavoro della procura di Venezia». Tutti si chiedono se siamo di fronte ad una stagione simile a quella del 1992-93 almeno per quanto riguarda i grandi appalti di Venezia e del Veneto finiti nell’occhio del ciclone. Il filone lambisce i legami tra politica e affari: la sua impressione? «La situazione è peggiore rispetto agli anni Novanta perché gli imprenditori e i politici si sono fatti più accorti, i sistemi delle tangenti funzionano ancora ma sono più sofisticati e coperti. Oggi per la magistratura è molto più difficile trovare le prove e arrivare alla condanna rispetto agli anni Novanta. In secondo luogo, con tutte le cautele, le inchieste di questi giorni sono sempre il preludio a vicende più complesse: con le turbative d’asta e le evasioni fiscali si preparano le provviste per i fondi neri illeciti, da utilizzare a seconda della bisogna. Ci vuole pazienza e attendere gli sviluppi». Lei non crede che sul Mose di Venezia anche il Parlamento debba aprire una commissione d’inchiesta per fare luce su come sono stati spesi questi 5 miliardi di euro? «Per il Mose ho chiesto con interrogazioni parlamentari presentate al Senato che si ponga fine al sistema della concessione unica. Si tratta di una procedura anomala che contrasta con le esigenze di trasparenza e libera concorrenza del mercato. Persino il Parlamento europeo ha criticato il sistema di monopolio e il concessionario unico non ha più ragione di esistere. C’è già stata una risoluzione votata dal Senato che invita a cambiare una procedura che vìola ogni regola di concorrenza, crea dei privilegi e disparità di trattamento tra le aziende non accettabili. I benefici sono pochissimi e si assegna un potere grandissimo al Consorzio Venezia Nuova, soggetto privato, che anziché essere controllato dal Magistrato delle acque, diventa il supervisore di se stesso e ciò determina un sistema perverso». Per il Mose siamo in dirittura d’arrivo, le opere sono al 75% e modificare la concessione unica diretta è una sfida impossibile che si fa? «Siamo ormai al traguardo, da sempre sono stato contrario e scettico sull’utilità di quest’opera che però va finita entro il 2016. Speriamo solo che non produca danni a Venezia e al sistema lagunare, mi preoccupa però che tutti i soldi destinati in laguna dal Governo finiscano nelle casse del Consorzio Venezia Nuova. Ciò non va bene perché tutta la galassia di imprenditori che lavora per lo scavo dei rii, il restauro delle case e delle fondamenta, ha visto prosciugare i fondi loro assegnati perché tutte le risorse sono finite al Mose. La crisi pesa, lo so che è difficile cambiare un’opera giunta alla conclusione ma le perplessità sono fortissime: sulle cerniere delle paratie ferve una discussione scientifica con dubbi mai fugati». Senatore Casson, quali iniziative bisogna adottare per contrastare la corruzione e aiutare le imprese oneste che rispettano le procedure ? «Debbo dire che la legge anticorruzione Severino-Monti della scorsa legislatura è del tutto inutile: solo acqua fresca. Ho ripresentato un ddl di legge a nome del Pd per avviare una lotta vera alla corruzione, che questa maggioranza non farà mai. Non è possibile che il Parlamento sia costretto a occuparsi delle vicende personali di Berlusconi invece di affrontare la grave crisi economica e rilanciare le aziende che operano nel rispetto della legalità. Ci vuole una svolta».
Albino Salmaso
Cerniere, guerra in tribunale
La General Fluidi ha presentato una denuncia contro la Fip Group
PADOVA – La General Fluidi, azienda padovana produttrice di impianti oleodinamici, presenta una nuova denuncia, questa volta penale, contro parte dello staff tecnico e direttivo della Fip Industriale, società di Fip Group, per appropriazione indebita. Fip Industriale è accusata «di aver assunto indebitamente la paternità dei progetti oleodinamici di General Fluidi da inserire nel progetto esecutivo Mose per la regolazione dei flussi di marea a Venezia». La controversia sta nell’utilizzo dei disegni tecnici industriali e degli elaborati progettuali, che sarebbero «stati copiati e ceduti a società concorrenti fra le quali Fiar Oleodinamica, marginale concorrente di General Fluidi, per far eseguire sotto costo i manufatti oggetto di progettazione, realizzando così un indebito vantaggio patrimoniale». Nello specifico, Fip Industriale ha commissionato a General Fluidi la progettazione e realizzazione, comprensiva di elaborati tecnici, di un modello di sistema oleodinamico per l’azionamento dei 178 gruppi di connettori di aggancio con relative centraline alle paratie mobili. «In questo caso, appare configurarsi il reato previsto dagli articoli 473 e 646 del codice penale», rileva l’avvocato Biagio Pignatelli, legale dell’azienda General Fluidi – in quanto FIP Industriale si è indebitamente appropriata della paternità del progetto, comprensivo di disegni tecnici, prototipazione e risultati dei test di collaudo. Tale illecita condotta», prosegue Pignatelli, «ha sicuramente creato un grave danno economico a General Fluidi quantificato in 650 mila euro, privandola dei profitti che le sarebbero derivati dalla commessa relativa alla realizzazione di tutto il sistema del Mose e rendendo inutile l’investimento di tempo e denaro per l’acquisizione delle competenze tecniche necessarie a sviluppare l’opera».
Venezia rivive l’incubo della tangentopoli di vent’anni fa
VENEZIA – Il ciclone non si ferma e le società «cartiere» costruite all’estero per creare fondi neri spuntano come funghi. Dopo il blitz del febbraio scorso che ha portato in carcere Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, William Colombelli e Nicolò Buson con l’accusa di frode fiscale, ora siamo alla «Grande retata di Chioggia» con altri 7 arresti e altri 7 obblighi di dimora ai domiciliari con l’accusa di turbativa d’asta. Venezia si ritrova così al centro di clamorose inchieste giudiziarie e rivive l’incubo degli anni Novanta, con gli imprenditori portati in carcere con le manette ai polsi a raccontare il patto per la divisione degli appalti. Allora c’era un cartello regolato dalla politica con una sorta di manuale Cencelli: per vincere bisognava pagare i capicorrente. Un’intera classe politica fu spazzata via: Dc e Psi azzerati. Il Mose era agli inizi, ancora nella fase progettuale. Ma il sistema degli appalti era già ben codificato in base alla legge per la salvaguardia della laguna di Venezia del 1983 che permette al Consorzio Venezia Nuova di concedere i lavori senza alcuna gara pubblica o bando, essendo concessionario unico. Monopolio assoluto. In barba a tutte le norme Ue di concorrenza. Con il Governo italiano più che mai deciso a difendere la procedura dagli attacchi di Bruxelles e Strasburgo: Venezia verrà salvata dal «Mose Made in Italy». Sfida politica internazionale, con tutti i presidenti del Consiglio e ministri dei Lavori pubblici pronti a rispondere ad ogni attacco e critica. Lo strabiliante aumento dei costi arrivato a 5 miliardi e mezzo di euro? Già previsto. Non è così anche per la Salerno-Reggio Calabria e l’Alta Velocità, due scommesse mai vinte? Il Mose, almeno, fra tre anni entrerà in funzione per salvare Venezia e la laguna dalle alluvioni. Il merito? Di Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita, il direttore padre-nobiler del Mose, e il top manager della Mantovani, il re del project financing in Veneto. La loro stagione si è chiusa e si gira pagina. La magistratura questa volta ha bruciato le tappe: Baita ha confessato non solo i fondi neri all’estero con l’evasione fiscale ma anche i legami con i «committenti» e ha patteggiato la pena di 22 mesi. Anche gli altri indagati hanno seguito analoga procedura: Minutillo se la caverà con 16 mesi, Buson e Colombelli con 14. Tutto finito? pare proprio di no. Perché il blitz di ieri fa capire che la magistratura si è mossa ben prima della confessione di Baita. E le sorprese non sono finite: la pista dei fondi neri e dell’evasione fiscale su società estere è infinita.
Chioggia travolta, coinvolti in dieci
Le imprese nei guai: Lavori marittimi, Cooperativa San Martino, CoEdMar, Zeta, Clodiense, Somit, Dragaggi, Tiozzo, Boscolo
CHIOGGIA – La bufera giudiziaria sul Mose si abbatte pesantemente su Chioggia, dove risiedono 10 dei 14 destinatari dei provvedimenti restrittivi eseguiti dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Venezia. I dieci indagati di Chioggia sono tutti imprenditori molto conosciuti in città, che operano da anni nel mondo delle opere marittime e idrauliche. Sono agli arresti domiciliari Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della “Lavori marittimi e dragaggi”; Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori della cooperativa San Martino; Gianfranco Boscolo Contadin (conosciuto come Flavio), direttore tecnico della Nuova CoEdMar. Obbligo di dimora per Valentina Boscolo Zemello, legale rappresentante della Zeta; Antonio Scuttari, legale rappresentante della “Clodiense opere marittime”; Carlo Tiozzo Brasiola, legale rappresentante della Somit; Luciano Boscolo Cucco, titolare della Dragaggi; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della ditta Tiozzo Gianfranco; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della società Boscolo Sergio Menela e Figli. Obbligo di dimora anche per Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus srl, di Cona. Sono imprese storiche che operano nei dragaggi e nelle opere marittime da decenni, con appalti in Italia e all’estero. Le ditte finite sotto la lente d’ingrandimento della Finanza per presunta turbativa d’asta e fondi neri operano nel settore da decenni, alcune dalla fine dell’Ottocento quando con i burci si risalivano i fiumi per trasportare i sassi. Negli anni si sono ingrandite, dotate di strumentazioni all’avanguardia, di flotte di ultima generazione: lavorano con appalti pubblici e privati in Italia e all’estero, soprattutto con commesse nel Mediterraneo. La Nuova CoEdMar, nata nel dopoguerra, negli ultimi anni si è specializzata nelle costruzioni marittime e fluviali, nelle bonifiche e nelle opere speciali, lavora quasi esclusivamente per committenti pubblici (spesso negli interventi in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune) e collabora con numerosi dipartimenti universitari. La cooperativa San Martino, nata nel ’66 dopo l’alluvione che mise in ginocchio Venezia e Chioggia, si è specializzata nella realizzazione di opere edili marittime proprio per dare un contributo alla salvaguardia della laguna. Tra i cantieri più importanti dell’ultimo periodo è proprio quello del Mose di cui sta realizzando le paratie mobili alla bocca di porto di Chioggia. La Dragaggi, nata nel 1870, opera nel settore delle costruzioni marittime, delle costruzioni idrauliche, della movimentazione a terra e negli sterri e spianamenti. Ha sede a Marghera ma l’amministratore unico, Luciano Boscolo Cucco, è di Sottomarina. La Somit (Società opere marittime idrauliche Tiozzo) è specializzata nelle opere marittime e idrauliche. Tra i lavori eseguiti a Chioggia, per conto del Magistrato alle acque, la sistemazione dei corpi arginali dalla foce sinistra del canale Novissimo fino all’idrovora del Vernio a Valli e il restauro dei ponti Scarpa e della Pescheria su canal Vena. Tutte le ditte hanno ottenuto le certificazioni internazionali su qualità dei lavori e sicurezza.
Elisabetta B. Anzoletti
Luciano Boscolo Cucco fu premio della bontà
Attivo nel mondo della cultura, è stato lui a far sfilare il bragozzo in Quinta strada a New York
CHIOGGIA – Forse il più conosciuto in città, per le numerose iniziative benefiche e per l’attivismo nel mecenatismo culturale, tra i nomi degli imprenditori raggiunti dai provvedimenti cautelari è quello di Luciano Boscolo Cucco, 62 anni, amministratore unico della Dragaggi. Cucco ha legato il suo nome negli anni a moltissime iniziative sociali e culturali. Tra le sue imprese più famose l’aver portato a sfilare nella Quinta Strada di New York il bragozzo “Teresina” in occasione del Columbus Day del 2006. Cucco è infatti noto anche nella Grande Mela grazie alla sua presenza nel consiglio di amministrazione di Ilica (Italian language inter cultural alliance) e come vicedirettore della International Columbia association. Tra i riconoscimenti che ha ottenuto negli ultimi anni il Premio della bontà, il Barbotin d’oro nel 2009, il “Leone marciano”, il “Mecenate dell’anno”. È stata sua l’idea del gemellaggio marinaro tra Chioggia e Saint Tropez con le vele al terzo e il gemellaggio con Cervia per la rotta del sale, che si concretizza ogni anno con una manifestazione all’interno della Sagra del pesce. Cucco è console della Mariegola delle Romagne in Veneto, cavaliere di San Marco, membro del Vero Cuore, membro del Comitato della Croce e cavaliere crociato. È attivo come mecenate nel mondo della cultura e della pittura. Finanzia borse di studio, pubblicazioni di libri, organizzazione di mostre e produzioni di tele e acquarelli. Fa parte dell’associazione “Ignazio Silone”. Ha portato la sua collezione privata di tolele (tavolette ex voto) in mostra in numerose località per tenere viva la cultura marinaresca e far conoscere Chioggia in tutto il mondo. (e.b.a.)
IL SINDACO CASSON «Vanno chiarite tutte le posizioni»
Sconcerto generale, il Consorzio Chioggia Nuova: situazione delicata
CHIOGGIA – La notizia dell’indagine delle Fiamme Gialle in cui sono finiti anche nomi di importanti imprenditori chioggiotti ha fatto ieri rapidamente il giro della città, suscitando sorpresa, incredulità e molta curiosità. In pochi vogliono commentare la vicenda, ma la notorietà delle persone coinvolte non ha lasciato indifferente nessuno. Il mondo delle opere marittime non è nuovo alle indagini, in qualche caso finite anche con condanne, ma il numero dei provvedimenti eseguiti a Chioggia nell’ambito dell’indagine sui cantieri del Mose è notevole. «È senz’altro un fatto importante che merita la massima attenzione», commenta il sindaco, Giuseppe Casson, «ovviamente non posso e non ho elementi per entrare nel merito della vicenda, ma confido nel lavoro della Magistratura perché si faccia chiarezza quanto prima. Dobbiamo attendere l’esito delle indagini che sono al momento in una fase preliminare e quindi esistono tutti gli spazi perché gli indagati possano difendersi e chiarire la loro posizione». C’è anche chi pensa ai riflessi occupazionali perché si tratta di aziende importanti, anche con centinaia di dipendenti nei casi delle società più grosse. «Sono questioni delicate», commenta Ivano Boscolo Bielo, presidente del Consorzio Chioggia Nuova che raggruppa molte imprese marittime della città, «spetterà alla Magistratura fare tutte le verifiche del caso. Speriamo che tutto si risolva per il meglio». Alcune delle ditte coinvolte nelle indagini hanno eseguito anche molti cantieri pubblici in città attraverso gli appalti affidati dal Consorzio Venezia Nuova, soggetto attuatore dei lavori previsti in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune per portare in quota di salvaguardia il centro storico. Nell’accordo di programma il rialzo delle rive e delle calli, il restauro dei ponti su canal Vena, la ristrutturazione della porta di Santa Maria, la realizzazione del Baby Mose per fermare l’acqua alta e più di recente il maxi intervento per la riapertura del canale Perotolo e la realizzazione della nuova piazza con i tre ponti. (e.b.a.)
Corriere del Veneto – Mose, appalti ‘distorti’ e fatture false. Arrestato l’ex presidente Mazzacurati.
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12
lug
2013
Operazione della Finanza. E’ bufera sulla società che si occupa delle dighe mobili di Venezia, in manette anche il consigliere Savioli
VENEZIA – Appalti «distorti» in favore di alcune imprese «amiche» e fatture false: 14 arresti e più di cento indagati. Scoppia la bufera sul Consorzio Venezia Nuova, la società che si occupa della costruzione delle dighe mobili di Venezia per difenderla dalle alte maree. Oltre 500 militari delle Fiamme gialle stanno operando, tra arresti e perquisizioni, tra il Veneto, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio e la Campania. La principale accusa nei confronti degli indagati è turbativa d’asta. Tra gli arrestati figura anche l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati.

Sono circa 100 le persone indagate nell’indagine del Nucleo di polizia Giudiziaria di Venezia che ha eseguito, stamane, 14 provvedimenti restrittivi che hanno coinvolto il vertice del Consorzio Venezia Nuova e altre società consorziate, impegnate nei lavori di costruzione del Mose. Sono sette gli arresti domiciliari e altri sette gli obblighi di dimora notificati nelle 140 perquisizioni in corso da parte dei finanzieri. Tra gli arrestati, come detto, Giovanni Mazzacurati, già Presidente e Direttore Generale del Consorzio Venezia Nuova, dimessosi lo scorso 28 giugno, e Pio Savioli, Consigliere del Consorzio Venezia Nuova. Le accuse, secondo quanto si è appreso, sono fatture false (che ammonterebbero a sei milioni di euro) e appalti «distorti».
Agli arresti domiciliari anche Federico Sutto, dipendente del Consorzio Venezia Nuova; Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della Lavori Marittimi e Dragaggi Spa; Mario Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino; Stefano Boscolo Bacheto, amministratore di fatto della Cooperativa San Martino; e Gianfranco Boscolo Contadin (detto Flavio), direttore tecnico della Nuova Co.ed.mar.
Sono stati invece destinatari dell’obbligo di dimora Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta Srl; Antonio Scuttari, rappresentante legale della Clodiense Opere Marittime; Carlo Tiozzo Brasiola, rappresentante legale della Somit Srl; Luciano Boscolo Cucco, rappresentante legale de La Dragaggi Srl; Dimitri Tiozzo, rappresentante legale della Tiozzo Gianfranco Srl; Juri Barbugian, rappresentante legale della Nautilus Srl; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della Boscolo Sergio Menela e Figli Srl.
Le indagini della Guardia di Finanza di Venezia avrebbero fatto emergere un ruolo dominante e discrezionale del Consorzio Venezia Nuova – in primis, dell’allora presidente Giovanni Mazzacurati – nella gestione dei lavori del Mose e di tutte le opere ad esso correlate. Ruolo che avrebbe permesso di agevolare alcune imprese a scapito di altre; e ciò grazie ad assegnazioni di lavori «fuori quota», i quali esulano dai principi del cosiddetto «prezzo chiuso» e delle assegnazioni in relazione alle rispettive quote di spettanza. I finanzieri hanno così individuato il ruolo centrale, nel meccanismo della presunta distorsione del regolare andamento degli appalti, dell’ex presidente Mazzacurati. Secondo l’accusa, predeterminava la spartizione delle gare allo scopo di garantire il monopolio di alcune imprese sul territorio veneto, di «tacitare» i gruppi economici minori con il danaro pubblico proveniente da altre pubbliche amministrazioni e quindi di conservare a favore delle imprese «maggiori» il fiume di danaro pubblico destinato al Consorzio Venezia Nuova. Le indagini delle fiamme gialle lagunari, coordinate dal colonnello Renzo Nisi, sono infatti iniziate da una verifica fiscale svolta nei confronti della Cooperativa San Martino di Chioggia.
I finanzieri hanno così accertato l’utilizzo di una società austriaca, mediante la quale veniva fatto lievitare in modo fittizio il costo di acquisto delle palancole e dei sassi da annegamento provenienti da una società croata, così da creare in Austria dei «fondi neri» a disposizione dei referenti della cooperativa, arrestati stamani.
Nuova Venezia – Venezia, Il Mose prepara l’esame delle paratoie
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5
lug
2013
La quarta è stata installata ieri al Lido, da fine estate inizieranno le prove di chiusura del sistema di dighe mobili.
Il primo pezzo di Mose è pronto per iniziare a funzionare – sia pure solo in fase sperimentale – già da fine estate. Ieri pomeriggio, infatti, è stata installata la quarta paratoia mobile nel canale nord della bocca di porto del Lido. Si conclusa così la prima fase di installazione del sistema di dighe mobili alle bocche di porto, realizzato dal Consorzio Venezia Nuova. Giunta il giorno prima sopra un pontone da Marghera, ieri la paratoia è stata agganciata allo speciale mezzo di varo che ha iniziato a a farla scendere tramite una “trave pescatrice” dotata di pistoni idraulici per controllare spostamenti millimetrici. Una volta entrata in acqua, la paratoia si riempie attraverso apposite aperture e cala fino ad arrivare nel suo alloggiamento, già predisposto nel fondale. Il momento clou, nel primo pomeriggio di ieri, è consistito appunto nell’aggancio del “maschio” della cerniera, collegato alla paratoia, alla “femmina” già installata nell’alloggiamento. Un’operazione perfettamente riuscita. Tutte le operazioni vengono seguite e controllate da un sistema topografico dotato di un software 3D, che è stato messo a punto per garantire gli altissimi livelli di precisione necessari, poiché si opera in diverse condizioni meteo ambientali. Nei prossimi mesi le paratoie si alzeranno per l’avviamento delle cosiddette “prove in bianco”, per verificarne il corretto funzionamento, anche se ovviamente ciò non avrà alcune conseguenza sull’interruzione dei flussi di marea perché sono solo 4 delle 78 paratoie installate a regime per il funzionamento del sistema. Si tratta comunque di una fase tecnica decisiva per ottimizzare e velocizzare la conclusione del sistema di difesa, che è oggi realizzato per oltre il 75 per cento Il Mose è già finanziato per 4.934 milioni di euro, e laa copertura economica consentirà l’ultimazione del dispositivo di difesa dalle acque alte nel 2016, con la predisposizione, nel 2014, delle prime due barriere sulle 4 previste. Il costo totale del sistema è di 5.493 milioni di euro. Gli addetti attualmente coinvolti nella realizzazione del Mose sono oltre 4 mila; di questi, circa mille sono le maestranze specializzate direttamente impegnate nei cantieri alle bocche di Lido, Malamocco e Chioggia. Dopo le “prove in bianco” di questa estate, tra ottobre e novembre partiranno i lavori per la barriera di Lido sud. Verranno varati con il grande “ascensore” di Malamocco i cassoni che saranno posizionati nella trincea sul fondale della bocca di porto di Lido, nella parte sud, avviandone il completamento. Nel 2014 verranno completate le doghe mobili del Lido e verranno varate e posizionate le basi delle altre due barriere di Malamocco e Chioggia per procedere all’installazione delle paratoie e ultimare il Mose per il 2016. All’Arsenale Nord è già attivo in un edificio messo in sicurezza e infrastrutturato, il Centro di controllo per la gestione del Mose. Il sistema è già in funzione per la previsione delle acque alte e la simulazione delle chiusure con le barriere mobili del Mose.
Enrico Tantucci
Gazzettino – Venezia. Mose, con la quarta paratoia si “chiude” la bocca del Lido.
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4
lug
2013
L’AVANZAMENTO – L’opera oggi è realizzata al 75 per cento. La fine nel 2016.
SALVAGUARDIA Oggi la posa e l’aggancio al fondale, tra pochi mesi le prime prove “in bianco”
Il Mose si avvicina sempre più alla conclusione. Oggi si conclude la prima fase di installazione delle paratoie. La quarta paratoia mobile viene infatti installata nel canale nord della bocca di porto del Lido (quella di ingresso a Venezia). Giunta sopra un pontone da Marghera, ieri è stata agganciata allo speciale mezzo di varo che comincerà a farla scendere tramite una “trave pescatrice” dotata di pistoni idraulici per controllare spostamenti millimetrici. Una volta entrata in acqua, la paratoia si riempirà attraverso apposite aperture e calerà fino ad arrivare nel suo alloggiamento, già predisposto nel fondale. Il momento clou, nel pomeriggio di oggi, consisterà nell’aggancio del “maschio” della cerniera, collegato alla paratoia, alla “femmina” già installata nell’alloggiamento. Tutte le operazioni vengono seguite e controllate da un sistema topografico dotato di un software 3D, che è stato messo a punto per garantire gli altissimi livelli di precisione necessari, poiché si opera in diverse condizioni meteo ambientali.
Si tratta di un momento fondamentale per la salvaguardia di Venezia, così come stabilito dal Magistrato alle Acque. Nei prossimi mesi le paratoie si alzeranno per l’avviamento delle cosiddette “prove in bianco”. Fase tecnica decisiva per ottimizzare e velocizzare la conclusione del sistema di difesa, che è oggi realizzato per oltre il 75%. Il Mose è già finanziato per 4.934 milioni di euro, questa copertura consente l’ultimazione del dispositivo di difesa dalle acque alte nel 2016, con la predisposizione, nel 2014, delle prime due barriere sulle 4 previste. Il costo totale è di 5.493 milioni di euro, da “prezzo chiuso” stipulato tra Stato e imprese nel 2005. Gli addetti attualmente coinvolti nella realizzazione del Mose sono oltre 4000, di questi, circa 1000 sono le maestranze direttamente impegnate nei cantieri alle bocche di Lido, Malamocco e Chioggia. Si tratta di squadre tecniche altamente specializzate. «Un’altra dimostrazione di eccellenza italiana che è stata seguita con interesse altissimo anche dai tecnici e i media di tutto il mondo», spiega il Consorzio Venezia Nuova, che nei giorni scorsi ha nominato Mauro Fabris nuovo presidente.
Nuova Venezia – Mazzacurati papa’ del Mose si dimette dal Consorzio
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29
giu
2013
«Il cardiologo mi ha consigliato un po’ di riposo».
Trent’anni alla guida del “Venezia Nuova”, prima da direttore generale, poi in veste di presidente
Giovanni Mazzacurati lascia la presidenza e la direzione del Consorzio Venezia Nuova. La fine di un’epoca, perché l’ingegnere padovano ha ricoperto per più di trent’anni la guida del Consorzio, nato nel 1983 per realizzare il Mose e la salvaguardia di Venezia. Ma soprattutto è stato l’inventore del sistema di dighe mobili oggi in costruzione. «Il mio cardiologo mi ha consigliato di rallentare», spiega con un filo di commozione, «ho problemi di salute e mi prendo una pausa di riflessione. Poi si vedrà». Contraccolpi sul Mose, che sta per entrare nella fase più delicata, con la posa di cassoni e paratoie? «Non direi, il Mose ormai è avviato, il mio compito è quasi concluso». Notizia che era nell’aria, ma che è stata ufficialmente diffusa solo ieri, al termine del Consiglio direttivo del Consorzio. L’organo di governo di cui fanno parte i rappresentanti delle maggiori imprese di costruzioni italiane (Mantovani, Fincosit, Condotte, Mazzi, Ccc, Grandi restauri) ha deciso di accogliere la richiesta di dimissioni dell’ingegnere. «Motivi di salute non gli consentono di proseguire nella sua opera», si legge in una nota, «il Consiglio ha preso atto con rammarico della decisione dell’ingegnere e ringrazia il suo presidente per il lungo e appassionato impegno profuso per la realizzazione delle opere di salvagiuardia, in primo luogo il Mose». Nella stessa seduta il Consiglio ha nominato presidente l’ex sottosegretario vicentino Mauro Fabris, 55 anni, e direttore generale l’ingegner Hermes Redi, 61 anni, già responsabile dell’ufficio Studi del Consorzio negli anni Novanta, titolare di una ditta di ingegneria di Padova e di recente collaudatore del ponte di Calatrava. «Due figure che per competenze e professionalità garantiscono di procedere all’ultimazione del sistema di difesa di Venezia senza soluzione di continuità», rassicura il comunicato finale. In realtà per il Consorzio, dal 1984 concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia, si apre una nuova pagina. All’orizzonte c’è il completamento del Mose ma soprattutto la sua gestione negli anni futuri. In pochi mesi le figure chiave del progetto sono uscite di scena. Prima il presidente della Mantovani Piergiorgio Baita, coinvolto nell’inchiesta sulle fatture false; poi il presidente del Magistrato alle Acque Ciriaco D’Alessio. Infine il “padre” del Mose, Giovanni Mazzacurati. Una presenza importante per garantire lavori e finanziamenti. Mazzacurati, già direttore della Furlanis costruzioni alla fine degli anni Settanta, era diventato direttore generale del Consorzio Venezia Nuova nel 1983. Dal 2005, dopo l’uscita di scena di Paolo Savona (quarto presidente dopo Costantini, Luigi Zanda, Franco Carraro) Mazzacurati era anche diventato presidente. Frequenti le sue presenze a Roma, dove aveva libero accesso nelle stanze di ministri e dirigenti dello Stato. Mazzacurati, diventato di recente anche Cavaliere di San Marco e presidente del Marcianum, aveva guidato l’iter del grande progetto anche nei momenti più difficili delle contestazioni, delle inchieste giudiziarie e delle procedure di infrazione aperte dall’Europa. Ne era sempre uscito a testa alta. Grande collaborazione ma non molto feeling con Baita, anche lui uscito di scena qualche mese fa. Mazzacurati, 81 anni, rappresentava il Consorzio, Baita le imprese e la cultura del «fare». Comunque vada lascerà un vuoto importante.
Alberto Vitucci
Arriva Fabris un ex Dc di lungo corso
Un politico in carriera, prima con la Dc, poi con il Ccd di Casini, l’Udr di Cossiga, L’Udeur di Mastella, l’Ulivo di Prodi e il Pdl. Mauro Fabris è nato nel 1958 a Camisano Vicentino. Ha già lavorato come addetto stampa per il pool di imprese alla metà degli anni Ottanta e poi per il Consorzio Venezia Disinquinamento insieme a Piergiorgio Baita. Vicino alla Dc di Bernini e Cremonese, segretario del partito a Vicenza, Fabris è stato anche sottosegretario con i governi D’Alema e Amato, poi in commissione Lavori pubblici e ambiente, membro del comitato per la riforma della Valutazione di Impatto ambientale. È stato sottosegretario al Cipe, il comitato interministeriale che eroga i finanziamenti per le grandi opere. Oggi è commissario straordinario per la galleria del Brennero e presidente della Lega Pallavolo di serie A femminile.
Nuova Venezia – Clini a San Servolo: “Ultimare il Mose il prima possibile”
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27
nov
2012
L’intervento del rappresentante del governo al convegno: «Dobbiamo perpararci al peggio per i mutamenti di clima»
«Bisogna prepararsi al peggio: Venezia e le coste del nostro Paese subiranno eventi climatici più severi di quelli che abbiamo già conosciuto». Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini lo dice all’isola di San Servolo, intervenendo al convegno «Da Sandy a Doha, la sfida del cambiamento climatico». Il clima che cambia e il livello del mare che aumenta. Non è più una previsione di qualche scienziato, ma un’emergenza sempre più vicina. A cui non siamo preparati. «Bisogna finire il Mose e renderlo efficace», ha detto il ministro, «poi aggiornare le difese costiere delle aree del Nord Adriatico sotto il livello del mare, come Ravenna e Monfalcone ai nuovi scenari climatici. Ci vorranno 40 miliardi».
«Bene», commenta l’assessore all’Ambiente del Comune Gianfranco Bettin, «dopo che per vent’anni tutto l’establishment aveva negato l’esistenza dei cambiamenti climatici facendo finta di non vedere, adesso stanno prendendo paura. Se il mare aumenterà di livello bisognerà non soltanto completare il Mose, ma anche verificare che il Mose sia in grado di difendere lo stesso la città pur con le condizioni così radicalmente cambiate. Non basta che siano i progettisti ad assicurarlo». Il Consorzio Venezia Nuova infatti sostiene che le dighe mobili sono in grado di proteggere la città per maree superiori ai tre metri. Studi di scienziati indipendenti hanno dimostrato però che con lo scenario radicalmente modificato rispetto agli studi che avevano giustificato il Mose (60-80 centimetri di aumento del livello del mare a fine 2100, contro i 22 previsti all’inizio) le dighe dovrebbero essere chiuse 80-100 volte l’anno, in pratica una volta ogni tre giorni, molto di più nel periodo invernale. «A quel punto ci si dovrebbe porre il problema del ricambio e della tenuta di questo progetto nella laguna», dice Bettin. Ma i lavori del Mose vanno avanti. E anche il sindaco Giorgio Orsoni ha chiesto al governo di garantirne il completamento. Senza però dimenticare le tante emergenze della città, a cominciare dalla manutenzione, ormai ferma da anni per la mancanza di fondi. «Inutile difendere la città con le dighe se dietro le dighe non c’è più niente», dice Orsoni. Da domani il senato dovrebbe cominciare a discutere la nuova legge di Stabilità, che contiene un emendamento che dà 50 milioni destinati al Mose alla città per i restauri, 100 milioni al Porto. Dovrebbe essere la svolta che restituisce i finanziamenti di Legge Speciale destinati alla manutenzione della città storica, dopo il taglio deciso nel 2001, quando con la Legge Obiettivo di Lunardi-Berlusconi i fondi vennero dirottati esclusivamente al Mose tramite il Cipe.
Alberto Vitucci
Gazzettino – Fondi al Mose. Caccia: “Serve piu’ trasparenza”
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22
ott
2012
REPLICA A BAITA
La replica è pepata. E prende spunto dall’intervista rilasciata l’altro giorno al Gazzettino dall’imprenditore veneziano Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani spa, a capo della cordata per il Mose che ribadiva la necessità di un “progetto condiviso” per la futura gestione del sistema della paratoie mobili.
Così, presa carta e penna, il consigliere comunale di “In Comune”, Beppe Caccia, ha deciso di replicare alle dichiarazioni di Baita.
«Sarebbe opportuno – attacca Caccia – che faccia chiarezza e illustri pubblicamente con grande trasparenza, visto che si tratta di risorse pubbliche, i conti del Consorzio Venezia Nuova. Da quanto è partito il progetto nel 1984 va detto che solo una parte del denaro va a finanziare le opere mentre una gran parte va a sostenere qualcos’altro. Voglio proprio vedere come verranno spesi, in tempi di austerità, i 1.250 milioni di euro stanziati per il Mose da quello stesso Governo che ne nega 50 già deliberati per la Legge speciale. Ma quello che si deve sapere è che il 12 per cento va a pagare non i lavori o le progettazioni, ma serve per l’attività di management del Consorzio Venezia Nuova: ciò significa che questa attività verrà finanziata nei prossimi quattro anni con 250 milioni di euro, oltre 60 all’anno. Si tratta di cifre assurde e del tutto spropositate. Se si dà un’occhiata alle attività affidate all’esterno dal Consorzio, si vede che si può arrivare anche a 300 milioni».
Caccia lancia l’affondo:
«E allora come verranno spesi i 950 milioni rimasti? – si domanda il consigliere comunale – Attraverso l’affidamento alle imprese del Consorzio e senza gara d’appalto. Dunque dei 1.250 milioni circa il 50 per cento, cioè 600 milioni non vanno a pagare le opere, ma vanno ad un ristretto numero di persone che realizzano superprofitti impressionanti. Quando l’opera sarà finita della cifra spesa, solo poco più della metà sarà stata effettivamente spesa per le opere di salvaguardia. Tutto ciò non fa che produrre distorsioni dell’etica e del mercato. Lo “scippo” dell’Arsenale è solo l’estremo esempio. Questa è la vera posta in gioco intorno al futuro dell’area di Castello».
P.N.D.
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