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Gazzettino – Mose, per Casarin scatta la sospensione

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14

feb

2015

VENETO – Dopo il patteggiamento la Regione avvia la procedura per l’ex braccio destro di Chisso

VENEZIA – Ora che la sentenza di patteggiamento di Enzo Casarin – ex braccio destro di Renato Chisso e suo segretario quand’era assessore alle Infrastrutture – è stata notificata alla Regione, per il funzionario convolto nell’inchiesta del Mose è scattata la procedura che porterà alla sospensione dal lavoro.

La giunta regionale del Veneto ieri ha comunicato che, a seguito della documentazione arrivata presso l’Avvocatura regionale lo scorso 11 febbraio relativa alla “sentenza di applicazione della pena su richiesta” – Casarin ha patteggiato un anno e 8 mesi – e trasmessa all’ufficio del personale, «si è dato corso alla procedura per la sospensione dal servizio del signor Enzo Casarin». Si darà quindi corso – recita la nota diffusa da Palazzo Balbi – anche alle conseguenti valutazioni di natura disciplinare che potranno portare all’applicazione di tutte le sanzioni previste dalla normativa vigente, dopo valutazione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari presso il direttore delle Risorse umane.

Casarin era stato sospeso obbligatoriamente dal servizio a decorrere dal 4 giugno 2014, data di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare adottata dal gip del tribunale di Venezia. Successivamente la misura restrittiva della libertà personale aveva cessato i propri effetti per decorrenza dei termini dal 3 ottobre 2014. Il 28 novembre era stata convocata l’udienza per la convalida dell’applicazione della pena su richiesta. La Regione ha specificato che Casarin non ha più ripreso servizio, in quanto si era messo in ferie. Adesso, con le carte arrivate dal tribunale, scatta la procedura per la sospensione obbligatoria e il procedimento disciplinare che può arrivare sino alla sanzione del licenziamento.

 

LA POLEMICA – L’Ordine degli ingegneri mise a disposizione del Comune il progetto della ciclabile staccata dal ponte

Per loro rimane una ferita aperta, oltre a uno smacco per l’ennesima occasione perduta per riqualificare e mettere in sicurezza la pricipale via d’ingresso a Venezia: il Ponte della Libertà. A riaprire il caso che coinvolge il Collegio Ingegneri della provincia di Venezia e due noti professionisti, l’architetto Gian Paolo Mar e l’ingegner Franco Pianon, è stata la la pubblicazione, nell’edizione di martedì del Gazzettino, dell’immagine del “loro” progetto per la pista ciclopedonale al posto di quello che in effetti sta per essere completato.

Già, perché ben prima che si mettesse mano all’attuale passerella a sbalzo ci avevano pensato loro a progettare una soluzione che prevedeva una pista ciclopedonale in sede propria, a Sud del Ponte (e al riparo dal vento essendo lievemente ribassata), e allo stesso tempo un accesso per i mezzi di soccorso in caso di emergenza. Il tutto “foderato” di pannelli fotovoltaici che avrebbero alimentato l’illuminazione del Ponte, di piazzale Roma e del Parco di San Giuliano.

«L’impulso – ricorda Pianon – era stato del Collegio Ingegneri, ma l’idea si era presto trasformata in un progetto, presentato dall’allora sindaco Orsoni al Centro Candiani e finito su alcuni giornali stranieri».

«La Soprintendenza – prosegue l’architetto Mar – all’epoca aveva disposto di realizzare la pista ciclopedonale di una sede propria, staccata dal Ponte».

In un successivo incontro – e dopo alcune conferenze di servizio – in municipio i progettisti erano stati invitati a procedere con la progettazione esecutiva. Erano stati presi contatti con un’azienda danese interessata a realizzare le piattaforme in Frp, un materiale plastico che non avrebbe richiesto manutenzione.

Poi, all’improvviso, il progetto si arenò. O meglio, il Comune decise, senza mai avvisare i progettisti, di procedere con una soluzione alternativa. Troppo costoso, si diceva, il progetto originario: «Ma il costo stimato di circa 20 milioni si sarebbe dimezzato – ribatte Pianon – con l’impegno della società fornitrice dei materiali, senza contare che avrebbe potuto ottenere i fondi dell’Expo e senza considerare il risparmio energetico prodotto dai pannelli».

Di quel progetto, che sarebbe stato pronto per il 2015, rimane solo un faldone di planimetrie e calcoli strutturali. In compenso la passerella “economica” a sbalzo sarà inaugurata a breve ma non sarà praticabile dai ciclisti se non fra due anni, quando sarà completato (e finanziato a parte) il tratto fra i Pili e via della Libertà.

 

Nuova Venezia – Mose, Orsoni e Sartori verso il processo

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13

feb

2015

Finanziamento illecito dei partiti, pronta la richiesta di giudizio. Deposito atti anche per Piva, Artico, Brentan e altri cinque

VENEZIA – Mose, l’indagine principale, quella per corruzione, è chiusa. Dopo gli oltre venti patteggiamenti, tra i quali quelli di Giancarlo Galan, Renato Chisso, nei giorni scorsi i pubblici ministeri veneziani hanno depositato gli atti per dieci imputati e si avviano a chiederne il rinvio a giudizio. Si tratta dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’ex parlamentare europea di Forza Italia Amalia «Lia» Sartori, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, dell’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova Lino Brentan, del dirigente regionale Giovanni Artico, dell’avvocato romano Corrado Crialese, del giudice presso la Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, dell’imprenditore veneziano Nicola Falconi, dell’ex dirigente regionale Giancarlo Ruscitti e dell’architetto padovano Danilo Turato.

Ieri, lo stesso procuratore aggiunto Carlo Nordio ha incontrato i difensori di Orsoni, confermando che nei prossimi giorni riceveranno l’avviso del deposito degli atti. Dopo la richiesta del rinvio a giudizio che, oltre a Nordio, firmeranno anche i pubblici ministeri che hanno condotto le indagini, Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, la parola passerà al giudice – presumibilmente toccherà ad Andrea Comez – che dovrà fissare l’udienza preliminare.

Le accuse di cui devono rispondere i dieci sono quelle già contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che il 4 giugno ha fatto scattare le manette per molti di loro.

Orsoni e Sartori devono rispondere di un reato meno grave degli altri, finanziamento illecito dei rispettivi partiti per le campagna elettorale delle amministrative del 2010 per il primo (110 mila euro in bianco, 450 mila in nero), 225 mila euro per la seconda tra il 2006 e il 2012.

Ad eccezione di Crialese, indagato per millantato credito, e di Ruscitti, concorso in fatturazione per operazioni inesistenti, tutto gli altri devono rispondere di corruzione per numerosi episodi.

Piva avrebbe ricevuto addirittura uno stipendio annuale di 400 mila euro per omettere di compiere la dovuta vigilanza sulle opere del Mose; Giuseppone non meno di 600 mila euro per accelerare la registrazione delle convenzioni presso la Corte dei Conti da cui dipendeva l’erogazione dei fondi del governo al Consorzio Venezia Nuova; Artico faceva ottenere all’amico avvocato (tra l’altro suo difensore in questo stesso processo) incarichi di consulenza dalla «Mantovani» e a sua figlia l’assunzione in cambio della sua collaborazione nelle opere di salvaguardia previste dal programma «Moranzani»; Falconi avrebbe partecipato assieme agli altri imprenditori del Consorzio al pagamento delle tangenti a Patrizio Cuccioletta; Brentan 65 mila euro per un appalto della terza corsia della Tangenziale di Mestre.

Alcuni degli indagati non sono tra coloro che hanno patteggiato e neppure tra i dieci che dovrebbero finire a giudizio, ad esempio il dirigente regionale Giuseppe Fasiol o l’architetto veneziano Dario Lugato o quelli iscritti nel registro degli indagati per ultimi, come i parlamentari del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato.

Posizioni per le quali i pubblici ministeri dovranno approfondire le indagini e che potrebbero anche finire con un’archiviazione delle accuse. Infine, all’appello mancano i corruttori che hanno collaborato, Giuseppe Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e Nicolò Buson.

Giorgio Cecchetti

 

L’INTERVENTO

L’acqua alta allaga il Mose. Venerdì scorso, durante il picco della marea, ondate di imprevedibile altezza hanno allagato una galleria subacquea del Mose. L’acqua è penetrata attraverso la tromba delle scale e si è stabilizzata ad un’altezza di due metri sui tre che misura la galleria. Il vento piuttosto violento proveniva da bora e di solito da quella direzione le dighe foranee proteggono la laguna e quindi anche il Mose dalle onde del mare in burrasca. Se ci fosse stato vento di scirocco il moto ondoso sarebbe stato certamente più violento. Sui 6 miliardi spesi per la progettazione e la parziale realizzazione dell’imponente apparato, tutti abbiamo potuto constatare che forse un miliardo manca all’appello, però cinque sono lì a dimostrare l’altissima tecnologia del manufatto. Da quello che si è capito la galleria inondata è proprio quella che consente la manutenzione di tutto l’impianto delle cerniere delle paratoie. Questa inondazione della galleria comunque sta a dimostrare quanto sia difficile in questi casi pensarle tutte.
La nostra viva immaginazione ipotizza anche l’ordine del comando strategico del Mose in previsione dell’acqua alta di venerdì scorso.
“Chiudere le paratie!”
“Abbiamo un problema”
“Cosa?”
“L’acqua alta”
“L’acqua alta?”
“Sì, il tunnel si è allagato e si sono bagnati tutti i relais”
Alla piccola gag sarebbe mancato solo l’ex presidente del Magistrato alle Acque, il collaudatore, Cuccioletta che avrebbe detto: ”Bene, meglio, così arriveranno i turisti a vedere l’alta marea”.

 

Centoquattromila firme contro le grandi navi a San Marco. La petizione on line lanciata dall’attore Gabriele Muccino ha ottenuto consensi da record. Ieri una delegazione del movimento Change.org, guidata dall’ex ministro dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, ha consegnato le firme al ministro per l’Ambiente Luca Galletti.

«Un problema all’attenzione del governo, quello delle grandi navi», ha detto il ministro, «vi assicuro che la commissione per la Valutazione di Impatto ambientale sta facendo un grandissimo lavoro, molto rigoroso».

Ci sono da esaminare le alternative presentate.

Lo scavo del canale Contorta- Sant’Angelo, proposto dall’Autorità portuale, che ha ricevuto una valanga di osservazioni anche molto critiche. Adesso il Porto dovrà rispondere entro il 21 febbraio.

E poi gli altri progetti all’esame della commissione, tra cui il nuovo terminal passeggeri a Marghera proposto da Roberto D’Agostino, il Venice Cruise 2.0 di Cesare De Piccoli e della società genovese Duferco che prevede una nuova Marittima al Lido.

E infine il progetto di piattaforme rimovibili, anche questo al Lido, fuori della laguna, firmato da Stefano Boato e Maria Rosa Vittadini con il contributo dell’ingegnere Vincenzo Di Tella, autore del progetto alternativo al Mose denominato «Paratoie a gravità».

«Occorre risolvere al più presto questa emergenza», ha commentato Muccino, «e lo scavo di un nuovo grande canale non sembra la soluzione migliore».

(a.v.)

 

Dal 2007 ad oggi 150 mila tonnellate in meno. Veritas: «Bene la differenziata, merito dei cittadini che smaltiscono meglio»

La crisi e la recessione economica hanno un risvolto positivo, almeno dal punto di vista ambientale. Dopo decenni di corsa sfrenata ai consumi, di sprechi e prodotti da usare e gettar nella spazzatura senza tanti patemi, la quantità di rifiuti prodotti in città e in gran parte dei comuni della provincia serviti da Veritas, ha cominciato a diminuire.

Il calo costante della produzione industriale, dei consumi, dei posti di lavoro e del numero di imprese attive dal 2008 – anno di inizio della crisi finanziaria mondiale – non si è più arrestato e di conseguenza si è ridotta progressivamente anche la quantità totale di rifiuti prodotti (vetro, carta, lattine, secco, umido, ingombranti, ecc.) dai cittadini e dalle aziende ad un ritmo medio del 4% all’anno, con il risultato che il 2014 si è chiuso con la raccolta di circa 404 mila tonnellate di immondizie tra Venezia e provincia servite da Veritas spa, a fronte delle 550 mila tonnellate del 2007.

La riduzione progressiva e innarrestabile della spazzatura prodotta è stata più evidente nel comune di Venezia che, come si sa, oltre a raccogliere, riciclare e smaltire quella prodotta dai cittadini residenti, deve farsi carico anche di quella della gran massa di turisti che la frequentano. Dalle 204.800 tonnellate di rifiuti raccolti nel comune di Venezia nel 2007, si passa alle 203.313 tonnellate del 2008, scese ulteriormente a 191.057 nel 2009 fino alle 165.000 tonnellate del 2013 e, infine, 161 mila tonnellate nel 2014.

Andamento più altalenante, ma comunque in ribasso, anche nei comuni dell’area limitrofa (Marcon, Meolo, Mogliano, Quarto d’Altino, Cavallino) e delle aree territoriali della Riviera del Brenta e Miranese, di Chioggia, di Cavarzere e San Donà.

Il totale della raccolta di Veritas in tutte le aree territoriali di sua competenza ha visto una riduzione di ben 150 mila tonnellate dal 2007 alla fine del 2014, delle quali il 63 % è stato raccolto in modo differenziato e riciclato, il restante ridotto in combustibile (cdr) per produrre energia elettrica.

La costante diminuzione dei rifiuti – spiega Veritas – è il chiaro effetto della riduzione dei consumi, in particolare dell’acquisto di merci e la maggior attenzione alle spese di ogni singola famiglia e dei relativi scarti da gettare nella spazzatura, ovviamente differenziandola.

Ma negli ultimi anni è anche cresciuta l’attenzione delle aziende e degli stessi consumatori a ridurre l’uso di imballaggi e a puntare su prodotti sfusi come, per esempio, detersivi e alimenti. Veritas riconosce anche una «maggior attenzione e consapevolezza da parte dei cittadini che stanno riducendo la produzione di rifiuti domestici e delle aziende manifatturiere e degli esercizi commerciali che stanno riducendo il carico di imballaggio sulle loro merci per abbattere i costi ed essere più sostenibili dal punto di vista ambientale. Del resto, si tratta di un fenomeno che interessa tutti gli stati dell’Unione Europea: secondo gli analisti dell’Ispra nel 2012 (ultimi dati disponibili), i 28 stati dell’Unione Europa hanno registrato una flessione, rispetto al 2011, del 2,4% (da circa 250,5 milioni di tonnellate a circa 244,4 milioni di tonnellate), mentre negli anni precedenti (tra il 2010 e il 2011) il calo registrato era stato pari all’1,3%.

«La riduzione dei rifiuti e l’aumento delle differenziate è un trend che ormai da qualche anno registriamo con soddisfazione nel nostro territorio», commenta Andrea Razzini, direttore generale di Veritas spa. «È un fatto al quale abbiamo lavorato per anni e che premia lo sforzo dei cittadini che tutti i giorni si impegnano per differenziare correttamente i rifiuti. Ma è anche la conferma della validità del nostro sistema di smaltimento che ha azzerato le discariche e ci ha permesso e ci permetterà di stare al sicuro da crisi e situazioni di emergenza. Abbiamo però bisogno di un ulteriore sforzo da parte di tutti per migliorare la qualità dei materiali differenziati raccolti, che troppo spesso sono sporchi o inquinati da rifiuti estranei. E questo, oltre a rendere difficile (e in qualche caso impossibile) il riciclaggio o la trasformazione, fa aumentare i costi legati al trattamento».

Gianni Favarato

 

Fusina. Basta discariche, i rifiuti diventano combustibile

Il pesante impatto ambientale del ciclo dei rifiuti non è più quello di un tempo. Alla progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti si accompagna, a Venezia e nei comuni della provincia serviti da Veritas, un sostenuto aumento della raccolta differenziati; la chiusura del vecchio e inquinante inceneritore di rifiuti “tal quale” di Fusina e la riduzione del rifiuto secco con la sua trasformazione in Cdr (combustibile da rifiuti) da utilizzare – aggiunto al carbone come accade nella centrale Enel di Fusina, accanto all’Ecocentro di Ecoprogetto e Veritas – come fonte energetica e, infine, l’abbandono delle discariche, se non per quanto riguarda la modesta quantità di ceneri residue della combustione del Cdr.

Stando ai dati forniti da Veritas, nel comune di Venezia sono state raccolte, nel 2014 , 161 mila tonnellate di rifiuti, di cui 82.426 differenziate (51%), mentre in tutto il territorio di sua competenza nel 2014 sono state raccolte in totale 404 mila tonnellate, di cui 234 mila attraverso la raccolta differenziata che è arrivata a toccare la soglia media del 62,91%, il 4,5% in più dell’anno precedente.

Per giunta si è ridotta la quantità del cosiddetto “rifiuto secco”: 143 mila tonnellate nel 2014 a fronte delle 160 mila del 2013. Inoltre, il rifiuto secco trasformato in Cdr perde circa metà del suo peso: plastiche e metalli vengono separati e vengono tolti i residui umidi.

Produrre una tonnellata di combustibile da rifiuti nei due impianti esistenti a Fusina costa a Veritas 125 euro a tonnellata, mentre il ricavo della vendita ad Enel di una tonnellata di Cdr è di 35 euro.

Smaltire invece una tonnellata di Cdr in un impianto diverso dalla centrale Enel di Fusina, con la quale Veritas ha un accordo – come succede a circa 50 mila tonnellate di Cdr non utilizzato dall’Enel per la riduzione dei consumi di energetici – costa a Veritas 70 euro. Veritas, infine, si vanta di portare in discarica meno del 4% di materiale inerte che non può essere trasformato in Cdr e nemmeno riciclato.

(g.fav.)

 

Gazzettino – In bici a Venezia? Nel 2016

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12

feb

2015

IL CASO – Appello al commissario: «Permetteteci di poter caricare le due ruote sul tram»

Disponibile l’area in zona Pili, ma tempi lunghi per gara d’appalto e conferenza dei servizi

MESTRE – In bicicletta fino al centro storico ma solo nel 2016

PERCORSO A OSTACOLI – “Proibita” anche la via verso Aquae. Per maggio i ciclisti non riusciranno ad arrivare a Venezia in bici, e difficilmente ce la faranno a raggiungere il fiammante padiglione dell’Expo.

BASTA BICI – Con l’entrata in funzione del tram il cavalcavia Venezia e anche l’Expo diventeranno irraggiungibili per i ciclisti

Per maggio i ciclisti se lo possono scordare di arrivare a Venezia in bici ma anche di raggiungere il fiammante padiglione dell’Expo. Luigi Brugnaro, il patron della grande Reyer, ieri ha incontrato il sub commissario Natalino Manno per presentare il progetto di valorizzazione dei suoi terreni in riva alla laguna a fianco dei Pili, valorizzazione che otterrà in cambio della cessione di una piccola fascia destinata alla pista ciclabile che collegherà il Vega con il ponte della Libertà. Una proposta precisa ancora non ce l’ha, e per accorciare i tempi il Comune punta a farsi consegnare intanto il terreno necessario alla pista attestandosi sul valore dell’area per ripagarlo, in seguito quando Brugnaro avrà le idee chiare sul cosa costruire, con moneta urbanistica, ossia con le autorizzazioni.

I soldi per realizzare la pista ci sono, un milione di euro già stanziato e messo da parte dell’Amministrazione comunale, oltre ai due milioni già impiegati per i quasi 4 chilometri lungo il ponte della Libertà. Il problema è il tempo che non c’è: è impossibile costruire la pista entro maggio, quando il tram sarà entrato in funzione e quando verrà inaugurato l’Expo universale di Milano, e nemmeno per i mesi successivi. Bisogna fare una gara d’appalto per affidare i lavori, e soprattutto serve una conferenza dei servizi perché si tratta di un’area inquinata.

E intanto? Da maggio percorrere il cavalcavia di San Giuliano per i ciclisti diventerà un rischio mortale, senza contare che rallentano il tram e fanno saltare gli orari delle corse, per cui sarà probabile il divieto di transito anche per le bici oltre che per i camion.

Le associazioni ambientaliste minacciano di bloccare il tram ma soluzioni alternative e, soprattutto, veloci non ce ne sono.

A meno che il commissario non decida di ascoltare quei cittadini che da tempo chiedono di poter montare le bici in tram dalla fermata di San Giuliano fino a Venezia. In tal modo il padiglione dell’Expo rimarrà comunque vietato alle bici ma almeno in centro storico ci si potrà arrivare. E lì i ciclisti troveranno anche uno stallo per le bici che, assieme ai lavori di completamento del tratto di pista lungo il ponte, è in fase di sistemazione e tra due mesi sarà completato. Il progetto dell’ingegnere Andrea Berro, che ha ideato anche il bicipark a fianco della stazione ferroviaria di Mestre, non potrà dunque essere ultimato in tempo utile e non per colpa sua: può piacere o meno il percorso individuato come l’affascinante passerella a sbalzo sull’ultimo tratto del ponte, ma obbedisce alle precise richieste dell’Amministrazione comunale, per la pista e pure per il bicipark.

Certo che se non si potranno caricare le bici in tram, Venezia diventerà la città più ecologica al mondo (perché non ha le strade per le automobili) vietata alle biciclette. Un bel biglietto da visita per i visitatori dell’Expo.

 

Sono state simbolicamente consegnate ieri al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti le firme della petizione per lo “stop all’accesso delle Grandi navi a Venezia” lanciata su Change.org dal regista Gabriele Muccino. Le adesioni raccolte sulla piattaforma di petizioni on-line hanno superato quota 104 mila. Galletti ha ricevuto una delegazione dei sostenitori dello stop: tra questi, oltre al direttore di Change.org, Salvatore Barbera, anche l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio.

Ascoltado le richieste il ministro ha assicurato che la commissione Via sta svolgendo un lavoro molto rigoroso e che il governo intende trovare la migliore soluzione possibile per il futuro di Venezia.

 

RACCOLTA DI FIRME ON LINE – Consegnata al ministro la petizione No Navi promossa da Muccino

Sono state simbolicamente consegnate al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, le firme della petizione per lo “stop all’accesso delle Grandi navi a Venezià lanciata su «Change.org» dal regista Gabriele Muccino. Le firme raccolte sulla piattaforma di petizioni online hanno superato le 104 mila. «Ho ascoltato la richiesta che arriva da tanti cittadini – ha dichiarato il ministro – posso assicurare che la commissione Via sta svolgendo un lavoro molto rigoroso. L’interesse del governo è trovare la migliore soluzione possibile per il futuro di Venezia, sia dal punto di vista della tutela ambientale che dello sviluppo economico».

Al momento il progetto alternativo al transito delle grandi navi in Laguna, il canale Sant’Angelo-Contorta, è all’esame della Valutazione di impatto ambientale. Su questo Muccino, che non è potuto esser presente all’incontro con il ministro, ha fatto presente che continuerà «a portare avanti la nostra battaglia per salvare Venezia dallo scempio a cui è sottoposta. Il canale Contorta-Sant’Angelo non mi pare davvero la soluzione migliore. Salvare Venezia dalle grandi navi è prima di tutto un atto di amore che spero trovi d’accordo tutto il governo italiano». Il regista romano si batte anche per fermare le trivellazioni nel Mar Adriatico.

 

Il filosofo economista Latouche, teorico della decrescita, per due giorni a Treviso

Il fallimento del mercato unico europeo e l’effetto Grecia sugli altri Paesi

«Venezia si salverà cacciando le Grandi Navi dalla laguna, selezionando e tassando il turismo. Chi vuole visitare Piazza San Marco e il Ponte di Rialto, ammirare Punta della Dogana e passeggiare per il Ghetto deve essere disposto a pagare un sacco di soldi. Perché il turismo non è democratico, ma di élite».

La ricetta è di Serge Latouche, economista e filosofo francese teorico della “decrescita felice”, ieri e oggi a Treviso, invitato dalla Fondazione Benetton, per parlare di «Nuovi paradigmi della decrescita: aspetti economici, sociali e culturali».

La crisi dell’Europa economica, il successo elettorale di Alexis Tsipras in Grecia, l’elezione di papa Francesco e i guai di una città mondiale come Venezia, per il professore francese sono tutti sintomi che hanno un’origine comune: il fallimento del mercato globalizzato («un gioco al massacro su scala globale»), fondato sulla speranza di una continua crescita: «Si deve entrare nell’ordine di idee di costruire una società frugale, di prosperità senza crescita».

Sono giorni difficili per l’Europa: la crisi in Ucraina ne sta certificando la debolezza politica. Le elezioni in Grecia ne stanno mettendo in discussione il sistema economico. I problemi mai risolti stanno emergendo tutti insieme? «Il fallimento dell’Europa economica era previsto e annunciato da tempo. L’idea politica originaria era affascinante, ma è stata sviluppata male: l’Europa come un mercato unico, parte del grande mercato globalizzato. La conseguenza è stata che i governi dei singoli Paesi sono diventati i burattini delle istituzioni finanziarie, gettando nella disperazione intere popolazioni che, ora, iniziano a spingere dal basso. Come è accaduto in Grecia».

Tsipras ora però si trova di fronte a un bivio. «Ha di fronte una grande sfida. Uscire dalla moneta unica può essere una soluzione per la Grecia che, per secoli, ha vissuto senza l’euro. Ma non sarà sufficiente tornare alla Dracma. In caso di uscita la Grecia sarà politicamente isolata e non so se sarà pronta ad affrontare questo isolamento. L’unica certezza è che non ha più nulla da perdere e che dovrà abbandonare le misure di austerità, una moderna forma di masochismo criminale».

In tutta Europa stanno riscuotendo successo movimenti con posizioni molto critiche nei confronti dell’Europa: Le Pen in Francia, in Italia la Lega e il Movimento 5 Stelle, Podemos in Spagna. L’effetto Grecia si estenderà in altri Paesi? «Questi partiti, in alcuni casi con posizioni fasciste e razziste, raccolgono però esigenze reali che vengono dal basso. Non dimentichiamo che, per esempio in Italia, la Lega è votata dalla classe operaia che prima votava Partito comunista, o dalla piccola borghesia che si era affidata per anni alla Democrazia cristiana. Questi partiti hanno poi distrutto il ricco tessuto industriale di piccola e media impresa, facendo il gioco della Lega. I governi dovrebbero prima di tutto pensare a come ricostruire un nuovo tessuto industriale e tornare a considerare le ricchezze paesaggistiche e ambientali come una risorsa».

Ma di turismo si può anche morire. E il “caso Venezia”, con le immense navi da crociera che costeggiano San Marco, fa discutere il mondo intero. «È necessario individuare una qualche forma di protezionismo, nel senso di protezione del bene comune. Ho visto con i miei occhi la distruzione di Capri per colpa di un turismo violento e irrispettoso e il Comune non ha neanche i soldi per riparare i danni fatti dai troppi visitatori. Non parliamo poi di Pompei. La verità è che si deve trovare una formula per selezionare il turismo e il modo migliore è tassandolo».

Chi trae profitto dal turismo di massa afferma che in questo modo si penalizzerebbero i meno abbienti, in favore dei più ricchi. «Ma il turismo non è democratico, è di élite. Su una popolazione mondiale di quasi 7 miliardi di persone è una piccola percentuale quella che può permettersi di viaggiare. Per quanto riguarda Venezia deve prima di tutto finire lo scempio delle Grandi Navi in laguna, i cui passeggeri low-cost non portano alcun beneficio reale all’economia della città. E poi chi vuole godere delle bellezze di Venezia deve essere disposto a pagare tanti soldi: serviranno anche per pagare i danni provocati dal turismo stesso».

Giorgio Barbieri

 

Sopralluogo dei tecnici nel cantiere di Malamocco: per mettere all’asciutto i corridoi allagati ci vorranno almeno tre giorni di lavori. I comitati protestano

MALAMOCCO – Cassoni e meccanismi del Mose completamente allagati e sommersi dall’acqua salata. Danni ingenti e un lavoro di prosciugamento che durerà almeno tre giorni, con l’ausilio di idrovore subacquee. Sono le conseguenze dei danni provocati dal maltempo eccezionale della settimana scorsa al cantiere del Mose di Malamocco. Onde alte due metri che hanno scavalcato il cassone di spalla, allagando l’intero corridoio di comunicazione tra i cassoni dove sono sistemati gli impianti tecnici e le cerniere.

Giornata di sopralluoghi, quella di ieri, per i vertici del Consorzio Venezia Nuova alle gallerie di Malamocco.Il mare agitato, il vento e le onde hanno provocato danni notevoli. «Stiamo valutando il da farsi», dice il direttore Herme Redi, «si è trattato di un evento eccezionale. E il cantiere è aperto: in condizioni di operatività questo non sarebbe successo».

Nessun problema, secondo l’ingegnere, si sarebbe verificato nemmeno con le paratoie alzate per le onde alte più di due metri. «Le prove in laboratorio sui modelli», ribadisce Redi, «hanno dato risultati soddisfacenti. Le dighe possono resistere anche a onde di sei metri, evento che si realizza per statistica una volta ogni mille anni».

Non ne sono convinti i comitati e le associazioni antiMose. Che hanno interrotto più volte, l’altra sera, una conferenza organizzata dall’Ateneo veneto per illustrare proprio il funzionamento del Mose. Striscioni esposti in sala e volantini distribuiti. E l’annuncio di una lettera, già inviata ai commissari nominati dall’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone (Luigi Magistro e Francesco Ossola) in cui si chiede conto di tutte le verifiche tecniche.

«Cercano di far dimenticare quello che è accaduto», dice il portavoce del Comitato Ambiente Venezia-Laguna bene comune Luciano Mazzolin. «Il 14 marzo si riunirà a Torino il Tribunale permanente dei popoli su grandi opere e diritti fondamentali. Abbiamo già inviato loro un dossier sull’opera e il sistema criminale e corruttivo nato in questi anni, chiedendo che aprano un’inchiesta».

I comitati hanno allegato alla lettera anche lo studio elaborato dalla società di ingegneria franco-canadese Principia in cui si osservava che in condizioni di mare agitato il sistema Mose è soggetto a risonanza ed è «dinamicamente instabile». Significa che le paratoie potrebbero ondeggiare e lasciar passare l’acqua, oppure avere comportamenti strani. «Chiediamo risposte», dice Mazzolin.

Alberto Vitucci

 

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