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Sette milioni all’ex presidente: il consiglio del Consorzio Venezia Nuova si spaccò

Il caso del direttore Redi: per evitare sospetti la sua azienda Hmr finita in un trust

Buonuscita a Mazzacurati quei due “no” di Condotte

VENEZIA – Non erano tutti d’accordo a pagare i 7 milioni di buonuscita all’ingegner Giovanni Mazzacurati, lo scorso marzo. Nel consiglio direttivo del Consorzio Venezia Nuova almeno una delle imprese più grosse era contraria. Solo la necessità di non far trasparire la spaccatura all’esterno ha portato, dopo ben due voti contrari, ad un’astensione. Lo confermano sia il direttore tecnico del Consorzio Hermes Redi sia il presidente Mauro Fabris distaccato a Roma dove sta inseguendo i 137 milioni che ancora mancano al Mose. Fabris aggiunge anche il nome dell’impresa: Condotte d’Acqua. La decisione di liquidare il maxi Tfr a Mazzacurati era rimasta ibernata per mesi, dopo l’arresto del «capo supremo» il 12 luglio 2013. Più che comprensibile: l’ingegnere è ancora oggi sotto processo per i fondi distratti al Consorzio. Che fosse proprio il Consorzio a liquidargli subito dopo l’arresto una buonuscita da 9 milioni di euro (sembra questa la cifra inizialmente concordata) poteva creare solo imbarazzi. Come poi è accaduto. Tanto più che la pratica di fine rapporto è stata avviata con delibera approvata dai componenti del consiglio direttivo che l’avevano fiancheggiato fino alle dimissioni, date il 28 giugno 2013. Era una mano che lavava l’altra. Di istruire la pratica si incarica l’allora vicepresidente [………………………..], che tratta con il grande capo dimissionario e chiude (a quanto pare) a 9 milioni. All’epoca Condotte è rappresentata da Stefano Tomarelli, che si dimette dal consiglio direttivo del Consorzio il 2 agosto 2013, quando alla presidenza è già arrivato Mauro Fabris. Il quale a tutto pensa meno che a portare la croce per conto terzi. Così il Tfr di Mazzacurati passa in cavalleria. Rispunta a novembre, quando l’ingegnere si fa vivo con i suoi avvocati: ha collaborato con la magistratura, ha fatto il bravo e chiede che gli venga liquidato quanto gli spetta. Fabris si tutela girando la pratica agli avvocati del Consorzio, gli studi legali Vanzetti di Milano e Madia di Bologna. Con le spalle coperte dal loro parere favorevole, si presenta in consiglio direttivo per liquidare i 9 milioni a Mazzacurati, limati e portati a 7. Ma si becca due no di fila da Leopoldo De Medici, che rappresenta Condotte dopo Tomarelli. Anche De Medici è un avvocato ma, diversamente dai suoi colleghi, ritiene più saggio aspettare la sentenza prima di pagare. Finché al terzo tentativo, anche Condotte si allinea e fa passare la decisione astenendosi. È da cercare in questi passaggi la prova di una discontinuità solo apparente tra la gestione Fabris e quella di Mazzacurati, tale da giustificare il commissariamento? «Non credo», risponde Fabris, «non perché io non abbia fatto tutto quello che andava fatto. La novità è il decreto-legge di luglio che ha istituito l’Autorità Anticorruzione dopo le vicende Mose ed Expo, ha chiuso il Magistrato alle Acque e ha previsto i commissariamenti. Da luglio è cambiato tutto. Io ho sempre pensato che poteva esser messo nel conto. Non mi stupisco, ma sono cambiate le regole del gioco e lo accetto. Faremo quello che ci diranno». Nel frattempo nessuno sa di preciso cosa aspettarsi. Al Consorzio si vivono giorni sospesi nel vuoto. Il commissariamento potrebbe essere uno o trino, avvenire per affiancamento, per spostamento o per ribaltamento della situazione attuale. Per giunta lo stanno decidendo a Roma, dove ha sede legale il Consorzio e dove abita gente di terra, che per vedere il mare aspetta l’estate. Non è un gran biglietto da visita. Non ne sa di più il direttore generale Hermes Redi. «Noi abbiamo cercato di marcare una fortissima discontinuità con il passato», dice l’ingegnere. «Nei rapporti con la città, tagliando tutti i finanziamenti a pioggia. Nei rapporti interni, eliminando tutta una serie di contratti, operando grandi risparmi, visibili a chiunque guardi i nostri conti». Sono risparmi che si rifletteranno sui costi del Mose, diminuendoli? «Purtroppo no», ammette Redi. «Ma io sono tranquillo, sento di non aver fallito nel mio compito. Non è bastato? Bisognerà chiederlo a Cantone». Redi ha praticato la discontinuità prima di tutto su se stesso: «Quando ho firmato per il Consorzio mi sono dimesso da Hmr, l’azienda che ho creato per la sicurezza nei cantieri e la direzione lavori. Hmr aveva contratti in essere con il Consorzio firmati una decina d’anni fa, che non potevano certo essere sospesi. Potevano invece essere tagliati i miei legami con la società, della quale non sono più né titolare né beneficiario in alcun modo. Ho costituito un trust definitivo, dal quale non si torna indietro. I miei figli diventeranno beneficiari delle azioni di Hmr solo dopo la mia morte».

Renzo Mazzaro

 

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