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Gazzettino – Marghera, il grande affare delle bonifiche

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

29

ott

2014

QUELLE SOSPETTE “TRANSAZIONI AMBIENTALI”

Anche Orsoni sentito dai magistrati: così ho respinto minacce e pressioni

OLTRE IL MOSE – A giugno interrogatorio segreto a Roma di Baita. Un business da 500 milioni

Marghera, il grande affare delle bonifiche

Nuovo filone d’indagine. Nel mirino il ruolo del ministero dell’Ambiente e quello del Cvn

PORTO MAGHERA – Bonifiche nell’area industriale e l’ingegner Piergiorgio Baita

«Contatti con il mondo politico imprenditoriale e bancario»

MILANO Azienda controllata dal clan Galati aveva ottenuto due subappalti. «Controlli insufficienti»

Si è aperto un nuovo filone nelle inchieste riguardanti il Consorzio Venezia Nuova, la costruzione del Mose e, soprattutto, le bonifiche a Porto Marghera. Non si tratta degli interventi di risanamento ambientale che hanno fatto finire nei guai l’ex ministro Altiero Matteoli, indagato per corruzione e nei cui confronti il Tribunale dei ministri ha inviato richiesta di autorizzazione a procedere alla Camera dei Deputati. È un capitolo del tutto inedito, che punta al cuore del Ministero. Se ne sta interessando l’autorità giudiziaria della capitale che mesi fa ha interrogato Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, grande accusatore dei politici per i soldi pagati dal Consorzio. Le sue dichiarazioni hanno già contribuito a far finire in carcere l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso. Ora aprono uno squarcio sul ruolo che il consorzio Venezia Nuova, con il presidente Giovanni Mazzacurati, ha avuto nella gestione dell’immenso capitolo delle bonifiche nella Laguna di Venezia.
Dal 2006 in poi, il Ministero dell’Ambiente ha incassato quasi una cinquantina di “transazioni ambientali” con i proprietari (in particolare aziende) di terreni di Porto Marghera. Complessivamente sono state raggiunte cifre imponenti, che superano i 500 milioni di euro. Ma proprio di quelle operazioni, in apparenza virtuose, avrebbero parlato due personaggi entrambi coinvolti nell’inchiesta Mose. Uno è Baita, l’altro l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni.
In gran segreto Baita è stato convocato a Palazzo Clodio a giugno, dopo che era scattato il blitz in Veneto con una trentina di arresti. A marzo il procuratore di Roma Pignatone aveva richiesto al pm di Udine, Viviana Del Tedesco, gli atti riguardanti la bonifica della Laguna di Grado e Marano, nell’ipotesi che si trattasse di un grande bluff per portare in Friuli decine di milioni di euro. Ma c’è di più. Roma ha acceso un faro sulla gestione del Ministero dell’Ambiente all’epoca in cui uno dei direttore generali era Gianfranco Mascazzini, indagato proprio a Roma assieme all’ex commissario straordinario della bonifica di Marano, Gianni Menchini e ad almeno un’altra quindicina di persone.
Perché il pm Alberto Galanti ha interrogato Baita? Per saperne di più sulla gestione delle bonifiche a Porto Marghera da parte del CVN. Il nome di Mazzacurati, padre-padrone del Mose, era infatti comparso anche nell’inchiesta friulana, ma la sua posizione è stata archiviata qualche mese fa. L’interesse di Mazzacurati alla bonifica friulana sembrava in qualche modo richiamare il ruolo che il Consorzio ha avuto nelle bonifiche a Marghera, uno dei 57 Siti di Interesse Nazionale (Sin) analogo a quello di Grado-Marano.
Per le bonifiche a Venezia sono arrivati molti soldi, provenienti dalle transazioni ambientali e finiti al Ministero dell’Ambiente. A gestirne una buona parte è stato il Consorzio in quanto soggetto attuatore. Baita avrebbe spiegato che per le bonifiche il ruolo del CVN è identico a quello rivestito per il Mose. Un potere assoluto nella gestione degli appalti. Baita avrebbe spiegato come funzionava – concretamente – il meccanismo delle “compensazioni ambientali” che sarebbe all’origine della disponibilità finanziaria per il Consorzio e per il sistema delle imprese che vi fanno parte.
Baita avrebbe anche aggiunto che qualche azienda non avrebbe voluto perseguire la via della compensazione con il Ministero, perché significava sborsare milioni di euro, in cambio del libero utilizzo delle aree, anche a fini di compravendita. Alle conferenze di servizi, deputate a esaminare i piani di risanamento, si trovava puntualmente proprio Mascazzini. I verbali di Baita racconterebbero, quindi, del ruolo dominante del potente direttore generale del Ministero a Marghera, ma anche dell’interessamento del Consorzio alla bonifica della Laguna di Grado e Marano.
Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, invece era stato interrogato prima di finire in carcere per i finanziamenti ricevuti da Mazzacurati. E avrebbe delineato un quadro a tinte fosche del ruolo che il Ministero avrebbe avuto nel perseguire le “transazioni ambientali”, ricorrendo a forme più o meno velate di pressione. Il Comune di Venezia si sarebbe rifiutato di accondiscendere ai diktat di Mascazzini. Anche perché non sempre era provata l’esistenza di un inquinamento tale da indurre enti pubblici o imprese private a pagare milioni di euro per ottenere il via libera del Ministero.

Giuseppe Pietrobelli

 

GIUSTIZIA E SOCIETA’

di Ennio Fortuna

Condanna senza colpa? Lo scandalo Mose e i patteggiamenti

Molti lettori mi invitano a spiegare nel modo più semplice possibile le caratteristiche del patteggiamento. Secondo alcuni di essi in questi ultimi giorni gli interventi e le interviste di illustri magistrati, di autorevoli docenti e di famosi avvocati, spesso in contrasto l’una con l’altra, avrebbero reso ancora più oscuro il senso di quest’istituto nato con il nuovo codice con lo scopo di accelerare il corso della giustizia. Alcuni lettori ironizzano sul fatto che i difensori degli imputati (quasi tutti) avrebbero sostenuto addirittura che il patteggiamento richiesto dai clienti miri a favorire la giustizia, quasi che il conto sia per loro esclusivamente in perdita. I clienti sarebbero innocenti e comunque mancherebbe la prova del reato, e il patteggiamento, a questo punto, sarebbe un atto di pura generosità. Naturalmente gli avvocati fanno il loro mestiere e di norma lo fanno assai bene, e ovviamente anche nell’occasione in discorso mettono in luce gli aspetti di maggiore convenienza per i loro difesi. Ma questo non deve precludere la possibilità di capire il più e il meglio possibile il senso del ricorso al patteggiamento.
Certo, l’istituto è per sua natura ambiguo, al confine tra la condanna e l’oblazione volontaria, e già questo spiega le difficoltà.Ma quale è la differenza più importante tra la pena concordata con il Pm e la condanna vera e propria? A prima vista deve dirsi che la condanna presuppone l’accertamento della colpevolezza mentre il patteggiamento ne prescinde. Il codice sul punto è inequivocabile. Nel giudizio il giudice pronuncia la condanna per il reato contestato se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, nel patteggiamento invece la pena è applicata esclusivamente sulla base dell’accordo con l’accusa, sempre però che il giudice lo ritenga corretto e adeguato, altrimenti l’operazione è bocciata. Nel primo caso c’è l’accertamento della colpevolezza, nell’altro non si accerta nulla perché di norma non c’è il giudizio. E’ ovvio però che l’accusato, in generale, patteggia solo o soprattutto se sa che nell’eventuale giudizio sarebbe condannato o rischierebbe la condanna. Non a caso anche qui il codice è lapidario. Salva diversa disposizione, la sentenza di patteggiamento è equiparata alla condanna, così si esprime l’art.445 del codice di rito. In altri termini chi patteggia è condannato. Il codice però non dice che il patteggiante è colpevole, e non può dirlo proprio perché il patteggiamento prescinde dal giudizio e quindi dall’accertamento della colpa. In pratica l’istituto realizza una finalità importante, tenacemente perseguita dal codice: esclude il giudizio, almeno di norma, prescinde dalla colpa e dal suo accertamento, ma garantisce una condanna attenuata e sollecita. I vantaggi, inequivocabili, sono del patteggiante (che esce dal processo con una condanna mitigata dall’attenuante speciale) ma anche dell’accusa che realizza il suo scopo di ottenere subito la condanna dell’accusato senza passare per un dibattimento faticoso, con il rischio della prescrizione.
Ci sono ancora due riflessioni: il patteggiamento è precluso se l’imputato è manifestamente innocente. In tal caso il giudice deve assolvere nel merito, ancorché vi sia richiesta concordata di applicazione della pena. Infine, e il rilievo si riferisce soprattutto al caso di Venezia, la condanna patteggiata può escludere l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, ma non la confisca. Il delitto di corruzione non prevede pene pecuniarie, l’unica sanzione irrogabile è la reclusione, anche se concordata. L’accordo tra accusa e difesa per il pagamento e la confisca di rilevanti somme di denaro presuppone perciò logicamente che un reato sia stato commesso perché la confisca è possibile o obbligata solo per le cose che ne sono il mezzo, il prodotto, il profitto o il prezzo. In definitiva chi patteggia la condanna non può essere palesemente innocente, ha interesse diretto all’accordo con l’accusa, e se concorda anche la confisca, tanto più se è contestato un illecito che prevede solo sanzioni detentive, finisce con il riconoscere o quanto meno non nega la sussistenza del reato che ne ammette o impone l’applicazione.

 

L’ex assessore Renato Chisso tornato a casa dall’ospedale

VENEZIA – Renato Chisso è tornato a casa dall’ospedale dove era stato ricoverato il 17 ottobre. Lo rende noto il suo legale di fiducia Antonio Forza che sottolinea come Chisso sia ancora notevolmente provato per la vicenda, per la sua cardiopatia e per il periodo di detenzione a Pisa iniziato il 4 giugno scorso quando è scattata l’operazione della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Venezia che ha portato all’arresto di 34 persone.
L’ex assessore regionale alle Infrastrutture era tornato a casa, a Favaro, il 13 ottobre, in seguito all’accordo per il patteggiamento a 2 anni e 6 mesi tra Procura e Difesa. Quello stesso giorno il Gip Roberta Marchiori avrebbe dovuto decidere sulla richiesta di scarcerazione per motivi di salute, decisione che è stata anticipata dal patteggiamento e che comunque sarebbe stata negativa. I periti del Gip infatti avevano scritto nella loro relazione che il carcere di Pisa era perfettamente attrezzato per curare Renato Chisso, il quale, dunque, poteva restare in carcere. Dopo 4 giorni passati a casa, ecco il ricovero all’Angelo e ora il ritorno nella sua abitazione di Favaro dove continuerà la terapia farmacologica. Intanto Chisso attende che si fissi la data dell’udienza per il patteggiamento. Il Gip Massimo Vicinanza, non ha ancora fissato l’udienza dove accetterà o meno il patteggiamento tra Chisso e la Procura e quello del segretario di Chisso, Enzo Casarin.

 

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