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LE ALTRE INDAGINI – Sanità e appalti sospetti, filoni a rischio prescrizione

I testimoni ora parlano ma è troppo tardi per giungere a processo

MESTRE – È una processione di imprenditori. E tutti che parlano. Al punto che la Procura potrebbe aprire altri filoni d’inchiesta a partire da quella sul Mose, se non fosse che la prescrizione è in agguato. E così, sia per la sanità sia per le opere pubbliche, non c’è possibilità di indagare. O, meglio, non c’è senso ad indagare visto che, una volta controllato se quel che raccontano gli imprenditori è vero, arriverebbe inesorabile la prescrizione. Perché una cosa è certa, dicono in Procura, e cioè che è venuto alla luce solo un terzo del malaffare, la punta dell’iceberg, due terzi sono ancora sottotraccia e non verranno mai fuori. Vuol dire che ci sono interi filoni d’indagine che sono rimasti e forse rimarranno per sempre allo stadio embrionale. Anche se ci sono imprenditori disposti a giurare che in quel tal appalto loro sono stati tagliati fuori e chi ha vinto ha pagato la mazzetta. Anche se c’è chi si dice sicuro che in quel tal ospedale per far entrare quella macchina qualcuno ha unto le ruote giuste.
I due filoni più “gettonati” sono infatti quello sanitario e quello delle opere viarie e il quadro fatto dai “testimoni” alla Procura è tale da far rizzare i capelli visto che non ci sarebbe stato un solo intervento – negli ultimi 15 anni – che non sia stato pilotato. Come dire che la corruzione era pervasiva e percorreva come un fiume in piena tutti i settori. Lo hanno raccontato finora tanti imprenditori, seguendo il filo di Piergiorgio Baita, che ha parlato di “corruzione sistemica”. E se tutti gli appalti del Consorzio correvano sul filo della corruzione, è possibile pensare che tutto il resto fosse indenne? E cioè che chi prendeva milioni di euro in mazzette per i lavori pubblici si astenesse dall’incassare se si trattava di una Tac piuttosto che di una fornitura di letti per l’ospedale? Ecco, chi si sta presentando in Procura a parlare racconta proprio questo e cioè di un sistema che pervadeva tutto e coinvolgeva tutti. Che si trattasse di costruire ospedali, di ristrutturarli o di riempirli di apparecchiature all’ultimo grido, comunque bisognava passare sotto le forche caudine della mazzetta alla politica nell’era di Galan.
Stesso discorso va fatto per i grandi e piccoli interventi sulla viabilità dell’intera regione. La Procura di Venezia procederà? Sì, fanno capire a piazzale Roma, si andrà avanti cercando di salvare il salvabile, ma quasi tutto ormai è in prescrizione. Servono 7 anni e mezzo per mettersi al riparo e l’inchiesta che ha scoperchiato il verminaio è arrivata troppo tardi. Adesso qualcos’altro succederà, ci sarà qualche altro imprenditore stra-noto che finisce dietro le sbarre, qualche altro politico che si vede arrivare l’avviso di garanzia, ma sarà poca roba, alla fine. La mannaia della prescrizione del reato di corruzione è dietro l’angolo e già i magistrati faranno fatica a celebrare il processo del Mose, figuriamoci gli altri.

(M.D.)

 

VENEZIA – Sono entrati in nove, tutti medici, nel carcere di Pisa, domenica scorsa per visitare l’ex assessore regionale Renato Chisso, rinchiuso in una cella perché accusato di corruzione nell’ambito dell’indagine sul Mose. Il difensore, l’avvocato Antonio Forza, aveva presentato istanza di scarcerazione sostenendo che le condizioni di salute del suo cliente non sono compatibili con la detenzione, accompagnando la richiesta con la documentazione firmata da un medico legale, un cardiologo e uno psichiatra. I pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini hanno risposto con altrettanti esperti che, al contrario, hanno sostenuto che Chisso può rimanere in carcere, visto che le sue condizioni non sono gravi e che a Pisa è ospitato in un Centro clinico cardiologico all’avanguardia. A sua volta il giudice Roberta Marchiori ha nominato un medico legale, la dottoressa Silvia Tambuscio, il cardiologo Paolo Jus e lo psichiatra forense Davide Roncali, concedendo loro due settimane per consegnare le conclusioni alle quali giungeranno dopo aver visitato il detenuto e aver letto i pareri degli uni e degli altri consulenti. Entro il 12 ottobre, dunque, dovranno dire, almeno dal punto di vista clinico, quali sono le condizioni di Chisso e se il suo fisico e la sua mente possono sopportare il carcere. Il giudice Marchiori ha concesso due settimane, avvisando che se ci fosse qualcosa di urgente da comunicarle dal punto di vista sanitario, dopo la visita, i tre medici possono farlo in qualsiasi momento. In Procura ferve l’attività dei pubblici ministeri e dei loro collaboratori per sistemare carte e documenti in modo da firmare al più presto la richiesta di rito immediato (rinvio a giudizio saltando l’udienza preliminare) per quanti sono in carcere e ai domiciliari.

Giorgio Cecchetti

 

Nuova Venezia – Indagato per il Mose, nel Via del Contorta

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28

set

2014

Giuseppe Fasiol, nominato dal Ministero nella commissione tecnica, fu arrestato per aver favorito i project di Baita e Minutillo

VENEZIA – Un dirigente della Regione indagato nell’inchiesta Mose dovrà valutare l’impatto ambientale del progetto Contorta, lo scavo di un nuovo canale in laguna per far passare le grandi navi. È Giuseppe Fasiol, responsabile dell’Ufficio Via della Regione al cui vertice era Renato Chisso, anche lui arrestato con l’ex governatore Galan nell’inchiesta Mose. Nuove polemiche all’orizzonte per le grandi opere veneziane. È stata avviata in questi giorni la procedura di Impatto ambientale (Via) per il progetto Contorta Sant’Angelo. Nuova via d’acqua progettata dall’Autorità portuale, presieduta da Paolo Costa, per far arrivare le navi in Marittima senza passare da San Marco. 150 milioni di spesa, 6 milioni e mezzo di fanghi da scavare per costruire un’autostrada d’acqua dove adesso è il piccolo canale Contorta, che andrà portato da 10 a 120 metri di larghezza, scavato da 2 a dieci e mezzo. Soluzione contestata, anche dal punto di vista della legittimità. Perché il Porto ha chiesto e ottenuto l’esame del suo progetto con le procedure accelerate della Legge Obiettivo. La comunicazione – arrivata in questi giorni a Regione, Provincia e Comune di Venezia per i pareri – è stata firmata il 18 settembre dal direttore generale delle Valutazioni ambientali del ministero Mariano Grillo. Che negli ultimi paragrafi comunica: «Si informa che la commissione Tecnica di verifica dell’Impatto ambientale sarà integrata dall’ingegner Giuseppe Fasiol». Che c’è di male? In teoria è tutto regolare. Non fosse che l’ingegnere era stato arrestato il 4 giugno su mandato della procura veneziana con l’accusa di «essersi messo come dirigente regionale a disposizione di Baita e Minutillo al fine di accelerare l’iter procedurale dei project financing presentati da società del gruppo Mantovani». L’ingegnere è stato scarcerato dal Tribunale del Riesame qualche giorno dopo. Ma le accuse nei suoi confronti sono ancora in piedi. Che c’entra Mantovani con il Contorta? «Per i lavori faremo una gara», assicura il presidente del Porto Paolo Costa. Ma Mantovani ha firmato con Tethis il progetto preliminare dell’off shore per le merci in Adriatico (costo previsto 3 miliardi di euro). E presentato proposte anche sul Contorta. Non a caso nella cartografia depositata appare la variante proposta proprio dalla Mantovani al tracciato del nuovo canale. Questione sollevata qualche mese fa dal senatore del pd Felice Casson: «Far luce su tutti gli intrecci criminogeni delle grandi opere nel Veneto», aveva scritto. Intanto la scoperta ha fatto saltare qualcuno sulla sedia. Interrogazioni e richieste di chiarimenti a Grillo e al ministro per l’Ambiente Galletti. «Perché mai», è la domanda, «fra i tanti esperti italiani di Valutazione di impatto ambientale il ministero ha deciso di cooptare come membro esterno proprio l’ingenere della Regione coinvolto nell’inchiesta su Mantovani e Mose? E sul progetto contestato arrivano le prime osservazioni. Le prime, firmate da Italia Nostra, Ecositituto e Ambiente Venezia, sollevano il problema dell’illegittimità delle procedure avviate da Grillo. «Il nuovo canale non può essere», dicono, «un’opera strategica di interesse nazionale».

Alberto Vitucci

 

la vecchia guardia lascia il CONSORZIO venezia nuova

Il Cvn prepensiona e risparmia due milioni

VENEZIA – Quindici dipendenti in meno. Due milioni di euro risparmiati sugli stipendi. E la vecchia guardia in pensione. Il Consorzio Venezia Nuova ha avviato già l’anno scorso la «cura dimagrante» che dovrebbe portare a un suo ridimensionamento alla fine dei lavori del Mose, nel 2016. Ma l’inchiesta con gli arresti del presidente della Mantovani Piergiorgio Baita (febbraio 2013) e poi del presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati (luglio 2013), inchiesta sfociata poi nei clamorosi arresti del 4 giugno 2014, ha accelerato il ricambio. Se n’è andata in pensione anticipata, ad esempio, l’ex vicedirettore tecnico Maria Teresa Brotto, presidente della Tethis, arrestata insieme agli ex presidenti del Magistrato alle Acque. È uscita dal gruppo di imprese del Mose anche Flavia Faccioli, architetto e per molti anni responsabile della comunicazione, vicina a Mazzacurati. Per lei nessun coinvolgimento nell’inchiesta, ma i nuovi vertici – il presidente Mauro Fabris e il direttore generale Hermes Redi – hanno preferito cambiare. Molti ingegneri e dirigenti se n’erano già andati. Tra questi il fondatore dell’ufficio studi Alberto Bernstein e l’inventore dei progetti sulle barene Luigi Stoccher. Ma anche il consulente Diego Semenzato. Cambiato anche il Comitato tecnico operativo, di cui facevano parte oltre a Mazzacurati e Baita, anche l’ingegner Pio Savioli, rappresentante delle cooperative nel Consorzio, anch’egli arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mose. Anche l’organismo di vigilanza, come certifica il bilancio consuntivo 2013, in questi giorni all’approvazione, è stato completamente rinnovato e affidato a consulenti esterni. Un tentativo di girare pagina da parte della nuova dirigenza che vuol concludere l’opera e far dimenticare in fretta lo scandalo.

(a.v.)

 

Frassineto, 400 ettari di prati, pascoli, boschi e rustici è gestita dalla moglie Sandra Persegato, coltivatrice diretta

VENEZIA – Piove sul bagnato. L’azienda agricola Frassineto, 400 ettari sull’Appennino tosco-emiliano, intestata a Margherita srl, la società di Giancarlo Galan e della moglie Sandra Persegato, ha incassato negli ultimi tre anni 146.106 euro come sostegno al reddito dalla Pac, la politica agricola comunitaria. Per la precisione 33.614 euro sono andati a Monica Merotto, moglie dell’avvocato Niccolò Ghedini, prima intestataria della tenuta dopo l’acquisto dal precedente proprietario don Pierino Gelmini; gli altri 112.492 euro, distribuiti in 53.718 nel 2013, 31.973 nel 2012 e il resto nel 2011, sono stati incassati dalla società dei coniugi Galan, subentrati a Monica Merotto. Sono contributi regolari: la Sandra è iscritta all’Inps come coltivatrice diretta, risulta conduttrice e questo è sufficiente. È lo stesso motivo per il quale la moglie dell’avvocato Ghedini si era iscritta all’Inps come coltivatrice diretta, un mese prima di avviare la compravendita della tenuta. Questo ha consentito agli acquirenti, che poi si sono passati le quote societarie, di ridurre l’impatto delle tasse dal 12% all’1% beneficiando del trattamento fiscale di cui godono gli agricoltori. Da notare che il contributo andrebbe all’affittuario, se fosse lui a condurre l’azienda e non al proprietario. Proverà un leggero imbarazzo Tiziano Zigiotto, entrato nella società Frassineto sas con il 30% come socio accomandatario: non ha visto un centesimo, anche se presumibilmente è la persona che più degli altri si occupa della tenuta. L’Unione europea eroga l’integrazione al reddito senza farsi tante domande sulla carta d’identità del destinatario e senza preoccuparsi se non esercita a titolo principale. Il contributo è legato al terreno e tanto basta. Si riempiono i moduli e si incassa la Pac. Sembra tanto un pacchia. Invece non tutto fila così liscio. La vicenda Frassineto apre uno squarcio che consente di vedere ancora una volta come funzionano (male) le cose in agricoltura. Se ne rendono conto anche a Bruxelles, visto che dall’anno prossimo sono annunciati correttivi al regolamento comunitario. Per ottenere il contributo non basta essere iscritti all’Inps, condurre direttamente l’azienda e nemmeno farlo come attività principale. Solo a Padova per esempio ci sono circa 25.000 soggetti che chiedono ogni anno il contributo Pac ma solo 5.000 risultano iscritti all’Inps come coltivatori diretti. Le quote Pac sono il bis delle quote latte. C’è un mercato anche di queste. I diritti Pac si comprano e si vendono, con le organizzazioni agricole di mezzo. Ecco il caso di un imprenditore, uno fra tanti, Francesco Barduca, titolare di un’azienda orticola di 35 ettari a Borgoricco, in provincia di Padova. Da iscritto alla Coldiretti non ha diritto alla Pac. Glielo ripetono per anni. Passa a Confagricoltura e il diritto si materializza. Ma bisogna comprarlo: nel suo caso il costo è 400 euro a ettaro. Totale 14.000 euro, cifra uguale al contributo annuale che avrebbe dalla Pac. Barduca paga e a fine anno riavrà i 14.000 euro dalla Pac. Dov’è l’interesse? Nel fatto che ha pagato solo per il 2014. Dall’anno prossimo e fino al 2019 godrà dell’integrazione al reddito, senza più pagare. E 14.000 euro all’anno, per una famiglia come la sua, tutta impegnata nell’azienda, possono fare la differenza. La spiegazione che arriva da Confagricoltura è semplice: il mercato delle quote Pac è consentito dai regolamenti comunitari, l’organizzazione aveva un socio disponibile a vendere i titoli e ha fatto da tramite. Tutto qua, nessun mistero. Dalla Coldiretti veneto nessuna risposta. Il direttore tecnico Pietro Piccioni preferisce il silenzio. Eppure l’organizzazione la sa lunga in materia e non solo perché è la più numerosa. Risulta che il predecessore di Piccioni, Gianluca Lelli, poi passato a dirigere Coldiretti Emila Romagna e da poco promosso capoarea economica al nazionale, ha assistito Giancarlo Galan nell’acquisto della tenuta di Frassineto. Non si sa se i Galan abbiano comprato i 400 ettari con i diritti Pac già dentro, o se hanno dovuto acquistarli successivamente attingendoli dal mercato. Il prezzo minimo che abbiamo orecchiato è 200€ a ettaro (ma si può arrivare anche 5.000€, dipende da tanti fattori). Per Frassineto facevano 80.000€ supplementari. Come minimo. Troppi, a occhio.

Renzo Mazzaro

 

MOSE – Il Tribunale dei ministri respinge le istanze di Matteoli e Cinque di sentirlo in contraddittorio

Il Tribunale dei Ministri ha detto di no alla richiesta di interrogare l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, malato e a rischio di demenza senile, con la procedura dell’incidente probatorio. Ovvero alla presenza dei difensori degli altri indagati, così da permettere di cristallizzare – nel contraddittorio delle parti – i verbali dell’anziano ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. La decisione è stata notificata agli avvocati Francesco Compagna, Giuseppe Consolo e Gabriele Crivello, che assistono l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, e all’avvocato Marco Vassallo che difende l’imprenditore romano Erasmo Cinque.
I legali avevano chiesto l’incidente probatorio dopo l’interrogatorio per rogatoria di Mazzacurati negli Stati Uniti, dove si trova da Pasqua, prima del blitz che ha portato agli arresti per lo scandalo Mose e che ha fatto finire Matteoli e Cinque nel registro degli indagati per corruzione. Le condizioni di salute dell’ingegnere fanno, infatti, temere che non possa rendere interrogatorio quando si arriverà a un eventuale processo. Giorni fa il difensore di Mazzacurati, Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ha lasciato capire che il suo assistito non ricorda quasi più nulla e quindi un incidente probatorio sarebbe ormai inutile. Le sue verità, insomma, sarebbero ormai contenute nelle pagine di verbali riempite dopo l’arresto del luglio 2013. E non sono più modificabili.
Il Tribunale dei ministri ha respinto le richieste dei difensori, sostenendo che non c’è tempo per portare a termine un nuovo interrogatorio, perché i tre giudici devono decidere se Matteoli è perseguibile entro i 90 giorni fissati dalla legge. E hanno aggiunto che negli atti non c’è nulla che attesti il rischio di non poter più interrogare Mazzacurati.
«Le condizioni di salute dell’ingegnere gettano molti dubbi sui verbali degli interrogatori di un anno fa, dove il 70 per cento delle frasi sono dei Pm o del difensore dell’indagato» commenta l’avvocato Vassallo. «A domanda, infatti, risponde spesso: “Sì, è come dice lei”. C’è da chiedersi se il venir meno della memoria di Mazzacurati non fosse prevedibile già allora. Perché non si è ovviato acquisendo prima le deposizioni in contradditorio con le parti? Se la degenerazione psicofisica era prevedibile, ci sono molti dubbi sull’utilizzabilità di quei verbali in un processo».
Sulla stessa linea anche l’avvocato Antonio Franchini, che difende il deputato Giancarlo Galan assieme a Niccolò Ghedini. «Abbiamo chiesto l’incidente probatorio ed è una procedura che per il Codice è un obbligo concederci. Nel caso dell’ing. Mazzacurati, le forme di demenza senile non si manifestano all’improvviso, ma sono progressive. E se un anno fa, quando Mazzacurati fu interrogato, erano già prevedibili, allora i verbali sono inutilizzabili. Perché l’incidente probatorio andava fatto subito, presenti i difensori degli indagati. A quell’epoca l’onorevole Galan era già indagato».
La Procura non commenta e attende documenti ufficiali riguardanti la salute di Mazzacurati.

 

Nuova Venezia – Mose, Chisso resta in carcere

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26

set

2014

La Cassazione dice no al ricorso presentato dall’ex assessore

Mose, Chisso resta in carcere

Prove e indizi troppo pesanti e gravi per l’ex assessore ai trasporti Renato Chisso, in carcere a Pisa nell’ambito delle mazzette del sistema Mose. La Cassazione ha negato sia la libertà che in subordine i domiciliari.

L’Alta Corte: indizi gravi, tali da confermare la necessità della detenzione in carcere

Stato di salute di Galan: per i medici sta meglio, ma occorre tenerlo sotto controllo

Chisso: no della Cassazione per la richiesta di libertà

VENEZIA – L’ex assessore regionale Renato Chisso resta nel carcere di Pisa. Dopo il giudice delle indagini preliminari di Venezia, dopo i tre magistrati lagunari del Tribunale del riesame, anche la Corte di Cassazione a Roma ha confermato che prove e indizi sono gravi e tali da ritenere che debba rimanere in stato di detenzione. All’esponente di Forza Italia e al suo difensore, l’avvocato Antonio Forza, non resta che sperare nei tre medici che il giudice Roberta Marchiori ha nominato e che lo visiteranno domenica 28 settembre per appurare se le sue condizioni di salute siano compatibili o meno con il carcere. Nel frattempo, è giunta negli uffici della Procura veneziana, la risposta dei medici che nel carcere-ospedale milanese di Opera hanno in cura l’ex ministro Giancarlo Galan, come Chisso accusato di vari episodi di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. I pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini avevano chiesto notizie sulle sue condizioni di salute per decidere se trasferirlo in un carcere veneto, Padova o Venezia. I medici milanesi, nella loro lettera, sosterrebbero che le condizioni di Galan sono migliorate, ma che naturalmente soffre ancora di diabete e di pressione alta e così, visto che ad Opera ci sono posti letto liberi, non ci sarebbe la necessità di trasferirlo, meglio sarebbe tenerlo sotto controllo. I rappresentanti della Procura che coordinano le indagini sono rimasti davvero stupiti delle affermazioni fatte da uno dei difensori di Galan, il quale ha parlato di autorizzazione ad espatriare data dalla Procura, riferendosi a Giovanni Mazzacurati, che si trova negli Usa. Si sono dichiarati stupiti di come si potesse impedire a un libero cittadino, anche se indagato, di raggiungere i propri familiari anche in un altro paese o, comunque, impedirgli di scegliere il luogo dove curarsi, «alla faccia del garantismo sempre propugnato dalle Camere penali». Gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini hanno presentato un’istanza di incidente probatorio per interrogare il grande accusatore di Galan, in modo che a rivolgergli le domande e ad ascoltare le risposte possano essere anche loro. Il difensore di Mazzacurati, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, sostiene che questo sarebbe impossibile per le condizioni di salute dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Comunque, sull’ istanza deciderà il giudice Alberto Scaramuzza tra una settimana, quando rientrerà dalle ferie, lo stesso magistrato che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare. Già una prima istanza di incidente probatorio per Mazzacurati è stata respinta dal Tribunale dei ministri del Veneto, che invece ha incaricato di interrogare l’ingegnere un giudice federale della California per rogatoria, senza la presenza delle parti, ma del solo difensore dell’anziano. Ad avanzare l’istanza in quel caso erano stati i difensori dell’ex ministro e attuale senatore di Forza Italia Altero Matteoli, anche lui sospettato di corruzione e accusato da Mazzacurati.

Giorgio Cecchetti

 

Nel mirino le finanziarie Veneto Sviluppo e Finest, i cui deficit sono stati ripianati con fondi pubblici

I magistrati contabili: tagliare i costi ed eliminare gli sprechi, no a ulteriori aumenti di capitale

Regione, il bilancio è promosso ma accuse sulle 23 partecipate

VENEZIA – La Corte dei conti promuove a pieni voti il bilancio 2013 del Veneto, «una regione seria», ma formula pesanti riserve sulla gestione delle 23 società partecipate e sui contratti dei derivati legati ai tassi dei mutui, una palla al piede che costa 42 milioni di euro alle casse di palazzo Balbi. Il messaggio è chiaro: pure Luca Zaia a Venezia dovrà usare le forbici per collaborare alla spending review del Governo, che intende recuperare 20 miliardi di euro grazie alla soppressione delle ottomila società partecipate e ai tagli lineari a sanità e ministeri. In Veneto le poltrone che ballano sono appena 23, ma ieri il procuratore generale della Corte dei Conti, Carmine Scarano, ha sollevato più di un interrogativo: «Alquanto sorprendenti appaiono veri e propri rovesciamenti come nel caso di Veneto Sviluppo passato da un deficit di 8 milioni nel 2012 ad attivo di 6,7 nel 2013. E lo stesso vale per Finest Spa i cui conti oscillano da una perdita di 10 milioni nel 2013 ad un utile di 4 milioni l’anno successivo». Non solo critiche. Anzi. Nella cerimonia in prefettura a Venezia, sia le conclusioni del magistrato Giampiero Pizziconi sulla legittimità e regolarità della gestione, sia la requisitoria del Procuratore regionale, Carmine Scarano, hanno sottolineato le complicazioni nel redigere un bilancio a causa delle continue modifiche normative e dell’incertezza sulle reali risorse disponibili. Va posta maggior attenzione al rispetto dei tempi di approvazione del bilancio e va fatta chiarezza sull’utilizzo dei «mutui a pareggio». Ma dalle relazioni emerge pure che la Regione ha rispettato i vincoli per il conseguimento degli equilibri di cassa e di competenza, quelli del Patto di stabilità e i limiti normativi all’indebitamento. L’altro dato assolutamente positivo è la diminuzione progressiva delle spese del personale e una crescita delle Usl che chiudono con un utile. I dipendenti diretti della Regione costano 132 milioni di euro, con una flessione del 2,85% sul 2012 che diventa del 5%sul 2011. Da record anche il rapporto 1 dirigente ogni 11,8 dipendenti, poi arrivano le noti dolenti: la legge impone che al rendiconto finanziario sia allegato l’ultimo bilancio approvato da ciascuna società partecipata dalla Regione e l’obbligo non è stato rispettato, scrive Giampiero Pizziconi nella sua relazione. I rilievi del Procuratore della Corte dei Conti si muovono in perfetta sintonia con il giudizio della Sezione regionale di controllo, per poi lanciare l’allarme sulle società partecipate: la pulizia dei conti è un fatto positivo ma ciò «deve avvenire con l’apporto di sani correttivi quali ristrutturazioni, eliminazione di sprechi, cessioni patrimoniali e taglio dei costi. Pratiche simili richiedono tempi non brevi e ribaltamenti di risultati come quelli registrati da Veneto Sviluppo e Finest difficilmente possono essere ottenuti in un anno. C’è il rischio che il ripiano delle perdite diventi un peso per l’ente pubblico» ha detto Carmine Scarano che ha allargato l’analisi con le valutazioni patrimoniali. «La Veneziana Edilizia Canalgrande ha visto aumentare il capitale da 1 a 3,2 milioni in seguito ad alcune dismissioni, mentre palazzo Balbi ha versato 61 milioni di euro a Veneto Sviluppo, che non è un soggetto in house ma è partecipata al 49% da 11 società con la presenza di 8 gruppi bancari nazionali». Il procuratore Scarano invoca cautela, ma quando tira le somme ammette: il bilancio va approvato, questa è una regione seria.

Albino Salmaso

 

Le Usl ai raggi x. Venezia, Padova e Verona in rosso.             

Analisi dettagliata dei bilanci delle società partecipate con attenzione a Veneto Sviluppo, Finest, Veneto Acque e Immobiliare San Marco: tirate le somme, la regione vanta 27 milioni di crediti dalle 23 società partecipate a fronte di 150 milioni debiti e ciò incide sul giudizio in materia di solidità patrimoniale. Il relatore dottor Giampiero Pizziconi ha invitato Zaia e Zorzato ad agire con grande prudenza contabile prima di rilasciare la fidejussione contabile a Veneto Acque, sulla cui utilità spesso si sono sollevati interrogativi. L’altro grande capitolo del bilancio passato ai raggi X è la san ità, con la gestione dei flussi di cassa e i bilanci delle Usl. Si sottolinea come il deficit peggiore sia della Usl di Venezia-Mestre con 47 milioni di euro, seguita da Padova con 25 milioni e poi da Verona con 24 (dati 2013). Rosso profondo anche per Thiene e San Donà mentre Bassano e Cittadella segnano risultati molto positivi. A queste osservazioni Zaia ha risposto con una frase sola: il Veneto ha la migliore sanità d’Italia.

 

Il procuratore scarano

«Su spese dei partiti e Mose ci saranno presto novità»

VENEZIA – Dottor Carmine Scarano, siamo a Venezia nella città al centro dello scandalo del Mose: voi avete avviato un’inchiesta per quantificare il danno erariale, a che punto siamo? «Ci sono due aspetti all’esame della Procura della Corte dei conti del Veneto. Il danno erariale emerge dalla costituzione di fondi neri, il cuore dell’inchiesta: in base alle indagini della Gdf in determinati appalti possiamo dire che tale reato si è verificato. Ci sono due situazioni note già provate in sede giudiziaria. Ma mettiamo subito in chiaro un aspetto: la Corte dei Conti non può avviare l’indagine sui 30 anni di attività del Mose e del Consorzio Venezia Nuova, questa è un’utopia. Noi ci dovremo ancorare a fatti specifici, così come emerso dall’indagine della Procura della repubblica di Venezia». Il danno erariale è legato alla sovraffatturazione e al falso in bilancio? «Non solo. Dovremo procedere per il danno all’immagine per quanto riguarda l’eventuale condanna di soggetti pubblici in sede penale, in base al reato di corruzione». A che punto siete nell’inchiesta sulle spese dei gruppi della regione Veneto? «Ci sono alcune voci si spesa che verranno contestate ai capigruppo per i pranzi. Una cosa è portare uno scontrino, altra cosa motivare quello scontrino con la necessità di un’attività politica con un programma preciso. Se questa manca cade la dimostrazione della spesa e lo scontrino non vale nulla. Non tutti i gruppi sono nelle stesse condizioni. Ormai siamo in dirittura d’arrivo».

(al.sal.)

 

Gazzettino – La Suprema Corte. Mose, Chisso resta in carcere.

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26

set

2014

MESTRE – Renato Chisso resta in carcere. La Corte di Cassazione ieri ha respinto il ricorso presentato dall’avv. Antonio Forza ed ha giudicato giusta e motivata la disposizione del Tribunale del riesame di Venezia che ha deciso di tenere dietro le sbarre Chisso, dal momento che ci sono “gravi indizi di colpevolezza” nei suoi confronti. Dunque, per tornare almeno ai domiciliari, l’ex assessore alle Infrastrutture ha una sola strada, quella di invocare i motivi di salute. Altrimenti la sua carcerazione durerà come minimo fino al 4 dicembre, sei mesi dal momento dell’arresto.
Saranno dunque i medici incaricati dal Gip Roberta Marchiori a valutare se le condizioni di salute di Chisso rendono rischiosa la sua permanenza dietro le sbarre, tanto da consigliare per lui gli arresti domiciliari. Dopodomani, domenica, in carcere a Pisa arriverà un esercito di medici per vagliare le sue condizioni di salute. Saranno in nove, tre della Difesa, tre incaricati dall’Accusa e tre dal Giudice per le indagini preliminari. I consulenti della Difesa sostengono che l’ex assessore regionale alle Infrastrutture è in pericolo di vita, mentre i consulenti dell’accusa sostengono che, pur essendo a rischio, si trova nel posto migliore per le cure, dal momento che a Pisa c’è un centro specializzato in patologie cardiache. Dunque saranno la dott. Silvia Tambuscio, il dott. Paolo Jus e il dott. Davide Roncali a dire l’ultima parola dal momento che sarà sulla base della loro relazione medica che Roberta Marchiori deciderà se mandare Chisso ai domiciliari o se tenerlo in carcere.

(M.D.)

 

LETTERE AL DIRETTORE – Galan, fiducia ai magistrati al di là di amicizie e sospetti

Caro direttore,
alcuni giorni fa è stato pubblicato sul Gazzettino uno scambio epistolare tra l’ex assessore Renato Chisso, oggi in carcere, e un noto giornalista delle tv venete: il tema era l’amicizia, al di là delle questioni che riguardano un’indagine giudiziaria. È nota a molti la mia amicizia di lunghissima data con Giancarlo Galan e la mia lunga collaborazione con il presidente in ruoli “europei” per la Regione Veneto: ma non sarà questo mio rapporto a inficiare un’opinione sempre più convinta nel definire l’inferno carcerario un evidente quadro del collasso del nostro sistema giustizia, tra cui troviamo i “condannati preventivi”, vera ignominia per uno Stato di Diritto. Conosciamo bene le motivazioni per cui sono nate queste misure preventive, ma è il loro uso fuori da ogni controllo a rendere odiosa tale misura. Il codice richiede tra i presupposti di applicazione della misura i gravi indizi di colpevolezza, ma la logica emergenziale, le pressioni dell’opinione pubblica e la speranza di una “confessione” portano a utilizzare il carcere nei confronti di indagati per reati contro il patrimonio, apparentemente al di fuori delle esigenze cautelari prescritte. Questa inflazione carceraria colpisce una persona che, stando alla nostra Costituzione, non va considerata colpevole fino a sentenza definitiva. Io non voglio vivere in un Paese che continua ad avere un ennesimo record negativo: il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio, mentre la media europea è del 25%. Chi ripagherà mai la distruzione di una vita umana e professionale in caso di leggerezza o di errore? Bene ha fatto quel giornalista a rendere pubblica la corrispondenza con un detenuto eccellente, in virtù di un’amicizia non disconosciuta. Per me è lo stesso: spero che gli “amici” dei detenuti in attesa di giudizio non spariscano nel nulla.
Gianlorenzo Martini

Venezia

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Caro lettore,
l’amicizia non è un semplice sentimento, è un valore. Ma, come accade per molti altri valori, non sempre regge l’urto dei tempi e delle avversità. Uno scrittore americano, Ambrose Bierce, oltre un secolo fa mandò alle stampe un disincantato e lucidamente cinico testo dal titolo: “Dizionario del diavolo”. Alla lettera A il libro di Bierce recitava: «Amicizia: una nave abbastanza grande per portare due persone quando si naviga in buone acque, ma riservata a una sola quando le acque si fanno difficili». Purtroppo, credo sia amaramente vero.
Quanto al resto: lei ha ragione quando afferma che in Italia c’è un uso smodato, ingiustificato e spesso anche forcaiolo della carcerazione preventiva. Tuttavia, nel caso di Giancarlo Galan, da quanto è emerso, i magistrati ritengono che, in libertà o agli arresti domiciliari, l’ex governatore (uno degli imputati chiave dell’inchiesta sul Mose) potrebbe alterare o inquinare le prove e ciò, come prevede la legge, giustifica la sua carcerazione. Non ho ovviamente gli elementi per valutare se questo sia vero, ma credo che la correttezza e la serietà finora dimostrate dai magistrati della Procura di Venezia nella conduzione di questa difficile inchiesta, meritino rispetto e considerazione. Anche questi sono valori liberali.

 

Nuova Venezia – Galan latifondista e la moglie di Ghedini

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25

set

2014

SCANDALO TANGENTI – Galan latifondista e la moglie di Ghedini

Nell’articolo del 14 settembre dal titolo «Galan diventò latifondista aiutato della moglie di Ghedini», Renzo Mazzaro racconta che Tiziano Zigiotto, per 15 anni consigliere regionale «trasportato in carrozza da Galan», si è presentato con un avvocato a casa del proprietario di un fabbricato con campagna situato all’interno della tenuta agricola di Frassineto e per ricostruirne l’integrità tenta di strappargli il fazzoletto di terra di cui dispone, altrimenti si va in tribunale. Entrambi spiegano «all’infelice che gli conviene vendere se non vuole mangiarsi tutto in spese legali». «La discussione», precisa Mazzaro, «va avanti per un po’. In casa c’è una terza persona che assiste, senza spiccicare parola. A un certo punto Zigiotto lo interpella: «Scusi lei chi è?». Risposta: «Sono un invitato a cena: sto aspettando che ve ne andiate, perché siete anche un po’ noiosi». Zigiotto fiuta il vento infido, gira i tacchi e se ne va. Ha ragione. Questo signore è un ex generale della Guardia di Finanza in pensione, che si è ritirato sull’Appennino. L’uomo che al tempo del sequestro Soffiantini coordinò le indagini sul generale dei carabinieri Francesco Delfino. Non uno qualunque». Domanda: se le cose sono andate così, il comportamento di Zigiotto, dell’avvocato accompagnatore e dei… “mandanti” non potrebbe configurare un vero e proprio reato di tentata estorsione?

Prof. Enzo Guidotto – Castelfranco Veneto

 

L’ex governatore Galan chiede il confronto con Mazzacurati. Nel carcere di Opera la visita di La Russa

La Cassazione decide sul ricorso di Chisso

VENEZIA – Giornate di ricorsi e visite per i due detenuti politici dell’inchiesta Tangenti Mose: il deputato e ex governatore del Veneto Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso. Ieri, il deputato di Forza Italia Ignazio La Russa ha visitato al carcere di Opera Giancarlo Galan e il fotografo Fabrizio Corona. «Entrambi», commenta il parlamentare, «hanno espresso apprezzamento per il modo in cui la struttura carceraria di Opera si rapporta con i detenutI. Ho promesso che sarei tornato un’altra volta per parlare delle vicende giudiziarie, ma osservo che Galan ancora non è stato interrogato dal pm: è nell’ala di massima sicurezza, mi ha mostrato la vista sulla tangenziale…». Intanto, i legali dell’ex ministro – gli avvocati Ghedini e Franchini – hanno fatto istanza di incidente probatorio: chiedono che il maggiore accusatore Giovanni Mazzacurati venga sentito in contraddittorio tra le parti. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova si trova da mesi in California e per il suo legale le sue condizioni di salute non gli permettono di tornare in Italia, né di sopportare lunghi interrogatori. Sulla richiesta della difesa Galan si dovrà esprimere la Procura (che ha già annunciato parere favorevole) e dovrà decidere il gip Scaramuzza, entro la prossima settimana. Oggi, intanto, i giudici di Cassazione affronteranno il ricorso presentato dall’avvocato Forza per impugnare la custodia cautelare di Renato Chisso, già confermata anche dal Tribunale del Riesame. Il giudizio della Cassazione è, comunque, sulla legittimità degli atti, non entra nel merito delle accuse. Domenica 28 settembre, invece, Chisso sarà visitato nella sua cella del carcere di Pisa dai tre periti medici della giudice per le indagini rpeliminari Roberta Marchiori, chiamata ad esprimersi sull’istanza di scarcerazione per motivi di salute presentata da Chisso. Per i consulenti della difesa, l’ex assessore è a grave rischio infarto, per i consulenti della Procura le sue condizioni sono compatibili con il carcere. L’ultima parola al medico legale Silvia Tambuscio, al cardiologo Paolo Jus e allo psichiatra forense Davide Roncali.

(r.d.r.)

 

MOSE – La difesa: impossibile il confronto chiesto da Galan

«Mazzacurati sta molto male non riesce a ricordare più nulla»

Giovanni Mazzacurati non ricorda più nulla. Il grande accusatore dei politici travolti dallo scandalo Mose non può essere interrogato, come hanno chiesto invece i difensori dell’ex governatore veneto Giancarlo Galan. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova è negli Usa per curarsi, ma la sua potrebbe essere una forma di demenza senile tale da rendere impossibile l’incidente probatorio. «Non sa che cosa ha detto», dice il suo legale.

 

SCANDALO MOSE – La rivelazione dopo la richiesta di incidente probatorio presentata dai difensori di Galan

«Mazzacurati non ricorda più nulla»

Il grande accusatore dei politici è affetto da demenza senile. Il suo legale: inutile interrogarlo

Giovanni Mazzacurati, il “grande vecchio” del Mose, l’indagato che ha riempito centinaia di pagine di verbali accusando (e autoaccusandosi) di aver pagato mezzo mondo con i soldi del Consorzio Venezia Nuova, non ricorda quasi più nulla. Se dovesse essere interrogato nuovamente, anche a breve, non riuscirebbe a rammentare dettagli, circostanze, nomi, cifre. Al massimo potrebbe confermare di avere rilasciato dichiarazioni ai pm dal luglio 2013 in poi, dopo il suo arresto, ma non sarebbe in grado di ribadirle, nè di rispondere alle contestazioni dei difensori degli altri indagati nel corso di un interrogatorio incrociato. Viene così meno la possibilità di confutarne le scomode verità o di metterlo in contraddizione.
La notizia è trapelata ieri, dopo che gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, difensori di Giancarlo Galan, avevano presentato al Tribunale di Venezia una istanza di incidente probatorio. Chiedevano di poter cristallizzare i verbali dell’ingegnere (che ha tra l’altro dichiarato che il governatore del Veneto riceveva un milione di euro all’anno dal Consorzio) visto il diffondersi di notizie preoccupanti sulle condizioni di salute di Mazzacurati, che si trova negli Stati Uniti.
A sorpresa è venuta, invece, la conferma che il grande accusatore dei politici veneziani e romani, dei generali della Finanza e dei magistrati alle Acque di Venezia, non è già più nelle condizioni di rispondere alle domande. Qualcosa era trapelato, ma in modo non così netto, quando era stato sentito a San Diego, in California, di fronte alla Corte Federale, a seguito dell’indagine del Tribunale dei ministri sull’ex ministro dell’ambiente Altero Matteoli, che è indagato a Venezia.
«Innanzitutto è impreciso sostenere che la Procura lagunare abbia autorizzato l’espatrio dell’ingegner Mazzacurati – dichiara l’avvocato difensore Giovanni Battista Muscari Tomaioli – Il mio assistito ha lasciato l’Italia attorno a Pasqua del 2014, ma era in libertà dall’agosto 2013. E quindi non doveva essergli concessa alcuna autorizzazione». Mentre era a San Diego, in Italia sono stati eseguiti una trentina di arresti. Nel frattempo le condizioni di Mazzacurati sono peggiorate, da un punto di vista psico-fisico. Il suo avvocato aggiunge: «L’ingegnere ricorda di aver reso dichiarazioni veritiere ai magistrati, ma non che cosa ha detto». Una diagnosi non è ancora certa, ma potrebbe trattarsi di una forma di demenza senile che rende ormai inutile un incidente probatorio. «Se anche l’ingegnere venisse chiamato domani, non sarebbe in grado di sostenere un interrogatorio, perché gli verrebbero chiesti dettagli di cui non ricorda nulla».
La richiesta di incidente probatorio, quindi, è ormai tardiva e le speranze di chi spera di contestare la verità di Mazzacurati sono destinate al fallimento. Casomai si potrà discutere se i verbali sono utilizzabili ai fini di una sentenza.

 

Chisso e il suo segretario davanti alla Cassazione per tornare in libertà

OGGI LA DECISIONE «Imputazioni generiche»

Lo scandalo del Mose approda in Corte di Cassazione. I primi due imputati che chiedono l’intervento della Suprema Corte sono Renato Chisso ed Enzo Casarin. Entrambi sono stati arrestati il 4 giugno. Il ricorso alla Cassazione è contro la decisione del Tribunale del riesame di Venezia che, per entrambi, ha confermato il carcere. Che cosa dicono gli avvocati Antonio Forza, per Chisso, e Carmela Parziale, per Casarin? Che non ci sono motivi validi per tenerli in carcere, prima di tutto, dal momento che Chisso ha dato le dimissioni da assessore alle Infrastrutture e Casarin dall’incarico di segretario di Chisso. Insomma per entrambi non c’è possibilità di reiterazione del reato se, invece del carcere, vengono messi agli arresti domiciliari.
Per Casarin l’avvocato Parziale batte sul tasto della genericità dell’accusa, che non indica date e luoghi esatti delle mazzette: «Dalla lettura degli atti – scrive – non emerge dove, quando e soprattutto da chi Casarin avrebbe preso in consegna i soldi».
E veniamo a Renato Chisso. L’avvocato Forza ha preparato una memoria di 100 pagine per cercare di smontare l’accusa. «Nel loro insieme e nella stragrande maggioranza si tratta di imputazioni, per così dire, liquide, generiche, sovrapposte o sovrapponibili, spalmate senza data in un arco temporale di più di quindici anni. Tutto è incerto e vago», scrive il difensore. Prendiamo i pagamenti per aver agevolato i project financing. Il legale ricorda che il solo progetto portato a compimento, quello della Pedemontana Veneta, è stato assegnato alla Sis, che aveva vinto in Consiglio di Stato il ricorso contro l’aggiudicazione. Ebbene, secondo il Tribunale del riesame, Chisso e Galan avrebbero fatto vincere ditte amiche e solo una sentenza del Consiglio di stato avrebbe poi provveduto a far vincere i concorrenti. «Come è stato documentato dalla difesa, l’aggiudicazione alla Pedemontana Veneta S.p.A., originariamente, era avvenuta il 4 dicembre 2007, l’aggiudicazione definitiva all’Ati Sis, a seguito della decisione del Consiglio di Stato, era avvenuta il 30 giugno 2009». Ebbene, le mazzette sarebbero state incassate da Chisso nel dicembre 2010 e nel 2011. «Che senso avrebbe avuto “finanziare” l’Assessore Chisso a posteriori e, soprattutto, per la mancata aggiudicazione?», si chiede l’avvocato, secondo il qual «questo processo è ricco di fatti corruttivi con dazioni “a scoppio ritardato”. Oggi la pronuncia della Cassazione.

 

Gazzettino – La commissione sul Mose agita il Pd

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24

set

2014

IL CASO – Il segretario Stradiotto: «Le nostre indagini sono a un punto morto». Ed è polemica.

Il Pd si spacca e litiga. «La commissione d’inchiesta sul Mose è a un punto morto. Chi aveva incarichi di responsabilità non sta collaborando». Una dichiarazione, quella del segretario metropolitano del Pd, Marco Stradiotto, che ha dato la stura a una infuocata direzione provinciale. Michele Mognato, Alessandra Miraglia e Gabriele Scaramuzza hanno reagito, criticando Stradiotto e accusandolo di insinuare sospetti. «Rendiamo pubblica la relazione della commissione – ha risposto Stradiotto – ma non c’è niente di nuovo. Io chiedo più collaborazione, dobbiamo affrontare due campagne elettorali». Il clima nervoso risentiva anche dei dissapori emersi su aspetti come il Contorta e l’appoggio ad alcune iniziative e ai tagli di Zappalorto.

 

La commissione Mose spacca il Pd

Stradiotto rileva che «l’inchiesta interna è a un punto morto» e finisce nel mirino. Scontro tra renziani e minoranza

«La commissione d’inchiesta è a un punto morto. Sono certo che non abbiamo niente da nascondere però non riusciamo ad ottenere la massima trasparenza, perché chi aveva incarichi di responsabilità non sta collaborando». Una dichiarazione, quella del segretario metropolitano del Pd, Marco Stradiotto, che lunedì sera ha dato la stura a una infuocata direzione provinciale. Alcuni membri della direzione, tra i quali Michele Mognato, Alessandra Miraglia e Gabriele Scaramuzza hanno reagito, criticando Stradiotto e accusandolo di insinuare sospetti. «Non fa bene al Pd», ha detto la Miraglia. «Così facciamo credere di avere scheletri nell’armadio», ha aggiunto l’ex assessore Tiziana Agostini. Sta di fatto che la «commissione interna» del Pd (presieduta da Gilberto Bellò) che sta cercando di fare luce sui finanziamenti del 2009 e del 2010, ha finora concluso ben poco e la collaborazione di alcuni esponenti del partito è stata quantomeno tiepida. Qualcuno in direzione, come il civatiano Gianluca Mimmo, ha chiesto di pubblicare quanto emerso dalla commissione. «Rendiamola pubblica, – ha risposto Stradiotto – ma non c’è niente di nuovo. Io chiedo più collaborazione proprio perché andiamo verso due campagne elettorali e, prima che siano i nostri avversari a fare insinuazioni, dobbiamo avere gli strumenti per difenderci».
Il clima nervoso della riunione risentiva anche dei dissapori emersi negli ultimi mesi con i botta e risposta su social network e stampa. I motivi di dissenso non mancano: dalla questione Contorta all’appoggio ad alcune iniziative e ai tagli di Zappalorto. Secondo Stradiotto, infatti, è giusto che anche il Comune di Venezia, dove spende troppo, provi a risparmiare. Molti membri della direzione hanno però invitato il segretario a non mettere il naso sui temi cittadini e a restare «nel suo ambito provinciale». «Con queste pressioni voi mirate ad avere dei segretari deboli» ha replicato Stradiotto. Duro anche l’attacco di Antonio Cossidente: «Se tu e De Menech volete fare i segretari di una parte sola, dovete dirlo». E poi Mognato: «Le critiche e il confronto sono normali in un partito come il nostro. C’è però un luogo politico in cui ci si confronta, non esistono solo Facebook e Twitter».
E proprio Facebook è stato all’origine di un’altra accesa discussione. Dalla sua pagina Stradiotto aveva invitato il Pd ad assumere un ruolo diverso da quello di Bettin e Caccia, perché un partito che vuole essere l’asse portante di un’alleanza non può continuare a dire solo dei no (anche in riferimento al Contorta) ma deve prendere decisioni e proporre soluzioni. Il rischio di fare il gioco degli alleati? «Arrivare al 51% ma poi ritrovarsi in una situazione di ingovernabilità».
«Bettin e Caccia sono i nemici? Chiediamolo agli ex assessori» ha replicato Mognato, che poi ha chiamato in causa Ferrazzi chiedendogli, prendendo ad esempio il Pat, se in giunta o in consiglio gli alleati abbiano votato contro. «Non ho detto che sono i nemici – ha chiuso Stradiotto – io sono per alleanze più ampie possibile». In difesa del segretario provinciale, sono intervenuti Alessadro Coccolo, Laura Visentin e Giovanni Parise. «Stradiotto lancia una sfida che dobbiamo cogliere – commenta Coccolo – Non possiamo essere giudicati per un commento in Facebook o un articolo di giornale».

 

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