Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

inchiesta mose / il tribunale del riesame

Galan resta in carcere perché pericoloso. E la famiglia è coinvolta

In occasione anche di mera convivialità, avanzava richieste e pretese sfruttando le sue cariche istituzionali. In caso favorevole darebbe corso all’ennesima richiesta illecita

È dedito al sistematico e continuo mercimonio della pubblica funzione esercitata e sfruttata allo scopo di ottenere benefici economici della più varia tipologia

VENEZIA «Le modalità della condotta complessivamente tenuta dal Galan, caratterizzata dalla capacità di profittare di qualunque occasione, anche di mera convivialità, per avanzare le sue richieste e le sue pretese sfruttando le sue cariche istituzionali, induce questi giudici a ritenere che il medesimo,se posto in una condizione di occasione favorevole, darebbe corso all’ennesima richiesta illecita». Il deputato Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto e ex ministro deve per questo restare in carcere: scritto e firmato da Angelo Risi, presidente del Tribunale del Riesame che la scorsa settimana aveva respinto – con i giudici Defazio e Bello – l’istanza della difesa per la scarcerazione. Settanta pagine di motivazione, dai toni molto duri. Galan deve restare in cella prima del processo anche perché – si sbilanciano i magistrati -a fronte di «un dolo di elevatissima intensità e dell’esistenza di una pluralità di fatti, ben difficilmente la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni». Contro di lui le dichiarazioni univoche, concordanti tra loro (ma non concordate) di Giovanni Mazzacurati (l’ex presidente del Consorzio che ha detto di aver corrisposto a Galan uno “stipendio” di un milione di euro l’anno per agevolare l’iter del Mose); Piergiorgio Baita (l’ex presidente Mantovani che ha riferito di aver pagato i restauri di villa Rodella a Cinto Euganeo, per 1,3 milioni, per agevolare l’accesso ai project financing della Regione); l’ex segretaria Claudia Minutillo (che Galan ha cercato di screditare accusandola di aver chiesto a nome suo e incassato centinaia di migliaia di euro, ma che per i giudici è immune da responsabilità a riguardo). A questo si aggiungono le intercettazioni del prestanome di fiducia Paolo Venuti, che con la moglie parla del tesoretto in Croazia di Galan per 1,8 milioni di euro. Testimonianze che – per i giudici – «hanno ulteriormente evidenziato in modo limpido e circostanziato la riferibilità a Galan, sia in modo diretto sia in modo indiretto, di notevolissimi mezzi finanziari, occultati dal Venuti, derivanti da liquidità di ignota, ma – sulla base di questi presupposti – assai verosimile provenienza illecita. Tale fatto esime, fra l’altro, il Tribunale dal dover confutare i risultati della consulenza patrimoniale difensiva, ormai inattendibile tenuto conto del fatto che gli elementi finanziari sopravvenuti sono, da soli, sufficienti a smentire, per fatti concludenti, qualunque altro, diverso risultato». Duro il Tribunale: «La personalità del ricorrente, così come ricostruita negli atti e da tutti gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, si palesa come allarmante e caratterizzata da una particolare, pregnante e radicata negatività », «un soggetto dedito al sistematico e continuo mercimonio della pubblica funzione, esercitata e sfruttata allo scopo di ottenere benefici economici della più varia tipologia (…) che testimoniano il sintomatico ed assoluto asservimento dell’Ufficio di Presidenza della Regione Veneto agli interessi privatistici del Galan, finalizzato ad alimentare la sua consolidata corruzione». Un’aggravante il fatto «che il denaro utilizzato per la sua corruttela giungeva da imprenditori concessionari di un appalto pubblico (tale è il Consorzio Venezia Nuova), ed erano denari pubblici appartenenti alla collettività, stanziati per un’opera idraulica di interesse nazionale». Danaro provento di sovraffatturazioni, «in quella che, a tutti gli effetti, si è rivelata essere una gigantesca ‘truffa’ lì dove l’esecuzione di un’opera pubblica ha costituito solo il pretesto per procedere ad una sistematica opera di saccheggio di qualunque utilità si rendesse disponibile».

Roberta De Rossi

 

Il giudice accoglie solo un punto della difesa

La prescrizione per i reati ante 2008

VENEZIA. Su un solo punto il Riesame ha accolto le tesi della difesa, giudicando prescritti tutti i reati contestati prima dell’estate 2008, ovvero, «le ricezioni in occasione delle campagne elettorali di cospicui finanziamenti che gli venivano consegnati dal Baita; la ricezione nel 2005 della somma di 200mila euro all’Hotel Santa Chiara di Venezia; il finanziamento delle opere relative alla ristrutturazione dell’abitazione di Cinto Euganeo (limitatamente alle sovvenzioni ricevute prima del 22 luglio 2008); il versamento nell’anno 2005 in un conto corrente presso una Banca di San Marino della somma di euro 50 mila euro». Una lettura diversa da quella che aveva dato il gip Scaramuzza nell’accogliere le richieste di misura cautelare avanzate dai pm Ancilotto, Tonini e Buccini e che non vincola la Procura nelle sue future richieste di giudizio, convinta che tutti i reati contestati facciano parte di un unico “disegno” e che pertanto la prescrizione vada calcolata dall’ “ultima rata” pagata. Respinta anche la competenza del Tribunale dei ministri, richiesto dalla difesa perché parte delle dazioni contestate riguardano un periodo in cui Galan era ministro. Per i giudici: «Vi è prova del fatto che le numerose dazioni percepite nel tempo da Galan erano esecutive di un pregresso e consolidato accordo che aveva come riferimento la figura dell’indagato nella sua veste di Presidente della Regione Veneto e quindi in grado di poter influire positivamente sugli interessi del Cvn e del gruppo Mantovani».

 

«La sua famiglia interamente coinvolta nei fatti»

VENEZIA Giancarlo Galan non può andare agli arresti domiciliari – non solo nella sua casa di Cinto Euganeo, «allo stato, considerato provento di reato, anche a seguito del diretto coinvolgimento della moglie (Sandra Persegato, ndr) nei pagamenti di somme che si ha motivo di ritenere di provenienza illecita» – ma neppure a casa della madre o del fratello, a Padova e Treviso come prospettato dai difensori Ghedini e Franchini.Dagli atti – rilevano, infatti, i giudici del Riesame – «ne deriva che non solo Galan, ma il suo intero gruppo familiare sia in qualche modo coinvolto in situazioni di scarsa trasparenza con il Mazzacurati i cui interessi imprenditoriali erano certamente del tutto estranei al campo medico». Il riferimento – annota il Tribunale – è a una conversazione del 31 gennaio 2011 tra l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e Alessandro Galan, primario oculista dell’ospedale Sant’Antonio di Padova e fratello di Giancarlo. Conversazione nella quale «quest’ultimo, sollecita il versamento della somma di 20 mila euro da parte del Mazzacurati per un convegno, precisando che questo contributo è del doppio rispetto a quello dell’anno prima». Nulla di illegale: ma che c’entra l’oculistica con la salvaguardia, finanziata con 5 miliardi pubblici? Non reati, ma commistioni. Niente arresti domiciliari per Giancarlo Galan anche perché i fatti che gli sono contestati «sono gravissimi, reiterati e perdurati nel tempo, le esigenze cautelari di eccezionale gravità e quindi tali da imporre l’applicazione di una misura che costituisca una effettiva, netta, reale e definitiva cesura dall’ambiente in cui sono maturati i fatti», conclude il Tribunale, «esigenza che gli arresti domiciliari non sono in grado di garantire, preso atto della vasta ragnatela di interessi complicità e colpevoli connivenze che hanno accompagnato il Galan nell’intera vicenda». (r.d.)

 

Il memoriale? Praticamente un boomerang

I magistrati hanno scoperto dalla memoria difensiva nuovi elementi di accusa per gli indagati

Riscontri oggettivi sul pagamento in nero di almeno la metà del valore della

VENEZIA – Il memoriale depositato da Giancarlo Galan a propria difesa si è rivelato un boomerang: «Non solo non sono sopravvenuti elementi di segno favorevole all’accusato, ma le chiamate di correo avanzate dal Galan sembrano essersi ritorte contro di lui», scrivono i giudici del Riesame, «tanto da aver costituito l’elemento scatenante di nuove ed analoghe accuse nei confronti suoi e del Chisso, quanto meno dagli imprenditori Mevorach ed Alessandri». I finanziamenti illeciti. Galan si è “autodenunciato” per finanziamenti illeciti alla propria campagna elettorale da parte di 10 imprenditori (che peraltro hanno tutti negato fatti comunque prescritti) nel 2005. In particolare – citano i giudici – l’imprenditore veneziano Andrea Mevorach non solo «smentisce totalmente la consegna di 300 mila euro di cui parla Galan nel memoriale », ma «inoltre, ricorda che il Galan, più volte, gli aveva chiesto la corresponsione di somme di denaro finché, nel loro ultimo incontro avvenuto in Croazia all’inizio dell’estate del 2006 o 2007, ebbero, al riguardo, un’accesa discussione che pose fine al loro rapporto di cordialità ». In un’occasione Galan gli disse: «Non fare il furbo, sai bene di cosa parlo, la politica va aiutata». Pierluigi Alessandri riferisce poi che «la propria azienda Sacaim era stata estromessa, di fatto, dai più importanti lavori in Veneto, non avendo un referente politico in Regione (…) Galan gli rispose che avrebbe dovuto essere “disponibile” a far parte delle cerchia di imprenditori a lui “vicini”, intendendo disponibili ad elargire somme di denaro e favori di altro genere». Alessandri ha detto di avergli versato 115 mila euro. Lavilla. Nel corso dell’udienza, i pm hanno depositato i verbali dell’ex proprietario di villa Rodella, Salvatore Romano e della moglie Maria Nunzia Piccolo che hanno ammesso che i 700 mila euro dichiarati da Galan per il pagamento della villa erano quelli in “chiaro” a rogito, salvo poi arrivarne altri 1,100 in nero, portati dalla moglie Sandra Persegato: «Il Galan non è veritiero nel momento in cui afferma che la villa venne acquistata per una somma inferiore al milione di euro (pag. 18 del suo memoriale)», scrivono i giudici, «e rende certa l’esistenza di una (sua) provvista ‘in nero’ di denaro liquido per oltre 1 milione e 100 mila, nel 2005», «un importante riscontro di natura oggettiva a suo carico (…) ossia fra tale pagamento e l’entità delle somme che l’accusa gli contesta di aver percepito annualmente ». Le azioni. Galan ha detto che il suo più grande errore è stato di aver pensato di fare l’imprenditore entrando in Adria Investimenti, interessata a project financing regionali: «È documentalmente provato in atti e non smentito dalla difesa», obietta il Riesame, che a pagare il 7%delle azioni dell’Adria per 237 mila euro – «formalmente acquistate dalla società Pvp, riconducibile al commercialista Venuti, ma realtà riconducibile all’indagato Galan» – fu «la Mantovani con liquidità proprie. Non vi era ragione alcuna che giustificasse una tale “donazione”». Azioni poi convertite nel 70% di Nordest media, del valore valutato da Claudia Minutillo in 9 milioni di euro.

(r.d.r)

 

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui