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SCANDALO in laguna

CHISSO E CASARIN – Slitta la decisione per l’ex assessore e il suo segretario

Mose, sì ai patteggiamenti. 31 anni per Galan e soci

Trentuno anni di carcere in tutto e quasi 12 milioni di euro recuperati allo Stato. Si è conclusa in meno di tre ore, ieri mattina, l’udienza di patteggiamento dei primi 19 imputati nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, che hanno preferito evitare il processo scendendo a patti con la Procura. Il giudice Giuliana Galasso ha iniziato a decidere poco prima delle 11 chiamando, una ad una, tutte le difese ed emettendo sentenza per ciascun singolo imputato. Poi una breve pausa attorno a mezzogiorno. Gli ultimi a definire il patteggiamento sono stati i legali dell’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, usciti dal Palazzo di giustizia attorno alle 13 e 45.
Nessuno dei principali imputati si è presentato in aula. Non c’era l’ex Governatore del Veneto e deputato di Forza Italia, che si trova agli arresti domiciliari nella lussuosa villa di Cinto Euganeo, messa sotto sequestro durante le indagini. I pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini, Stefano Buccini lo accusano di corruzione in relazione a vari episodi: di aver ricevuto uno stipendio annuale di un milione di euro dal 2008 al 2011, equivalente a 4 milioni di euro dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati; nonché 900mila euro nel 2006-07 e 900mila euro nel 2007-08; di aver ricevuto quote di società da Piergiorgio Baita della Mantovani (il 70% di Nordest Media; 7% di Adria Infrastrutture) nonché un conto corrente a San Marino con 50mila euro, finanziamenti elettorali e la ristrutturazione villa Cinto Euganeo per 1 milione e 100 mila euro. Gli episodi precedenti al 22 luglio 2008 sono stati dichiarati prescritti e, dunque, esclusi dall’accordo. Prima di discutere il patteggiamento, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini hanno chiesto al gup, in via preliminare, di prosciogliere Galan per evidente insussistenza di prove, in particolare per quanto riguarda l’asserito stipendio di cui ha parlato solo Mazzacurati. «In modo confuso, e contraddetto da Baita», hanno sostenuto in aula. Ma il giudice ha rigettato l’istanza, applicando la pena concordata in precedenza: 2 anni e 10 mesi di reclusione e la confisca di 2,6 milioni di euro. I legali di Galan hanno annunciato che ricorreranno in Cassazione.
Galan è l’unico dei 19 imputati di ieri ad essere ancora sottoposto a misura cautelare: gli altri sono stati tutti rimessi in libertà dopo la richiesta di patteggiamento. Alcuni hanno ammesso gli addebiti, almeno in parte. Tra questi figura il commercialista padovano Paolo Venuti, il quale ha riconosciuto di aver agito in qualità di prestanome di Galan nelle due società cedute da Baita al Governatore. Ampia la confessione dell’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta, il quale ha confessato di essere stato al soldo di Mazzacurati che gli garantiva uno stipendio annuale per lasciare carta bianca al Cvn e, al momento del pensionamento, gli fece bonificare 500 mila euro su conto in Svizzera, intestato alla moglie.
Dalle indagini è emerso un quadro esteso di malaffare: per garantire la prosecuzione dei lavori per il Mose, il Consorzio Venezia Nuova aveva creato un meccanismo di corruttele a tutti i livelli, di cui hanno ampiamente parlato sia Mazzacurati che Baita, ma anche altri soci del Cvn. I fondi da destinare alle mazzette provenivano da false fatturazioni. Insomma, per molti anni lo Stato ha pagato i lavori del Mose a prezzo maggiorato per consentire al Consorzio di corrompere i controllori o i politici che dovevano garantire autorizzazioni e flussi finanziari all’opera.
All’udienza di ieri ha partecipato anche il Comune di Venezia (assistito dagli avvocati Fabio Niero e Alvise Muffato) che è intenzionato a chiedere un risarcimento: non potendo costituirsi parte civile in questa fase processuale, il Comune ha presenziato in qualità di parte offesa e il giudice ha riconosciuto a Ca’ Farsetti di aver subìto, in qualità di ente territoriale, «un danno di immagine dai reati che hanno visto il coinvolgimento di soggetti pubblici e un rilevante sperpero di risorse economiche e fondi pubblici nella realizzazione del Mose, opera di sicuro impatto nel territorio comunale…»
I patteggiamenti concordati dall’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso (due anni e 6 mesi) e dal suo segretario, Enzo Casarin (un anno e 8 mesi) saranno presi in esame da un altro giudice nelle prossime settimane. Poi la Procura dovrà chiudere le indagini nei confronti dei rimanenti indagati (una ventina), tra cui figurano l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e l’ex europarlamentare di Forza Italia, Amalia Sartori, entrambi accusati di finanziamento illecito.

Gianluca Amadori

 

Il giudice accetta 19 pene concordate e rimette in libertà quasi tutti gli imputati

Confermati per l’ex governatore due anni e 10 mesi e la confisca di 2,6 milioni

PROCURATORE «Pene certe, giustizia rapida»

LE REAZIONI – Nordio: «Pene serie, non sanguinarie»

Franchini, avvocato di Galan: «Il nostro cliente è innocente, ha patteggiato per motivi privati e di salute»

VENEZIA – «Si è concluso come speravamo che si concludesse e come ritenevamo giusto che si concludesse: questa indagine è stata condotta in tempi brevi con risultati soddisfacenti per l’Erario, e abbiamo avuto pene certe e serie, non sanguinarie o esemplari, ma anche rieducative».
Il procuratore aggiunto Carlo Nordio ha commentato così i patteggiamenti di ieri: «Il sigillo del gip alla nostra indagine e alle proposte di patteggiamento costituisce una conferma di quanto abbiamo fatto finora. L’andamento dell’inchiesta ha dimostrato che con professionalità e volontà, la giustizia può essere anche più rapida di quanto succeda solitamente».
Quanto alla scelta di molti indagati di patteggiare pur dichiarandosi innocenti – primo fra tutti Galan – il procuratore aggiunto ha dichiarato che «le scelte delle difese sono insindacabili e sacrosante». Per poi aggiungere, però, che «patteggiare pene abbastanza elevate con multe ingenti a qualcuno potrebbe sembrare contraddittorio con l’innocenza».
Sul fronte difensivo, l’avvocato Antonio Franchini ha spiegato che per l’onorevole Galan «al patteggiamento siamo arrivati attraverso un percorso molto sofferto, perché noi riteniamo che il nostro cliente sia innocente. Noi avevamo richiesto un proscioglimento, tuttavia motivi assolutamente privati e di salute invece hanno portato a questa strada», ha precisato.
«C’è grande amarezza, sono convinto che da un processo sarebbe emersa la sua estraneità», ha aggiunto il secondo difensore dell’ex Governatore, Niccolò Ghedini, il quale ha spiegato che, sulla base della legge Severino, Galan «tecnicamente decadrà quando ci sarà il provvedimento della Camera, dopo che la sentenza sarà passata in giudicato». Ghedini ha ricordato, tuttavia, che sono pendenti i ricorsi alla Corte dei diritti dell’Uomo al fine di ottenere l’annullamento della legge Severino.

 

PORTO MARGHERA

Bettin attacca «Bonifiche-truffa. Il Comune sia parte civile»

PORTO MARGHERA Per l’ex assessore Bettin è lo scandalo più ignobile uscito dall’inchiesta Mose

«Truffa sulle bonifiche. Comune parte civile»

Quello della truffa sulle bonifiche di Porto Marghera «è lo scandalo più ignobile» denuncia il sociologo ed ex assessore comunale all’ambiente Gianfranco Bettin: «Di tutte le infamie che l’inchiesta Mose e dintorni ha rivelato, la più schifosa è proprio questa. È l’inchiesta che coinvolge tra gli altri l’ex ministro Altero Matteoli ed altri esponenti legati soprattutto ad Alleanza Nazionale e all’ex Pdl, ora Forza Italia».
È una cosa vergognosa, secondo Bettin, perché non è solo una questione economica di sperpero di denari pubblici, già grave di per sè, ma è soprattutto grave perché «si sarebbe lucrato su fondi destinati a risanare un ambiente avvelenato per decenni, sottraendo fondi derivanti dalle transazioni che le aziende, responsabili dell’inquinamento e delle malattie e morti dei lavoratori e dei cittadini, avevano dovuto mettere a disposizione dello stato, cioè della collettività».
Perciò l’ex assessore invita il Comune a costituirsi parte civile «in modo specifico contro gli imputati».
Tecnicamente questa truffa avrebbe funzionato così: parte dei fondi destinati alle bonifiche venivano dirottati («come tangente di fatto, e con la solita complicità attiva del Consorzio Venezia Nuova») a ditte direttamente controllate o nella sfera d’influenza dei politici incriminati. «Un comportamento da vampiri, tipico di chi cioè si nutre letteralmente di ciò che avrebbe dovuto risarcire la città e i lavoratori degli immani guasti subiti per decenni» continua Gianfranco Bettin che aggiunge pesanti dubbi anche sulla gestione burocratica dell’intera vicenda: «In questo quadro si irrobustisce il sospetto che la stessa farraginosità delle procedure, labirintiche e burocratiche, e l’accentramento ministeriale insopportabile che per anni hanno impedito l’avvio reale delle bonifiche, fossero non casuali bensì voluti, per tenere sotto controllo, alla mercé dei faccendieri e dei loro protettori e/o mandanti politici, un affare lucroso».
Per l’ex assessore si tratta, insomma, del capitolo più ignobile dell’intero scandalo, «ragione in più per essere grati alla magistratura che lo ha scoperchiato. E ragione anche per continuare nel lavoro avviato di recente per riformare radicalmente procedure e contenuti relativi alle bonifiche, restituendo speranza e certezza all’intero polo industriale e portuale e all’intera città».

 

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