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LO SPECIALE – Inchiesta sul Mose spiati per tre anni dal grande fratello della Finanza

TESTI a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese

L’OMBRA DELLE TANGENTI A FINE FEBBRAIO 2013 «Decine di milioni sottratti all’erario per scopi illeciti»

AFFARI SOSPETTI – I sassi comprati in Croazia fanno un “giro” in Canada per arrivare in laguna

Dal 2009 al 2011 ricostruite le attività del Consorzio Venezia Nuova

I primi arresti arrivano nel 2013. Tutto parte da una coop di Chioggia

All’indomani dell’arresto di Baita, Minutillo, Colombelli e Buson, a fine febbraio 2013, il colonnello Nisi, senza mai pronunciare la parola tangenti commentò: «Una tale mole di denaro, si tratta di decine di milioni di euro, trafugata all’erario e all’economia legale ci autorizza a pensare che sia stata usata per degli scopi illeciti. E questa è il prossimo fronte che andremo ad aggredire. Perché fondi neri di queste dimensioni raramente sono finalizzati al godimento personale. L’esperienza ci insegna che spesso vengono veicolati verso la pubblica amministrazione, ma allo stato delle indagini non possiamo ancora sbilanciarci». Invece si era sbilanciato. Eccome.

 

LA SALETTA INTERCETTAZIONI E I PEDINAMENTI

Le vite degli indagati vissute da tanti finanzieri

È in Corso del Popolo a Mestre, angolo via Costa, che giorno dopo giorno, si materializza, fuor di metafora, l’intera inchiesta sul Mose. Il quartiere generale delle indagini è l’enorme palazzone al civico 55, diventato da pochi anni sede del Comando provinciale della Guardia di Finanza. Èal 5. piano dove viene depositato e catalogato tutto il materiale sequestrato nelle perquisizioni che si susseguono lontano il più delle volte dai clamori della cronaca. Dove è collocata la “saletta” intercettazioni con gli operatori inchiodati ore e ore nella trascrizione scrupolosa delle conversazioni: al pari del film “Le vite degli altri” vivono quelle degli indagati, conoscendo tutto di loro, meglio di loro. Giorni, settimane, mesi, anni sottratti alla propria di esistenza, agli affetti, compresi quelli dei bimbi: «Papà deve lavorare, dai non arrabbiarti, giocheremo un’altra volta?». Alle pareti, i disegni dei piccoli, le loro foto e anche gli schizzi tracciati dai loro padri nelle ore interminabili con le cuffie in testa, ad ascoltare e scrivere.
E poi ci sono anche i colleghi impegnati nei pedinamenti, inseguimenti, rilievi contabili, approfondimenti d’indagine, insostituibili nell’esaminare i documenti e nel collegare gli indizi per comporre il puzzle complicato e ragionato del “quadro probatorio”. Giani bifronti: esperti tributaristi e astuti sbirri. Ègrazie ai sacrifici di tutti loro, uomini e donne delle Fiamme gialle – riflette il colonnello Nisi – se si è potuto a dare granitiche (è l’aggettivo scelto dal gip) fondamenta all’ordinanza della retata storica. Per questi finanzieri come per i loro superiori il lavoro prosegue.

 

Renzo Nisi, Colonnello della Finanza – CORRUZIONE «Non c’è nulla di cui andar fieri nel trovare conferma di una corruzione così radicata»

Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia – IL BENE E IL MALE «Occorre ripartire dall’abc dell’etica, chiamando le cose per nome: il bene bene, il male male»

Carlo Nordio, Procuratore aggiunto – SOLDI NOSTRI «Qui le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini, dello Stato»

Raffaele Cantone, Autorità anticorruzione – INQUIETANTE «Quello che sta emergendo in questa vicenda è un sistema molto inquietante, ancor più di quello già grave venuto alla luce per Expo»

 

L’operazione Antenòra per alto tradimento

IL REDENTORE Lo scandalo al centro dell’omelia del patriarca «Preghiamo per la città»

Alto tradimento. Devastante anche solo pensarlo. Pensare cioè che la presunta talpa dei corrotti del Mose sia un ufficiale della stessa Finanza. Come si fa a pensare che un generale delle Fiamme gialle possa aver “tradito” la divisa? Ma quando negli investigatori si fa strada questa consapevolezza, ai Finanzieri non resta che rifugiarsi nella letteratura. Ecco perché l’inchiesta sul Mose la chiamano “operazione Antenòra”. Il rimando, dottissimo, è dantesco. Antenòra è il girone infernale in cui il Sommo poeta relega i “traditori dello Stato”. Il Mose ne conta troppi: magistrati, amministratori e funzionari pubblici, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E se Fiorello intona la “ballata del Mose”, il presidente del Governo, Matteo Renzi, stigmatizzando crudamente la neo Tangentopoli lagunare, invoca l’introduzione del reato – coincidenza fortuita? – di “alto tradimento”.

 

Il grande fratello delle Fiamme gialle li ha spiati per 3 anni

Un operatore al lavoro su una centralina telefonica pe le intercettazioni

Le indagini della Guardia di finanza di Venezia hanno portato alla luce una corruzione diffusa. Il sistema Mose, grazie a questa inchiesta, è entrato anche nel mirino della massima autorità contro la corruzione, il magistrato Raffaele Cantone, secondo il quale la vicenda Mose è peggio dell’Expo. Nelle tre puntate precedenti della nostra inchiesta abbiamo visto lo snodarsi dell’inchiesta fino agli arresti del 4 giugno 2014.

Indagini hi-tech quelle che hanno incastrato gli indagati del Mose. Microspie di ultima generazione posizionate in luoghi strategici per l’assidua frequentazione dei “soggetti attenzionati”. Fra i più immortalati nei filmati alcuni fidi gregari di Mazzacurati, Pio Savioli e Federico Sutto, il primo nel consiglio Consorzio Venezia Nuova e collaboratore del Coveco, il secondo dipendente del Consorzio Venezia Nuova e segretario personale del superpresidente, arrestati con Mazzacurati a luglio 2013 (Sutto anche a giugno 2014): le immagini li ritraggono mentre, secondo gli inquirenti, sarebbero intenti ad incassare e dispensare i fondi neri generati da buona parte delle imprese che fanno parte del Consorzio. Il colonnello Renzo Nisi le aveva già visionate nel febbraio 2013, prima di stringere le manette ai polsi di Baita per associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale.
La pietra rotola. A darle la prima spinta c’è l’attività investigativa tradizionale. Guai se così non fosse. E dunque, oltre alle intercettazioni, ecco i pedinamenti e gli appostamenti, con tanto di telecamere nelle mani dei pazienti finanzieri a fissare volti, contesti, passaggi di strane buste e valigette, i gps sotto le macchine per mappare gli spostamenti. Senza mai trascurare le “carte” che documentano movimenti di denaro, contabilità in nero, conti e investimenti esteri, fatture false o gonfiate. Tre anni in cui il “grande fratello” delle Fiamme Gialle ha restituito “su file” uno spaccato del Consorzio Venezia Nuova. Ed ecco che le informative di polizia giudiziaria, fondamentali per gli atti giudiziari successivi, risultano organizzate nella modalità ipertestuale per consentire ai magistrati l’immediato collegamento e riscontro di quanto scritto con le prove ora video, ora audio, ora su carta. Tre anni: 2009-2011.
Il capitolo finale del Mose è di là dall’essere scritto. Perché c’è ancora tanta documentazione al vaglio e poi ci saranno le confessioni degli indagati e le rivelazioni improvvise. Da cosa nasce cosa, come in una trama di musiliana fusione e confusione. Il Mose dunque ha ancora tanto da narrare. Procedimento penale n. 10105/09. Comunicazione di notizia di reato. Mestre (Ve) 07.07.2011: conta 740 pagine, oltre metà coperte da omissis, l’informativa firmata da Nisi depositata in Procura all’attenzione del pm Paola Tonini. Ci sono già tutti gli attori: quelli che verranno arrestati il 28 febbraio del 2013 (Baita, Minutillo, Colombelli, Buson), quelli che verranno arrestati il 13 luglio 2013 (Mazzacurati, Savioli, Sutto, i Boscolo Bacheto …), quelli che verranno arrestati il 4 giugno 2014 (Orsoni, Chisso, Brentan, Giordano, Tomarelli, Venuti, Casarin, Spaziante, Meneguzzo, Morbiolo, Marchese…).
C’è la genesi dell’inchiesta. Si parte da una normalissima verifica fiscale. È settembre 2009. «Da un paio di settimane a Venezia, presi visione delle ispezioni ancora aperte – racconta Nisi – e fra tutte mi colpì la verifica eseguita alla Cooperativa San Martino di Chioggia, della famiglia Boscolo Bacheto. Qualcosa non mi tornava nei bilanci».
L’azienda sta realizzando il Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e palancole. La San Martino compra in Croazia, ma i sassi e le palancole prima di arrivare in Italia fanno il giro del mondo, passando addirittura per il Canada, che non è proprio la via più breve dalla Croazia a Chioggia. Un “tour” che le Fiamme gialle rendicontano, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre 6 milioni di euro di “costi fantasma”. Di reale c’è solo il conto corrente in Austria dove vengono depositati i soldi con la mediazione di due società “cartiere”, una con sede a Villach, in Austria, e l’altra a Mestre. Come reali sono i viaggi che di tanto in tanto i Boscolo padre e figlio effettuano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portano? A chi serve? I finanzieri mettono le mani su una chiavetta Usb affidata alla segretaria della coop. Dentro c’è tutto, file dettagliati di tutto il “nero”.
«Dovetti farmi accompagnare in Procura, all’epoca ancora situata in Piazza San Marco perché – racconta Nisi – non sapevo arrivarci e fu lì che conobbi la dottoressa Tonini che mi diede fiducia e la delega a investigare. Il Mose? Ne avevo sentito parlare come tutti, ma del Consorzio Venezia Nuova e della potenza che rappresentava, devo ammetterlo, ero abbastanza all’oscuro». Questione di tempo perché del Consorzio Venezia Nuova, monarca e cortigiani compresi, la Finanza conoscerà ogni aspetto, ogni segreto. Ad aprire nuovi scenari, alcune intercettazioni di Brentan, l’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova, arrestato a gennaio 2012 per corruzione nell’ambito di alcuni lavori assegnati dalla Provincia, in cui affermava che la Mantovani di Baita, fra i soci di maggior peso dentro Consorzio Venezia Nuova e dentro la stessa società autostradale, poteva risolvere qualsiasi cosa. Capace di sconfiggere persino i concorrenti più blasonati sotto il campanile di San Marco come la Sacaim di Alessandro Alessandri (in seguito acquisita dalla Rizzani de Eccher spa). Un nome, quello di Alessandri, che la Finanza ritrova nella famosa Lista Pessina, l’avvocato svizzero che aiutò i suoi facoltosi clienti, almeno 500 schedati nel suo computer portatile, a occultare i propri guadagni nei caveau off shore dei paradisi fiscali. A coordinare i due fascicoli (Brentan e Pessina) il pm Stefano Ancilotto che comprende immediatamente il valore della posta in gioco. A far quadrare il cerchio, il controllo tributario nella sede amministrativa della Mantovani, avviato dai finanzieri guidati dal tenente colonello Giovanni Parascandolo.
Il resto è cronaca recente.
«Sostenere che sono soddisfatto di quanto abbiamo portato alla luce è difficile. Non c’è nulla di cui andar fieri nel trovare conferma di una corruzione così radicata, presente, e minuta, tale da assumere carattere patologico». Suona come un epitaffio il saluto di Nisi alla città il 5 settembre 2013.
E di patologia parlerà anche il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, a Venezia il 17 luglio 2014 per toccare con mano l’attuale gestione del Mose. Il 5 giugno aveva dichiarato: «Quello che sta emergendo in questa vicenda, che ovviamente deve essere vagliata dalla magistratura, è un sistema molto inquietante, ancor più di quello già grave venuto alla luce per Expo». E il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio denuncerà con forza l’odiosa peculiarità del caso Mose: «Qui le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini, dello Stato».
Il Mose: nato sull’onda emergenziale dell’acqua granda del 1966, iniziato nel 1984 e non ancora terminato. Corruzione. Patologia. Epidemia. La peste del XXI secolo. «Preghiamo per la nostra città. In questo momento è particolarmente necessario. Il riferimento va ai fatti di cronaca, che in questi mesi hanno posto Venezia alla ribalta». Inizia così l’omelia del patriarca Francesco Moraglia durante la messa solenne che alle 19 di sabato 19 luglio ha dato avvio alla Festa del Redentore, in ricordo della costruzione dell’omonima chiesa, quale ex voto per la liberazione del morbo che flagellò la città da 1575 al 1577. Così la celebrazione di una delle tradizioni irrinunciabili per i veneziani detta lo spunto per un severo richiamo alla responsabilità di fedeli e di cittadini e per una austera strigliata ai politici: «Occorre ripartire dall’abc dell’etica, chiamando le cose per nome: il bene bene, il male male».
Il caldo è torrido nel primo tardo pomeriggio di vera estate di un luglio, quello del 2014, che Venezia ricorderà a lungo. Accanto a Moraglia, a tagliare il nastro del ponte votivo che collega le Zattere alla Giudecca, non c’è il sindaco, dimissionario dopo l’arresto, bensì il commissario prefettizio nominato per traghettare Ca’ Farsetti alle elezioni. Il rito religioso lascia spazio a quello laico della cena in barca o sui tavoli in riva in attesa del grandioso spettacolo pirotecnico. I botti continuano a ritmo cadenzato. È la notte dei fuochi.

4 – Continua (Le precedenti puntate sono state pubblicate il 10, 15 e 17 agosto)

 

LE CONFESSIONI DI BAITA, MAZZACURATI E MINUTILLO

CASO MOSE – Dal Riesame di Milano sul caso Milanese le conferme della fondatezza dell’inchiesta lagunare

«Il Consorzio, sistema illecito»

I giudici: così fu creata una rete per avere appoggi e complicità da politici, tecnici e burocrati

«Sono credibili e hanno confermato quanto già raccolto dagli inquirenti»

Era un «sistema a sfondo illecito» quello creato dal Consorzio Venezia Nuova «per la creazione di una rete di appoggi, connivenze e complicità, in grado di creare provviste extracontabili di pronto utilizzo per il pagamento di somme a esponenti della pubblica amministrazione a diversi livelli – politici, burocratici, tecnici, di controlo»
È il Tribunale del riesame di Milano a fornire un’ulteriore conferma al quadro probatorio delineato dalla Procura di Venezia nell’inchiesta sulle presunte “mazzette” per i lavori del Mose. Un “sistema” che prevedeva pagamenti «anche a prescindere dall’ottenimento di specifici risultati (comunque parallelamente perseguiti a seconda delle emergenze e delle esigenze) che comunque garantissero al Cvn di proseguire nelle proprie attività».
«SISTEMA ILLECITO» – I magistrati lombardi si stanno occupando dello stralcio delle indagini relative a Mario Milanese (all’epoca stretto colaboratore del ministro dell’economia, Giulio Tremonti) e al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, entrambi accusati di corruzione: il primo in relazione a 500mila euro che l’ex presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, dice di avergli versato per ottenere il via libera ad alcuni fondi per il Mose; il secondo a presunte mazzette (altri 500mila euro, su 2milioni promessi) in cambio di informazioni riservate sull’indagine all’epoca appena avviata dalla Guardia di Finanza.
LE VIOLAZIONI FISCALI – Nell’ordinanza di 32 pagine con cui due settimane fa è stato confermato il carcere per Milanese, è effettuata un’analisi complessiva sulla fondatezza dell’inchiesta Mose: a convincere i giudici di Milano della solidità del quadro probatorio vi è innanzituto il fatto che «le indagini nascono a prescindere da dichiarazioni di chiamanti in correità, ed attengono a fatti posti a fondamento degli “strumenti” a disposizione della “struttura”: le violazioni di natura tributaria ed altri meccanismi fraudolenti che consentono di disporre di una cassa di fondi “neri” per la gestione illecita della “macchina” – come definita da Piergiorgio Baita», ex presidente della Mantovani.
Insomma, a fondamento delle accuse ci sono innanzitutto dati oggettivi, acquisiti nel corso dell’accertamento fiscale a carico di Mantovani e Cvm; elementi che poi «si arricchiscono, con le intercettazioni telefoniche e ambientali, con le voci dirette dei soggetti che mantengono in vita la struttura e la alimentano, costribuendo a delineare episodi – oltre che la trama generale – specifici, ricostruiti a prescidenre dalle dichiarazioni successive dei chiamanti in correità», scrive il Riesame di Milano.
CONFESSIONI CREDIBILI – Le confessioni di Mazzacurati, Baita e Claudia Minutillo (ex segretaria dellallora Governatore del Veneto, Giancarlo Galan) nonché degli altri indagati che hanno collaborato con la Procura di Venezia, costituiscono un successivo riscontro ad «elementi già a disposizione degli inquirenti»: circostanza che rafforza la loro credibilità e attendibilità.
Il Riesame di Milano scrive che è assai difficile ipozzare che «una volta divenuta nota a Mazzacurati la mole di informazioni a disposizione degli inquirenti, egli abbia potuto in qualche modo “manipolare” tali elementi per accusare soggetti “estranei” e proteggerne altri». E rilevano che le dichiarazioni di Baita non sono in contraddizione con quelle di Mazzacurati. Analoghe conclusioni a cui è giunto il Riesame di Venezia nel confermare il carcere per Galan, per l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso e per altri indagati che, secondo gli inquirenti, hanno avuto un ruolo di primo piano nei vari episodi di corruzione. L’inchiesta nel frattempo prosegue e, dopo l’estate, non è escluso che possano giungere nuove sorprese.

Gianluca Amadori

 

L’INCHIESTA MOSE – Nuovi guai in arrivo per Galan e Chisso. Nel mirino i favori alla Mantovani

Impresa di costruzioni lombarda denuncia la “turbativa d’asta” nelle procedure di project financing

Nuovi possibili guai in arrivo per l’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan e per l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso. Il titolare di un’importante impresa di costruzioni lombarda ha depositato nei giorni scorsi una querela ipotizzando il reato di turbativa d’asta in relazione ad una delle procedure di project financing avviate in passato dalla Regione Veneto, alla quale l’azienda sostiene di aver partecipato e di essere stata ingiustamente esclusa: a suo avviso a causa dei presunti accordi illeciti finalizzati ad agevolare la Mantovani spa, accordi confessati dall’allora amministratore delegato, Piergiorgio Baita.
La denuncia è finita sul tavolo del pool di magistrati che coordinano le indagini sul cosiddetto “sistema Mose”, i sostituti procuratore Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, e la Guardia di Finanza ha già avviato i primi accertamenti. L’impresa lombarda ha deciso di formalizzare un esposto a seguito di quanto emerso durante le indagini, concretizzatesi lo scorso giugno con l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti sia di Galan che di Chisso, accusati entrambi di corruzione e tuttora in carcere. Con molte probabilità, l’azione sul fronte penale è il primo passo in attesa di una successiva iniziativa civilistica, finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’esclusione dei lavori.
Nessun dettaglio è trapelato, né sul nome dell’impresa di costruzioni che ha presentato denuncia, né sul “project” finito nel mirino: in Procura si trincerano dietro un deciso “no comment” in attesa dei risultati dei primi approfondimenti. L’azienda lombarda potrebbe essere la prima di una lunga serie di società a ritenersi danneggiata dal sistema delle presunte “mazzette”.
Una delle accuse per le quali Galan e Chisso sono finiti in carcere vi è il fatto che Baita “regalò” ad entrambi quote di “Adria Infrastrutture”, la società con cui il gruppo Mantovani partecipava ai “project”. A Chisso, successivamente, Baita riacquistò le stesse quote per un controvalore di due milioni di euro. Galan, nei suoi memoriali difensivi, ha sempre negato di essersi mai occupato di project financing, né di aver agevolato la Mantovani. «Lo stesso Baita afferma che io non mi sono mai adoperato per avvantaggiare, agevolare o favorire una sua società nell’ambito della finanza di progetto», scrive l’ex governatore, facendo notare come i progetti di Baita fossero tutti ancora fermi. Il Tribunale del riesame di Venezia ha puntualizzato, però, come nella procedura di project financing sia sufficiente la dichiarazione di utilità delle opere progettate: in tal modo la Mantovani, a differenza delle società escluse, ha già ottenuto il rientro dei costi di progettazione delle medesime, in attesa della futura eventuale realizzazione.

 

SCANDALO MOSE – Mazzacurati sarà interrogato in video dagli Usa

VENEZIA – Il filone dell’inchiesta Mose riguardante l’ex ministro Altero Matteoli indagato per corruzione

Si farà in videoconferenza, dagli Stati Uniti, l’interrogatorio dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, richiesto dall’ex ministro Altero Matteoli, accusato di aver incassato “mazzette” in relazione alle opere di disinquinamento di Marghera. L’autorità giudiziaria statunitense sta predisponendo il necessario per l’audizione che si svolgerà nel prossimo mese di settembre: Mazzacurati si trova, infatti, in California e le sue condizioni di salute non gli consentono di rientrare. L’interrogatorio, alla presenza di difesa e accusa, si svolgerà limitatamente alla posizione di Matteoli, di cui si sta occupando il Tribunale dei ministri.
Nel frattempo resta in carcere […………………..], importante socio del Cvn, accusato di corruzione, finanziamento illecito e false fatture nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Il gip di Venezia, Roberta Marchiori, ha rigettato sabato scorso l’istanza di concessione degli arresti domiciliari presentata dai suoi difensori, gli avvocati Renato Alberini e Carlo Marchiolo. Per uscire dal carcere, […..] ha rinunciato a tutti i suoi beni (le quote nelle società Grandi lavori Fincosit e della Italholding) il cui usufrutto quinquennale è stato ceduto dall’imprenditore – con atto stipulato davanti ad un notaio che gli ha fatto visita in cella – per dimostrare ai magistrati di non avere più alcun “interesse” nella gestione aziendale e, di conseguenza, di aver cancellato il rischio di commettere altri reati dello stesso tipo. La stessa Procura aveva dato parere contrario alla concessione dei domiciliari, ritenendo che le esigenze cautelari non siano venute meno, alla luce della rete di relazioni e contatti intrattenute da […….].
Duro il commento dei legali dell’imprenditore i quali hanno annunciato che presenteranno appello: «La misura cautelare non deve diventare un mezzo di pressione per indurre confessioni o delazioni – hanno dichiarato gli avvocati Alberini e Marchiolo – Il nostro assistito è incensurato e gli sono stati sequestrati beni per 18 milioni di euro: non c’è motivo per cui la custodia cautelare debba proseguire».

Gianluca Amadori

 

Gazzettino – Terza puntata dell’inchiesta Mose.

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17

ago

2014

LE REGOLE NON SCRITTE DEL MOSE

Retrocessioni e garanzia di lavoro per le consorziate

Chi sono gli investigatori che hanno sgominato la banda del Mose. Il tratto comune: lavorare nell’ombra. E colpire al momento giusto

Il mago dei numeri il pianificatore e il trasformista

È l’ingegnere Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova a spiegare a Baita come va il mondo dalle parte del Mose. Ad afferamrlo è lo stesso Baita nell’interrogatorio del 28 maggio 2013. Si conoscono dagli anni Settanta quando lavoravano insieme alla Furlanis di Portogruaro. Si ritrovano in Cvn nel 2002: «L’ing Mazzcurati mi ha chiamato e mi ha detto se ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Cvn, cioè impegni chiamiamoli non trasferibili in atti statutari. Gli impegni di cui mi fece parola erano due: uno relativo alla retrocessione di un certo importo… Il secondo impegno era di garantire a un’impresa consorziata del Consorzio, l’impresa Vittadello, il lavoro».

 

Terza puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di Finanza, l’investigatore che ha incastrato i “padroni di Venezia”.

4 GIUGNO – I finanzieri tra case e hotel per eseguire gli arresti eccellenti

La squadra di Nisi. Difficile nominare uno a uno tutti coloro che l’hanno temprata. Da citare chi con l’incarico di comandante dei diversi Gruppi del Nucleo ha svolto le indagini più delicate. Paolo Zemello, alla guida del Gruppo tutela spesa pubblica, Roberto Ribaudo, comandante del 1. Gruppo tutela entrate, e Nicola Sibilia, a capo del Gruppo investigativo criminalità organizzata: sono loro a costituire il team d’assalto di Nisi. Personalità diverse e per certi versi opposte che si completano a vicenda per capacità, competenza, impegno. Serietà. Autorevolezza. Che condividono la stessa visione di lotta alla illegalità e che hanno trovato in Francesco De Giacomo, capo ufficio operazioni, un coordinatore abile nell’armonizzare temperamenti, nel far girare i complessi meccanismi interni, gettando le basi per una circolarità di informazioni rivelatasi vincente. Anche con la stampa, nella sua veste di responsabile dei rapporti con i mass media: in parte è merito suo se si è sdoganata la banda del Mose facendole sbiadire quell’orizzonte provinciale e territoriale cui la volevano relegare e schiacciare i leader medesimi. «Cosa altro deve succedere perché se ne parli a Roma, a Milano, fuori dalla laguna?», si sono chiesti a più riprese Nisi e i suoi: nemmeno l’arresto di Mazzacurati aveva prodotto l’effetto sperato. Si è dovuto attendere il 4 giugno 2014: da allora basta dire Mose, al pari di Expo, per connotare il servizio tv o radiofonico, il talk show di turno. Mai come in questo frangente la sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso tutti i mezzi di comunicazione ha messo definitivamente al riparo l’inchiesta e i suoi registi, in primis i giudici.

L’ARRESTO DI MAZZACURATI
Ribaudo, severo e intransigente, taciturno e discreto, nato a Merano, è quasi spietato nel perseguire l’obiettivo prefissato: ha fatto suo il motto di Helmuth Karl Bernhard von Moltke, stratega feldmaresciallo dell’esercito prussiano, che ci permettiamo di tradurre dal tedesco come segue: “Nessun piano di battaglia sopravvive al primo contatto con il nemico”, a significare che quasi mai l’attacco iniziale è quello decisivo. Anzi. Ne sanno qualcosa Giovanni Mazzacurati, ex presidente di Cvn e i sodali braccati come delle prede per quasi tre anni, fino alla zampata dell’estate 2013 che ha segnato il count down per gli arresti eccellenti di quasi dieci mesi più tardi. Blanditi, rassicurati, di nuovo blanditi, con accorti stratagemmi tanto da farli cadere dalle nuvole all’atto della presentazione del conto. Teorico del basso profilo, si saprà ufficialmente della sua, per così dire, immissione in ruolo a Venezia – giunto dalla capitale tre anni prima – proprio durante la conferenza stampa sulla decimazione del Cvn. È seduto vicino a Nisi che gli dà la parola per «illustrare i particolari». Sardonico confida: «Il miglior complimento? Quello dei cronisti di giudiziaria che incontravo quasi quotidianamente nei corridoi in Procura mentre mi recavo dalla dottoressa Tonini per depositare le carte e per fare il punto sulle indagini. Mi avevano scambiato per un avvocato…». Bisogna ammetterlo, il ‘physique du rôle’ del legale lo possiede in pieno. E poi il mimetismo è una delle doti indispensabili nella guerra di logoramento. Chissà, sarà incocciato nello stesso equivoco anche Mazzacurati quando la mattina di venerdì 12 luglio 2013 quel ragazzo distinto e dai modi signorili si è presentato alla porta della dimora gentilizia alle Zattere, informando l’ottuagenario inquilino che quella casa si sarebbe trasformata in una prigione, per quanto dorata: Mazzacurati ne potrà uscire solo l’8 agosto. Quando cioè comincerà a “parlare”, riempiendo un centinaio di pagine a verbale, rispondendo alle domande puntuali della “signora” – così si riferisce alla pm Tonini, nell’intercettazione grazie a cui i finanzieri apprenderanno che fra di loro c’è una talpa – gettando le basi per la fase tre dell’inchiesta: l’arresto dei presunti prezzolati del Mose. Ribaudo è a Milano il 4 giugno del 2014: alle sue cure è affidato il numero 28 della lista stilata dal gip Scaramuzza, il vicentino Roberto Meneguzzo, specie di enfant prodige della finanza – tanto da guadagnarsi l’appellativo (immeritato?) di Cuccia del Nordest – fondatore e amministratore delegato della Palladio Finanziaria, holding azionista di peso di Generali. Stando alle contestazioni è il trait d’union fra Venezia e Roma, fra il Cvn e gli uffici che contano nella capitale: il tramite per agganciare Marco Milanese, allora braccio destro del ministro all’Economia Giulio Tremonti, e sbloccare la delibera con cui il Cipe nel 2010 assicura l’approdo al Mose del finanziamento di 400 milioni di euro, dietro “ricompensa” di 500mila euro. E Meneguzzo sarebbe anche il collegamento con il generale Emilio Spaziante che avrebbe ricevuto la mazzetta da mezzo milione nell’ufficio meneghino della Palladio. Sarà un caso ma anche Meneguzzo viene arrestato nello stesso albergo dove, a Milano, alloggia, qualche piano sopra, Spaziante.

L’ARRESTO DI CHISSO
Sibilia, romano, cittadino del mondo. Camaleontico: lo incontri passeggiando in campo in centro storico e lo scambi per un commerciante ebreo, barba lunga a punta e cappello, passa qualche mese e assomiglia a un dandy futurista, e poi ancora un emulo vintage della moda freak. E poi i tatuaggi che no, su un graduato delle Fiamme gialle, non si può. Ma tutto è calcolato, spariscono come per magia indossata la divisa. Un eclettismo esistenziale che traspare nel modo di indagare: è lui che importa da Trieste, comando di provenienza, e propone a Nisi, la figura dell’agente sotto copertura che si insinua nel circolo ristretto dei fidatissimi di Keke Pan e raccoglie le prove schiaccianti che inchioderanno alla cella, l’ormai ex boss dagli occhi a mandorla. Un segugio di razza, dall’indole gioviale e volitiva, che condotto da Nisi impara a fiutare oltre ai cartelli della droga, per i quali ha una vera predilezione, anche quelli “dei schei” facili e pubblici come quelli del Mose. Sotto l’ala del pm Ancilotto dà sostanza all’inchiesta su Baita: ed è proprio lui che suonerà all’ingresso della villa di Mogliano all’alba del 28 febbraio 2013 con l’ordinanza di custodia cautelare in mano firmata dal gip Scaramuzza, buttando giù dal letto il dominus di Mantovani spa e socio pesante e pensante di Cvn e scortandolo, terminata la perquisizione al Baltenig di Belluno, dove rimarrà detenuto per 106 giorni. All’alba di mercoledì 4 giugno 2014 Sibilia si trova a Favaro, hinterland mestrino. Al citofono del condominio gli risponde un signore assonnato e frastornato: è l’assessore regionale Chisso. Mentre il 31 gennaio 2012 guida i suoi uomini a Campolongo Maggiore, paesino della Riviera del Brenta, diventato famoso per aver dato i natali al boss della mala Felice Maniero. L’indirizzo è via Puccini 10: l’abitazione di Lino Brentan, fino al 2009 amministratore della società Autostrada Venezia-Padova, storico notabile del Pci-Pd veneziano, presunto referente di un “collaudato sistema” di gestione clientelare di appalti per favorire un cartello di imprenditori amici dediti alla corruzione. Un altro potente nella rete grigioverde. Processato con rito abbreviato sarà condannato a quattro anni. L’arresto bis il 4 giugno 2014 con la grande retata del Mose.

3 – Continua (Le precedenti puntate sono state pubblicate il 10 e il 15 agosto)

TESTI a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto, Maurizio Dianese

 

28 MAGGIO 2013 / L’INTERROGATORIO CHIAVE

Baita: «Mazzette per venti milioni di euro»

«Il giorno 28 maggio 2013 alle ore 15.25, in Venezia, presso gli uffici della Procura della Repubblica, avanti ai Pubblici Ministeri Dott. Stefano Ancilotto e Dott. Stefano Buccini, Sost. Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, è comparso: BAITA Piergiorgio, nato a Venezia il 18/8/1948, residente in Mogliano Veneto, via Rimini, 6/A. Detenuto presso la Casa Circondariale di Belluno». Inizia così l’interrogatorio che darà il “la” alle indagini sul Mose. Piergiorgio Baita era stato arrestato il 28 febbraio 2013. Prima del 28 maggio aveva già fatto un paio di interrogatori “pattinando sul ghiaccio” e cioè dicendo il meno possibile cercando di giocare come il gatto con il topo. Ma dopo si rende conto che il topo è lui. E inizia a parlare. Parla per 4 ore esatte, dalle 15.25 alle 19.20 del 28 maggio e riempie 115 pagine di verbale. Poi renderà altri 6 interrogatori, ma in questo del 28 maggio sostanzialmente racconta già tutto e quel che impressiona è il conteggio finale che fa Baita il quale parla di “mazzette” per una ventina di milioni di euro in 10 anni ai quali bisogna aggiungere centinaia di milioni di euro in “liberalità” e cioè quattrini dati per sponsorizzare una squadra di basket e il restauro di un convento, una scuola del Patriarcato di Venezia o una regata velica. Il conto totale, fatto dall’ing. Baita fa lievitare la cifra dei quattrini che i cittadini hanno sborsato ad 1 miliardo di euro. Si inizia così: «Credo di cominciare dal 2002, anno nel quale la Mantovani compie un salto di dimensioni e anche di collocazione di mercato… ». E in quell’anno che Mantovani con un investimento di 70 milioni di euro acquista da Impregilo e Fisia la partecipazione al Consorzio Venezia Nuova, diventandone il socio più grosso.

 

 

Seconda puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di finanza, svegliato alle 4 del mattino del 4 luglio 2014 da un sms: «Ci siamo».

I POTERI FORTI – Dalle verifiche dei bilanci di una coop di Chioggia alla scoperta dei fondi neri dello scandalo-Mose

L’UFFICIALE – Esperto di fisco, si era occupato delle plusvalenze di Inter e Milan e del crac della Popolare di Lodi

ACCUSATO E ACCUSATORE – Piergiorgio Baita, classe 1948, ex patron della Mantovani spa, le sue rivelazioni hanno contribuito alla Retata storica

L’investigatore che ha incastrato i padroni di Venezia

Il colonnello Nisi ha condotto le indagini fino al trasferimento a Roma «Solo un avvicendamento di carriera. Non lo nascondo, ero sfinito»

Il cellulare squilla: «Sia gentile, non insista. Non mi occupo più delle indagini. Non è con me che deve parlare». Il tono è garbato, ma fermo. Il colonnello Renzo Nisi, preme per l’ennesima volta il tasto di fine conversazione del suo smartphone. Un assedio, quello dei giornalisti, cui si sottrae con sottile compiacimento. E correttezza: l’uomo dell’inchiesta sul Mose? Non più. La titolarità investigativa ora è di altri e c’è una scala gerarchica con cui confrontarsi. Il cellulare continua a squillare. Risponde a chi “riconosce”. Sul display in rapida successione i nomi di Luigi Delpino, procuratore capo di Venezia, dell’aggiunto Carlo Nordio, dei sostituti Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Stefano Buccini, i magistrati che, dandogli fiducia, hanno dato corpo e concretezza alle ipotesi accusatorie. Si era partiti da un giro di fatture false, emerso analizzando i bilanci di una cooperativa chioggiotta – la San Martino – e si era approdati ai fondi neri del Mose. Tanti soldi per narcotizzare i controllori e comprare il consenso attraverso elargizioni a enti pubblici, privati, religiosi, associazioni, club, fondazioni.

IL TRASFERIMENTO A ROMA

Più di qualcuno aveva letto il suo trasferimento a Roma come una sorta di rimozione per affossare l’inchiesta. «Una liberazione» la parola quasi gli sfugge dall’increspatura sulle labbra sottili indugiando con la memoria a quei giorni difficili, opachi, ostili. Ma che ne sanno della fatica, della pressione, della tensione, delle subdole intimidazioni, del timore mai sopito che potesse accadere qualcosa di irreparabile? Davide contro Golia. Quando lo scontro è con i poteri forti non ci sono esclusioni di colpi. Lo sa bene. Ci ha messo del tempo a realizzare l’esatta portata della partita che stava giocando, la capacità offensiva dei “padroni ombra” di Venezia. Avevano agito nel e dal profondo occupando spazi, poltrone, palazzi, al riparo da sguardi indiscreti come possono essere quelli dell’opinione pubblica, del “popolino” alle cui spalle si sono ingrassati con l’ingordigia di chi si sente onnipotente. Vivendo in un mondo parallelo sprezzante e offensivo per chi tira avanti col proprio stipendio e magari rischia anche la pelle per portare a casa ogni mese mille euro, se va bene duemila, e si ritrova a dire più no che sì ai desideri dei figli. Un mondo in cui trova posto pure una Spectre, una capillare rete di controspionaggio – in cui pullulano i doppiogiochisti – per neutralizzare chi osa disturbare il manovratore.

L’INGEGNERE E IL REGISTA

«Mazzacurati chi? Il regista?», si era sentito ribattere quando aveva dato la notizia dell’arresto del sovrano del Cvn. No, era il padre di Carlo. Questo Mazzacurati, compianto cantore – è stato stroncato dalla malattia il 22 gennaio 2014 – della terra veneta, dei suoi valori e della sua gente autentica, tanto nelle virtù quanto nei vizi, ha diretto film dalla rara e struggente poetica universale e nel contempo severa e lucida. L’altro Mazzacurati, Giovanni, ingegnere intelligente, brillante, spregiudicato, diventato, a insaputa della stessa gente ritratta dal figlio, fra i personaggi più influenti d’Italia, capace di interloquire alla pari con presidenti di regione, ministri e capi di governo, boiardi di Stato e alte cariche ecclesiastiche, capitani d’industria, docenti universitari. Un potere carsico, secondo le accuse, nato e cresciuto disponendo e spendendo soldi pubblici, milioni, miliardi: 6 e mezzo l’ammontare definitivo per il Mose. Un perfetto sconosciuto. All’esterno della holding clandestina fa più rumore il nome di Piergiorgio Baita, onnipresente nelle opere cruciali e più dispendiose della regione, fautore del project financing sposato senza riserve da Galan e Chisso. «Lo ripeto io non sono l’inchiesta e il mio trasferimento si inserisce nel naturale avvicendamento di carriera che vede gli incarichi di comando ruotare circa ogni tre anni. Quando il generale Giancarlo Pezzuto mi chiamò a maggio 2013 non potevo rappresentargli, per dovere d’ufficio, ciò su cui stavamo investigando. D’altronde Baita fuori dal Veneto non era annoverato fra i soliti noti. E io, io – esita – non lo nascondo, ero sfinito. A Pezzuto chiesi solo una proroga di un paio di mesi e me li concesse sulla base di una indiscussa stima reciproca». Giusto il tempo di eseguire le ordinanze di custodia cautelare a carico di Mazzacurati & Co.

L’ARRIVO A VENEZIA

La memoria va al luglio 2009. Nisi è appena approdato in laguna. Arriva da Milano a ridosso del suo 42. compleanno. Il trasloco, la famiglia, l’iscrizione a scuola per il “grande”‘ al liceo e per il “piccolo” all’asilo. A Venezia c’era stato una sola volta in gita con la moglie. Le ossa in grigioverde se l’era fatte per lo più in terra lombarda. Ma con i gradi da colonnello, nella regione al tempo comandata dal generale Spaziante per Renzo Nisi, non c’era posto. «Che dice di Venezia?». Si può fare. In fin dei conti poteva andare peggio dal punto di vista logistico, s’intende. Esperto in fiscalità internazionale, dal 2003 sotto la “madonnina” era stato alla guida del Gruppo verifiche speciali firmando, fra le altre, le indagini sui “colletti bianchi”, sulla false plusvalenze di Milan e Inter, sul crac della ex Popolare di Lodi, sull’anomala operatività della marocchina Wafa Bank, sul gruppo di consulenza finanziaria Mythos Arkè. È il biglietto da visita con cui si presenta a condurre il Nucleo di Polizia tributaria veneziano: un pedigree di uno che non molla, di uno che non teme il confronto nemmeno con i colossi, di uno che va fino in fondo a costo di andarci a fondo. Dalla sua ha una competenza invidiabile e una condotta lineare dentro e fuori la caserma.

IL CALCIO E LE REGOLE

Per Nisi scatta un percorso a ostacoli, peggio, cosparso addirittura di trappole interne, che metterà a dura prova la tenuta del pool di investigatori che lo affiancherà. Uno staff che gli piace definire «nato da una congiuntura astrale insondabile con il risultato stupefacente di consentire di mettere a punto una macchina in grado di sviluppare al massimo le potenzialità intrinseche». Lui che alle coincidenze non ha mai dato peso e che a Venezia, malgrado le sue resistenze, viene catturato dalla malìa di una città accogliente e al contempo escludente, capace di farti sentire ospite gradito e intruso impiccione. È uno, il colonello Nisi, che crede nella squadra intesa come amalgama coeso di umanità, professionalità, specializzazione, talento. E non a caso usa spesso metafore calcistiche quando riferisce delle attività svolte: tattica, melina, contrattacco, affondo, vittoria. Giusta distanza. Nisi non dimentica mai il patto siglato all’ingresso nelle Fiamme Gialle: il rispetto della legge. Prima di tutto. Le regole. Per lui un imperativo morale che lo ha posto al riparo tanto dalle lusinghe quanto dalle intimidazioni. È un buon allenatore. Insegna e pratica il rigore e, pirandellianamente, il piacere dell’onestà. Già l’onestà. Una parola che suona ironica, fuori tempo, démodé nella “Venezia circo barnum” del Mose.

IN VENDITA. NON TUTTI

Banalmente Nisi dà il buon esempio. E sceglie chi reputa simile nell’intimo e capace investigatore.
In vendita. Non tutti. Non pochi. Nei “palazzi” delle inchieste più clamorose condotte dalla Guardia di Finanza a Venezia, luoghi in cui si dovrebbe tutelare la collettività: Ca’ Corner, Ca’ Farsetti, Ca’ Balbi. Corruzione patologica, che salta fuori anche quando viene spodestato “il re di via Piave”, al secolo Keke Luca Pan, cittadino cinese naturalizzato mestrino – condannato a sette anni e otto mesi di reclusione – che nel giro di un quinquennio è riuscito a sottomettere ai suoi diktat di malavitoso l’area contigua alla stazione ferroviaria di Mestre fondando un impero immobiliare: interi condomini, centri massaggi, alberghi, negozi, a lui riconducibili. Nessuno poteva metter piede nel suo regno senza il benestare del sovrano. Prostituzione, immigrazione clandestina, falsi permessi di soggiorno, minacce: e a libro paga funzionari comunali, vigili urbani, forze dell’ordine. Tutti sapevano. C’è voluta la felice intuizione dell’agente infiltrato per smascherare affari e connivenze. «È una delle operazioni che ricorderò con più nostalgia – confesserà Nisi nell’accomiatarsi da Venezia ai primi settembre del 2013 – poiché ha avuto un effetto immediato sulla gente comune. L’abbiamo considerata una sorta di regalo alla città perché siamo riusciti a restituire ai residenti, attraverso la confisca dei beni di proprietà di Pan, un quartiere che ormai era diventato una sorta di zona franca». Un’altra data memorabile quel 13 dicembre 2012 con il blitz dei finanzieri accolto dagli applausi dei cittadini che festeggiavano l’invocata e avvenuta “liberazione”.

(Continua domenica 17 agosto)

 

DEI 50 INDAGATI

Per Orsoni, Marchese e Sartori solo finanziamento illecito

L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese e l’ex eurodeputato Lia Sartori sono accusati solo di finanziamento illecito ai partiti. Gli altri indagati invece devono rispondere di corruzione. Si tratta di reati diversi (il finanziamento illecito è meno grave e non prevede come contropartita un atto specifico), anche se l’inchiesta è unica e viene indicata come inchiesta sul Mose. Giorgio Orsoni proclama la sua estraneità all’accusa e ha deciso di difendersi a processo; Giampietro Marchese, pur dicendosi innocente, ha chiesto di patteggiare la pena e si è accordato per 11 mesi di reclusione con la sospensione condizionale; Lia Sartori nega ed è ancora agli arresti domiciliari.

 

IL MEMORIALE – Mazzacurati: ecco chi riceveva denaro dal Consorzio (Dal memoriale dell’ingegner Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova)

… Dal 2004 e sino al 2006 il referente politico per le attività relative al Sistema Mose è stato il Sen. Ugo Martinat, allora Vice Ministro con specifica delega alle Infrastrutture Strategiche. Il Sen. Martinat subordinava la dovuta allocazione dei finanziamenti alla dazione di somme di denaro. Mi pare di aver versato al Sen. Martinat circa 400 mila euro. All’epoca era previsto che il Sistema Mose fosse completato entro l’anno 2010. Il Sen. Martinat è deceduto nel 2009. … Successivamente, il dottor Meneguzzo mi metteva in contatto con l’On. Milanese, che si presentava quale soggetto direttamente competente, sul piano politico, a gestire le questioni del finanziamento delle opere alle bocche di porto. In sostanza, l’On. Milanese rappresentava che avrebbe assicurato i finanziamenti … solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500 mila euro. Successivamente, il dottor Meneguzzo mi presentò il Generale Spaziante… Mi veniva, pertanto, richiesta dal Gen. Spaziante una somma particolarmente rilevante (circa 2 milioni di euro). Ho versato al Gen. Spaziante complessivamente 500 mila euro in due occasioni in Roma … Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013 ho versato dei denari all’On. Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana. Nel periodo 2001-2008 sono stati versati all’ing. Maria Giovanna Piva circa 150/200 mila euro all’anno. Per quanto posso ricordare ho versato, a sostegno delle diverse campagne elettorali, somme all’ avv. Ugo Bergamo, al sig. Giampietro Marchese, al prof. Giorgio Orsoni.

 

Gazzettino – Mose, caccia al tesoro in Moldavia

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14

ago

2014

TANGENTI Intanto anche Neri, collaboratore stretto di Mazzacurati, ha chiesto il patteggiamento

Mose, caccia al tesoro in Moldavia

La Procura sospetta che parte dei proventi delle mazzette sia nascosta in conti segreti all’estero

INCHIESTA – Si spostano all’estero le indagini sulle tangenti legate alla costruzione del Mose: i giudici sospettano che in Moldavia ci siano i conti

TRIBUNALE DI MILANO – Confermato il carcere per Milanese, l’ex segretario di Giulio Tremonti

Potrebbero essere nascosti in Moldavia parte dei soldi provento delle “mazzette” del sistema Mose. Ne sono convinti i magistrati della Procura di Venezia i quali hanno avviato le procedure per una rogatoria alla ricerca di conti correnti direttamente intestati a qualcuno degli indagati oppure affidati a qualche prestanome. La nuova “caccia” all’estero si aggiunge alle rogatorie già avviate da tempo in Canada, in Svizzera, in Croazia, nel Regno Unito e in alcuni Paesi del Medio Oriente, di cui sono attese a breve le prime risposte da parte delle locali autorità giudiziaria, alle quali i pm veneziani hanno chiesto di svolgere indagini finanziarie per loro conto.
Evidentemente la Procura ha raccolto nuovi elementi che portano direttamente nella Repubblica Moldova dove qualche politico potrebbe aver portato (o fatto portare) consistenti somme di denaro. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto ha già lavorato con successo in passato con le autorità moldave, riuscendo a catturare un giovane accusato del brutale omicidio a scopo di rapina di un fruttivendolo veneziano, avvenuto nel 2007, e ciò lo renderebbe fiducioso sul possibile esito delle ricerche. Top secret, per il momento, il nome (o i nomi) della persona sospettata di aver nascosto nell’Europa dell’Est i proventi illeciti.
Nel frattempo gli inquirenti registrano l’ennesima richiesta di patteggiamento, che porta ormai ad una ventina il numero degli indagati che hanno deciso di chiedere l’applicazione della pena. Non tutti hanno confessato, e qualcuno giustifica tale scelta con l’intenzione di chiudere al più presto il processo. Ma per la Procura, la “resa” di un numero così consistente di indagati viene interpretata come una conferma della solidità del quadro accusatorio. L’ultimo a concordare il patteggiamento è stato il settantatreenne romano Luciano Neri, ex stretto collaboratore di Giovanni Mazzacurati, accusato di essere stato il gestore dei fondi neri per conto dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova. Fondi neri con cui Mazzacurati ha confessato di aver corrotto e finanziato per anni la politica e pubblici funzionari incaricati di controllare la realizzazione del Mose. Da più di due mesi Neri si trova agli arresti domiciliari e finora, a differenza del suo ex datore di lavoro, si è trincerato dietro il più assoluto silenzio, rifiutandosi di raccontare ciò che sa ai magistrati che coordinano le indagini, i pm Ancilotto, Buccini e Tonini. Il suo difensore, l’avvocato Tommaso Bortoluzzi ha concordato una pena di 2 anni, e la Procura confida di riuscire a confiscargli un milione di euro quando la sentenza sarà passata in giudicato.
Una importante ulteriore conferma della solidità degli indizi raccolti dai pm veneziani è arrivata anche dal Tribunale del riesame di Milano che, nel confermare il carcere per Marco Mario Milanese, l’ex segretario dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, definisce credibili e riscontrate le confessioni di Mazzacurati, dell’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo, l’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan. E avvalora la qualificazione giuridica fatta dalla Procura, che per tutti ha contestato il reato di corruzione, al contrario di quanto ha fatto il Riesame di Venezia, secondo il quale gli imprenditori più piccoli potrebbero essere stati vittima di concussione da parte di Mazzacurati: «Pare assai difficile per il Tribunale leggere in termini estorsivi o concussivi il comportamento di Mazzacurati nei confronti dei consorziati», scrivono i giudici milanesi, spiegando che le piccole imprese che lavoravano per il Cvn accettarono di costituire fondi neri per il pagamento di “mazzette” sulla base di «una ponderata valutazione di convenienza».

Gianluca Amadori

 

Tesoro delle tangenti Mose nascosto anche in Moldavia

Patteggiamenti: ok della Procura di Venezia a 16 mesi per Gino Chiarini e a 2 anni con la confisca di un milione di euro per Neri, factotum di Mazzacurati

Nuova rogatoria internazionale dopo quelle con Svizzera, Croazia ed Emirati

Proseguono gli interrogatori degli imprenditori citati da Galan sui fondi neri

VENEZIA – Dove sono finiti i soldi dei fondi neri del Consorzio Venezia Nuova? La Procura di Venezia cerca in Moldavia il “tesoro” delle tangenti del Mose. Dopo aver già avviato rogatorie in Croazia, Canada, Svizzera, Regno Unito, Emirati – senza, per altro, aver ancora ricevuto risposta – ora è il fronte Europa dell’Est che i magistrati sondano con maggiore convinzione, in particolare quello con la più collaborativa Moldavia, con la cui magistratura il pm Stefano Ancilotto ha già lavorato nel 2008 in occasione dell’inchiesta che portò all’arresto dell’omicida Gheorghe Vacar, che uccise per rapina il commerciante veneziano Giampaolo Granzo. Così è pronta la richiesta per incrociare i nomi degli indagati con le banche dati moldave. Proseguono, intanto, gli interrogatori degli imprenditori tirati in ballo dall’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, come finanziatori in “nero” della sua campagna elettorale 2005: dopo le smentite tramite giornale, ora devono arrivare quelle formali, che faranno scattare la nuova accusa di calunnia a carico del deputato di Fi. Così ha già fatto il veneziano Andrea Mevorach e così anche l’imprenditore Piero Zannon, che con i pm Ancilotto e Buccini hanno negato di aver consegnato a Claudia Minutillo 200 e 300 mila euro, come invece aveva denunciato Galan nel suo memoriale, accusando la sua ex segretaria di essersene appropriata. Per i magistrati è una calunnia: accusa che si aggiungerebbe così a quelle per corruzione delle quali deve rispondere. E si allunga, nel frattempo, la lista di quanti hanno concluso un accordo con la Procura per patteggiare: oltre una ventina di indagati, praticamente tutti quelli non “politici” e ancora in carcere come Galan agli arresti nel centro clinico del carcere di Opera, in attesa dell’esito del ricorso per Cassazione presentato dai suoi legali, contro l’ordinanza di custodia cautelare confermata dal Tribunale del riesame. Poi c’è il suo prestanome Paolo Venuti, l’ex assessore Renato Chisso e il suo segretario Enzo Casarin, ad esempio. Per loro si prospetta un rinvio a giudizio con rito immediato: la Procura ha tempo fino allo scadere dei sei mesi di custodia cautelare previsti per i reati contestati, che verrebbero così rinnovati in attesa del processo. Ieri si è aggiunto alla lista un nome importante: quello dell’ingegner Luciano Neri, accusato di essere il gestore unico (su ordine di Mazzacurati) del fondo nero del Consorzio Venezia Nuova, alimentato con i soldi pubblici pagati dallo Stato a fronte di fatture per lavori di salvaguardia mai effettuati. Non ha ammesso nulla, ma l’avvocato Tommaso Bortoluzzi e la Procura hanno raggiunto un’intesa per una pena di 2 anni e la confisca di beni per un milione di euro. Raggiunto ieri anche l’accordo con Gino Chiarini per una pena di 16 mesi: è accusato di millantato credito per aver fatto credere a Piergiorgio Baita di avere ascendenti sul giudice Claudio Tito per avere informazioni sulle indagini. Al patteggiamento hanno già avuto accesso – anche se per tutti manca ancora la convalida del giudice per le udienze preliminari Vicinanza – oltre che i maggiori protagonisti dell’inchiesta come Mazzacurati, Baita, Minutillo, anche gli imprenditori chioggiotti Mario e Stefano Boscolo Bacheto, Dante e Gianfranco Boscolo Contadin, Andrea Boscolo Cucco, l’ingegnere del Cvn Maria Brotto, l’ex direttore di Mantovani Nicolò Buson, il commercialista Corrado Crialese, l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, Manuele Marazzi, Franco Morbiolo, l’ex segretario di Mazzacurati, Federico Sutto. Stanno trattando con  ipm l’imprenditore Stefano Tomarelli (ai vertici del Cvn con Condotte Spa) e il faccendiere Mirco Voltazza.

Roberta De Rossi

 

Gazzettino – Galan rischia l’imputazione per calunnia

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13

ago

2014

IL CASO MOSE – Le accuse nel memoriale, la Procura sta valutando se procedere d’ufficio anche per questo reato

Galan rischia l’imputazione per calunnia

L’ex presidente ha tirato in ballo imprenditori affermando d’aver ricevuto contributi in nero, loro smentiscono

Giancarlo Galan potrebbe finire sotto inchiesta anche per calunnia. La Procura di Venezia sta valutando se avviare un’indagine a carico dell’ex Governatore del Veneto in relazione al memoriale difensivo nel quale ha lanciato accuse nei confronti di una decina di imprenditori, da lui indicati come finanziatori illeciti della sua campagna elettorale del 2005. Tutti gli imprenditori ascoltati finora hanno negato, dichiarando di non aver mai versato alcun contributo – tantomeno illecito – all’esponente politico di Forza Italia. Alcuni di loro hanno anche annunciato l’intenzione di denunciare Galan per diffamazione, reato perseguibile a querela di parte. La calunnia, invece, è perseguibile d’ufficio in quanto la parte danneggiata non è una singola persona offesa nell’onore, ma la stessa amministrazione della giustizia, in quanto l’aver accusato ingiustamente persone che si sanno innocenti ha l’effetto di dare il via ad un’inchiesta penale.
Nel memoriale dello scorso luglio Galan ha raccontato di aver ricevuto finanziamenti nel 2005 dal vicentino Rinaldo Mezzalira, scomparso nel 2007, già titolare di un’azienda specializzata in tubi per irrigazione, la Fitt, (50-100 mila euro); dall’ex senatore trevigiano di Forza Italia e titolare di Veneta Cucine, Carlo Archiutti (200 mila euro); dal “re” padovano dei cementifici, Giovanni Zillo Monte Xillo (50 mila euro); dal […] (10-20 mila euro); dal titolare della Geox, Mario Moretti Polegato (20 mila euro); dall’attuale direttore generale dell’Usl di Vicenza, Ermanno Angonese (5-10 mila euro); dall’imprenditore di Camposampiero Gianni Roncato (17 mila euro) e dal patron del porto turistico di Jesolo, Angelo Gentile (5-10 mila euro). E ancora da Piero Zannoni, ingegnere bellunese ex consigliere di amministrazione di Veneto Sviluppo (200mila) e dall’imprenditore di Marghera, Andrea Mevorach (300mila).
Finanziamenti ormai prescritti per il troppo tempo trascorso, confessati da Galan per dimostrare che la sua ex segretaria, Caudia Minutillo, non è credibile in quanto quando lo accusa in quanto, dopo aver incassato a suo nome i soldi di Zannoni e Mevorach, li avrebbe trattenuti per sé. La circostanza è stata però smentita da entrambi gli imprenditori.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che costituisca calunnia l’accusare ingiustamente una persona anche se il reato è ormai coperto da prescrizione. Ora spetterà alla Procura fare le valutazioni del caso.
Ieri, nel frattempo, è stato interrogato il ferrarese Gino Chiarini, in carcere dallo scorso 4 giugno con l’accusa di millantato credito: secondo la Procura si fece ricompensare da Mazzacurati e Baita con somme comprese tra 50 e200mila euro prespettando loro di poter ottenere informazioni riservate sull’andamento dell’inchiesta a carico del Consorzio Venezia Nuova grazie ad un magistrato suo amico, il proucratore aggiunto di Udine, Raffaele Tito (che di questa vicenda è risultato non saperne nulla). Chiarini ha parlato a lungo con i pm Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, chiarendo tutti i particolari dell’intricata vicenda di “spionaggio”, fornendo riscontri e nuovi elementi che gli inquirenti considerano di grande interesse.

 

Palladio, Meneguzzo lascia al figlio

La Palladio volta pagina. Coinvolto dall’inchiesta sul Mose (dopo l’arresto, ora è agli arresti domiciliari) il presidente della finanziaria vicentina, Roberto Meneguzzo lascia il passo al figlio Jacopo. La decisione è stata ufficializzata dopo l’assemblea della Sparta la holding (il 51% è di Meneguzzo) che controlla Pfh1 che a sua volta con il 50,45% ha la maggioranza della finanziaria vicentina. La scelta del cambio al vertice, inciderà su alcune partite finanziarie. In particolare sulla composizione societaria di Generali, dove la partecipata Ferak controlla circa l’1 per cento e un altro 2,15% attraverso Effetti.

 

Richiesta di chiarimenti ad Alfano: «Chi sono i “fratelli” magistrati e poliziotti»

Massoni nell’inchiesta Mose? Interrogazione M5s su Galan.

Ieri la moglie ha visitato in carcere a Opera l’ex ministro e governatore veneto

VENEZIA – Un abbraccio, un lungo silenzio, molte domande sulla piccola Margherita, la figlia di sette anni per la quale papà «è in viaggio per lavoro». Sandra Persegato, la moglie di Giancarlo Galan, ha incontrato in carcere il marito, detenuto nel carcere di Opera, alle porte di Milano. Si è trattato del primo incontro tra Galan e la moglie dalla sera del suo traumatico arresto, il 22 luglio scorso, a poche ore dall’autorizzazione votata dalla Camera. Sandra Persegato si è recata a Opera accompagnata dalla cognata, Valentina Galan: i magistrati infatti hanno autorizzato alle visite, oltre alla moglie, solo la sorella e l’anziana madre dell’ex ministro. Per il politico, dopo lo stop del Tribunale del Riesame alla scarcerazione, si tratta di attendere l’esito del ricorso in Cassazione che i suoi legali stanno predisponendo. Ma appare evidente che per l’ex ministro ed ex governatore, che si muove in stampelle in una stanza della clinica del penitenziario di Opera, le porte del carcere si riapriranno non prima del prossimo ottobre. Una lunga carcerazione preventiva, dunque, che rischia di mettere a dura prova lo stato d’animo dell’ex ministro. L’incontro tra Galan e la moglie si trova in carcere, è durato poco più di un’ora. Saltano sul caso di Galan iscritto alla massoneria, invece, i deputati veneti del Movimento 5 stelle Arianna Spessotto, Emanuele Cozzolino, Francesca Businarolo, Marco Brugnerotto, Federico D’Incà, Diego De Lorenzis, Marco Da Villa e Silvia Benedetti. In una interrogazione rivolta al ministro dell’Interno Angelino Alfano, i parlamentari grillini sottolineano come l’appartenza di Galan alla loggia Florence Nightingale di Padova, sia circostanza alquanto «curiosa»: «l’inchiesta penale veneziana sul Mose sta delineando un quadro fosco e preoccupante di intrecci tra funzionari pubblici corrotti e concussi, politici e imprese corruttrici, uomini di assoluto rilievo dei servizi segreti e delle forze di polizia, quasi una sorta di polizia parallela, infedele che ostacolava le indagini dei pubblici ministeri veneziani; non si può escludere l’esistenza di una rete pervasiva e devastante operante in Veneto, per la copertura e il depistaggio sulle gravi violazioni penali seriali condotte per l’affaire Mose; l’appartenenza del Galan alla massoneria non può non destare molta preoccupazione in relazione all’eventuale appartenenza alle logge di funzionari pubblici e in particolare appartenenti alle Forze armate, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri, con funzioni di polizia e di polizia giudiziaria, e inoltre alla magistratura; in effetti l’affiliazione alla massoneria di un magistrato o di ufficiale di polizia giudiziaria preclude di per sé l’imparzialità (secondo la Cassazione, «essere iscritti alla massoneria significa vincolarsi al bene degli adepti, significa fare ad ogni costo un favore. E l’unico modo nel quale un magistrato può fare un favore è piegandosi ad interessi individuali nell’ emettere sentenze, ordinanze, avvisi di garanzia»). I deputati del Movimento 5 stelle, pertanto, chiedono al ministro «se non ritenga opportuno acquisire elementi presso le prefetture per verificare, presso gli appositi elenchi, se risulti la presenza di affiliati alle logge massoniche di magistrati e appartenenti alle Forze armate con compiti di polizia». I grillini sollecitano «iniziative disciplinari urgenti, ove ne sussistano i presupposti, nei confronti di magistrati e appartenenti alle Forze armate per i quali si verifichi l’eventuale sovrapposizione di appartenenza a logge massoniche e di sottoposizione ad avviso di garanzia per reati attinenti allo scandalo Mose».

Daniele Ferrazza

 

In arrivo per l’ex presidente regionale anche un’accusa per calunnia

VENEZIA. Una nuova accusa – quella di calunnia – si potrebbe presto aggiungere alle altre nei confronti dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan, in carcere con l’accusa di essersi fatto corrompere per anni a suon di “stipendi” milionari dal Consorzio Venezia Nuova e dalla Mantovani (allora) di Piergiorgio Baita. La Procura di Venezia sta valutando concretamente l’ipotesi, in merito a quella parte del memoriale difensivo, nella quale Galan (nel negare gli addebiti che gli vengono mossi) si autoaccusa di aver percepito nel 2005 fondi neri elettorali da dieci imprenditori (che hanno tutti negato) e accusa l’ex segretaria Claudia Minutillo di essersi appropriata di 300 mila euro consegnati dall’imprenditore Andrea Mevorach (che da parte sua ha negato con forza il fatto, replicando di aver ricevuto pressioni da Galan per contributi che si è sempre rifiutato di pagare). La Procura risponde con l’accusa di calunnia, valida anche in caso di fatti prescritti. Ieri, intanto, lungo interrogatorio difensivo davanti ai pm Ancilotto e Buccini per Gino Chiarini, ferrarese, in carcere dal 4 giugno con l’accusa di millantato credito: si sarebbe fatto consegnare dai 50 ai 200 mila euro da Baita (in cerca di informazioni sull’inchiesta) vendendogli la possibilità di avere notizie dal giudice Claudio Tito, all’oscuro di tutto. Chiarini ha raccontato per ore ai magistrati di molti episodi dei quali è stato testimone, “guadagnandosi” il sì della Procura agli arresti domiciliari. […]

(r.d.r.)

 

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