Nuova Venezia – L’inchiesta sulle bonifiche di Porto Marghera
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
4
nov
2014
Coi soldi delle transazioni le barriere contro i veleni
MARGHERA – La magistratura ha aperto un’indagine sulle famose «transazioni» milionarie pagate dalle aziende che operano nel sito di interesse nazionale di Porto Marghera (oltre 5 mila ettari che comprendono la laguna e i terreni poi ridotti da 3 mila) da mettere in sicurezza e bonificare. «Transazioni» che, è giusto ribadirlo, dovevano essere pagate con urgenza e in quantità adeguate, oppure entro il 2015 incorreremo nella ennesima multa dell’Unione Europea che ci ordinava tassativamente di impedire che gli inquinanti accumulati nei terreni industriali continuino a rilasciare, attraverso il «dilavamento o percolamento» della pioggia, tutti i micidiali contaminati tossici e cancerogeni di cui sono intrisi in laguna. Per questo, nel 2001, è stato sottoscritto un Accordo di Programma tra ministero dell’Ambiente, Magistrato alle Acque, Autorità Portuale e il concessionario unico per i lavori in laguna, ovvero il Consorzio Venezia Nuova, “capitanato” dal gruppo Mantovani – che già ha in affidamento il completamento del Mose – al quale è stato affidato il compito di realizzare una sorta di “muraglia” per sigillare i terreni inquinanti di Porto Marghera, da bonificare in un secondo momento. Quel che balza agli occhi, facendo una verifica su quanto è stato fatto dal 2002 ad oggi, è che grazie alle centinaia di milioni di euro (dei quali le prime e più consistenti quote sono state pagate da Enichem e Montedison, seguite da tutte le altre aziende di Porto Marghera) raccolti dal ministero dell’Ambiente e dall’Avvocatura di Stato con le transazione delle aziende, insediate nel polo industriale veneziano, chiamate a dare la loro «quota» a titolo di risarcimento dei danni ambientali causati. Quote che, a parere di alcune aziende sentite dai magistrati, sono state pagate sotto «coercizione» e addirittura con «minacce» di bloccare iter amministrativi che avrebbero danneggiato le stesse aziende. Fatto sta, che a tutt’oggi, è stato «perimetrato» con la muraglia – ovvero la costruzione di un muro che sprofonda per quasi dieci metri sigillando le sponde dei canali e della gronda laguna, in modo da captare le acque di percolamento e inviarle al depuratore di Fusina prima di essere scaricate direttamente in mare con la condotta sublagurare – il 94% di quanto previsto, pari a 41 chilometri. La spesa prevista totale è di 787 milioni di euro, dei quali 553 milioni sono stati recuperati proprio con le “transazioni” pagate dalle aziende, altri 233 milioni sono stati messi a disposizione dal Cipe e dal ministero dell’Ambiente. A tutt’oggi sono stati impiegati ben 760 milioni di euro, restano però da completare 2 chilometri e mezzo con la costruzione della “muraglia” su un tratto di 800 metri del canale industriale Nord, 1 chilometro e mezzo nella Prima Zona industriale (quella che include Fincantieri) e altri 237 metri sulle sponde della Penisola della Chimica. Ora, però, il rischio è che tutta questa gigantesca opera ambientale, non venga completata in tempo e malgrado quanto già fatto si finisca, comunque, per incorrere nelle pesanti sanzioni dell’Unione Europea.
Gianni Favarato