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Gazzettino – Mose, lo scandalo investe Chioggia

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

31

ott

2014

Il “nuovo” Consorzio si difende: «Abbiamo rispettato le regole»

IL CASO Pressioni sui politici locali da parte di Mazzacurati. «Il loro voto vale come Venezia»

Mose, lo scandalo investe Chioggia

Le rivelazioni di Stefano Tomarelli, responsabile dei lavori di Condotte, aprono un nuovo fronte

PORTOGRUARO – Verbali delle gare d’appalto falsificati Indagato anche il direttore tecnico del Consorzio

ATTENZIONI PARTICOLARI- Potrebbe interessare anche Chioggia – sul fronte politico – uno dei prossimi filoni dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. A raccontare delle particolari attenzioni riservate dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova agli amministratori di Chioggia è stato l’ingegnere Stefano Tomarelli, responsabile dei lavori del Mose per conto di Condotte, una delle principali imprese italiane di costruzioni. Tomarelli ha dichiarato ai pm che fu lo stesso Mazzacurati a riferirgli la circostanza. L’ingegnere romano (che ha già patteggiato la pena) non è stato però in grado di fare alcun nome.

 

L’INCHIESTA – La deposizione del responsabile dei lavori alla bocca di porto

Sistema Mose, trema il palazzo «Pressioni di Mazzacurati sul Comune e sui politici locali»

TOMARELLI «Il voto del sindaco al Comitatone era importante, come quello di Venezia»

SVOLTA – Secondo l’ingegnere di Condotte, i fondi neri utilizzati da Mazzacurati sarebbero andati anche a qualche politico di Chioggia

Potrebbe interessare anche Chioggia – sul fronte politico – uno dei prossimi filoni dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, che a metà ottobre si è già in parte conclusa con venti patteggiamenti per i reati di corruzione e false fatturazioni.
A raccontare delle particolari attenzioni riservate dall’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova (nella foto) agli amministratori di Chioggia è stato l’ingegner Stefano Tomarelli, responsabile dei lavori del Mose per conto della ditta romana di costruzioni Condotte, una delle principali imprese nazionali, che si sta occupando proprio delle paratie in via di realizzazione alla bocca di porto di Chioggia.
«Diciamo che su Chioggia l’attenzione di Mazzacurati sul Comune, sul sindaco etc., si accendeva soprattutto quando c’era il Comitatone, perché in fin dei conti… il voto del sindaco di Chioggia, la sua posizione a favore o contraria era sempre importante, valeva come quella di Cacciari o altro sindaco di Venezia. Quindi lui era particolarmente attento…», ha spiegato Tomarelli ai sostituti procuratore Paola Tonini e Stefano Buccini nell’interrogatorio dello scorso 25 giugno.
L’ingegnere di Condotte si riferisce al periodo fino al 2010 e ai pm ha spiegato che parte dei fondi neri utilizzati da Mazzacurati per attirare il consenso generale attorno al Mose sarebbero finiti anche a qualche politico di Chioggia: «Me lo disse», ha precisato Tomarelli, facendo riferimento alle confidenza ricevute dall’ex presidente del Cvn, il quale gli avrebbe più volte ripetuto di dover prestare attenzione a quel fronte. «Diciamo che io lo dedussi, ma poi, insomma, lo diceva che aveva questa necessità che tutto andasse per il suo verso… che la giunta comunale votasse a favore del Mose…».
Tomarelli non è stato però in grado di precisare a quali persone sarebbero finiti i soldi. Ai pm ha raccontato che, quando si discuteva di Mose, gli venivano fatti i nomi di qualche rappresentante politico di peso a Chioggia, ma ha precisato di non sapere se fossero a libro paga di Mazzacurati: «Non mi disse di avergli dato soldi, questo no».
Finora gli unici chioggiotti finiti sotto inchiesta sono stati alcuni imprenditori coinvolti nei lavori del Mose, accusati di corruzione e false fatture: tutti hanno già chiesto e ottenuto il patteggiamento di pene non superiori a due anni di reclusione, con la confisca di somme di denaro consistenti.
Ora la Procura dovrà trovare conferme al racconto di Tomarelli, mettendo assieme le confessioni rese dai vari indagati e acquisendo riscontri anche attraverso la documentazione sequestrata lo scorso giugno nel corso delle perquisizioni, quando saltò fuori un foglietto scritto a mano con nomi e, a fianco, alcune cifre. Sarà però difficile ottenere conferme da Mazzacurati: le condizioni di salute, stando al suo legale, non glielo consentirebbero.

Gianluca Amadori

 

L’INCHIESTA – Indagato l’ingegnere portogruarese Andrea De Gotzen

«Appalti truccati al Consorzio»

Verbali delle gare d’appalto falsificati per favorire alcune ditte vicine al Consorzio di bonifica Cellina Meduna? È il sospetto della Procura di Pordenone. Oltre all’abuso d’ufficio, all’omissione di atti d’ufficio, turbativa d’asta e peculato, nelle dieci informazioni di garanzia notificate l’altro ieri dalla Guardia di finanza, anche all’ingegnere portogruarese Andrea De Götzen, si fa riferimento anche alla falsifità ideologica e al falso materiale. Ci sono però centinaia di documenti da visionare per cercare conferma alle ipotesi di reato al vaglio degli inquirenti, ma si parla di due “tesoretti” di 14 milioni e 7 milioni di euro, una riserva di denaro definita «atipica» dagli inquirenti.
Nel registro degli indagati sono stati iscritti, a vario titolo, il presidente Americo Pippo, il suo staff attuale e alcuni direttori del passato. È stato semplicemente informato di essere sottoposto a indagine l’attuale direttore Marcello Billè, mentre i decreti di perquisizione erano stati emessi, oltre che per Pippo, per il coordinatore dell’Ufficio Ragioneria, Mauro Muzzin; per la segretaria Daniela Falcone, i geometri Paolo Sbrizzi (Ufficio appalti) e Livio Santarossa (Ufficio progetti); per l’ingegnere portogruarese Andrea De Götzen (direttore tecnico); per l’ex direttore generale Renzo Scramoncin e l’ex direttore tecnico Roberto Egidi.
Il Consorzio ha espresso «fiducia nel lavoro dell’autorità giudiziaria» nella convinzione che documenti, progetti e delibere sequestrati potranno «chiarire l’infondatezza delle ipotesi accusatorie adombrate». In una nota stampa è stata però espressa «una certa perplessità» sul fatto che dagli atti notificati emerge che «tra le fonti di prova citate ci sono note e dichiarazioni a firma di dipendenti che da anni hanno contenziosi aperti con il Consorzio». In realtà l’indagine sarebbe partita da segnalazioni di impresari che si lamentavano perchè a vincere le gare del Consorzio Cellina Meduna erano sempre le stesse 5 o 6 ditte. Prima di procedere con gli avvisi di garanzia, i finanzieri hanno cercato riscontri all’interno del Consorzio. A questo punto le indagini potrebbero prendere anche direzioni inaspettate e coinvolgere altri soggetti sia privati che pubblici.

 

L’INCHIESTA Alle spese (un milione e mezzo) contribuisce chi patteggia oltre 2 anni

E i condannati pagano le intercettazioni

Oltre un milione e mezzo di euro. A tanto ammonta la spesa sostenuta dalla Procura di Venezia per le intercettazioni ambientali e telefoniche, durate per molti mesi, che hanno consentito di scoprire e scardinare il cosiddetto “sistema Mose”. Il conto è stato depositato nei giorni scorsi dalla società che ha in appalto il servizio su incarico della Procura lagunare. E, tra breve, sarà presentato ai primi imputati che hanno definito il procedimento con il patteggiamento. Soltanto a quelli con pene superiori ai due anni di reclusione, in quanto il codice di procedura penale esclude gli altri dal pagamento delle spese di giustizia. Dunque, finora, soltanto l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan (tutt’ora presidente della commissione Cultura alla Camera) sarà chiamato a contribuire al pagamento delle intercettazioni, in quanto ha patteggiato due anni e 10 mesi di reclusione. Lo stesso toccherà all’ex assessore Renato Chisso, se definirà la pena al livello concordato con la procura (due anni e 6 mesi), e agli eventuali altri indagati che in futuro dovessero essere condannati a pene superiori ai 24 mesi. Fino al 2013 vigeva il principio della solidarietà: dunque, in caso di più imputati condannati, lo Stato poteva rivolgersi al più ricco e farsi rimborsare le spese di giustizia direttamente da lui anche per tutti gli altri (magari nullatenenti). La norma è stata però cambiata nell’agosto dello scorso anno e, ai sensi del decreto legislativo 111, le spese di giustizia vanno suddivise in parti uguali e ciascun imputato è tenuto a pagare la quota di sua competenza. Ciò significa che lo Stato riuscirà a recuperare soltanto una parte del milione e mezzo di euro anticipati per le intercettazioni ambientali e telefoniche. Tutti i condannati, a prescindere dall’entità della pena, sono invece chiamati a rifondere allo Stato le spese sostenute per il mantenimento durante il periodo di custodia cautelare in carcere.

 

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