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RAI TGR – Passante di Mestre: gli utili della CAV

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27

dic

2015

VVOX.IT – Infrastrutture venete, De Stavola superstar.

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18

dic

2015

L’ingegnere padovano di origini beriche è il crocevia di tante opere: dal Tav a Vicenza e Padova al delicato casello di Montecchio. Ma con il ministro Delrio la musica potrebbe cambiare

Un pezzo importante del risiko infrastrutturale del Veneto passerà ancora, come sembrava qualche mese fa, sulla scrivania di Gianmaria De Stavola? Il noto professionista di origini vicentine, di residenza veneziana ma con base nel Padovano, su quali sicurezze potrà contare dopo che in Regione sarà completato il valzer delle nomine in Venetro Strade? E soprattutto: dopo le dimissioni di Maurizio Lupi (Ncd) dal dicastero delle Infrastrutture, l’attuale ministro Graziano Delrio (Pd), avrà il medesimo feeling che i Lupi boys di origine ciellina e neo-dorotea avevano con l’ex ministro?

VARIATI SCARICA L’INGEGNERE

De Stavola fa la sua prima seria comparsata sui media regionali quando, da esponente del Pd di Pianiga nel Veneziano (proveniente dalla Margherita), si fa alfiere del mega-progetto di Veneto City. All’epoca, il 2009, deve affrontare la reprimenda degli oppositori di una iniziativa ancora oggi nel limbo. Ma l’ingegnere è tipo coriaceo. E grazie a Confindustria e al sindaco berico Achille Variati (Pd anche lui) entra dalla porta principale nella partita progettuale per la cosiddetta Tav di Vicenza. Il nuovo volto della città pensato dall’ingegnere con la stazione principale spostata in zona industriale e il ripensamento di quella attuale puntano ad una ricucitura urbana tra le parti smembrate dal passaggio della ferrovia e a suo dire nel delineare questo progetto pensa in grande immaginando Vicenza come un grande polo di attrazione. Durante gli ultimi mesi però la situazione è mutata. Variati non è più sicuro come un tempo della soluzione De Stavola (bollata dai detrattori come foriera di speculazioni urbanistiche). Apre ai comitati e di fatto mette in stand-by il disegno approvato dal consiglio comunale. A Palazzo Trissino si maligna che lo stop sia il frutto del cattivo rapporto, un tempo più idilliaco, tra il capo della giunta ed il premier del Pd Matteo Renzi, il quale vorrebbe fare piazza pulita, almeno in parte, degli eredi di Lupi. Uno scenario del genere lo tratteggia e lo conferma anche la professoressa Francesca Leder, uno dei volti più noti dell’osservatorio urbanistico vicentino Out, da sempre fortemente contraria alla opzione De Stavola: «Il quadro politico è cambiato profondamente con l’arrivo di Delrio in via Nomentana. Variati che è un animale politico dotato di buon fiuto lo ha capito. E che sulle infrastrutture non si possa più ragionare solo in termini di interventi pesanti cominciano a dirlo anche i soggetti portatori di forti interessi come i grandi costruttori ferroviari».

TAV PADOVA, SCHEMA VICENZA

A Padova lo schema sembra riproporsi. Il sindaco, l’iperleghista Massimo Bitonci – si dice anche lui dietro pressioni confindustriali, degli uffici e di una parte di Fi – si affida al metodo Vicenza: questa almeno è la voce che giunge costantemente da palazzo Moroni. Il capo dell’esecutivo infatti dà la sua benedizione all’incarico che vede De Stavola nuovamente protagonista: per lui c’è un cachet da 50 mila euro, «concordato con Regione, Camera di Commercio e Confindustria, per la redazione di uno studio di prefattibilità ferroviario e viabilistico della nuova stazione a San Lazzaro»: Così riferisce il Mattino del 30 maggio di quest’anno. Il tema non conquista la campagna elettorale delle ultime regionali, ma tra gli addetti ai lavori, specie in materia ambientale, è ben coperto.

ETERNA PRIMA REPUBBLICA

De Stavola però non è solo sinonimo di ferrovia. Andando a ritroso nel tempo a lui vanno ricondotto anche i tram di Venezia e Padova. Ancora: una delle società a lui riconducibili, la Proteco, è stata incaricata negli anni di una serie di studi collegati alla Pedemontana Veneta. E ancora De Stavola con la sua Idroesse è il progettista del nuovo casello di Montecchio-Alte. Croce e delizia, anzi solo croce, visti gli ingorghi perenni delle auto in uscita a causa di un raccordo con la viabilità locale massimamente inadeguato, che rimane tale da quando al comando della Brescia-Padova c’era l’ex presidente leghista della Provincia di Vicenza, Manuela Dal Lago. Ma anche in questo frangente emergono le liasons democristiane. Titolare della progettazione non è solo Idroesse, ma pure la Silec, una spa che fa riferimento alla galassia di Vito Bonsignore. Ras delle autostrade lombardo-piemontesi ben ammanigliato a destra come a sinistra, noto per i suoi trascorsi burrascosi con la giustizia, e arcinoto per essere stato durante la Prima Repubblica un visir prima dei doretei e poi degli andreottiani del Piemonte. Il gruppo Bonsignore, tra l’altro, è il promotore del maxi-progetto della Orte-Mestre. Una arteria da dieci miliardi che periodicamente entra ed esce dalla programmazione ministeriale a seconda degli equilibri politici in seno al governo, e da ultimo affondata. Tra il 2008 e il 2009 i siculo-piemontesi Bonsignore sono affiancati nel progetto della Ragusa-Catania dai vicentini della Maltauro. Ne parla anche il Corriere Economia ed Il Sole 24 Ore. Maltauro peraltro è una primaria impresa di costruzioni data per vicinissima a Variati.

MONTECCHIO, CASELLO DECISIVO

Ora De Stavola però deve affrontare una nuova sfida. Il completamento del casello di Montecchio nel Vicentino (il primo stralcio dell’opera che è in super ritardo e  vale ben 125 milioni di euro), anche per l’effetto del cambiamento della disciplina in materia di appalti delle imprese private titolari di concessioni pubbliche, non potrà più avvenire in house, ma dovrà essere affidato ad una gara. Un cambiamento che ha generato un singolare fronte comune tra i concessionari, i loro dipendenti e i sindacati, i quali uniti vedono nella liberalizzazione lo spettro della riduzione dei profitti, di eventuali licenziamenti e pure di possibili ritardi nelle consegne (in foto uno striscione al casello di Montecchio). La protesta ha avuto la sua eco anche al cantiere di Montecchio. Ma poiché la liberalizzazione vale anche per la progettazione, Brescia-Padova proprio per l’autostazione di Alte –  nodo importantissimo perchè vicino é prevista la immissione nella Spv – ha dovuto indire una gara pubblica. Ora, non è dato sapere se De Stavola parteciperà (interpellato in merito, non risponde) al bando da 800mila euro indetto dalla società capitanata dall’ex leghista Flavio Tosi (anche lui in ottimi rapporti conVariati). Quello che è certo è che la commissione chiamata a valutare le offerte inizierà a riunirsi il 16 dicembre 2015, quel giorno in seduta pubblica, a Verona in via Gioia 71, sede della spa autostradale.

link articolo

 

Nuova Venezia – Parlamento europeo, siluro al Passante

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25

mag

2015

Stop ai finanziamenti della Bei alla Cav «dopo l’arresto del manager di un’azienda costruttrice»: il caso sui media stranieri

PADOVA – Il Parlamento europeo censura la Bei, Banca europea degli investimenti, per colpa del Passante di Mestre. Il 30 aprile scorso l’assemblea di Bruxelles ha approvato una risoluzione (350 voti favorevoli, 263 contrari) che, al punto 34, “deplora il fatto che la Bei abbia finanziato il tratto autostradale noto come Passante di Mestre dopo che le autorità italiane avevano pubblicamente annunciato l’arresto per frode fiscale dell’amministratore delegato del principale subappaltatore; invita la BEI, alla luce delle indagini ancora in corso da parte delle autorità italiane sullo scandalo di corruzione collegato alla costruzione e alla gestione del Passante di Mestre, a non finanziare il progetto in questione mediante l’iniziativa Prestiti obbligazionari o qualsiasi altro strumento finanziario e garantire l’attuazione della politica di zero tolleranza verso le frodi quando esamina l’utilizzo dei prestiti obbligazionari per il finanziamento dei progetti”.

La risoluzione in questione è quella che si riferisce all’attività della Banca europea per gli investimenti nel 2013. Il riferimento, sia pur non esplicito, è alla Mantovani (“principale subappaltatore” del Passante) e al suo (ex) amministratore delegato Piergiorgio Baita, arrestato il 28 febbraio 2013 per frode fiscale.

La risoluzione non blocca automaticamente i finanziamenti europei alla Cav, la società che gestisce il Passante, ma sicuramente è un pesante siluro politico.

La notizia, infatti, è stata rilanciata da diversi organi di informazione, e il francese Mediapart ne ha fatto oggetto di un’inchiesta dal titolo sintomatico “L’Europa chiude gli occhi sulla corruzione in Italia”, ripresa sull’ultimo numero di “Internazionale”.

Nonostante i continui aumenti dei pedaggi, con cui la Cav cerca di riportare in pareggio il bilancio, il costo del Passante (lievitato a 1,22 miliardi di euro) continua a pesare sui conti della società di gestione, tuttora in perdita.

L’anno scorso, però, proprio il Passante è stata la prima infrastruttura italiana a beneficiare dei project bond della Bei. Si tratta di uno strumento finanziario a tasso notevolmente agevolato.

Già l’anno prima, nel 2013, la Bei aveva presto 350 milioni di euro alla Cav, ora si parla di una cifra fra i 700 e i 900 milioni.

Praticamente, la Cav emette titoli obbligazionari e la Bei si fa garante per il 20 per cento delle obbligazioni stesse.

Questi nuovi project bond avrebbero dovuti essere emessi nel febbraio di quest’anno ma – scrive Mediapart – “ci sono stati dei ritardi e la pressione esercitata a fine aprile dal Parlamento europeo potrebbe contribuire a cambiare la situazione”.

Per la soddisfazione delle associazioni che da anni seguono la vicenda, anche nel Veneziano, con diverse segnalazioni, fra cui una di Beppe Caccia proprio alla Bei, nel marzo 2103, anche se in quel caso riferita a una tranche di 500 milioni di finanziamenti per il Mose.

Enrico Pucci

 

L’indice di costruzione secondo solo a quello lombardo, l’incuria pluriennale nella salvaguardia idrogeologica. Gli ambientalisti: troppi impegni disattesi

VENEZIA – Il cimitero degli elefanti dei capannoni abbandonati, gli insediamenti abitativi che invecchiano senza inquilini, le discariche selvagge, i veleni occultati nel sottosuolo, le costruzioni sregolate che costellano campagna, colline, litorale.

L’ambiente veneto aggredito e indifeso, ostaggio di un modello di industrializzazione diffusa e accelerata, che ha frantumato le barriere tra urbanesimo e ruralità, che dal 1970 ad oggi ha trasformato in costruzioni 180 mila ettari di terreno (pari all’intera provincia di Rovigo) con un’indice di cementificazione (il 14%) secondo su scala nazionale soltanto a quello lombardo.

Se questo è l’album del passato (prossimo), l’attualità dei nostri giorni racconta l’epilogo di un ciclo economico espansivo e il suo malinconico corollario fitto di zone commerciali dismesse e impianti inutilizzati, siti produttivi da bonificare e ferite aperte sul territorio.

«Negli ultimi tempi la situazione si è addirittura aggravata, ora nessuno sta peggio di noi», è il severo commento di Andrea Ragona, dirigente di Legambiente «mentre un po’ dovunque spuntano cartelli “vendesi” sugli edifici e nella sola Padova ci sono 10 mila appartamenti vuoti, i costruttori sollecitano ulteriori colate di cemento, funzionali esclusivamente ai loro profitti, non certo ai cittadini. L’altra faccia della cementificazione è l’assenza drammatica di una politica della mobilità pubblica che riduca l’inquinamento dell’aria: aperture di facciata e promesse elettorali, nel concreto quasi nulla. Stiamo scontando gli effetti devastanti di 14 anni di gestione Chisso nei trasporti. Una buona notizia? Finalmente si riparla di idrovia con minimo di concretezza, però dobbiamo essere chiari: o diventerà un canale navigabile, con il traffico pesante sottratto alla strada e posto sopra le chiatte, o si ridurrà all’ennesimo palliativo. Temo che, aldilà degli slogan, la consapevolezza della gravità della situazione e la conseguente volontà di agire, siano del tutto insufficienti».

Abusi e dissesti non indolori, pagati a carissimo prezzo ogniqualvolta le precipitazioni superano le medie stagionali, il bollettino dei danni racconta esondazioni fluviali e torrenti in piena, centri sommersi e distruzioni, vittime e sfollati. Sul fronte della salvaguardia idraulica, dopo lunghi anni di colpevole incuria, la disastrosa alluvione del 2010 è valsa, se non altro, a ridestare l’amministrazione regionale, che, per volontà del governatore Luca Zaia, si è dotata nello stesso anno di un Piano di azioni e interventi per la mitigazione del rischio idraulico e geologico, stimando in 2,7 miliardi di euro il costo complessivo della messa in sicurezza del martoriato territorio veneto. Un obiettivo lungi dall’essere centrato – complice la crisi che ha prosciugato i rubinetti finanziari del Governo – perseguito attraverso l’apertura di 925 cantieri grandi e piccoli, con priorità ai bacini di laminazione di Caldogno, Muson dei Sassi, Viale Diaz a Vicenza, La Colomberetta, Montebello, Pra dei gai, Trissino; i punti più dolenti nella mappa nostrana.

«È un primo passo utile dettato dall’emergenza ma occorre fare molto di più», sentenziano all’unisono i comitati spontanei sorti come funghi nelle zone a rischio alluvionale.

Altro versante, quello del risparmio del suolo abbinato alla rigenerazione urbana. A lavorarci, da tempo, sono quelli di Urbanmeta, un “cartello” sorto in Veneto e ad oggi unico in Italia perché include ambientalisti e Ance, architetti e docenti universitari; figure difformi, spesso in conflitto, accomunate dall’interesse per le scelte urbanistiche: «Il Piano Casa voluto dalla Regione ha lievemente attenuato l’impatto sul territorio, escludendo le costruzioni ex novo, però ha concesso chance di ampliamento abitativo che riteniamo del tutto eccessive», è l’opinione di Andrea Ginestri, attivo nel sodalizio «ma ciò che più ci sconcerta è la strategia che emerge in alcune amministrazioni locali.

Ci dicono: “Fra tre anni esauriremo la cubatura prevista dal Piani di assetto territoriale e allora introdurremo lo stop ai cantieri edili”; ebbene, alcuni di quei Pat prevedono aumenti della cementificazione fino al 40% : una follia, impraticabile per il venir meno di suolo disponibile prima ancora che per decenza amministrativa».

Intanto la legislatura si è conclusa ma l’annunciata legge quadro regionale è rimasta alla fase progettuale alcuna: «Se è per questo, siamo in ritardo anche sul piano delle idee», chiosa Ginestri «finora, il massimo che si è riusciti a escogitare per riqualificare un sito industriale dismesso, è stato piazzarci un centro commerciale o un silos di auto. La moderna rigenerazione urbana è altra cosa».

È tutto? Non proprio. C’è anche il rischio persistente di terremoto (confermato dalla recente serie di scosse) che i geologi individuano nell’arco della Pedemontana che si estende dalla Lessinia al Cansiglio e coinvolge le province di Verona, Vicenza e Treviso, dichiarate zone sismiche di seconda categoria. Gli esperti della prevenzione sollecitano a gran voce uno screening organico, ovvero una mappatura degli edifici – abitativi e produttivi – accompagnata da incentivi finanziari all’adeguamento degli stabili pubblici e privati. Il Piano Casa, in verità, assegna alcuni fondi in questa direzione, legati alla ristrutturazione e messa in sicurezza. Ma è soltanto l’inizio di un percorso che si annuncia lungo e accidentato.

Filippo Tosatto

 

Il docente di Idraulica: «Basta strade, ci vuole equilibrio. Bene l’Idrovia. Il Mose? Speriamo almeno che funzioni»

D’Alpaos: «Il rischio allagamenti è alto, servono invasi»

VENEZIA – Il territorio e la sua sicurezza sacrificati sull’altare del cemento, come risultato di una politica che per almeno quarant’anni si è lasciata dettare l’agenda delle grandi e piccole opere da pochi portatori di interesse. E l’interesse generale torna a far capolino solo quando si verificano le tragedie, come l’alluvione del 2010.

Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’università di Padova chiede al nuovo governatore il coraggio di scegliere: la sicurezza idraulica del Veneto è l’unica priorità su cui concentrare le risorse.

Professore, come sta il territorio veneto? «Ha i suoi problemi dal punto di vista della difesa idraulica, una situazione che è conseguenza di anni di incuria, sfruttamento del suolo e della stessa acqua. Ma anche di una politica che ha concentrato progetti e risorse sempre e solo su cemento e asfalto».

Dove è urgente intervenire? «Ci sono due piani, quello del grande sistema idrografico e le reti minori. Il problema dei nostri fiumi è che non sono in grado di convogliare al mare in sicurezza la portata delle piene. È un problema grave perché quanto accaduto nel 1966 può succedere di nuovo. Servono invasi per trattenere temporaneamente i colli di piena».

E l’Idrovia Padova-Mare di cui da qualche anno si è tornati a parlare? È certamente un’opera necessaria per garantire la sicurezza idraulica di tutta la zona a valle del nodo idraulico di Voltabarozzo, sia nel Padovano che nel Veneziano, potendo fungere da canale scolmatore per Brenta e Bacchiglione. Se ne è tornato a parlare dopo l’alluvione del 2010 quando tante persone e tante imprese si sono ritrovare in ginocchio. Eppure se si chiede a qualsiasi imprenditore cosa serve al Veneto, si parla ancora e sempre di strade, autostrade e tangenziali. Non capiscono cosa stanno rischiando. È quello che io chiamo il “partito degli stradini” che ha dettato lo sviluppo del nostro territorio. La politica deve prendere in mano la situazione, smettere di rilanciare, di ascoltare pochi portatori di interesse e fare le opere di difesa idraulica».

Non è cambiato nulla dopo il 2010? «Qualcosa si è iniziato a fare, ma sono solo i primi passi di un cammino che sarà lunghissimo e dovrà impegnarci per i prossimi 30 anni. L’acqua è una minaccia, ma anche una grande risorsa. Difendersi dalle acque, difendere le acque: sono i due lati della stessa medaglia. Da una parte il rischio alluvioni, dall’altra fiumi ridotti a rivoli, come il Piave. Va ristabilito l’equilibrio».

E il Mose? «Un’opera troppo complessa e troppo costosa. Ma arrivati a questo punto non possiamo che augurarci tutti che funzioni».

Elena Livieri

 

AL SUMMIT PROMOSSO DALL’ASSESSORE CONTE

VENEZIA – Venezia frena sull’idrovia. La grande opera, del valore di 700 milioni di euro tutti da trovare, metterebbe di certo al riparo da alluvioni il territorio padovano, ma non darebbe ancora garanzie sicure sull’impatto dello scolmatore sulla laguna. È questa la preoccupazione di comitati e associazioni, espressa ieri nel Palazzo Grandi Stazioni di Venezia all’assessore all’Ambiente Maurizio Conte, all’ingegnere Luigi D’Alpaos e al dirigente Settore Suolo della Regione Tiziano Pinato.

Immediata la risposta dell’ingegnere padovano che replica ai veneziani di non barricarsi dietro a inutili “no” e di non perdere questa straordinaria occasione di riportare dei sedimenti in una laguna «che è già mare e che perde 500.000 metri cubi di sedimenti all’anno».

Dopo l’aggiudicazione definitiva del bando di gara europeo al padovano Beta Studio e alla società milanese Technital s.p.a. per l’«affidamento del progetto preliminare per il completamento dell’idrovia Padova Venezia come canale navigabile e scolmatore», ieri si sono ribadite ai progettisti le criticità: i comitati chiedono uno studio di impatto ambientale, costi e benefici del progetto e trasparenza sugli effetti nella laguna. Alessandro Campalto, presidente della Conferenza dei sindaci della Riviera, composto da dieci Comuni padovani e veneziani, ha ribadito il loro unanime sì, ma verificando che sia un progetto che porti benefici a tutti.

Si è parlato poi del ruolo strategico che potrebbe avere il Porto Off Shore per favorire l’attività industriale di Padova e della necessità di pensare alla navigazione con chiatte e non con navi.

Nel progetto è inserito anche lo studio della possibilità di utilizzare l’idrovia come scolmatore del Bacchiglione e non solo del Brenta.

Per adesso non ci sono fondi, il Piano Dissesto del premier dirà se ci sono soldi per il Veneto.

Vera Mantengoli

 

CAMPONOGARA – Parte l’iter per la realizzazione dell’Idrovia Padova Mare. Ad annunciarlo è la Regione, che ha invitato alla prima riunione i comitati di Riviera, Piovese e vicentino, che da anni si battono per la realizzazione dell’opera.

«In seguito dell’aggiudicazione definitiva della progettazione preliminare per il completamento dell’Idrovia Padova – Venezia come canale navigabile di quinta classe per navi fluvio-marittime», spiega la Regione, «è stato sottoscritto il contratto d’appalto con il raggruppamento temporaneo di imprese che si è aggiudicato la gara. Per garantire la partecipazione a tutti i portatori di interessi, l’assessorato alla difesa del suolo ha convocato per domani (oggi) alle 15 a Palazzo Grandi Stazioni a Venezia, un incontro per illustrare gli obiettivi dell’opera».

Quella dell’idrovia è la storia di un’opera che aspetta da 50 anni di essere completata. Si tratta del canale navigabile tra Padova e Venezia. Se ultimato potrebbe proteggere una zona ad alto rischio dalle alluvioni, dare impulso al turismo sulle vie d’acqua e togliere traffico merci dalle autostrade. Mancano solo 13 chilometri da scavare, ma dopo 50 anni e 55 miliardi di vecchie lire, il canale è ancora incompiuto.

«In questo incontro», spiega per il comitato Brenta Sicuro Marino Zamboni, «chiederemo che la portata del canale sia di almeno 400/450 metri cubi al secondo cioè la capacità necessaria a salvare dalle disastrose alluvioni vaste aree di Padova e Venezia, Mira compresa».

(a.ab.)

 

Gazzettino – Sicurezza idraulica: “Idrovia decisiva”

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20

apr

2015

Università di Padova

STRA – Brenta e Bacchiglione, affollato incontro con l’ingegnere Luigi D’Alpaos

La sicurezza idraulica di un vasto territorio legato al bacino dei fiumi Brenta e Bacchiglione è stata al centro di una serata organizzata a Stra dal Comitato intercomunale “Brenta Sicuro” e da “Legambiente”. Molte le persone presenti all’incontro fra cui la sindaca Caterina Cacciavillani e il senatore Gianpiero Dalla Zuanna.

La situazione dei due fiumi e la necessità di realizzare le opere strutturali necessarie, principalmente il completamento dell’Idrovia, sono i temi affrontati dal professor Luigi D’Alpaos, ingegnere idraulico dell’Università di Padova, tra i più accaniti sostenitori delle necessità di realizzare l’idrovia Padova-Venezia non solo come via d’acqua, ma soprattutto come canale scolmatore delle piene costituite dallo snodo acqueo formato dai fiumi Brenta e Bacchiglione.

«L’introduzione di acque dolci e sedimenti in laguna tramite l’idrovia per contrastare il progressivo processo di erosione della laguna stessa, peggiorato dallo scavo del Canale dei Petroli, non può fare altro che bene – ha affermato D’Alpaos – e va affiancato alla realizzazione degli invasi previsti in provincia di Vicenza e alla deviazione di parte delle acque di piena del Bacchiglione sul canale san Gregorio, Piovego, Brenta e successivamente in idrovia. Uno studio in proposito eseguito dal Dipartimento di Idraulica dell’Università di Padova ha dimostrato che il territorio a valle di Padova non avrebbe subito la rotta del fiume Roncajette nel 2010, con il conseguente allagamento di una vasta area padovana».

 

STRA – La sicurezza idraulica di un vasto territorio legato al bacino dei fiumi Brenta e Bacchiglione e la realizzazione necessaria a questo scopo dell’idrovia Padova-Venezia sono state al centro della serata organizzata dal Comitato Brenta Sicuro e da Legambiente.

All’incontro, oltre ai sindaci di Riviera e Piovese, ha partecipato il professor Luigi D’Alpaos, ordinario di Idraulica all’Università di Padova, fra i maggiori promotori dell’opera.

«L’idrovia», ha detto D’Alpaos, «è un’opera con funzioni multiple, dalla navigazione commerciale per chiatte di V classe, alla diversione di parte delle piene del sistema Brenta Bacchiglione in laguna, all’introduzione di acque dolci e sedimenti in laguna per contrastare il progressivo processo di erosione, peggiorato dallo scavo del canale dei Petroli. La realizzazione degli invasi a Vicenza e la gestione del nodo idraulico di Padova, attraverso la diversione di parte delle acque di piena del Bacchiglione verso il canale san Gregorio, Piovego, Brenta e successivamente in idrovia, avrebbe evitato al territorio a valle di Padova la condizione che ha portato alla rotta del 2010 a all’allagamento di una vasta area da Roncajette fino a Bovolenta».

Anche il ruolo di ricomposizione ambientale del territorio della Riviera è legato al completamento dell’idrovia: «C’è la possibilità», ha detto per i comitati Marino Zamboni, «che a trarne beneficio diretto sia anche il territorio di Mira, con la diversione di parte delle acque del Taglio di Mirano, alleggerendo la situazione di sofferenza del canale Novissimo».

Comitati e sindaci ribadiscono «la necessità della convocazione della Conferenza dei servizi sul progetto preliminare prima delle elezioni di maggio».

(a.ab.)

 

Nuova Venezia – Serata sull’idrovia con Luigi D’Alpaos

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16

apr

2015

STRA. Si parla del progetto dell’idrovia Padova-Venezia con il comitato “Brenta Sicuro”. L’incontro in Riviera del Brenta è in programma domani alle 21 a Stra, alla biblioteca di via Fossolovara.

Insieme ai promotori del comitato e di Legambiente parteciperà alla serata il professor Luigi D’Alpaos, fra i maggiori sostenitori dell’Idrovia come opera idraulica anti allagamento.

«Dopo aver avuto il sostegno anche con prese di posizioni video», spiega per il comitato Marino Zamboni, «ora aspettiamo la conferenza di servizi che la Regione con l’assessore Conte ha promesso di indire prima delle elezioni».

Critico sugli effetti della nuova opera è invece il comitato “Acque del Mirese” che ha paventato forti rischi ambientali legati per lo più allo scarico di fanghi inquinanti e detriti in laguna.

(a.ab.)

 

VIGONOVO – Vigonovo è in assoluto il comune più danneggiato dalla realizzazione dell’idrovia Padova-Venezia.

Il suo territorio era già stato tagliato in due nel 1850 dallo scavo del canale artificiale Brenta-Cunetta a opera del governo austriaco. L’idrovia ha fatto il resto. Vigonovo è stato letteralmente tagliato in quattro. Peggio ancora, il canale passa a ridosso del centro abitato. E ora che il danno è stato fatto almeno che l’infrastruttura venga completata.

Al riguardo il sindaco Damiano Zecchinato, come d’altronde tutti i primi cittadini di un vasto territorio abitato da oltre 500mila persone, non ha dubbi e si batte da tempo perché l’idrovia sia completata sia come via d’acqua sia come canale scolmatore delle piene di Brenta e Bacchiglione.

«Ho appena avuto un incontro con l’assessore regionale all’Ambiente, Maurizio Conte – dice il sindaco Zecchinato – Mi ha confermato che la realizzazione dell’idrovia è e rimane un progetto prioritario che anche chi gli succederà ha il dovere di portare avanti accedendo a finanziamenti europei. Dopo l’immane danno subito dal territorio di Vigonovo, il completamento dell’idrovia potrebbe così trasformarsi per il mio Comune in una importante risorsa economica. Oltre alla soluzione del problema idraulico, qualora l’idrovia venisse utilizzata come via d’acqua, Vigonovo ben si presterebbe a essere sede di un porticciolo per accogliere piccole e medie imbarcazioni da diporto. Gli appassionati di nautica troverebbero nel nostro territorio strade e strutture in grado di ben accoglierli. Stiamo infatti studiando il modo per inserire nel nuovo Pat, il Piano di Assetto Territoriale del Comune di Vigonovo, dei piani per realizzare tali strutture.
Non sarà un piano da realizzare a breve tempo, ma il progetto potrebbe trovare in futuro una seria attuazione».

Per Vigonovo il progetto non è del tutto nuovo. Circa 35 anni fa, mentre l’idrovia era nella prima fase di attuazione, l’identico progetto era stato presentato dall’allora Giunta comunale presieduta dal sindaco Luciano Finesso.

(v.com.)

 

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