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L’INCHIESTA – Nel mirino le imprese “coinvolte”

I pm pronti a presentare il conto della corruzione: stimato in 80 milioni il giro delle mazzette

VENEZIA – Nel mirino l’illecito arricchimento favorito dalle tangenti dei manager

Mose, ora rischiano di pagare anche le aziende della “cricca”

MOSE – I cantieri delle dighe mobili alla bocca di porto di Malamocco all’estremo sud del Lido di Venezia

Inchiesta Mose: dalla retata alla stangata storica. Ora che alcuni degli indagati arrestati poco più di tre mesi fa si apprestano a patteggiare, magistrati e finanzieri si preparano ad aggredire un altro fronte. Quello non meno importante del ristoro delle tasche dei cittadini per anni saccheggiate dal sistema tangenti costruito dentro e fuori il Consorzio Venezia Nuova. È la fase due: il recupero dei soldi pubblici utilizzati o elargiti illecitamente. E per attuarla servono i conti. Milionari visto che la stima per difetto del totale del giro di denaro sporco, tra fondi neri e mazzette distribuite da Mazzacurati e compagni, sfiorerebbe la cifra stratosferica di 80 milioni di euro. È questo l’importo indicato nell’allegato alla richiesta di sequestro preventivo presentata dai pm titolari dei fascicoli sul Mose. Importo che non contrasta con i “soli” 9 milioni scritti nell’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip Alberto Scaramuzza, lo scorso 31 maggio ed eseguita il 4 giugno, e proposti per il sequestro nei confronti dei presunti colpevoli in base alle rispettive disponibilità accertate scandagliando i conti e i patrimoni ufficialmente dichiarati.
Adesso quindi a tremare non sono più i singoli bensì le società coinvolte. L’orientamento della Procura veneziana è di procedere ai sensi del Decreto legislativo 231 del 2001. Esso sancisce il principio che in aggiunta alla responsabilità della persona fisica che realizza l’eventuale fatto illecito è prevista la responsabilità in sede penale dell’impresa per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio della stessa, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione. Quindi, una volta definite le responsabilità in sede giudiziaria, a pagare e versare quanto dovuto all’Erario non saranno solo i vari Tomarelli, Morbiolo, Falconi, Boscolo Bacheto, Baita, Minutillo ma, se passerà la linea dei magistrati, a dover aprire il portafoglio saranno anche, e in misura assai più consistente, le società che quei manager rappresentavano: da Condotte a Coveco, da Sitmar Sub a Cooperativa San Martino e Coedmar, da Mantovani ad Adria Infrastrutture. Solo per fare alcuni nomi.
Il ragionamento del legislatore è semplice: hai alle dipendenze delle figure apicali che hanno compiuto reati per il tuo tornaconto? Se sì, tu società devi tirare fuori i soldi e risarcire. E serve a poco dichiarare che si è stati costretti a pagare obtorto collo dal “grande burattinaio” – così lo ha definito Paola Tonini, il Pm che lo ha incastrato – al secolo Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, che ha ideato e imposto ai soci il meccanismo della sovrafatturazione-retrocessione allo scopo di creare, dirottando parte dei finanziamenti statali, i fondi neri per le mazzette. Altrimenti non si poteva lavorare… si poteva però denunciare. Così come l’eventuale strategia di prendere le distanze dal dirigente additato quale “infedele”, in tale contesto apparirebbe poco credibile.
Le sanzioni pecuniarie previste sono alquanto pesanti e si calcolano sulla base degli importi che hanno generato l’illecito arricchimento e, si badi bene, non sulle somme evase. Infine, va sottolineato che tutte queste procedure non si sommano, ma procedono una dopo l’altra e si salderanno con quella di competenza della magistratura contabile, la Corte dei Conti, che dovrà contestare a tutti gli interessati – sulla base delle risultanze dell’indagine – il danno erariale. Danno che non dovrebbe essere solo quello patrimoniale causato dallo sperpero di denaro pubblico per mazzette, corruzione, consulenze inutili e spese folli e ingiustificate compiute dalla cosiddetta “cricca” del Mose. In ballo ci potrebbe essere pure il “danno all’immagine” causato dal discredito gettato sulla Pubblica amministrazione.

 

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