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Orsoni e i finanziamenti al Pd, sentito anche Maggioni.

Indagati Zoggia e Mognato

L’accusa è concorso in finanziamento illecito dei partiti. Sentiti in procura , hanno puntato l’indice sull’ex assessore Maggioni

Mose, indagati Zoggia e Mognato del Pd

VENEZIA – Giorgio Orsoni, il 9 giugno scorso, quando da cinque giorni era agli arresti domiciliari per finanziamento illecito al partito, il Pd, che lo aveva scelto come candidato sindaco, aveva raccontato ai pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, che dietro sua richiesta lo stavano interrogando, alcune interessanti circostanze.

Ecco le frasi: «Andando avanti nella campagna elettorale le pressioni per avere più soldi si sono fatte più forti da parte di vari esponenti della politica, ma soprattutto o quasi eslusivamente, da parte di esponenti del Pd, quelli con cui mi relazionavo».

A questo punto il pm Ancilotto gli aveva chiesto chi erano gli esponenti. «Quelli che ho già nominato prima» aveva risposto. Pochi minuti prima aveva fatto i nomi dell’ex uomo forte del partito provinciale di allora Michele Mognato, ora deputato, di Davide Zoggia, allora responsabile nazionale degli enti locali ed ex presidente della Provincia di Venezia, ora anche lui deputato, e di Giampietro Marchese, allora tesoriere e consigliere regionale. Marchese è già stato arrestato il 4 giugno e, ora, da alcuni giorni sono finiti sul registro degli indagati per concorso in finanziamento illecito del partito anche Mognato e Zoggia. E nei giorni scorsi i due sono stati già interrogati dai pubblici ministeri veneziani alla presenza del loro difensore, l’ex parlamentare, ex consigliere del Csm e noto avvocato romani Guido Calvi, lo stesso legale che nell’inchiesta sulle coop rosse di Carlo Nordio difendeva Massimo D’Alema.

Stando all’accusa, sulla base del racconto di Orsoni, che in quell’interrogatorio aveva ammesso di aver chiesto un consistente contributo elettorale al presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, Mognato e Zoggia avrebbero istigato l’allora candidato sindacato a cercare fondi elettorali. I due esponenti del Partito democratico avrebbero sostanzialmente negato di aver fatto pressioni su Orsoni, pur ammettendo di essersi interessati alla campagna elettorale e al suo finanziamento.

Mognato, al tempo vicesindaco uscente, avrebbe aggiunto, che non era lui punto di riferimento del futuro sindaco nel partito e tra gli altri avrebbe indicato come tale l’allora segretario comunale Alessandro Maggioni, poi diventato assessore ai Lavori pubblici nella giunta Orsoni.

Ieri, i pubblici ministeri Ancilotto e Buccini hanno sentito l’ex assessore comunale in qualità di semplice persona informata sui fatti. Niente avvocati, dunque, e all’uscita dagli uffici della Procura Maggioni ha spiegato ai cronisti che le domande che gli sono state fatte riguardavano la campagna elettorale del 2010 per le comunali di cui lui si era occupato essendo allora segretario del Partito veneziano, ma avrebbe aggiunto che non era responsabile dell’organizzazione e della raccolta fondi, era il segretario politico.

Probabile che gli inquirenti gli abbiano anche chiesto se sapeva della raccolta fondi elettorali (il sindaco aveva un referente proprio per questo, il commercialista Valentino Bonechi, che nei mesi scorsi è stato sentito) e se era a conoscenza del modo in cui venivano richiesti e registrati.

E’ probabile che nei prossimi giorni gli investigatori della Guardia di finanza, incaricati dalla Procura, svolgano alcune attività finali, prima che i pubblici ministeri chiudano definitivamente le indagini preliminari, anche perché i 12 mesi per le quali sono state autorizzate scadono a gennaio.

E sarebbero proprio questi ultimi accertamenti sul conto di Orsoni che avrebbero ritardato di alcune settimane il deposito della documentazione, l’atto che attesta la chiusura delle indagini e prelude alla richiesta di rinvio a giudizio e all’udienza preliminare. Non è escluso che avvenga poco prima del periodo natalizio e riguarderà una decina di imputati, tutti coloro che non hanno ottenuto di patteggiare la pena.

Nel frattempo i difensori di Orsoni, gli avvocati Francesco Arata di Milano e Daniele Grasso di Venezia, hanno avuto nei giorni scorsi un lungo colloquio con il procuratore aggiunto Carlo Nordio, al quale hanno presentato una memoria in cui chiedono che la posizione dell’ex sindaco sia archiviata.

Per i due legali, Orsoni non avrebbe commesso reati, perché per le elezioni comunali non sono previsti rendiconti, inoltre i soldi che lui avrebbe chiesto di versare a Mazzacurati, sarebbero finiti nelle casse del Pd, non nelle sue tasche. La palla ora passa al Pd, ieri Alessandra Moretti, candidata governatore, ha affermato che «chiunque venga sfiorato da indagini per reati così pesanti deve fare un passo indietro».

Giorgio Cecchetti

 

L’inchiesta su roma arrivata a padova e cortina

Mafie, Veneto terra di conquista

Naccarato interroga Alfano

PADOVA – Era colui che passava “i lavori buoni”. Era colui che, sottomesso alle intimidazioni della banda, faceva raggiungere gli obiettivi economici già prefissati e concordati con gli altri sodali interessati alla buona gestione degli affari. Così scrivono gli investigatori a proposito di Riccardo Mancini, 56 protagonista del capitolo Mafia Capitale, ex Nar, ex amministratore pubblico, ex braccio destro del sindaco Alemanno, e ora in carcere. Più ci si addentra nelle carte che hanno fatto saltare in aria il “mondo di mezzo” e più si ha la sensazione che chi tirava le fila dell’organizzazione sapeva bene come funzionava il sistema, i punti deboli e come approfittarne. Era per questo motivo che Riccardo Mancini, attraverso il figlio Giovanni Maria, 29 anni, aveva costituito due società consortili a Limena insieme anche alla padovana Intercantieri Vittadello spa (e altre)? Scarl che con denaro pubblico si apprestano a costruire opere che servirebbero per lo smaltimento di rifiuti a Terni e a Palermo, le cui quote (in portafoglio della Società Generale Rifiuti srl di cui Giovanni Maria Mancini è amministratore unico) sono state poste sotto sequestro. Società costituite a Limena, paese della provincia di Padova, distante da riflettori e occhi indiscreti. Così come geograficamente (solo) lo è anche Cortina d’Ampezzo, località che – stando alle intercettazioni – era un luogo sicuro dove emettere fatture false per “ripulire” le armi, perché proprio lì «è possibile fare tutte le fatture del mondo. Il Veneto, dunque, ancora terra di conquista da parte della criminalità organizzata. Ed è per questo motivo che il deputato padovano del Pd Alessandro Naccarato, insieme ai colleghi Camani, Miotto e Narduolo, ha depositato un’interrogazione al Ministro dell’interno per chiedere «come intenda intervenire per contrastare la presenza delle organizzazioni criminali in Veneto, esprimendo in particolare forte preoccupazione circa le reali ragioni che avrebbero spinto i soci delle due Scarl (Terni e Bellolampo) a creare due società a Limena, per realizzare opere e impianti in località situate a grande distanza dalla loro sede legale come il comune di Terni e la contrada Bellolampo nel Comune di Palermo. «L’allarme dei Deputati del partito Democratico» scrive Naccarato «nasce dal fatto che la presenza criminale in Veneto appare in modo sempre più evidente: infatti, è bene ricordare che questo caso ripete, naturalmente con dettagli diversi, l’analoga vicenda, del 2012, che portò all’arresto del camorrista Cipriano Chianese, 61 anni, di Parete (Caserta) e di Franco Caccaro, 50 anni, di Campo San Martino (Padova) per aver causato il dissesto finanziario di Tpa trituratori Spa – società attiva nel settore del riciclo di rifiuti con sede a Santa Giustina in Colle in provincia di Padova». Una vicenda che aveva tirato in ballo anche l’ex presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato in quanto socio (con una partecipazione di circa 21 mila euro) in una società di Santa Giustina in Colle di cui Caccaro era amministratore unico. «Dopo i numerosi casi di infiltrazione mafiosa in Veneto, anche questo episodio conferma la volontà delle organizzazioni criminali di mettere radici nella nostra regione», scrivono i deputati nell’interrogazione a risposta scritta «per costruire nuove opportunità di traffici entrando in relazione con società del territorio e dirigendo i loro interessi in particolare verso gli appalti pubblici».

Paolo Baron

 

Gazzettino – Io e il Doge vite parallele intorno al Mose

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11

dic

2014

LA POLEMICA

Sono tornato a casa, dopo undici giorni di digiuni e di dolori, dalla Chirurgia Tre di Padova con la mia macchina e non con l’elisoccorso La mia routine ospedaliera ha rischiato sabato di essere turbata da un ricovero di eccellenza. L’elisoccorso ha portato al pronto soccorso l’ex Doge, preannunciato dalle tv locali e dai coloriti commenti del personale, aveva un bernoccolo in testa. Tutte le stanze erano con i letti occupati eccetto la mia che presentava due letti liberi. Era probabile vedermi appioppato il doge proprio di fronte a me. Mi è venuto d’istinto di accoglierlo alla maniera di Totti (meraviglioso leader della Roma, ma spesso con comportamenti da ragazzaccio). In quel caso avrei avuto la virtuale adesione di qualche milione di veneti. Poi ho realizzato che il rispetto per il personaggio rimane sempre e lo avrebbero accomodato in un appartamento da Vip. In effetti i medici, dopo le cure, lo hanno rispedito a casa e il doge è volato via con una garza in testa, senza ricevere la patente di uomo sfortunato e sofferente da impietosire il popolo.

Purtroppo con il doge io ho avuto vita parallela al Mose. Lui nell’aurea dimensione ben descritta dai media. Io a far lavori in subappalto con prezzi scannati e appesantiti da concrete esortazioni a distribuire ulteriori energie. Dell’arroganza delle ditte del Mose nessuno parla. Contestazioni ingiustificate di materiali idonei (ci sarebbe voluta una bella capacità finanziaria per fronteggiare tali atteggiamenti). Inoltre fideiussioni non accettate per non liquidare le ritenute finali (da oltre due anni). Mentre la casta si è goduto il suo impero, noi subappaltatori massacrati rischiamo il fallimento. E’ mafia immonda, peggio di quella siciliana. Quella se non ti adegui ti ammazza. Questa (la veneta) ti porta al suicidio, e non so quale sia la peggiore.

Alberto Botti – Amministratore Palladio Marmi srl – Mestre

 

Nuova Venezia – Sul tavolo Ue l’agenda di Chisso

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10

dic

2014

Libro dei sogni come quello dell’ex assessore finito nell’inchiesta Mose

Sul tavolo Ue l’agenda di Chisso

VENEZIA – Sembra un libro dei sogni, solo a pensare da quanti anni se ne parla. Ma il quaderno delle infrastrutture strategiche assomiglia anche a un’altra cosa: all’agenda dell’ex assessore regionale Renato Chisso, rovinosamente caduto nell’inchiesta Mose.

Dalla Superstrada Pedemontana Veneta alla Orte Ravenna, dalla terza corsia dell’A4 alla cosiddetta Linea dei bivi a Mestre e sino al collegamento ferroviario con l’aeroporto di Venezia. Insomma, l’agenza di Chisso sembra finalmente trovare uno slancio nel governo Renzi, che ha fortemente sostenuto in Europea il programma di investimenti che, nel dettaglio, prevede sette opere strategiche nel Veneto. Per il potenziamento della ferrovia del Brennero, di cui è corso la costruzione, l’investimento complessivo è di 12,2 miliardi; per l’Alta Velocità Milano-Venezia 8,050 miliardi, per il porto Off shore di Venezia 2,5 miliardi, per il raccordo ferroviario del Marco Polo 2,6 miliardi (da dividere con Roma Fiumicino e Milano, però), per la terza corsia Venezia-Trieste 2,4 miliardi, per la Orte Mestre 7,3 miliardi, per la Pedemontana Venezia 2,3 miliardi.

Si tratta di opere in larga parte finanziabili attraverso meccanismi di finanza di progetto (il privato mette i soldi in cambio di una gestione pluriennale). Ma quanti soldi arriveranno dal Piano Juncker a queste opere? Tutto dipende dalla velocità con cui i governi riusciranno ad autorizzare i progetto avvicinandoli alla cantierabilità. Il piano europeo infatti ha durata triennale e solo le opere già iniziate potranno beneficiarne. Per le altre, bisognerà aspettare.

(d.f.)

 

Ci sono Orte-Mestre, Pedemontana e ferrovia al Marco Polo insieme a porto off shore, Alta velocità e terza corsia in A4

Sette opere venete nel piano Juncker

VENEZIA – C’è il raddoppio della ferrovia del Brennero fino a Verona, il corridoio Milano/Venezia dell’Alta Velocità, il porto off shore di Venezia, il collegamento ferroviario per l’aeroporto Marco Polo di Venezia, la terza corsia dell’A4 fino a Trieste, la nuova Orte-Mestre e persino la Superstrada Pedemontana Veneta. Sette infrastrutture del Nordest potrebbero entrare nel cosiddetto Piano Juncker, dal nome del presidente della Commissione europea di Bruxelles. Finanziati grazie a un meccanismo finanziario destinato a far ripartire la crescita e l’occupazione. La task force tecnica europea incaricata di selezionare i progetti presentati da ciascun governo ha presentato ieri ai ministri economici finanziari dell’Unione europea la short list di progetti che hanno le caratteristiche di finanziabilità e di sostenibilità economica: 42 sono i progetti italiani, sette riguardano il Nordest.

Si tratta di opere finanziabili attraverso il cosiddetto piano Juncker, dal nome del presidente della commissione europea che ha escogitato un programma per la crescita da 315 miliardi: con 16 miliardi di garanzie europee e cinque miliardi messi dalla Banca europea degli investimenti, l’Europa intende mobilitare risorse a leva finanziaria per oltre trecento miliardi di euro, capace di smuovere i pil dei rispettivi paesi. Una iniezione di liquidità che, nel triennio 2015-2017, è destinata nelle intenzioni dei governi europei a mettere un po’ di carburante nelle asfittime economie del vecchio continente.

Molte le perplessità suscitate dal meccanismo: i soldi «veri» sono unicamente 21 miliardi di euro, da spartire in 28 paesi. Un’inezia, secondo molti osservatori. L’elenco delle opere strategiche è costituito da quasi duemila progetti, per un valore complessivo pari a 1300 miliardi di euro. Solo 760 di questi avrebbe avuto il via libera «tecnico». Sul tavolo dell’Ecofin è giunto infatti il lavoro della task force tra Banca europea per gli investimenti (Bei) e Commissione europea. Dopo il via libera dell’Ecofin adesso tocca ai governi nazionali predisporre una legge ad hoc per approvare l’elenco e garantirne la fattibilità entro il mese di giugno. L’ultimo passaggio europeo sarà il prossimo vertice europeo dei primi ministri, in programma il 18 e 19 dicembre prossimo, quando il piano Juncker dovrebbe essere definitivamente approvato.

Per alcune di queste opere, come la Superstrada Pedemontana Veneta o la Orte Ravenna, si tratta soprattutto di garantirne la «bancabilità» alla società concessionaria. A lavorare sul dossier italiano i tecnici del Ministero delle Infrastrutture, in concerto con il Ministero dell’Economia. Il ministro Maurizio Lupi in particolare si è speso nell’ambito della partita per ottenere il prolungamento delle concessioni autostradali. Si tratta in gran parte di opere conosciute e in parte avviate: ma quasi tutte prive di copertura economica. Così, l’uovo di colombo potrebbe ora venire dall’Europa e dal sul meccanismo di leva finanziaria con i soldi della Bei. Basterà la fantasia per vedere qualche cantiere ripartire?

Daniele Ferrazza

 

SCANDALO MOSE – Mazzacurati prese una quota del centro del cardiologo Pascotto

Cosa c’entrano le dighe mobili con i bypass coronarici? Una attinenza tra il Mose che deve salvare Venezia e i sofferenti di cuore deve per forza di cose esistere. Perché altrimenti non si spiegherebbe la partecipazione del Consorzio Venezia Nuova a un ambulatorio cardiologico: il concessionario unico dello Stato per la realizzazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia ha una partecipazione pari allo “0,65% del Centro cardiovascolare Mirano srl iscritta a bilancio a 25mila euro”.

Sono dati ufficiali. Li ha scritti il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, nel decreto con cui, lo scorso 1° dicembre, ha disposto il “commissariamento” del Consorzio Venezia Nuova, ordinando di dare comunicazione di tale atto non solo alle imprese consorziate, ma anche alle imprese partecipate. Il Consorzio ha delle partecipazioni? Sì. Cinque: a) il 51% di Thetis spa, capitale sociale 11,2 milioni di euro, iscritta a bilancio a 5,8 milioni di euro; b) il 100% di Mose srl, capitale 110mila euro, iscritta a bilancio a 2,4 milioni di euro (nel 2012 la quota è svalutata di 636mila euro); c) il 2,6% della Esercizio Raccordi Ferroviari di Porto Marghera spa; d) lo 0,2% in Parco Scientifico Tecnologico Vega. L’ultima partecipazione riguarda un “ambulatorio monospecialistico con specializzazione cardiologia”.

Di chi è questo ambulatorio? Il Centro si trova a Mirano, in provincia di Venezia, ed è diretto dal dottor Pietro Pascotto, stimato ex primario della Cardiologia di Mirano; Paola Brandolino risulta essere l’amministratore unico della società. Prima di lei, dal 2009 al 2011, la rappresentanza ce l’aveva Salvatore Pianura, l’armatore veneziano finito tre anni fa agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta. Ciò premesso, resta la domanda: se lo Stato dà al Consorzio i soldi per fare il Mose, perché il Consorzio entra in un ambulatorio? «Me lo chiesi anch’io quando arrivai a Venezia», rivela Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova che sta seguendo il passaggio di consegne con i commissari. Dice Fabris: «Delle varie partecipazioni, alcune potevano avere una qualche attinenza: Thetis – che nell’ultimo direttivo avevamo deciso di vendere o di liquidare – ha fatto la direzione lavori, Mose srl si occupa di carpenteria. Ma di altre partecipazioni non so dare una risposta: non ne conosco la genesi e la ratio mi sfugge». Dunque, fu una scelta dell’ex presidente Giovanni Mazzacurati?

Raggiunto telefonicamente in ambulatorio, ildottor Pascotto ammette:«Sì, era stato Mazzacurati ad avere questa idea, lui ed altri, adesso non ricordo i nomi. Ci tenevano a dare un supporto, di una piccolissima entità, per un progetto di prevenzione cardiovascolare.È un rapporto nato qualche anno fa ed era già in fase di chiusura perché io e gli altri soci ci rendevamo conto che non aveva alcuna relazione con il Consorzio e il Mose. Non è stato possibile chiudere il rapporto per vari motivi e lo stiamo facendo in questi giorni». Pascotto ammette: «Forse la partecipazione alla società non era il modo corretto, ma le motivazioni erano valide».

Intanto, l’associazione “Difesa civica” di Ivone Cacciavillani, Vincenzo D’Agostino e Adone Doni – che già ha presentato ricorso per azione erariale alla Corte dei conti contro la liquidazione di Mazzacurati – non esclude di denunciare anche questa vicenda.

Alda Vanzan

 

Nuova Venezia – Galan dimesso: torna ai domiciliari in villa

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10

dic

2014

DOPO L’INFORTUNIO NEL PARCO

PADOVA – Giancarlo Galan è tornato a casa. Nel pomeriggio l’ex ministro e governatore del Veneto è stato dimesso dalla Chirurgia prima del policnico di Padova dov’era stato ricoverato sabato sera in seguito alle ferite riportate in un incidente nel parco della sua dimora, Villa Rodella a Cinto Euganeo: il politico stava potando un albero dal quale si è staccato un grosso ramo che l’ha colpito alla testa, facendogli perdere i sensi. Caduto nella canaletta di irrigazione a ridosso dell’albero, è rimasto in stato confusionale fino all’arrivo dei soccorsi – il Suem 118 dell’ospedale Schiavonia – e quindi è stato trasferito in elicottero al pronto soccorso dell’ospedale del capoluogo. Qui, le visite e gli accertamenti diagnostici hanno rilevato una condizione di ipotermia (era rimasto a contatto con l’acqua gelida), un trauma cranico, una contusione al fegato e la ferita lacero-contusa che ha richiesto alcuni punti di sutura alla testa. Situazione abbastanza preoccupante, che ha indotto i medici a mantenere riservata la prognosi di guarigione e a trattenerlo in osservazione per la nottata e per le successive giornate di domenica e lunedì. Ieri le condizioni del paziente sono apparse nettamente migliorate, così da consentirne la dimissione. Accompagnato dalla moglie Sandra Persegato, dalla figlia di sette anni e da alcuni amici e collaboratori, Giancarlo Galan – ancora un po’ malconcio ma di buon umore – ha fatto ritorno alla sua villa di Cinto, dove da due mesi sconta gli arresti domiciliari conseguenti al patteggiamento di 2 anni e 10 mesi di pena (più 2,6 milioni di multa) per le tangenti dello scandalo Mose.

 

PADOVA – Giancarlo Galan, è stato dimesso ieri pomeriggio dall’ospedale di Padova dove era stato ricoverato a seguito di una caduta avvenuta nella sua villa di Cinto Euganeo, cui colli, sabato scorso. Ad attenderlo la moglie, Sandra Persegato che lo ha accompagnato all’auto che li aspettava per riportare l’ex ministro ed ex governatore del Veneto nella sua villa dove si trova agli arresti domiciliari per la vicenda Mose. C’era anche il suo amico consigliere comunale a Monselice, Lucio Perin. Il rappresentante di Forza Italia ha fatto scudo a Galan impedendo a chiunque di avvicinarsi. Per l’ex ministro, che si è limitato a un saluto, la prognosi è di quaranta giorni. Giancarlo Galan si è infortunato nel parco di Villa Rodella mentre era potava degli alberi. Un ramo si era staccato da una pianta e lo aveva colpito alla testa, facendolo rotolare nel fossato. Trasportato in elicottero all’ospedale, gli erano state diagnosticate una frattura cranica e una contusione al fegato.

 

LE CONDIZIONI DELL’EX MINISTRO E GOVERNATORE FERITO DA UN RAMO

Ha trascorso la giornata di festa nella sua stanza singola al Policlinico insieme alla moglie e alla figlioletta, nel pomeriggio la visita di amici e collaboratori

PADOVA – Sono in netto miglioramento le condizioni di salute dell’ex ministro e governatore del Veneto Giancarlo Galan che già nei prossimi giorni potrebbe essere dimesso. Il ricovero d’urgenza al policlinico di Padova d’urgenza si era reso necessario sabato scorso dopo che l’ex ministro era stato colpito alla testa dal grosso ramo della pianta che stava potando nel giardino di Villa Rodella, l’abitazione di Cinto Euganeo dove, da due mesi, sta scontando gli arresti domiciliari a seguito dell’inchiesta sulle tangenti del Mose che gli è valsa un patteggiamento di pena di 2 anni e 10 mesi e al pagamento di una multa di 2,7 milioni.

Domenica è stata sciolta la prognosi e i medici hanno parlato di una quarantina di giorni per la guarigione a causa del trauma cranico e delle ferite lacero-contuse al capo che ha riportato. Ieri Galan ha trascorso una tranquilla giornata di festa nella sua stanza del reparto di Clinica chirurgica, in compagnia della moglie Sandra Persegato e della figlia di sette anni, apparse rinfrancate dopo lo choc dell’incidente al loro familiare. Ha ricevuto anche la visita di amici e collaboratori, ai quali è sembrato di buon umore e in netta fase di ripresa.

Facili le battute dei conoscenti sui guai provocati dalla sua passione per il giardinaggio. Potare le rose, era la tarda primavera, gli era già costato la frattura ad un piede con conseguente ingessatura. Ma stavolta poteva andare decisamente peggio. Il grosso ramo che l’ha colpito in testa, erano le quattro del pomeriggio di sabato, oltre a ferirlo, gli ha fatto perdere l’equilibrio e precipitare nella canaletta di irrigazione che corre accanto agli alberi, dove è rimasto in stato di semi incoscienza, finché la figlioletta non l’ha notato lanciando l’allarme alla madre. Ai soccorritori, quelli del Suem 118 dell’ospedale di Schiavonia, è parso in condizioni preoccupanti: fradicio, in ipotermia, aveva una ferita sanguinante alla testa e altre contusioni, manifestando uno stato confusionale. Temendo lesioni interne, hanno convinto i familiari – spaventatissimi – a mantenerlo immobile fino all’arrivo dell’elicottero decollato da Padova. Giunto al pronto soccorso del policlinico è stato sottoposto a visite e accertamenti diagnostici che hanno evidenziato il trauma cranico, la contusione al fegato e la ferita che ha richiesto alcuni punti di sutura, escludendo – fortunatamente – lesioni interne. Ora si trova in una stanzetta singola al terzo piano, dove la sua privacy è garantita e l’accesso è consentito soltanto ai congiunti e agli amici più stretti.

 

Nuova Venezia – Escrementi davanti alla casa di Chisso

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8

dic

2014

BLITZ DEI FORCONI

Escrementi davanti alla casa di Chisso

Blitz dei forconi davanti alla casa di Renato Chisso, a Favaro, mentre l’ex assessore regionale è agli arresti domiciliari per lo scandalo Mose. Nella cassetta della posta hanno fatto recapitare un pacco con degli escrementi.

MESTRE – Feci nella posta blitz dei “forconi” a casa di Chisso

MESTRE Soldi finti nel cortile ed escrementi nella buca delle lettere di Renato Chisso, a Favaro Veneto. È l’azione provocatoria di un gruppo di cinque persone che fanno riferimento all’area dei “forconi”, avvenuta ieri pomeriggio. Al comando del gruppo Gaetano Ferrieri, uno dei leader del movimento, diventato celebre perché nella primavera scorsa ha tentato di darsi fuoco in piazza a San Pietro. Come accaduto qualche settimana fa davanti alla villa di Galan, gli attivisti si sono presentati davanti all’abitazione privata di Renato Chisso. Prima hanno calato con una canna da pesca dei soldi falsi nel cortile dell’abitazione a simbolo delle mazzette intascate dall’ex assessore regionale e poi hanno appiccicato con nastro adesivo una busta contenente escrementi alla cassetta delle lettere. Una protesta perché ritengono che non sia giusto concedere a Chisso la possibilità di patteggiare la pena. Poco prima, in piazzale Donatori di Sangue a Mestre, hanno imbucato nelle cassette delle poste centrali altre due buste contenenti feci, indirizzate rispettivamente al premier Matteo Renzi e al ministro del lavoro Giuliano Poletti. Martedì i “forconi” saranno davanti alla cittadella della Giustizia di Venezia per essere ricevuti dal procuratore capo Luigi Delpino e chiedergli di far processare i responsabili dello scandalo Mose. Il 20 ottobre un gruppetto di aderenti al “Movimento 9 dicembre” si è presentato, invece, sempre con delle canne da pesca con soldi finti attaccati all’amo davanti a Villa Rodella, a Cinto Euganeo, dove l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan sta scontando gli arresti domiciliari per le vicende legate al Mose di Venezia. Galan è un appassionato pescatore. L’iniziativa è stata ripresa, come per il blitz da Chisso, e il video è stato postato in internet. I manifestanti fingevano di “pescare” i soldi dall’interno della villa e poi li deponevano in un cesto. Nel dicembre dello scorso anno, quando Giancarlo Galan era solo indagato, sempre i “forconi” si erano presentati davanti alla stessa villa vestiti come soldati della prima guerra mondiale. Avevano inveito contro l’ex governatore. Poi, con un finto cannone, avevano sparato all’indirizzo dell’abitazione dei fiori. I manifestanti avevano avuto un diverbio sostenuto con la moglie di Galan.

Carlo Mion

 

Dopo l’incidente a Cinto giornata tra i familiari all’ospedale di Padova. Recuperati telefonino e occhiali

Galan migliora, sciolta la prognosi

PADOVA – Giancarlo Galan migliora, ha ricevuto la visita di parenti ed ha telefonato ad alcuni suoi collaboratori. Ma resterà in ospedale ancora per qualche giorno, in osservazione. I medici hanno sciolto la prognosi pronunciandosi per una diagnosi vicina ai 40 giorni. Ricoverato da sabato sera al terzo piano della Chirurgia prima del Policlinico, l’ex ministro è stato sottoposto ieri pomeriggio a nuovi esami ematoclinici e a un ecodoppler. Galan, che si è infortunato sabato pomeriggio durante un’operazione di potatura di una pianta di alto fusto, è circondato dalla moglie Sandra, dalla figlia Margherita – che ha assistito all’incidente e ha avvisato per prima la mamma – e dai parenti stretti: la sorella Valentina e il fratello Alessandro hanno fatto la spola dentro e fuori l’ospedale per tutto il giorno. Scherzando con i familiari, Galan ha ricevuto i rimbrotti di amici e collaboratori, che lo hanno ironicamente minacciato di chiedere una restrizione degli arresti domiciliari al perimetro interno della villa di Cinto Euganeo nel cui giardino è accaduto l’infortunio: «Così non ti farai male». L’ex ministro è incappato nel nuovo infortunio nello stesso giardino dove a luglio era scivolato fratturandosi un piede. Sabato pomeriggio Galan stava tagliando con una sega manuale un robusto ramo di un albero di alto fusto, nei pressi di una canaletta. Il ramo, tagliato, ha investito il ramo di un albero vicino spezzandolo. Il risultato è che Galan, a causa di questa operazione, ha perso l’equilibrio da un’altezza di quasi due metri e una volta a terra è stato colpito al cranio da uno dei rami caduti. La rovinosa caduta ha provocato lo scivolone dell’ex ministro quasi dentro una canaletta di irrigazione che passa per il giardino di villa Rodella. Nell’acqua della canaletta sono scivolati anche gli occhiali e il telefonino di Galan, che sono stati recuperati solo ieri mattina. Portato in elicottero all’ospedale di Padova, i medici hanno diagnosticato a Galan una frattura cranica e un trauma epatico. Sarebbe proprio quest’ultima patologia a preoccupare i medici, in un paziente già provato da altre patologie. Per questo le analisi compiute ieri per verificare i valori del sangue. Nel giardino di villa Rodella a Cinto Euganeo sono arrivati sabato sera anche i carabinieri che hanno il compito di sorvegliare gli arresti domiliciliari dell’ex ministro. I militari hanno assistito alle operazioni compiute dai medici e dagli operatori dell’elisoccorso. Le condizioni dell’ex ministro, inizialmente, erano apparse gravi. I successivi accertamenti hanno escluso il pericolo di vita.

Elisa Fais

 

Gazzettino – I “forconi” a casa di Chisso

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8

dic

2014

MESTRE – Blitz dei “forconi” a Favaro davanti alla casa di Renato Chisso

C’È POSTA PER TE – Anche Galan e Orsoni nel mirino

Buste piene di escrementi sarebbero state recapitate anche all’ex sindaco Giorgio Orsoni e all’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan

BANCONOTE – Gateano Ferrieri impugna la canna da pesca con le banconote finte per sollecitare la restituzione dei soldi che l’ex assessore avrebbe incamerato

I “forconi” a casa di Chisso

Una busta piena di escrementi e rotoli di banconote finte nella cassetta della posta

Una busta sigillata con dentro escrementi umani e mazzette di banconote da 50 euro stampate e appese ad una canna da pesca simbolo dei soldi rubati con le mazzette legate alla costruzione del Mose. Si è presentata attrezzata così ieri pomeriggio poco prima delle 16, la delegazione del movimento di protesta Forconi Veneti 9 Dicembre in via Col San Martino a Favaro Veneto davanti all’abitazione dell’ex assessore regionale Renato Chisso. Lui all’interno con la famiglia, costretto ai domiciliari, nel giardino due auto parcheggiate e poco distante il latrato dei cani dei vicini che abbaiavano agli insoliti visitatori di una domenica pomeriggio. Un blitz pacifico, durato pochi minuti.

I militanti del movimento dei Forconi arrivano con due auto. Indossano tutti una pettorina di colore giallo e arancio che riporta la scritta «Presidio di Padernello (Tv)». A guidarli c’è Gaetano Ferrieri, 53 anni, il «forcone» già protagonista di clamorose proteste come il presidio in tenda e lo sciopero della fame davanti a Montecitorio e il tentativo di darsi fuoco davanti alla Basilica di San Pietro per chiedere un incontro con Papa Francesco. Ferrieri tiene in mano una canna da pesca. Al posto dell’esca ci sono delle banconote finte arrotolate. «Siamo qui davanti a casa di un ladro politico per chiedergli di restituire quello che ha rubato. Quando uno patteggia vuol dire che è sicuro di venire condannato – ha detto Ferrieri mimando il gesto di pescare dal giardino dell’abitazione di Chisso dei soldi – Stiamo facendo visita a tutti i politici corrotti che hanno rubato nelle tasche degli italiani e in questo caso dei veneziani. Gli regaliamo queste mazzette di soldi finti, le lasciamo nella cassetta della posta magari servono per pagare i loro avvocati. E poi lasciamo anche un altro ricordino».

Ferrieri tiene in mano una busta gialla con su scritto il nome e cognome dell’ex assessore e il suo indirizzo. La apre per far vedere il contenuto. «Ecco, alla Biennale c’è la merda d’artista, questa, invece, è cacca vera, materiale organico, che riconsegniamo a chi nella cacca ha fatto finire questo paese con il sistema corruttivo degli ultimi anni. Una busta come quella che abbiamo consegnato a casa di Chisso l’abbiamo recapitata anche all’ex presidente della Regione Galan e all’ex sindaco Orsoni. Ma non solo, ieri mattina dalle Poste centrali di Mestre abbiamo spedito due buste uguali contenenti «prodotto organico riservato» anche al Premier Matteo Renzi e al ministro del Lavoro Guido Poletti». Cosa chiedete con questa protesta? «È solo un primo passo – aggiunge Ferrieri – Domani mattina manifesteremo davanti alla sede del tribunale di Venezia a piazzale Roma perché vogliamo un incontro con il procuratore capo Luigi Delpino. I reati di questi politici corrotti non devono andare in prescrizione. Se non otterremo risultati bloccheremo il ponte della Libertà».

Raffaele Rosa

 

PADOVA – La frattura frontale non desta preoccupazioni ma ha richiesto alcuni punti di sutura

Galan migliora, medici ottimisti

L’ex governatore ricoverato al Policlinico universitario. Colpito da un albero mentre stava potando in giardino

Rimane ricoverato in una stanza di degenza al terzo piano del Policlinico universitario di Padova. Piantonato da carabinieri e agenti di polizia penitenziaria. Ma le sue condizioni sono in miglioramento, i medici si dicono ottimisti. Confermata la diagnosi della prima ora per Giancarlo Galan, l’ex ministro ed ex presidente della Regione Veneto, rimasto ferito sabato mentre potava un albero nel suo giardino a Villa Rodella, sui Colli Euganei. Una frattura frontale, che ha richiesto alcuni punti di sutura al capo per sanare la ferita lacero-contusa, e una contusione epatica, fortunatamente nessun danno agli organi interni.

Il quadro clinico, dagli approfondimenti effettuati ieri, non evidenzia ulteriori elementi di preoccupazione. Curiosità e stupore tra gli altri ricoverati in una domenica ospedaliera trascorsa lenta anche per quell’ospite illustre, che sta scontando ai domiciliari due anni e dieci mesi patteggiati per lo scandalo Mose. Non nuovo a incidenti domestici (era l’estate scorsa quando cadde, mentre tagliava un roseto, procurandosi una frattura a una gamba per la quale venne ingessato all’ospedale Sant’Antonio di Padova), per Galan l’infortunio dell’altroieri ha quasi ricalcato il copione: sempre Villa Rodella a Cinto Euganeo, sempre una scala, sempre una potatura finita in rovinosa caduta. Stavolta la colpa sarebbe, non dei fiori, ma di un grosso ramo: nel tagliarlo, l’ex governatore cinquantottenne avrebbe il crollo di un albero a fianco che, abbattendosi al suolo, lo avrebbe colpito alla testa. E sarebbe così finito dentro a un attiguo fossato.

È stata la figlia di sette anni a dare per prima l’allarme dopo aver assistito alla caduta del padre, con il quale si trovava in giardino. La bambina ha avvisato la madre Sandra Persegato che ha quindi chiamato dapprima il 118, poi i carabinieri della stazione più vicina a Cinto Euganeo, accorsi a loro volta sul posto. Trasportato velocemente in Azienda ospedaliera a Padova in elisoccorso, Galan è stato dapprima accolto in pronto soccorso centrale, quindi spostato tre piani più su, nel reparto chirurgico per essere tenuto in stretta osservazione.

 

SCANDALO MOSE – L’accusa di Dal Borgo «Ho aperto conti all’estero per Chisso»

MOSE – Il verbale dell’ingegnere bellunese sulle operazioni in due banche. «Investimenti anche in Ucraina»

«Ho portato all’estero i soldi di Chisso»

Dal Borgo chiama in causa il segretario Casarin: «Ho aperto per lui cassette di deposito in istituti stranieri»

Sequestrati agli inquisiti 17 milioni su tre conti

Continua la caccia al tesoro. Di Chisso o di Casarin. O di Chisso e Casarin. La Procura di Venezia ha chiuso le vicende giudiziarie con i patteggiamenti dell’ex assessore alle Infrastrutture Renato Chisso e del suo segretario Enzo Casarin ma non ha affatto chiuso le indagini sui soldi che sono usciti dalle casse del Consorzio venezia Nuova e dell’impresa Mantovani e legati alla realizzazione del Mose.

Renato Chisso ha sempre sostenuto di non aver messo da parte un centesimo – nel conto corrente gli hanno trovato 1.500 euro. Del resto le indagini patrimoniali della Finanza non hanno portato ad alcun risultato. È vero che «portare soldi all’estero sembra costituire la regola, non l’eccezione…» hanno scritto i giudici del Riesame quando si sono pronunciati contro la scarcerazione di Chisso, «ed è certo assai improbabile che un assessore regionale tenga i soldi frutto di corruzione in un conto corrente a nome proprio o a quello dei suoi familiari, presso una banca sita nel territorio della Repubblica».

Adesso la Procura attende l’esito delle rogatorie internazionali. Alle banche di mezzo mondo è stato chiesto di controllare se esistono conti correnti o cassette di sicurezza in qualche modo riconducibili a Renato Chisso. Anche perchè Luigi Dal Borgo, un ingegnere bellunese accusato di false fatturazioni e di millantato credito per essersi proposto a Baita come esperto di “spionaggio”, ha consegnato ad un verbale che finora è rimasto segreto e che pubblichiamo, quella che secondo la Procura è la pistola fumante, ovvero la traccia dei soldi all’estero. In Austria. Li avrebbe portati personalmente Dal Borgo, assieme al segretario di Chisso, Enzo Casarin.

«Al Casarin ho corrisposto vacanze, cene, regalato voli aerei, ma soprattutto mi sono reso disponibile ad aprirgli delle cassette di deposito all’estero. In particolare, in Austria tra il 2004 e il 2005 ho aperto presso la Unicredit e la Raiffeisen Bank di Arnoldstein delle cassette di deposito site all’interno della banca ma gestibili con la sola chiave d’accesso senza necessità di registrazione o di interazione con il personale della banca. Ho poi consegnato le chiavi delle cassette, che mi pare fossero cinque al Casarin Enzo. In occasione della loro chiusura, nel 2013, ho avuto modo di apprendere che cosa contenesse una delle cassette in quanto il Casarin aveva perso le chiavi di una ed era necessario il mio intervento per aprirla. All’interno ebbi modo di vedere, al momento dell’intervento del direttore della Raiffaisen Bank, delle mazzette di banconote da 500 euro ciascuna avvolta in fogli di giornale.

Dal Casarin ho saputo che tali somme erano riferibili alla sua attività di segretario dell’assessore regionale Renato Chisso, che gli aveva dato il compito di gestire tali somme di denaro e il loro deposito fiduciario. Ricordo che il Chisso una volta incontrandomi mi disse: “Mi raccomando, fate i bravi”, riferendosi a me e al Casarin e all’attività di gestione fiduciaria che avevo iniziato su indicazione del Casarin, anche se il mio compito era estremamente limitato. Il Casarin mi disse che aveva messo in sicurezza le somme depositate in Austria tramite dei moldavi di sua conoscenza che successivamente avevano trasportato le medesime tramite i confini sloveni. In tale contesto, negli anni 2007-2008, ricevetti dal Casarin circa 200.000 euro in contanti in due tranches, sia per fare degli investimenti in Ucraina, sia per tenerle sempre quale depositario di fiducia, per conto “del gruppo”, per tale intendendo essenzialmente il Chisso e il Casarin».

Dunque, Slovenia, Moldavia, Austria e Ucraina. I soldi potrebbero aver fatto questo tour. Si tratta di vedere se ne è rimasta traccia da qualche parte. La caccia al tesoro continua.

Maurizio Dianese

 

VIETATI DAI MAGISTRATI RAPPORTI CON ESTRANEI

L’ex assessore ai domiciliari e può parlare solo coi familiari

Renato Chisso, deve restare agli arresti domiciliari senza poter comunicare con l’esterno. Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Massimo Vicinanza, il quale ha rigettato ieri l’istanza presentata dal legale dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, l’avvocato Antonio Forza, che aveva chiesto la revoca del divieto di avere contatti con persone diverse dai suoi familiari. Alla revoca aveva dato parere negativo anche la Procura.

Il giudice ha ritenuto che vi siano ancora esigenze cautelari che rendono necessario il divieto di comunicare con l’esterno, anche in considerazione del fatto che Chisso non ha messo a disposizione neppure un euro, a fronte di una confisca disposta nei suoi confronti di beni per un ammontare pari a due milioni di euro.

L’avvocato Forza, che nel pomeriggio non aveva ancora potuto vedere il provvedimento di rigetto, si è detto sorpreso della decisione del gip, considerato che, contestualmente al patteggiamento, l’analogo divieto è stato revocato all’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, che dagli arresti domiciliari nella sua villa di Cinto Euganeo può parlare con persone estranee al circolo familiare. Perché a Galan è consentito e a Chisso no?

Nel frattempo il Movimento 9 dicembre (meglio conosciuto come Movimento dei forconi) ha annunciato per oggi una manifestazione di fronte all’abitazione di Chisso, a Favaro Veneto, alla periferia di Mestre, dove lancerà soldi falsi.

(gla)

 

IL CASO – Il blitz del 4 giugno nato sei anni prima

LA PROCURA – Avviate rogatorie internazionali per identificare depositi o titoli

L’INCHIESTA I tre cronisti del Gazzettino che hanno seguito la vicenda ricostruiscono lo scandalo che ha travolto Venezia

La “Retata Storica” ora diventa un libro

Oggi è Roma con “mafia capitale”, ieri era Venezia con il Mose e l’altro ieri era Milano con l’Expo. La storia della corruzione in Italia è un fiume in piena, ormai. Certo, lo scandalo del Mose resta il più grande di tutti i tempi. Basti pensare che la mega tangente dell’Eni che nel ’92 azzerò la classe politica italiana era di 140 miliardi di lire, 70 milioni di euro, mentre per il Mose si parla di 1 miliardo di euro ovvero mille miliardi di vecchie lire. Ed è arrivato da poche ore in libreria il volume “Mose, la Retata Storica” (Edizioni Nuova Dimensione) con prefazione del direttore del Gazzettino Roberto Papetti, che racconta nel dettaglio e in presa diretta l’inchiesta sullo scandalo del Mose.

Il libro scritto da tre giornalisti del Gazzettino – Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese – contiene sia il racconto dell’inchiesta che una mole considerevole di documenti esclusivi ed inediti sull’inchiesta Mose, culminata nella “Retata Storica” del 4 giugno 2014, ma iniziata ben sei anni prima con una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza nella sede di una cooperativa di Chioggia che lavorava per il Mose. Da lì gli autori ricostruiscono il filo della corruzione che avviluppa la storia recente di Venezia e del Veneto. Il 4 giugno – il blitz della Guardia di Finanza coordinato dai pm Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, scatta alle 4 del mattino – diventa dunque la data spartiacque, la data che segna l’inizio della fine per un sistema che si è dedicato al saccheggio dei soldi pubblici per oltre un decennio, utilizzando vari sistemi. Uno anche legale: il Consorzio Venezia Nuova infatti ha diritto per legge a una percentuale del 12% sull’ammontare dell’opera. Si chiamano “oneri di concessione” e siccome finora lo Stato italiano – e cioè i contribuenti – ha speso per il Mose 6 miliardi di euro, il Consorzio ha incassato del tutto lecitamente quasi 700 milioni. Si tratta di quattrini garantiti dalla Legge speciale per Venezia, che il presidente dell’autorità per la lotta alla corruzione, Raffaele Cantone, definisce «legge criminogena» perché affida a privati la gestione dei soldi pubblici. Da questa legge nasce anche il sistema delle tangenti, alimentato in parte dall’aggio del 12% riconosciuto al Consorzio Venezia Nuova e in parte dall’assenza, anche questa ammessa per legge, delle gare di appalto. E siccome le gare di appalto portano mediamente a un ribasso del 30% sulla cifra iniziale, tutte le opere del Mose sono state pagate un terzo in più del dovuto. Dalle casse del Consorzio – cioè dello Stato, cioè dalle tasche dei cittadini – è uscito un fiume in piena di denaro, che si è fermato solo il 4 giugno 2014. E adesso? Alla domanda sul futuro degli appalti pubblici risponde il procuratore aggiunto Carlo Nordio in una conversazione pubblicata nel libro di Amadori, Andolfatto e Dianese.

 

Incidente in villa Galan ricoverato: prognosi riservata

L’ex governatore si è accasciato nel giardino di casa colpito in testa dal ramo di un albero. Lo ha trovato la figlia in un lago di sangue. Trasportato in ospedale a Padova in elicottero

CINTO EUGANEO – Finito in acqua è stato colto da una leggera ipotermia

IN OSPEDALE – “Codice rosso” dopo la Tac: le condizioni non sono gravi

Il deputato del Pdl ai domiciliari era su una scala e stava effettuando una potatura

Frattura cranica per Galan colpito da un albero nella villa

É arrivato al pronto soccorso dell’ospedale civile di Padova con una frattura frontale del capo. L’ha rimediata potando i rami di un albero nella sua villa di Cinto Euganeo. Il ferito è Giancarlo Galan, il re dello scandalo Mose, finito agli arresti domiciliari il 9 ottobre dopo avere patteggiato due anni e dieci mesi. Ieri pomeriggio è uscito dalla villa con una scala e un paio di cesoie per andare nel parco. Si è arrampicato su un albero e poi qualcosa è andato storto. Da una prima ricostruzione dei fatti sembra che un grosso ramo spezzandosi abbia innescato la caduta di un altro albero, che con il tronco ha centrato in pieno Galan. L’ex governatore ha perso l’equilibrio cadendo dalla scala e finendo in una canaletta per l’irrigazione del giardino. A trovarlo a terra con la fronte insanguinata e mezzo bagnato è stata la figlioletta, che ha chiamato la mamma, Sandra Persegato, la quale a sua volta ha avvisato il 118. Proprio in quel momento, intorno alle quattro del pomeriggio, a Villa Rodella è arrivata una pattuglia dei carabinieri della compagnia di Abano Terme. I militari erano intervenuti, come tutti i giorni, per controllare se l’ex doge era effettivamente agli arresti domiciliari. I medici del Suem hanno accertato che le condizioni di Galan, nonostante sia stato sempre vigile, erano gravi e così hanno scelto di trasportarlo a Padova in elisoccorso. In un primo momento è entrato con un codice giallo, per cui media gravità, ma effettuata la Tac i medici hanno deciso di portarlo in area rossa. Hanno deciso di tenerlo sotto osservazione e intorno alle 19 è stato ricoverato nel reparto di Clinica chirurgica al terzo piano del Policlinico con una frattura del cranio. Sembra anche che abbia avuto una leggera ipotermia per essere caduto nell’acqua della canaletta e una contusione al fegato. Insieme a lui c’è sempre stata la moglie Sandra. Le sue condizioni di salute non sono comunque gravi. I carabinieri lo hanno sorvegliato dal sua trasporto in elisoccorso al ricovero nel letto di ospedale. Gli uomini dell’Arma ora lo piantoneranno, perchè l’ex Doge se pure ferito rimane agli arresti domiciliari. Giancarlo Galan non è nuovo a incidenti.

Nel lontano novembre del 1997, quando si trovava a Pola in Croazia con una delegazione della Regione, è scivolato su un gradino di un ristorante reso viscido dalla pioggia e si è fratturato una gamba. La mattina seguente è stato trasportato con un’ambulanza partita appositamente da Padova all’ospedale civile della città del Santo.

E poi lo scorso 5 luglio, ancora a villa Rodella, potando le sue rose si è fratturato tibia e perone. Un incidente adombrato da una serie di sospetti, proprio mentre la Camera decideva se concedere l’arresto dell’ex Doge. Tanto che il 12 luglio Galan si è presentato all’ospedale di Este, dove è stato ricoverato per una “sospetta embolia polmonare in paziente diabetico con trombosi venosa profonda in esiti di recente frattura arto inferiore sinistro”. Quindi giovedì 17 luglio Galan è stato trasferito a Medicina interna, sempre dell’ospedale di Este. Il giorno dopo da Milano è arrivato il cardiologo Giulio Melisurgo che ha visitato l’ex governatore privatamente e ha redatto una relazione. I nuovi documenti sono stati allegati, lunedì 21 luglio, alla nuova richiesta alla Camera di rinviare il voto sul suo arresto a causa del ricovero. Ma il colpo di scena è arrivato martedì 22 luglio, tre ore prima del dibattito a Montecitorio. Infatti l’ospedale ha deciso di dimettere Giancarlo Galan. Ingessato, è stato accompagnato a Villa Rodella da un’ambulanza e qui è stato arrestato, e trasportato nell’infermeria del carcere di Opera a Milano da dove è uscito, per andare agli arresti domiciliari, il 9 ottobre.

Marco Aldighieri

 

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