Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

Arrestati e indagati. I dubbi degli Ordini fra espulsioni e silenzi

È l’altra faccia dell’inchiesta del Mose: un trionfo di bizantinismi, burocrazia, prassi borboniche. Eppure il quesito era, ed è, semplicissimo: quali provvedimenti disciplinari hanno assunto gli Ordini professionali e le Associazioni di categoria nei confronti di propri iscritti/soci coinvolti nell’inchiesta del Mose? E Confindustria – oltre a scazzottarsi sul tema con il governatore Luca Zaia – cos’ha fatto con le aziende implicate? E la Lega delle cooperative?
A onor del vero, c’è chi si è attivato subito. Come Anna Buzzacchi, presidente dell’Ordine degli architetti di Venezia, che, avuto conferma dalla Procura della Repubblica del provvedimento cautelare, ha portato in consiglio – che ha ratificato – la delibera preparata dal Consiglio disciplinare per la sospensione cautelare dell’architetto Dario Lugato. Un procedimento quasi automatico – ha spiegato. Poi, in caso di condanna, si applicheranno i provvedimenti previsti dal nuovo codice deontologico. Celerissimi anche all’Ordine degli architetti di Padova presieduto da Giuseppe Cappochin: il 6 giugno, due giorni dopo la Grande Retata, il Consiglio di disciplina ha deliberato nei confronti dell’architetto Danilo Turato la sospensione a tempo indeterminato dall’albo “in conseguenza al provvedimento cautelare notificatogli dal Tribunale di Venezia e avviato il procedimento disciplinare”.
Non tutti gli Ordini sono così celeri. Anche per evidenti conflitti di interesse. È il caso dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, avvocato, la cui posizione dovrebbe essere valutata da un consiglio dell’Ordine “azzoppato”: su 15 consiglieri, quattro sono “fuori gioco”. Prima di tutto il presidente dell’Ordine Daniele Grasso che di Orsoni è il difensore, poi Tommaso Bortoluzzi e Andrea Franco che rappresentano rispettivamente Luciano Neri e Andrea Rismondo, entrambi coinvolti nell’inchiesta del Mose, per non dire di Isabella Nordio che non difende nessuno ma è la moglie di Piergiorgio Baita, uno dei grandi accusatori. Tra l’altro, gli avvocati non hanno ancora il Consiglio distrettuale di disciplina (i 34 membri del nuovo organismo saranno eletti il 14 luglio), quindi la materia dovrebbe nel frattempo restare di competenza dell’Ordine. Infatti a Venezia raccontano di sospensioni dall’Albo per mancati pagamenti della quota associativa, ma non di sospensioni cautelari. Che, comunque, sarebbero tardive: Orsoni ha chiesto il patteggiamento e non è più ai domiciliari.
Latitano anche altri Ordini professionali. Non si sa cos’abbia fatto l’Ordine degli ingegneri nei confronti degli iscritti Giuseppe Fasiol (ora scarcerato), Maria Teresa Brotto, Maria Giovanna Piva. Idem l’Ordine dei medici, in riferimento alla posizione di Giancarlo Ruscitti. «Aspettiamo che sia la Procura a informarci, mica possiamo muoverci perché c’è un articolo di giornale», ha detto un consigliere. Il Consiglio di disciplina dei commercialisti di Padova, presieduto da Silvano Turrin, che dovrebbe esprimersi sulle posizioni di Paolo Venuti (il commercialista di Galan, tuttora in carcere) e di Francesco Giordano (ora non più in galera) non ha preso alcun provvedimento: dalla Procura, infatti, non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale sugli arresti e, comunque, l’organismo, prima di intervenire, vuole convocare gli interessati o i loro avvocati. Giacomo Cavalieri, presidente del Consiglio di disciplina dei commercialisti di Vicenza, invece, non si è fatto pregare: «Non abbiamo ancora avuto comunicazioni da parte dell’autorità giudiziaria, ma precisiamo che Roberto Meneguzzo, in quanto iscritto all’elenco speciale, non esercita l’attività professionale. In ogni caso valuteremo anche questa posizione».
E gli imprenditori? Al momento c’è una sola autosospensione – peraltro sollecitata dal presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto – ed è quella del Gruppo Maltauro, coinvolto nell’inchiesta dell’Expò di Milano. Quanto alla vicenda lagunare, curiosamente non c’è un’azienda che faccia parte di Confindustria né a Padova, né a Rovigo né a Venezia. Neanche il colosso Mantovani, secondo quanto dichiarato dal portavoce dell’associazione, risulta iscritto a Confindustria Padova, ma solo all’Ance, l’associazione dei costruttori, i cui vertici regionali hanno già chiarito che va fatta una distinzione fra responsabilità individuali e societarie: in sostanza, secondo questa interpretazione, l’uscita da Baita da Mantovani ha già risolto il problema. In ogni caso in una prossima riunione Confindustria Padova affronterà il tema delle sanzioni previste dal nuovo codice etico. Dimissioni, invece, ci sono state nelle cooperative. L’intero consiglio di amministrazione di Coveco è uscito di scena. Adriano Rizzi, presidente di Legacoop Veneto, è chiarissimo:se ci saranno condanne o patteggiamenti, si arriverà anche all’espulsione.

Alda Vanzan

 

TANGENTI MOSE/ PER ORA “PUNITI” SOLO DUE ARCHITETTI

Ognuno fa quel che gli pare. C’è chi aspetta che la Procura si faccia viva. Chi dice di non essere tenuto a dare informazioni all’esterno. E chi sguscia via come un’anguilla.

IL CASO – Avvocati, ingegneri e commercialisti attendono comunicazioni dalla Procura

Indagati, gli Ordini ci pensano su per ora sospesi solo due architetti

Il presidente dell’Ordine Daniele Grasso, a sinistra, è anche il difensore di Orsoni: non si può esprimere

INCOMPATIBILI – Su 15 consiglieri, 4 sono fuori gioco nel procedimento disciplinare contro il sindaco

I CONTROLLI – Corruzione, l’allarme della Corte dei conti: «Può attecchire ovunque, nessuno indenne»

ROMA – La corruzione in Italia «può attecchire ovunque». Il nostro è un Paese in cui nessuno può considerarsi realmente indenne dal pericolo e nessuna istituzione può ritenersi «scevra da responsabilità per il suo dilagare». L’allarme della Corte dei conti, affidato al procuratore generale Salvatore Nottola, non era mai stato così esplicito, rafforzato peraltro anche dai recenti fatti di cronaca, a partire dagli scandali Expo e Mose. Oltre ad essere uno dei fattori «che condizionano gravemente l’economia del Paese», la corruzione, afferma la Corte, si lega a doppio filo con evasione fiscale, economia sommersa e criminalità organizzata. «Impossibile ed inutile» azzardare delle cifre su quanto pesi effettivamente sullo sviluppo dell’economia. E ieri Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione, si è presentato a Milano con una conferenza stampa in Prefettura, nuova base dell’Unità operativa speciale dedicata a Expo 2015. È da qui che la settimana prossima partiranno i controlli per evitare che si ripetano casi di appalti «poco chiari», e per far compiere all’evento un «salto di qualità» in fatto di trasparenza.

 

Il tribunale rivede le posizioni degli arrestati: il responsabile della coop San Martino “subiva” gli ordini del Consorzio per continuare a lavorare

RIESAME – Oggi tocca all’ex assessore regionale Renato Chisso «Mai soldi per le elezioni»

EX ASSESSORE Renato Chisso ha dato le dimissioni

«Vittima di Mazzacurati» Imprenditore scarcerato

Non tutte le imprese che lavoravano sul Mose erano uguali: c’erano quelle i cui rappresentanti sedevano nel consiglio del Consorzio Venezia Nuova, che avevano potere decisionale, e altre che ricevevano incarichi e appalti e in un certo senso “subivano” gli ordini dall’alto per continuare a lavorare. Questo spaccato emerge dalla richiesta di attenuazione della misura cautelare presentata dall’avvocato Antonio Franchini per Stefano Boscolo Bacheto, della Cooperativa San Martino di Chioggia. Boscolo Bacheto è stato scarcerato ieri e messo ai domiciliari non tanto perché ha contribuito in modo determinante allo sviluppo dell’inchiesta o per il venir meno delle esigenze cautelari, quanto perché il collegio ha ritenuto eccessiva la detenzione in cella. Secondo il Tribunale fino al novembre 2012 Boscolo Bacheto è stato vittima di concussione da parte del “Supremo” o del “Capo” come chiamavano il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati. In epoca successiva Boscolo sarebbe responsabile del reato previsto al secondo comma dell’articolo 319 quater del Codice penale (Induzione indebita a dare o promettere utilità), punito con la reclusione fino a tre anni per chi offre il denaro e pene molto più severe per chi induce a tale comportamento. Per questo motivo, i difensori hanno incontrato i pubblici ministeri chiedendo la derubricazione dei reati contestati.
Nell’ordinanza del Riesame viene spiegato il meccanismo attraverso il quale il Consorzio chiedeva fondi neri alle aziende che ottenevano lavori “per dare soldi ai partiti”. Le aziende che si prestavano venivano ricompensate con altri lavori, chi non lo faceva, non era sicuro del domani. Per i giudici, il Consorzio ha assunto natura pubblica da quando il Mose è stato inserito in Legge obiettivo. Ragion per cui, per i giudici, Mazzacurati diventava un pubblico agente.
Oggi, intanto, davanti al Riesame comparirà il legale dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, detenuto a Pisa dal 4 giugno. L’avvocato Antonio Forza si batterà perché sia riconosciuta la totale estraneità del suo cliente. Il legale contesterà la ricostruzione della Procura per dimostrare, carte alla mano, che non solo Chisso non ha mai preso un centesimo né da Baita né dal Consorzio, ma che una parte del suo stipendio come assessore regionale veniva puntualmente versata al partito. Piergiorgio Baita ha parlato di versamenti a Chisso nei periodi elettorali, ma si tratta di una accusa che Chisso respinge. Il difensore chiederà l’annullamento della misura restrittiva. Hanno chiesto l’annullamento o l’attenuazione della misura cautelare anche Giovanni Artico, ex commissario per il recupero ambientale di Porto Marghera; Maria Brotto, ex amministratrice Thetis; Enzo Casarin, ex sindaco di Martellago e capo della segreteria di Chisso. Saranno esaminate anche le richieste di dissequestro presentate da Lino Brentan, ex ad dell’Autostrada Venezia-Padova; e Franco Morbiolo, presidente del Co.Ve.Co.

 

I PUNTI

L’ACCUSA É DI CORRUZIONE «UN MILIONE L’ANNO» La Procura di Venezia ritiene che l’ex ministro abbia percepito uno «stipendio» dal Consorzio Venezia Nuova

2 LA RICHIESTA DI ARRESTO INVIATA AROMA – Ai deputati è riconosciuta l’immunità: ogni richiesta di misura cautelare deve essere vagliata da una commissione

3 LA PROCEDURA IN GIUNTA E IL VOTO IN AULA – La giunta perle autorizzazioni ha 30 giorni di tempo per esprimere il proprio parere. Poi il voto in aula

4 I TERMINI PERENTORI NON SUPERERANNO LUGLIO – Secondo le previsioni,l’aula di Montecitorio voterà sì all’arresto di Galan entro la fine di luglio o i primi d’agosto

5 IL POLITICO PREVEDE DI COSTITUIRSI A ROMA – Giancarlo Galan si consegnerà alle forze di polizia la sera stessa del voto

 

le iene

Per quella inchiesta coraggiosa il giornalista Alessandro Sortino aveva rischiato il posto. Il 4 marzo del 2007 la sua trasmissione «Le iene» su Italia 1 aveva mandato in onda un film di un’ora e mezza sul sistema Mose. Incursioni in diretta a palazzo Balbi per chiedere al presidente Galan come mai non avesse esaminato le alternative. Intervista a Vincenzo Di Tella, autore del progetto «Paratoie a gravità». E ai critici della grande opera. L’inchiesta era rimasta ferma qualche mese prima di andare in onda. Oggi ricompare sul web. (a.v.)

 

CODACONS

«Mose finìa a festa»: il Codacons lancia su scala nazionale una campagna per la richiesta danni procurati ai contribuenti dallo spreco del Mose. L’associazione a tutela dei diritti del consumatore e dell’ambiente, dunque, ha deciso di proseguire nell’azione giudiziaria collettiva volta al risarcimento ai cittadini italiani dei danni emersi dallo scandalo veneziano. Sul sito dell’associazione è scaricabile il modulo per l’adesione individuale alla campagna. Il Mose veneziano, avviato 31 anni fa, è costato una cifra vicina ai 6 miliardi.

 

VECCHI AMICI

Giancarlo Galan «ritrova» gli amici di un tempo. Inaspettatamente, nel periodo di maggiore isolamento politico, l’ex governatore ha ricordato nei giorni scorsi che ad «aiutarlo» nel ricostruire tutti i cedolini percepiti nei 15 anni di Regione sono stati il vicegovernatore Marino Zorzato e il presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato, entrambi usciti da Forza Italia per abbracciare il Nuovo centrodestra. Un tempo sodali in Forza Italia, dopo la rottura non si erano più sentiti. Fino a pochi giorni fa.

 

ALLA CAMERA – Arresto di Galan la decisione entro l’11 luglio

La difesa di Galan non convince la Giunta per le autorizzazioni

Un’ora e mezza davanti ai colleghi per smontare le accuse e dimostrare che l’arresto è inutile

La Russa: «Non decidiamo in base all’indignazione popolare». Il parere arriverà entro l’11 luglio

PADOVA «Il parere della commissione sarà consegnato all’aula di Montecitorio entro l’11 di luglio. Non c’è bisogno né di correre né di rallentare. Noi non dobbiamo decidere in base all’indignazione popolare». Ignazio La Russa, presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, conclude poco dopo le 16 la seduta dedicata all’audizione di Giancarlo Galan, sul cui capo pende una richiesta di arresto da parte del Gip di Venezia nell’inchiesta Mose. Un’ora e mezza durante la quale Galan ha riproposto, ad uno ad uno, i punti della sua memoria difensiva: non ho mai preso i soldi, la Procura non ha voluto ascoltarmi, gran parte dei reati sono prescritti, sono stato indagato per oltre un anno senza ricevere un avviso di garanzia, la richiesta di arresto è sproporzionata. Tutti elementi che non hanno tuttavia trovato il riscontro nella classica difesa dei parlamentari sottoposti ad indagine:«Non mi sento perseguitato, ma le accuse sono assolutamente infondate ». L’ex governatore del Veneto ed ex ministro ha risposto nel merito dell’inchiesta ad alcune domande formulate dai colleghi parlamentari: in particolare sul perché la commissione Via regionale riferisse all’assessorato alle Infrastrutture invece che all’Ambiente; se ricordasse in quale modo avesse usato le risorse a disposizione; quando abbia ricevuto l’avviso di garanzia; alcuni approfondimenti sul conto corrente a San Marino. Il relatore Mariano Rabino di Scelta civica ha chiesto al presidente La Russa ancora qualche giorno per esaminare la documentazione: «Colgo un’apparente contraddizione nelle parole di Galan, che tuttavia ha svolto una accorata ed appassionata autodifesa che va rispettata. Lui riconosce la validità dell’inchiesta ma non riconosce alcun addebito. Tuttavia, non individua un fumus persecutionis, che poi è l’unico elemento a cui la giunta può riferirsi per negare la custodia cautelare di un parlamentare ». Rabino si è riservato di esprimere un parere, rinviando alla seduta di mercoledì 2 luglio la propria relazione istruttoria: ma l’esito è scontato. La giunta voterà a larghissima maggioranza per il sì all’arresto. Il parere sarà trasmesso dunque all’aula, dove il politico potrebbe tenere il suo ultimo discorso da parlamentare. Al termine della seduta, Galan ha dichiarato: «Ora mi aspetto, cosa che chiedo da un anno, di poter parlare con i magistrati. Dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera auspico che i 22 componenti prendano una decisione da uomini e donne prima ancora che da parlamentari. Sono tutti preparati e capaci di valutare e giudicare se c’è il fumus persecutionis, ed io ritengo che ci sia, perchè come ho detto alla stampa e nelle memorie difensive, non c’è nessun motivo di chiedere l’arresto». Poi ha aggiunto: «Non mi sento un perseguitato dalla magistratura, non mi sento un perseguitato politico. Ma ritengo che non vi siano i motivi per arrestarmi e ho indicato ben otto motivi che dicono che ci sono svariate possibilità per la magistratura di difendere i suoi interessi senza procedere all’arresto» ha concluso l’ex governatore del Veneto. Per Giancarlo Galan, fino a quattro anni fa potente governatore del Veneto e fino a due anni fa ministro della Repubblica, si apriranno dunque le porte del carcere. Secondo le previsioni, il voto dell’aula di Montecitorio dovrebbe arrivare prima della pausa estiva.

Daniele Ferrazza

 

Ai primi di agosto il verdetto per l’ex governatore «Prevedo di farmi tre mesi in carcere»

ROMA – L’ex ministro Giancarlo Galan potrebbe consegnarsi alla Guardia di finanza di Roma la sera stessa del voto della Camera, tra poco più di un mese. Secondo il calendario dei lavori, la giunta per le autorizzazioni a procedere si riunirà ancora il 2 e forse il 3 luglio e poi esprimerà il proprio parere. Comunque entro l’11 luglio, termine perentorio di un mese dalla trasmissione delle ultime carte da parte della magistratura veneziana. «Di fatto l’11 è la data dell’ultimo invio alla Camera delle carte da parte della magistratura e quindi- ha detto ai giornalisti il presidente Ignazio La Russa- sarebbe pienamente rispettato il termine dei 30 giorni previsti dal regolamento in caso di richiesta di arresto». A quel punto, il parere sarà trasmesso all’aula di Montecitorio che alla prima seduta utile potrebbe votare il sì all’arresto del deputato di Forza Italia. I legali di Galan – Antonio Franchini e Niccolò Ghedini – hanno preso contatto con i magistrati per rendere il più indolore possibile l’arresto del parlamentare.Daquasi unmese sotto la graticola mediatica, Galan inizia ad avvertire drammaticamente vicina l’esperienza del carcere. «Prevedo di farmi tre mesi e mezzo, vedrete. In mezzo ci sono le ferie, i magistrati sono in vacanza» confidava pochi giorni fa l’ex ministro, preoccupato per la piega che ha preso la vicenda. Dopo l’arresto, tuttavia, Galan non perderà gli emolumenti da parlamentare né, dopo il ritorno in libertà, i requisiti di parlamentare. Macerto la sua carriera appare conclusa. (d.f.)

 

iniziativa di dieci deputati 5s veneti, casson è d’accordo

Commissione d’inchiesta, firmata proposta

ROMA – Una commissione parlamentare di inchiesta che abbia gli stessi poteri della magistratura. E possa indagare finalmente a fondo su tutto quanto successo intorno al Mose negli ultimi trent’anni. la proposta è stata depositata ieri alla Camera dal M5s. L’hanno firmata i dieci deputati veneti grillini Cozzolino, Da Villa, Spessotto, Brugnerotto, Rostellato, D’Incà, Businarolo, Turco, Benedetti e Fantinati. «La commissione dovrà far luce sulle procedure di affidamento e gestione degli appalti», spiega il primo firmatario Emanuele Cozzolino, «sui controlli che che avrebbero dovuto essere operati e sui costi prodotti dall’opera fino ad oggi». Ma la commissione di inchiesta, precisano i deputati del Movimento, «non dovrà occuparsi solo di tangenti». «Sarà la sede ideale», spiegano, «per affrontare il tema tecnico della effettiva validità del sistema Mose, approfondendo finalmente gli allarmi e la documentazione prodotta in questi anni da esperti nazionali e internazionali e da molti comitati di cittadini, ma mai presi in considerazione». Una sequenza di omissioni e di «pareri facili » che in questi giorni riemergono grazie all’inchiesta e alla testimonianza di personaggi che hanno vissuto dall’interno il meccanismo delle approvazioni della grande opera. La proposta, che fa seguito a un’analoga richiesta avanzata da Sel (Sinistra Ecologia e Libertà) sarà formalmente assegnata nei prossimi giorni. «Ne chiederemo la calendarizzazione con urgenza», annunciano i paralmentari grillini, «e a quel punto vedremo quali saranno i partiti che dopo aver gridato allo scandalo sui giornali decideranno di passare ai fatti». Un clima cambiato rispetto a qualche anno fa. Quando interrogazioni e interpellanze di deputati Verdi e della Sinistra restavano lettera morta, pur sollevando problemi tecnici delicatissimi sul sistema Mose. Le ultime sono state quelle del senatore veneziano del Pd Felice Casson. Che si è detto favorevole all’istituzione di una commissione di inchiesta.

Alberto Vitucci

 

Tomarelli confessa parla l’ad di Condotte

E sull’inchiesta per l’Expo, spunta un biglietto di Cinque che metterebbe in dubbio le affermazioni fatte da Baita

VENEZIA – Lungo interrogatorio ieri pomeriggio dopo la conferma del carcere da parte del Tribunale del riesame per Stefano Tomarelli, amministratore di «Condotte d’acqua» e uno dei quattro uomini al vertice del Consorzio Venezia Nuova con il presidente Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita della Mantovani e […………………….] dell’omonima grande impresa a decidere chi e quanto pagare in mazzette. È arrivato negli uffici della cittadella della Giustizia di Piazzale Roma, a Venezia, dal carcere dove è rinchiuso dal 4 giugno scorso, intorno alle 15 ed è ripartito con il mezzo della Polizia penitenziaria poco dopo le 19: per quattro ore lo hanno sentito i pubblici ministeri Paola Tonini e Stefano Buccini e l’imprenditore romano avrebbe confessato, confermando le dichiarazioni di Mazzacurati sulla corruzione, e aggiunto un’importante e ulteriore tessera al mosaico dell’accusa. Intanto, dalla Procura di Milano, che ha depositato gli atti dell’inchiesta sulla corruzione per l’Expo di Milano in vista del rito immediato, arriva un importante verbale d’interrogatorio di uno degli arrestati, l’ex direttore di «Infrastrutture Lombarde» Antonio Rognoni. Un verbale che potrebbe essere molto utile sia ai pubblici ministeri sia al Tribunale dei ministri di Venezia, che domani sentirà l’ex capo del dicastero delle Infrastrutture e prima ancora dell’Ambiente Altero Matteoli in veste di indagato. Rognoni parla del misterioso bigliettino consegnato a Rognoni cinque giorni prima dell’apertura delle buste per la gara d’appalto della «piastra» dell’Expo (quella più importante) poi vinta dalla cordata guidata dalla «Mantovani». Nel biglietto c’era scritto «sappiamo che siamo andati bene sulla parte qualitativa», quando ancora, almeno in teoria, le buste con le offerte dovevano essere ancora aperte. Ma Baita, nei suoi interrogatori, ha sempre raccontato che a Milano non ha mai pagato tangenti e che, anzi, ha dovuto faticare per sconfiggere altre imprese, presumibilmente appoggiate dai politici lombardi. Ora, Rognoni lo smentisce in parte e racconta la storia di quel bigliettino. Riferisce che gli fu consegnato da «Ottaviano Cinque, il figlio del proprietario della Socostramo, Erasmo», che partecipava con la Mantovani alla gara milanese e lo stesso che Baita, su pressione di Matteoli, aveva dovuto inserire nell’appalto per le bonifiche di Marghera, colui che avrebbe raccolto i soldi da consegnare a Matteoli. «La premessa è che io», sostiene Rognoni, «quando avevo Matteoli come ministro delle Infrastrutture e lavoravo per la realizzazione delle autostrade sono stato seguito nelle richieste che io facevo al ministero e in particolare al ministro da questo Erasmo Cinque perché lui era il segretario, era il sottosegretario di Matteoli » (in realtà era il presidente dei costruttori del Lazio). Per arrivare al ministro, spiega sempre Rognoni, dovevo passare per Cinque, che era «uno molto politico, molto aderente ad Alleanza nazionale. A dargli il bigliettino sarebbe stato Ottaviano Cinque «nel quale mi dice “A noi risulta di essere andati molto bene sulla parte tecnica” » ben cinque giorni prima dell’apertura delle buste. Anche a Milano come a Venezia spuntano Cinque e Matteoli e Baita non l’ha raccontata tutta.

Giorgio Cecchetti

 

«no mose» domani a san leonardo

«Fine dei mostri». I comitati in assemblea

VENEZIA – L’iniziativa si chiama «Fine dei mostri». E domani alle 17.30, in sala San Leonardo, saranno tante le associazioni cittadine a ritrovarsi sotto le insegne del«No Mose». A convocare l’assemblea è stata l’associazione Ambiente Venezia-Laguna Bene comune, che rivendica a sè la lotta contro la grande opera e le iniziative avviate in tempi non sospetti contro l’intreccio di interessi che stava dietro la grande opera. «Non ci basta che adesso tutti condannino la corruzione se non condannano la grande opera sbagliata fonte di corruzione», dice Luciano Mazzolin, portavoce delle associazioni, «noi abbiamo raccolto negli anni 12.500 firme di cittadini contro il Mose, presentato esposti all’Unione europea, occupato i cantieri e le sedi del Consorzio Venezia Nuova e del Magistrato alle Acque. Episodi per cui molti di noi hanno subito un processo». «Ma adesso è ora di far luce su tutti questi avvenimenti », continua Mazzolin. Domani a San Leonardo sarà illustrato l’ultimo dossier raccolto all’associazione, che sarà presentato alla Procura chiedendo un supplemento di indagine. «Alla luce dell’inchiesta e degli articoli dei giornali», si legge nel dossier, «molti avvenimenti degli ultimi anni acquistano una nuova luce e meritano un approfondimento. Per questo chiediamo ai giudici di non fermarsi, e di accertare tutte le responsabilità ». Ma la condanna della corruzione, dicono i comitati, non basta. «Adesso bisogna cercare di porre rimedio allo sfascio ambientale della laguna, attuare una moratoria dei lavori del Mose, avviare subito nuovi controlli indipendenti. E sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, passando i poteri del Magistrato alle Acque al Comune. Unpo’ quello che adesso ha chiesto anche il Consiglio comunale nella sua ultima seduta di lunedì. (a.v.)

 

Gazzettino – Baita, da genio a fenomeno del male

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

26

giu

2014

EX AMICI – Così nel giro di un anno il deputato azzurro ha cambiato idea sul manager. Dopo l’inchiesta

Baita, da genio a fenomeno del male

Galan: «Io perseguitato? No ma spero in scelte da uomini»

«UN FENOMENO DEL MALE» «Baita? Un uomo dall’intelligenza elevatissima, di un cinismo feroce, capace di tutto» Giancarlo Galan, 24 giugno 2014

«IL VENETO DEBITORE VERSO BAITA» «È un uomo di grande spessore professionale, una spanna sopra gli altri dal punto di vista tecnico e manageriale» Giancarlo Galan, 26 giugno 2013

CONTO A SAN MARINO «Agì la MInutillo e si prese i soldi»

CONTI ALL’ESTERO – Per lui non esistono mentre i magistrati ne hanno contati diversi

LE SPESE «Le mie possibilità sono superiori a quanto sostiene la Finanza»

A distanza di un anno esatto muta d’accento e di pensier. Come la donna della celebre romanza verdiana, l’ex doge Giancarlo Galan nell’arco di 12 mesi ribalta nettamente il proprio giudizio su Piergiorgio Baita che da sorta di benefattore della regione nell’arco di 12 mesi si trasforma addirittura in una sorta di genio maligno.
È il 26 giugno 2013 quando Galan, intervistato dal Gazzettino, con piglio sicuro dichiara: «Il Veneto è debitore verso imprenditori come Piergiorgio Baita. È un uomo di grande spessore professionale, una spanna sopra gli altri dal punto di vista tecnico e manageriale». L’ex governatore è a Murano per la festa dei 40 anni di attività della vetreria Nuova Venier della famiglia Laggia a Murano e sollecitato sulla carcerazione dell’ad di Mantovani – finito in manette quattro mesi prima – si spende in una difesa senza se e senza ma nella veste di Capo della VII Commissione parlamentare Cultura, scienze e ricerca. Spiega che se la Mantovani si è aggiudicata la stragrande maggioranza delle commesse pubbliche del Veneto è stato sicuramente per meriti e che l’effetto collaterale dell’inchiesta è stata la chiusura di tutti i cantieri. Ricorda che con Mantovani – e quindi con Baita – ha costruito il Passante in 4 anni e l’ospedale di Mestre in 3 e che se fosse ancora alla guida del Veneto avrebbe dato il via a tre nuovi ospedali e a una strada con almeno mille persone che lavorano.
Èil 24 giugno 2014, l’altro ieri, quando lo stesso Galan nel corso della conferenza stampa convocata alla Camera, attacca e sentenzia:«Baita? Un uomo dall’intelligenza elevatissima, di un cinismo feroce, capace di tutto. Ora pensa a come vivere nei prossimi anni. Ha patteggiato un anno e 4 mesi. Un fenomeno, il fenomeno del male».
Come si cambia, canta Fiorella Mannoia, ma non per amore. In mezzo c’è la richiesta di arresto per l’onorevole Galan che i magistrati veneziani che indagano sulle tangenti del Mose hanno formulato sulla base di prove considerate inattaccabili raccolte dalla Guardia di Finanza e sulle dichiarazioni a verbale dell’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, dell’ex padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati e infine – è proprio il caso di dire – dell’ex amico Piergiorgio Baita.

 

MESTRE – L’ex governatore si è difeso per due ore davanti alla Giunta per le autorizzazioni della Camera lasciando 500 pagine di memoriale e cercando di smontare le accuse: «Anche firme false»

«Non mi sento perseguitato dai magistrati ma credo che oltre all’arresto chiesto dalla Procura nei miei confronti ci siano almeno altre otto misure in grado di tutelare quello che i magistrati vogliono tutelare con il mio arresto. Spero che prima che da politici io sia giudicato, rispetto al tema della sussistenza o meno dal fumus persecutionis, da uomini e donne». Così Giancarlo Galan lascia la Giunta per le autorizzazioni della Camera: ha parlato per due ore ed ha consegnato ai deputati una memoria difensiva di oltre 500 pagine che vanno ad aggiungersi alle 160mila pagine contenute nei 18 faldoni dell’inchiesta Mose, all’ordinanza di 723 pagine del Giudice Scaramuzza che il 4 giugno ha ammanettato 25 persone e ne ha indagate altre 10 e a 700 pagine della prima memoria difensiva depositata da Galan nei giorni scorsi. L’ex governatore del Veneto nell’audizione di fronte ai colleghi deputati ha cercato di smontare punto su punto le tesi dell’accusa, spiegando di aver comperato la villa di Cinto Euganeo già ristrutturata – mentre Piergiorgio Baita sostiene di aver pagato oltre un milione di euro in restauri – e di non avere conti correnti all’estero. I magistrati hanno contato 18 conti correnti tra Italia ed estero e, stando alle indagini della Finanza, Galan avrebbe speso negli ultimi 10 anni almeno un milione e mezzo di euro in più rispetto alle entrate. Anche in questo caso Galan ha contestato e puntigliosamente rifatto tutti i conti dimostrando che le sue possibilità di spesa sono superiori e di molto a quanto conteggiato dalla Finanza. I deputati sono stati invitati da Galan a soffermarsi anche sul famoso conto di San Marino. Il conto viene acceso nel 2004 presso la S.M International Bank. Non c’è un centesimo dentro e Galan dice di non averlo mai utilizzato. Fatto sta che ad un certo punto nel conto di Galan arrivano 50mila euro e a distanza di qualche tempo, come sono arrivati, spariscono. Ma è Galan stesso a firmare queste operazioni, solo che l’ex governatore del Veneto, in base anche a due perizie calligrafiche, sostiene che la firma non è la sua. Firma falsa – e si vede anche se non si è esperti dalla foto che pubblichiamo – e secondo Galan facilmente riconducibile a Claudia Minutillo. «Leggendo quanto dichiarato da Colombelli, scopro che i denari di quel conto furono movimentati esclusivamente dalla sig.ra Minutillo che, more solito, se ne appropriò». Come dire che la Minutillo rubava tutto quello che le capitava sotto mano. In effetti William Colombelli, l’inventore della “cartiera” di San Marino per le fatture false, ricorda che i soldi sono stati «versati e prelevati dalla Claudia». E precisa che, «nel momento in cui abbiamo saputo che la banca stava andando male, è stato chiuso il conto corrente di Giancarlo Galan da Claudia e i fondi, in totale 50 mila euro, sono stati versati sul conto corrente di Claudia Minutillo, esattamente, se non erro, in Banca Agricola, se non in Cassa Rurale». Ma il conto, dice Colombelli, era cointestato Galan-Minutillo e allora perchè la piccola Cleopatra di Mogliano Veneto, famosa per le spese pazze in scarpe e vestiti e per essere stata l’amante di più d’uno dei personaggi coinvolti nell’inchiesta Mose, avrebbe dovuto fare la firma falsa di Galan? Poteva firmare direttamente, no?
Anche su questo decideranno i giudici e prima di loro i parlamentari della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Quando? Risponde il relatore del caso Galan, Mariano Rabino – Scelta civica: «È probabile che nella settimana che viene faremo due sedute, un dibattito e una votazione per andare poi in aula prima dell’estate, sicuramente prima dell’11 luglio». Dunque c’è una richiesta di proroga per consentire ai deputati di leggere le carte, ma lo stesso Rubino dice che «l’impressione è che l’indagine sia ben costruita». E dunque è probabile che i deputati diano l’autorizzazione all’arresto di Galan.
Nel frattempo i deputati veneti del Movimento 5stelle hanno depositato alla Camera una proposta per istituire una Commissione d’inchiesta parlamentare che indaghi sullo scandalo Mose, esattamente come la Commissione antimafia o sulle stragi. Lo ha annunciato il deputato Emanuele Cozzolino. I 5 stelle chiedono l’istituzione di una Commissione che per due anni indaghi con gli stessi poteri della magistratura.

Maurizio Dianese

 

L’ACCUSA «Uno stipendio fisso di 250mila euro l’anno»

IL DIALOGO – Il professionista e la consorte discutono della moglie di Galan

«Se lui muore quella viene a battere cassa immediatamente»

«Faccio io, lei non può pretendere neanche un euro»

«Sui soldi di Giancarlo decido io»

ARRESTO SÌ O NO – La Giunta prevede altre due sedute. Il voto prima dell’11 luglio

Nuove intercettazioni del commercialista Venuti. E Tomarelli (Condotte) parla ancora

Interrogatorio in Procura per Stefano Tomarelli, manager della società Condotte, terzo azionista del Consorzio Venezia Nuova e membro del suo direttivo fino al recente arresto. Ieri mattina i suoi difensori, gli avvocati Nicola Pisani e Angelo Andreatta, erano negli uffici giudiziari per definire l’appuntamento per il pomeriggio. Tomarelli, davanti la Tribunale del riesame, si era difeso cercando di ridimensionare il suo ruolo. Ma i giudici hanno confermato il carcere, ritenendolo parte integrante di quella “cupola” che gestiva un gigantesco fondo extracontabile da 10 milioni di euro. Ora Tomarelli potrebbe decidere di chiarire meglio certi passaggi. La Procura, che ha già incassato la confessione dell’ex magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, punta a nuove collaborazioni. E Tomarelli potrebbe essere un uomo chiave.
Altro uomo chiave per l’inchiesta, che per il momento si è avvalso della facoltà di non rispondere, è il commercialista padovano Paolo Venuti, fedele collaboratore di Giancarlo Galan. Proprio ieri il Tribunale del riesame ha depositato le motivazioni con cui ha confermato il carcere per il professionista. Una volta a casa Venuti, vista la «sua indubbia capacità professionale» – osserva il presidente del Tribunale, Angelo Risi – grazie anche agli «strumenti informatici» potrebbe «monetizzare quelle partecipazioni azionarie note e non note» per cui è accusato di aver fatto da prestanome a Galan. Non solo, a casa si ritroverebbe con la moglie Alessandra Farina «con lui pienamente compromessa» nella vicenda delle intestazioni fittizie.
Le motivazioni citano anche nuove intercettazioni, prodotte dalla Procura, che confermano questo ruolo di fedeli prestanome che Venuti e consorte avrebbero ricoperto per l’ex governatore. Già nota quella in cui Venuti parla con Alessandra Farina delle pretese della moglie di Galan, Sandra Persegato, che vorrebbe attingere a quei conti per la sua attività, mentre il marito intende conservarli per la figlia.
In un’altra conversazione i coniugi discutono dello stesso argomento. Arrivano a ipotizzare cosa accadrà dei soldi nel caso di morte di Galan. «E se muoio prima io – si chiede Farina – vanno in asse ereditario mio?». «E sì» risponde il marito. E i due di mettono a ridere. «Dai che se muore Giancarlo quella viene a battere cassa immediatamente dico… – riprende Farina, parlando della Persegato – e cosa gli si dice? Abbiamo avuto precise…». Venuti taglia corto: «Decido io, faccio io… lei non sa niente quanto come chi, non può pretendere neanche un euro perché non esiste nulla… C’è nulla».
Interessante, per i giudici, anche un’altra intercettazione ambientale in cui Venuti discute con un’altra persona di un’«ulteriore attività nell’interesse di “Giancarlo” – ricostruisce il Tribunale – consistente nell’aver incassato un qualche cespite di Adria infrastrutture».
Dice Venuti: «In realtà noi abbiamo un utile di 150 secondo gli accordi… che secondo le quote erano il 7%, 5% suo e 2% nostro, questi sono i numeri della cosa». E ancora: «Non c’è nessuna fretta perché io, lui c’è una fiducia totale, non mi chiede mai i conti, ma appunto per questo, non è urgente, magari facciamoci un ragionamento».

Roberta Brunetti

 

IL RIESAME – Domani l’udienza per l’ex assessore. La difesa: niente corruzione. E attacca la MInutillo: il denaro se l’è tenuto lei. Chisso chiede la scarcerazione «I soldi? Andavano al partito»

Gli inquirenti non credono alla versione: forse è una lite

MESTRE – Domani la posizione di Renato Chisso va al Tribunale del riesame. Dopo Giancarlo Galan è il politico veneto più importante dell’inchiesta sul Mose – trascurando ovviamente la parte romana che vede implicati alcuni ex ministri e un ex sottosegretario. Arrestato il 4 giugno, da allora l’ex assessore regionale alle Infrastrutture è rinchiuso nel carcere di Pisa. La sua posizione, come quella di Giancarlo Galan, sembra tra le più definite nel senso che, pur proclamandosi totalmente innocenti, la quantità di prove che la pubblica accusa ha portato è tale che pare difficile smontare le ipotesi di reato. L’unica differenza tra l’uno e l’altro è che Galan appare ricchissimo mentre Chisso non ha beni e non ha conti correnti che possano spiegare i milioni in mazzette che gli vengono attribuiti. A partire da questo l’avvocato dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Antonio Forza, cercherà di convincere i giudici del riesame che il suo cliente deve tornare in libertà. Anche perché, avendo rassegnato le dimissioni da assessore, non può commettere di nuovo lo stesso reato.
Forza ha consegnato una memoria di 70 pagine con la quale punta a smontare la ricostruzione dell’accusa. Chisso è accusato da Piergiorgio Baita e da Claudia Minutillo di aver intascato una sorta di stipendio fisso di 250mila euro all’anno più una serie infinita di “una tantum”. Baita ricostruisce così i passaggi: «Per quanto riguarda Galan, fino al 2005 (abbiamo pagato ndr) attraverso la signora Minutillo; dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso (che dunque incassava in nome e per conto di Galan ndr); Per quanto riguarda Chisso, invece, fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente; dal 2005 al 2010 ha provveduto pure la dottoressa Minutillo; dal 2010, quando noi abbiamo interrotto i rapporti con Bmc, ho provveduto io». E in un altro interrogatorio Baita precisa di aver consegnato personalmente 250mila euro all’assessore Chisso. «Una parte in Adria Infrastrutture e un’altra parte all’hotel Laguna a Mestre». Sempre in occasione di campagne elettorali? Sempre – risponde Baita. E dunque il punto di attacco dell’avvocato Forza sarà che si tratta di finanziamento illecito dei partiti e non di corruzione. Come dire che Chisso, alla Greganti per capirci, avrebbe speso i soldi per le campagne elettorali sue e dei suoi compagni di partito, senza mettersi in tasca un cent.
Ma ci sono anche i 2 milioni di euro che saltano fuori da una super valutazione di quote della Investimenti srl, che possedeva il 5 per cento di Adria Infrastrutture, la società di Claudia Minutillo. Secondo la ricostruzione che il difensore presenterà ai magistrati per chiedere che a Chisso sia tolta la misura del carcere e che sia mandato ai domiciliari, quei 2 milioni di euro che sono stati versati da Baita per le quote di Investimenti – ascrivibili a Chisso anche se formalmente detenute dalla Minutillo – sarebbero finiti nei conti correnti della Minutillo.
Infine Forza utilizzerà anche un verbale, quello di William Colombelli, il socio della Minutillo nella Bmc, la cartiera delle false fatture. Colombelli il 1 luglio 2013 dichiara: «La dott.ssa Minutillo, indicandomi i destinatari o comunque i beneficiari delle somme che retrocedevo mi indicò numerosi politici di Forza Italia, ma non mi menzionò mai Renato Chisso. Mi disse che Chisso non aveva voluto i soldi». Ma, interrogata dai magistrati, Claudia Minutillo ha detto esattamente il contrario.

M.D.

 

Comunicato Stampa congiunto Opzione Zero, Re-Common, Counter Balance

25 giugno 2014

L’operazione Project Bond per il Passante di Mestre è a forte rischio corruzione. Intervenga subito Cantone per bloccare l’emissione dei titoli “tossici”

Opzione Zero, Re:Common e la Rete Europea Counter Balance oggi hanno scritto al presidente dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione Raffaele Cantone per manifestare tutti i loro dubbi e le loro preoccupazioni in merito all’operazione di rifinanziamento del debito del Passante di Mestre attraverso l’emissione sui mercati finanziari dei famigerati Project Bond per 700 milioni di euro. Val la pena ricordare che solo un anno fa la Spa pubblica CAV, gestore del Passante, aveva già ricevuto due finanziamenti: uno dalla BEI per 350 milioni di euro, e uno di 73,5 milioni di euro direttamente da Cassa Depositi e Prestiti.

Per l’acquisto dei titoli finanziari legati all’opera, in quella che viene annunciata come la prima operazione italiana di project bond europei, sono in pole position cinque banche private, tra cui Banca Intesa e Unicredit, Il beneficiario del nuovo finanziamento è appunto la Concessioni Autostradali Venete (CAV) Spa, partecipata al 50% da Regione Veneto e ANAS SpA, costituita nel 2008 con lo scopo di rimborsare a ANAS circa 1 miliardo di euro anticipato per la costruzione del Passante di Mestre e delle opere complementari. Il rimborso avrebbe dovuto avvenire attraverso il gettito dei pedaggi, ma fin da subito si è visto che gli introiti annuali erano insufficienti a ripagare i costi sostenuti.

Costi, è bene ricordare, che dai 750 milioni di euro preventivati inizialmente, sono schizzati nel giro di pochi anni a oltre 1,4 miliardi di euro. Proprio la Corte dei Conti nel 2011 in una relazione ufficiale metteva in evidenza l’aumento spropositato dei costi, nonché l’assenza di controllo pubblico e il rischio di infiltrazione mafiosa. Nel 2013 scoppia in Veneto il caso Mantovani e poi lo scandalo MOSE; e guarda caso il principale esecutore dei lavori di costruzione del Passante di Mestre è la società Mantovani Spa, così come tra i principali soci della società Passante di Mestre scpa, il general contractor che si è aggiudicato la gara per la costruzione del by-pass di Mestre, ci sono le stesse società consorziate con Il Consorzio Venezia Nuova ora al centro della vicenda MOSE. Non sfugge poi l’arresto dell’assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso, e la richiesta di arresto dell’ex-governatore Giancarlo Galan, i due dei principali artefici del Passante.

Nonostante il quadro fosse ormai chiaro da tempo, le spericolate operazioni finanziarie di CAV  SpA sono state avallate dall’attuale Giunta Regionale in carica con le delibere n. 1992/2012 e 493/2013 e dai suoi rappresentanti politici nel Consiglio di Amministrazione della società (tra questi fino a poco tempo fa anche l’arrestato Giampietro Marchese, in quota PD). E di questo dovrà risponderne in pieno proprio il Presidente Luca Zaia, che ancora oggi si dichiara ignaro di tutto il malaffare e la corruttela che ha coinvolto la sua Giunta.

“Il vaso di Pandora ormai è stato scoperchiato” ha dichiarato Mattia Donadel, presidente di Opzione Zero. “Quello che emerge in modo chiaro e inequivocabile dalle inchieste in Lombardia e in Veneto è che il “sistema” delle Grandi Opere e del Project Financing sono pensati e strutturati unicamente per alimentare lobby politiche e affaristiche delinquenziali. Tuttavia gli arresti e i procedimenti penali in corso non fermano gli iter dei vari progetti “in cantiere”, e nemmeno le ricadute perverse delle opere già realizzate, prima tra tutte il Passante di Mestre” ha aggiunto Donadel.

“L’emissione dei Project Bond aprirà un altro buco dopo quello provocato solo qualche mese fa dalla stessa CAV con Cassa Depositi e Prestiti e con Banca Europea degli Investimenti per altri 423,5 milioni di euro”, ha affermato Elena Gerebizza di Re:Common.

Per queste ragioni nella lettera al presidente Cantone si chiede conto delle attività di monitoraggio svolte sulle azioni della Regione Veneto e sull’intenzione o meno di inglobare nelle indagini dell’Autorità Anti-Corruzione le operazioni relative all’emissione di project bond, nonché, visto il coinvolgimento della Bei, sulla possibilità di promuovere un’azione di cooperazione nell’ambito del network European Partner Agaist Corruption (Epac), al fine di chiedere maggiori trasparenza alla Banca europea per gli investimenti.

 

I verbali degli interrogatori

La scalata delle autostrade

Baita voleva mettere le mani sulla Cav, che gestisce il Passante

VENEZIA – La scalata alle autostrade del Veneto e del Nordest. C’è anche questo spaccato di storia dell’intera nostra regione, nelle risposte date ai pm veneziani dal manager Piergiorgio Baita (ex capo della Mantovani) e Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan. E molto di questo gioco ruota, ancora una volta, attorno all’autostrada magica e fantasma: la Valdastico Nord, che è una concessione che risale 1970 ed è in mano all’Autostrada A4 Brescia- Padova, e permette a chi comanda la “Brescia-Padova” di ottenere una proroga per tenere in mano fino al 2026 quella cassa che ogni giorno tintinna perché riceve i pedaggi di automobilisti e camionisti. E la beffa maggiore, forse, è che il risiko autostradale, i privati veneti, se lo sono costruito sostituendo gli enti pubblici ma utilizzando i loro stessi soldi, quelli pubblici appunto. Con la “Brescia-Padova” presa di fatto in mano, Banca Intesa – racconta Baita – aveva siglato un patto con l’altro grande socio privato entrato in “Brescia-Padova”, la Astaldi Costruzioni. Ma anche i veneti, la Mantovani, volevano entrare “nella stanza dei bottoni” dell’A4: le azioni si possono comprare, spiega Baita, ma noi «volevamo partecipare al patto di sindacato interno, cioè alle decisioni». Come fare? La strategia ruota proprio attorno alla Valdastico: Baita, con la Minutillo, riesce a organizzare un summit con i vertici di Astaldi e Banca Intesa assieme all’assessore regionale Renato Chisso, per far capire ai futuri alleati che c’è un unico modo per arrivare ad avere il sì alla Valdastico Nord, e quindi alla proroga della potente società concessionaria: la trattativa tra Regione Veneto e Trentino che stava conducendo Chisso, il quale “sponsorizzava” appunto la Mantovani. La Mantovani era già entrata nella società “Padova-Venezia” (socia della “Brescia-Padova”): una concessionaria ormai scaduta perché sostituita dalla Cav, la società Anas-Regione che ha costruito e gestisce il nuovo Passante di Mestre. Qui è Claudia Minutillo a raccontare la vicenda. Primo: perché acquistare una società che sta perdendo la concessione? Non valeva più, è vero, maaveva in cassa 120 milioni di euro. Chi ce li aveva lasciati? L’ad Lino Brentan, finito ai domiciliari tre settimane fa. Morale: i privati (in questo caso Baita fa entrare nell’operazione anche il gruppo Gavio, l’altro grande protagonista privato del risiko autostradale del Nord) comprano le quote e fanno incassare soldi freschi agli enti pubblici di Venezia e di Padova. Ma subito dopo, racconta Minutillo, «si divisero il capitale in cassa e si riportarono a casa i soldi». Operazione a costo sero, che spalanca però le porte del regno autostradale. Va notato però che Baita, a specifica domanda, precisa che gli enti pubblici di Venezia e Padova non avevano scelta, dovendo fare cassa, e che «era un favore che facevamo noi a loro». Con il controllo della “Padova-Venezia”, che non per niente viene ribattezzata “Serenissima”, i privati entrano a vele spiegate anche nella grande “Brescia-Padova”. E poi, spiega Minutillo, i privati assumono «il requisito del concessionario », utili per partecipare alle gare in project financing (i verbali parlano più volte di Nogara-mare, Treviso-mare e altre grandi opere). Ma «era nelle intenzioni di Baita di andare all’assalto della Cav».

 

Case, terreni e barche. Le due verità sui soldi

Il giallo di un fax partito dagli uffici di Sistemi Territoriali per la Banca di S.Marino

Nel Ravennate l’ex ministro possiede l’azienda agricola che fu di don Gelmini

IL PATRIMONIO La villa a Cinto Euganeo, due case in Croazia, un bosco in Emilia Romagna, due barche, quattro automobili

Villa Rodella a Cinto Euganeo dove vive l’ex ministro con la moglie Sandra Persegato. È stata acquistata
nel 2005 da un dentista di Pantelleria per un milione

Giancarlo Galan possiede una casa nel centro storico di Rovigno

L’ha acquistata nel 2000 e ci trascorre diversi periodi di vacanza durante l’estate

L’ex ministro ha la proprietà di una casa anche di una palazzina a Lussino acquistata in compagnia dell’ex presidente degli industriali Rossi Luciani

GLI INVESTIMENTI Sette partecipazioni azionarie, azioni di Veneto Banca, mutuo con Popolare di Vicenza e 40mila euro sul conto

Uno Steyr Puch Pinzgauer è tra i pezzi rari del parco vetture dell’ex ministro In garage anche una Q7 del 2006 una Land Rover una Mini Morris e una moto Aeon Cobra

Galan possiede il 7 per cento di Adria Infrastrutture una società controllata dalla Mantovani attraverso una società intestata al proprio commercialista padovano

Galan attraverso Margherita srl ha acquistato da don Piero Gelmini una vasta campagna tra Bologna e Ravenna Si chiama Frassineto sas e vale 920 mila euro

Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca sono le banche di riferimento di Galan Con entrambe ha contratto mutui per l’acquisto di immobili e fabbricati

PADOVA Alle 12,54 del 4 aprile 2006 Giancarlo Galan manda un fax alla Banca del Titano autorizzando la signora Vanessa Renzi a prelevare 50 mila euro dal proprio conto sulla Banca del Titano. Ma perché questo fax, invece che partire dalla segreteria del presidente della Regione (all’epoca, appunto, Galan) risulta inviato dal numero di fax della Sistemi Territoriali spa, società controllata interamente dalla Regione del Veneto? La società è attualmente presieduta da Gian Michele Gambato, presidente degli industriali rodigini e da sempre in ottimi rapporti con l’ex assessore regionale Renato Chisso. Chi è invece Vanessa Renzi? Semplicemente la segretaria – e più tardi socia con il 20 per cento – della Bmc Broker di William Colombelli. L’ex ministro padovano giura di non aver mai firmato quella delega al prelievo e che la firmanon è sua: due perizie calligrafiche di parte lo confermerebbero. L’episodio del fax partito da Sistemi Territoriali è solo uno dei misteri che avvolgono la grande inchiesta sui fondi del Consorzio Venezia Nuova che hanno alimentato il flusso delle tangenti tra imprenditori, politici, funzionari pubblici, magistrati contabili e rappresentanti della Guardia di Finanza. Ma è sul patrimonio vero o presunto di Giancarlo Galan che si sta focalizzando l’attenzione degli investigatori dopo le violente accuse pronunciate dall’ex governatore: «Un valore modesto e scadente che ha indotto i magistrati a trarre conclusioni sbagliate». La situazione patrimoniale dell’ex ministro è effettivamente frastagliata e complessa, tra auto, barche, tenute agricole, partecipazioni societarie e diversi conti bancari. Le società. A capo di tutto c’è Margherita srl, sede a Padova nello studio del commercialista Paolo Venuti, cui fanno riferimento il 70% dell’Azienda agricola Frassineto sas (tra Casola Valsenio e Castel del Rio, provincia di Ravenna), acquistata nel 2008 da don Pierino Gelmini e il cui valore è stimato dai finanzieri in 920 mila euro; poi c’è la San Pieri srl, con partecipazioni nel settore energetico riferibili alla moglie per un valore secondo la Guardia di finanza di 1,323 milioni. Alla società di diritto croato Franica fanno riferimento due proprietà immobiliari a Lussino e Rovigno. Una seconda cassaforte sarebbe Amigdala, capitale sociale 50mila euro allo stato inattiva e che si occupa di servizi finanziari, mobiliari e commerciali. «Una società che voleva occuparsi di start up» ha spiegato l’ex ministro lunedì mattina. A Galan fa riferimento anche il 10% di Energia Green Power di Mirano. Galan è inoltre socio di Ihlf, attraverso una fiduciaria del gruppo Intesa Sanpaolo, con l’ex segretario regionale alla sanità Giancarlo Ruscitti ed alcuni manager della sanità regionale. Le case e i terreni. Oltre a villa Rodella a Cinto Euganeo (valore catastale 716 mila euro), acquistata per«poco meno di un milione» nel 2005 da un dentista di Pantelleria, Galan possiede una casa a Lussino acquistata vicino a una proprietà del suo commercialista e dell’ex presidente degli industriali veneti Rossi Luciani. E di un secondo appartamento nel centro storico di Rovigno. Entrambe le proprietà croate sono «inscatolate» dentro la società croata Franica. Galan possiede anche un passaporto croato. Poi c’è il 70% dell’azienda agricola Frassineto in provincia di Ravenna, con due ruderi. Galan possiede inoltre un terzo di un villino a Padova, in usufrutto alla madre, e un appartamento a Milano, in usufrutto all’ex moglie. Le auto. Quattro auto ed un motociclo: un’Audi Q7 del 2006, una Land Rover del 2010, una Minor Morris del 2010 («Me la regalò Ghedini per il mio matrimonio»), una motocicletta Aeon Cobra del 2007. «Il valore complessivo è di 30 mila euro» esclama il politico. Le barche. Secondo la Finanza sono tre, secondo Galan solo due: pacifica la proprietà del sette metri Fortuna e dell’otto metri del 2001 acquistato da Vittorio Altieri. Alla Finanza risulta anche una vela di sette metri del 1995 ormeggiata a Venezia. «Non metto piede su una barca a vela da 40 anni» spiega l’ex ministro. Conti correnti. La Finanza ne ha calcolati diciotto. In realtà si tratta di posizioni bancarie legate a investimenti. «Hanno calcolato anche il telepass: ho una disponibilità liquida di 166 mila euro; ma ad oggi tutti i miei conti sono bloccati».

Daniele Ferrazza

 

Quella «spinta» nel Comitatone

Il docente Stefano Boato ricorda l’accelerazione imposta nel gennaio 2004

VENEZIA A costringere la commissione di Salvaguardia a votare il progetto Mose, quando dovevano essere ancora esaminati 63 volumi di documenti, fu il presidente Giancarlo Galan. Presente – per la prima volta in 15 anni – a presiedere l’organismo. Lo rivela Stefano Boato, docente Iuav e rappresentante del ministero dell’Ambiente in commissione di Salvaguardia. Verbali alla mano, Boato ricostruisce quei giorni cruciali, che portarono all’approvazione del Mose nel gennaio del 2004. «In tre sedute, il 13, 15 e 19 gennaio del 2004», ricorda, «la sottocommissione aveva velocemente esaminato i primi 9 volumi del progetto, evidenziandone le problematiche rilevanti. Restavano da esaminare altri 63 volumi, avendo a disposizione pochissimo tempo, fino al 9 marzo». «Ma il 20 gennaio», continua Boato, «per la prima e ultima volta in 15 anni il presidente della Regione Galan si presenta a condurre personalmente la commissione e chiede di mettere ai voti il progetto. Cinque commissari, tra cui il sottoscritto, si oppongono e chiedono di studiare prima gli atti. Ma Galan rispose che “la commissione non deve dare pareri di merito, né eseguire controlli sostanziali, solo valutare i pareri positivi già espressi dal ministero dei Lavori pubblici e dal direttore centrale dei Beni culturali Roberto Cecchi». A quel punto il ministero per l’Ambiente e il Comune depositano documenti che segnalano le tante criticità del progetto Mose. Lo squilibrio della laguna, i problemi geologici, i rischi della risonanza tra paratoie, le spese enormi per la manutenzione di un sistema che stava sempre sott’acqua, l’aumento del livello del mare, allora minimizzato, che avrebbe provocato chiusure delle dighe sempre più frequenti». Boato propone di esaminare «alternative più economiche e meno impattanti».Mala presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva rispose in modo sbrigativo. «Le risposte sono già state date a suo tempo e non sono ulteriormente discutibili». Così si va al voto. Un commisario rimasto in aula (il presidente dell’Ordine degli architetti Antonio Gatto) presenta un documento favorevole. La Salvaguardia approva a maggioranza, decidendo anche che i controlli dell’opera non li dovrà fare il ministero dell’Ambiente ma lo stesso ministero delle Infrastrutture – che poi li affiderà tramite il Consorzio Venezia Nuova al Corila – e che i cantieri per costruire gli enormi cassoni in calcestruzzo si dovessero fare sulla spiaggia di Santa Maria del Mare, zona vincolata, oggi ricoperta da una gettata di calcestruzzo. «Un’opera sbagliata e costosissima è stata finanziata grazie alla corruzione », dice Boato, «adesso il governo dovrebbe sospendere i lavori, almeno per correggere gli errori e fermare questo Stefano Boato spreco di risorse».

Alberto Vitucci

 

«Professionalità altissime contro chi sottrae denaro»

La Guardia di Finanza difende i propri accertamenti

Il generale Flavio Zanini ringrazia tutti i militari impegnati

Indagini molto delicate e condotte nel corso di diversi anni con strumenti del tutto affinati e moderni

Complimenti per il riserbo con il quale i nostri uomini hanno condotto il loro prezioso lavoro

VENEZIA «Il contrasto agli illeciti nel settore della spesa pubblica, al pari della lotta all’evasione fiscale, è un obiettivo che deve essere perseguito con forza e decisione, a qualsiasi prezzo e senza esitazione alcuna. All’adempimento di questo dovere la Guardia di Finanza è protesa con energia e determinazione, pur se ciò implica scelte dolorose e non facili, in ragione delle responsabilità emerse a carico di chi è investito di funzioni pubbliche, anche all’interno dello stesso Corpo». Le parole del generale di Corpo d’Armata Flavio Zanini, Comandante Interregionale Nord Orientale, della Guardia di Finanza, arrivano l’indomani dell’attacco alle Fiamme Gialle dell’ex Presidente della Regione Giancarlo Galan, che accusa i finanzieri di aver fatto male le indagini che lo vedono coinvolto, nella vicenda mazzette e Mose. Frasi dette nella caserma “Tommaso Mocenigo” sede del Reparto Operativo Aeronavale, durante le celebrazioni per il 240° Anniversario della Fondazione del Corpo della Guardia di Finanza, presente oltre al generale Zanini anche il suo collega Bruno Buratti, Comandante Regionale Veneto. Galan accusa i finanzieri di aver “ingannato” i magistrati con le loro indagini. Zanini non entra in polemica,male sue frasi sono risposte alla difesa del rappresentante di Forza Italia. Spiega ancora il generale: «Recenti fatti di cronaca hanno richiamato prepotentemente l’attenzione sulla esigenza di preservare in ogni modo la cornice di legalità nella conduzione delle attività economiche, comprese le opere pubbliche. La Guardia di Finanza ha smantellato gruppi illeciti capaci di condizionare anche chi è chiamato a vigilare, lucrando alle spalle della collettività, con metodi che tanto sofisticate quanto truffaldine, milioni e milioni di euro in dispregio alla legge ed al patto sociale con i cittadini. Ciò è stato possibile grazie al silenzio ed all’altissima professionalità con cui i nostri militari, hanno saputo condurre inchieste delicatissime e sviluppate nell’arco anche di diversi anni – continua il generale -. È in questo ambito che desidero associare con forza, al ringraziamento ai nostri uomini, la gratitudine nei confronti della Autorità Giudiziaria, che, anche in questi giorni, ha inteso riconoscere totale fiducia e considerazione ai militari del Corpo per l’alto livello di professionalità e di riserbo dimostrato pur in condizioni ambientali non facili. Da queste indagini, così come dalle tante altre attività condotte dai nostri reparti, scaturisce la conferma che la legalità conviene». Il Comandante ha quindi citato il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, che la settimana scorsa ha tuonato contro i tangentari. «E quindi suonano quanto mai appropriate le parole pronunciate nei giorni scorsi da il Patriarca di Venezia, quando afferma che “è questione di coraggio; che bisogna tenere la barra dritta, a dispetto dei venti impetuosi…e che la meta…si chiama giustizia”. Sento, ora, di poter affermare che la Guardia di Finanza questo coraggio lo sta dimostrando, e non soltanto nella conduzione delle attività investigative. Al nostro personale, che opera ogni giorno in contatto ed al servizio del cittadino, chiedo di continuare a compiere il proprio dovere con fermezza ed orgoglio. Ai cittadini assicuro che la Guardia di Finanza continuerà a perseguire con rigore e massima determinazione i valori della legalità ».

Carlo Mion

 

La procura punta al rito immediato

Per l’ad di Palladio, per l’ex braccio destro di Tremonti e per Spaziante la competenza passerà a Milano

VENEZIA Starebbero già pensando a mandare a processo con rito immediato buona parte degli arrestati i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini in modo da saltare l’udienza preliminare. Terminati gli interrogatori di coloro che hanno chiesto di essere sentiti dai rappresentanti della Procura e soprattutto conclusi i ricorsi davanti al Tribunale del riesame (è previsto l’esame per il 27 giugno di otto posizioni tra cui quelle dell’ex assessore regionale Renato Chisso, del suo segretario Enzo Casarin e della dirigente del Consorzio Venezia Nuova Maria Teresa Brotto e per il 2 luglio le ultime tre, tra cui quelle di Patrizio Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle acque, e dell’imprenditore [………………..]) i pubblici ministeri tireranno le somme e presumibilmente chiederanno il rito immediato. Nel frattempo, la Procura lagunare si spoglierà per incompetenza territoriale di tre degli indagati, due dei quali sono stati arrestati. A segnalare per primo la questione è stato il Tribunale del riesame presieduto dal giudice Angelo Risi: lunedì ha accolto il ricorso dei difensori del vicentino Roberto Meneguzzo, amministratore della «Palladio Finance», sostenendo che competente ad indagare sul suo conto è la Procura di Milano perché, stando alla ricostruzione fornita dallo stesso Giovanni Mazzacurati, la tangente di 500 mila euro a Marco Milanese, braccio destro dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, sarebbe stata consegnata nelle sede milanese della società di Meneguzzo, lo stesso per quanto riguarda la prima parte della mazzetta – anche quella di 500 mila euro – al generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante. All’ufficiale i soldi sarebbero stati passati in un albergo del capoluogo lombardo al termine di una riunione di cui ha parlato a lungo lo stesso Meneguzzo, colui che aveva messo in contatto Mazzacurati sia con Spaziante sia con Milanese. Toccherà dunque ai pubblici ministeri milanese proseguire le indagini sul conto di Meneguzzo, Spaziante e Milanese. Nel suo verbale, l’imprenditore vicentino, pur negando di aver saputo dei soldi che passavano da una mano all’altra, conferma di aver «procurato a Mazzacurati anche incontri con il ministro Tremonti», inoltre Meneguzzo riferisce che il generale, alla presenza di Milanese, racconta a Mazzacurati dell’indagine in corso a Venezia: «Spaziante lo informa dettagliatamente della verifica in corso e che questa non riguarda solo la Guardia di finanza, solo gli aspetti fiscali, ma che c’è un’indagine penale. Dice che vogliono verificare perché cisono dei fondi neri». Intanto, in vista dell’interrogatorio dell’ex ministro Altero Matteoli davanti al Tribunale dei ministri del Veneto di venerdì, i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria hanno interrogato Piergiorgio Baita e Nicolò Buson. Il primo ha raccontato che sarebbe stato Matteoli a voler inserire a tutti i costi la «Socostramo» del costruttore romano di Alleanza nazionale Erasmo Cinque nell’appalto per le bonifiche di Marghera e Buson ha aggiunto di aver consegnato di persona a Cinque 150 mila euro. Il sospetto è che quei soldi potrebbero essere finiti all’ex ministro.

Giorgio Cecchetti

 

Mazzacurati: Milanese e Meneguzzo mi terrorizzavano Gli interrogatori del presidente del Consorzio Venezia Nuova Il pm: «Lei copre qualcuno». «È vero, ecco chi sapeva tutto»

«Quando gli ho portato mezzo milione, lo ha messo in un armadietto e mi ha detto “grazie”»

A D’Alessio abbiamo dato solo 50 mila euro perché è rimasto poco al Magistrato alle acque

VENEZIA – L’ingegner Giovanni Mazzacurati è in California, a San Diego, città originaria della moglie. Può restare all’estero 90 giorni: è partito in aprile, ne consegue che ormai sta facendo le valigie per rientrare in Italia. La magistratura non gli ha ritirato il passaporto perché stima che non ci sia pericolo che non succeda: il suo debito con la giustizia è ancora pendente. Arrestato il 12 luglio 2013 e messo con le spalle al muro dalle prove raccolte dai pm, l’ex padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova ha fatto molte ammissioni ma ha cercato anche di coprire alcune delle persone poi arrestate il 4 giugno scorso. Ecco come (sintesi dell’interrogatorio del 30/7/13).

D. Quando i finanziamenti al Mose tardavano lei a chi si rivolgeva?
R. Al ministro Tremonti tramite Marco Milanese. Me l’aveva consigliato il dottor Roberto Meneguzzo, di Palladio Finanziaria.
D. Meneguzzo le aveva detto che bisognava pagare?
R. Non riferito direttamente a Tremonti. Intendeva che facessi prima il colloquio con il ministro…
D. Lei ha fatto il colloquio con Tremonti?
R. Sì e Meneguzzo mi ha detto che era andato bene. Ma non mi davano rassicurazioni sull’approvazione del finanziamento e questo mi metteva in allarme. Poi Meneguzzo mi dice: meglio che lei incontri Milanese, è la persona che per conto del ministro “gestisce queste cose”.
D. Chi le ha suggerito la cifra di 500 mila euro, Meneguzzo o Milanese?
R. Meneguzzo. Ho portato i soldi in una scatoletta bianca nella sede di Palladio Finanziaria a Milano. C’erano lui e Milanese.
D. Lei sa che i soldi provenivano da Baita, il quale ci ha detto che non servivano alla concessione del finanziamento ma solo all’inserimento del Mose nell’odg del Cipe. Poi dovevano seguire la delibera e il voto.
R. È possibile. Mi pare che Milanese avesse spiegato che c’erano tanti altri progetti che aspettavano.
D. I finanziamenti potevano andare ad altre opere se non pagavate?
R. Questa è stata la mia sensazione, per cui bisognava sbrigarsi.
D. Quando lei dà i soldi a Milanese, cosa le dice Milanese?
R. Grazie.
D.Non le ha detto se doveva portarli a qualcun altro?
R. No, ha preso il pacchetto e l’ha messo in un armadietto alle sue spalle.
D. Lei ha dato 500 mila euro anche al generale della GdF Spaziante?
R. Sì ma frazionati, per sistemare la verifica fiscale al Consorzio e per il finanziamento al Cipe. Spaziante mi diceva di stare tranquillo, Meneguzzo e Milanese mi terrorizzavano. Mi avevano fatto un conto finale, il tutto mi costava 2 milioni di euro.
D. Per chiudere la verifica fiscale o anche per il Cipe?
R. Per capirlo li ho visti tre-quattro volte a Roma. Poi c’è stato un blackout, Spaziante è scomparso. Nonostante tutto lui mi dava la sensazione di persona seria, non altrettanto Meneguzzo, tant’è che ho interrotto i rapporti. Poi Meneguzzo si è reinserito approfittando di un lavoro importante a Padova, la costruzione del nuovo ospedale.
D. Ha dato denaro all’ex Magistrato alle Acque Ciriaco
D’Alessio?
R. Sì, 50 mila euro mi sembra, perché è rimasto pochissimo.
D. Ha dato soldi a tutti i Magistrati alle acque che si sono succeduti?
R. Non a tutti.
D. Perché alcuni li pagate e altri no?
R. Alcuni non vogliono proprio.
D. A conti fatti avete dato fra i 3 e i 4 milioni di euro. Come doveva ricambiare il Magistrato?
R. Abbiamo investito questi soldi perché la cosa funzionasse più rapidamente. Il Magistrato aveva settori sottodimensionati e non fornivamo il nostro personale: una trentina nei laboratori e una quindicina negli
uffici.
D. Gli atti del Magistrato predisposti da personale del Consorzio: non le sembra un conflitto d’interesse?
R. La cosa è avvenuta negli anni, in modo strisciante. Certo, bisognerebbe cambiare.
D. Ricorda quanto avete dato a Cuccioletta, a fine del suo mandato?
R. Mezzo milione di euro. Se ne occupò Baita.
D. Baita dice che fece un bonifico. Ma per un bonifico ci vuole un numero di conto, chi lo comunicò a Baita?
R. Non mi ricordo.
D. Potrebbe essere stata l’ingegner Maria Teresa Brotto?
R. Potrebbe essere.
D. Era al corrente di questa cosa?
R. Non avrebbe dovuto esserlo, si occupava d’altro. Ma con Baita aveva buoni rapporti.
D. E con Cuccioletta?
R. Altrettanto. Ma non mi ricordo bene com’è andata. Mi ricordo solo che bisognava fare un presente a Cuccioletta.
D. Ingegnere, un presente? È mezzo milione, non un panettone di Natale!
R. Beh, sì…mi ricordo che ne abbiamo parlato con Baita e abbiamo deciso di promuovere una cifra del genere.
D. Ma Baita non ha fatto i salti di gioia quando gli avete detto che doveva tirarla fuori lui.
E versarla all’estero. Per uno che andava in pensione…
R. È vero, la finalità non c’era più perché Cuccioletta era uscito. Non avevamo più ritorno.…
Capisco che sembra strano.
D. È più facile che ve l’abbia chiesto Cucioletta.
R. No. Cioè, non ci ha chiesto 500mila euro.
D. Neanche una richiesta generica?
R. Oddìo, questo per uno che ha lavorato in sintonia per tanti anni, non saprei…
D. I pagamenti al Magistrato alle Acque sono durati 15-20 anni. Lei stava spendendo i soldi dei soci, ne parlava con loro? Per esempio Mazzi sapeva?
R. A volte sapevano, a volte no. Mazzi ha grandi lavori negli Usa, è spesso assente.
D. Ingegnere, a lei viene in mente solo il nome di Baita. È come la Croce Rossa. Sappiamo tutti che Baita sta collaborando, troppo facile. Non pretenda di essere creduto.
R. Ha ragione.
D. Noi abbiamo la sensazione che lei stia coprendo altri.
R. Avete ragione.
D. E allora?
(Interruzione per alcuni minuti. Alla ripresa)
R. Allora elenchiamo le persone che sapevano: ero io, Piergiorgio Baita, […………….], l’ingegner Tomelleri, Flavio Boscolo della Coedmar, Mario Boscolo, Pio Savioli, il suo capo Morbiolo. Poi Sutto, Neri, e in forma minore la Brotto…

Renzo Mazzaro

 

«Vas si costituirà parte civile contro il Cvn»

L’Associazione Verdi Ambiente e Società si costituirà parte civile al processo legato al Mose. Lo dice il Sen. Guido Pollice, presidente nazionale di Vas Onlus.

«L’Associazione Vas» scrive «esprime grande preoccupazione riguardo a tutta la vicenda legata al sistema Mose e ai gravi fatti di corruzione che hanno investito i vecchi vertici del Consorzio Venezia Nuova e le istituzioni comunali e regionali. L’associazione ricorda come Vas avesse negli anni richiesto trasparenza e controlli su tutta la vicenda legata ai lavori alle bocche di porto con ordini del giorno approvati fin dalla fine degli anni ’90 in diverse assemblee nazionali dell’associazione. La nostra associazione ha dato mandato all’avvocato Daniele Granara di costituirsi parte civile al processo sulla corruzione. Vas, in tema di grandi opere, ritiene indispensabile rivedere la Legge Obiettivo laddove si intende semplificare o addirittura superare le fondamentali autorizzazioni di permitting ambientale (VIA,Vinca etc…)».

 

Da Venezia a Milano le carte dell’accusa sulla maxi-tangente

Il versamento della “mazzetta” era previsto a Vicenza, ma l’arrivo della Guardia di Finanza al Consorzio Venezia Nuova, per una verifica fiscale, fece saltare il progetto iniziale, e la consegna del denaro fu spostata a Milano, il 14 giugno del 2010. È per questo motivo che sarà trasmesso alla Procura lombarda il filone dell’inchiesta relativo ai 500mila euro che l’ex presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, sostiene di aver versato a Marco Milanese, consigliere politico dell’allora ministro Giulio Tremonti, per ottenere il via libera ad una serie di finanziamenti per la prosecuzione dei lavori del Mose.
Lo spiega il Tribunale del riesame di Venezia nel provvedimento con cui, lunedì sera, ha stabilito che la competenza delle indagini spetta al pool di magistrati diretti da Edmondo Bruti Liberati: una recente sentenza della Cassazione, ha infatti stabilito che è decisivo il momento della consegna della presunta tangente, non quello dell’accordo illecito.
E così tra qualche giorno la Procura di Venezia provvederà a liberarsi del fascicolo nel quale, oltre al nome di Milanese, figura anche quello del finanziere vicentino Roberto Meneguzzo, della Palladio Finanziaria, che secondo i pm Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, avrebbe fatto da intermediario, mettendo in contatto Mazzacurati con l’onorevole Milanese e facendogli incontrare anche l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti (non indagato). Mazzacurati sostiene di aver versato i 500mila euro nella sede della Palladio, a Milano, attorno a mezzogiorno, e la Finanza scrive che i dati dei rispettivi tabulati telefonici confermano sia i contatti avvenuti nei giorni precedenti tra i vari protagonisti della vicenda, sia la presenza di Meneguzzo e Milanese nella sede della Palladio il giorno della presunta mazzetta. Il manager vicentino, difeso dall’avvocato Manfredini, ha negato con decisione di aver mai trattato di questioni relative a tangenti e pure di aver assistito ad uno scambio di denaro tra Mazzacurati e Milanese.
Versione che contrasta con quella dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova il quale ha raccontato agli investigatori che sarebbe stato proprio Meneguzzo a dirgli «che bisognava dare dei soldi per “avere queste cose” dicendogli anche che il “cip” di apertura doveva essere nell’ordine di 500mila euro. A sua volta l’onorevole Milanese disse che sarebbe riuscito a “combinare queste cose”», si legge nella ricostruzione effettuata dal Riesame.
La “cosa” da sistemare sarebbe stata la delibera Cipe numero 31 del 2010, all’interno della quale dovevano rientrare i finanziamenti per il Mose. Mazzacurati si era inizialmente recato da Gianni Letta, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma senza esito, ha raccontato ai magistrati. Per poi aggiungere che, successivamente, tramite Meneguzzo riuscì ad entrare in contatto con Milanese. Versione confermata da Piergiorgio Baita, allora presidente della Mantovani, il quale ha aggiunto che Meneguzzo fu presentato al presidente del Cvn dall’ex presidente del Consiglio Regionale, la vicentina Lia Sartori. Da alcune intercettazioni telefoniche emerge che sarebbe stato Meneguzzo a fissare l’appuntamento tra Mazzacurati e Milanese il 29 aprile del 2010 alle ore 13, nella sede del ministero dell’Economia. Mazzacurati incontra Tremonti pochi giorni più tardi. Il 13 maggio il Cipe approva la delibera che prevede il finanziamento per il Mose. Il 24 maggio Mazzacurati, conversando con un imprenditore aderente al Cvn, il veronese [……………….], assicura che «la cosa è sistemata»: ed effettivamente, rileva la Procura veneziana, il Consiglio dei ministri del 25 maggio delibera la priorità dei finanziamenti del Mose nel limite massimo di 400milioni di euro. Baita riferisce che lo stesso giorno fu convocata una riunione urgente al Consorzio Venezia Nuova per reperire i soldi da versare a Milanese. Gli inquirenti sottolineano che, il giorno successivo, c’è una telefonata di Meneguzzo a Mazzacurati «per aver riscontro sulla bontà del risultato conseguito, garantendo la prosecuzione dell’intervento del Milanese anche per la fase successiva, che si concluderà il 18 novembre 2010». Il 28 maggio Mazzacurati rassicura che la tangente sarà pagata, visto l’esito positivo della vicenda e che sarà lui stesso a portarla a Vicenza. Ma alla fine il presidente del Cvn è costretto a cambiare in piano per evitare che le Fiamme Gialle potessero trovarlo ben ben 500mila euro in contanti. Spiegarlo ai finanzieri non sarebbe stato facile.

Gianluca Amadori

 

L’avvocato di Fasiol: non ha agevolato la Mantovani

Secondo Baita gli furono affidati quattro collaudi del Mose per «ingraziarselo»

Il suo legale: abbiamo dimostrato che non c’é stato alcun atto di favoritismo

LIBERO – Il tribunale del Riesame di Venezia ha revocato la custodia cautelare per Giuseppe Fasiol, ex funzionario della Regione Veneto

LA RICOSTRUZIONE – Mazzetta pagata per sbloccare la delibera del Cipe sui lavori

IL RIESAME – Versati nella sede di Palladio i 500mila euro per Milanese consigliere di Tremonti

IN LIBERTÀ L’ex dirigente della Regione accusato di corruzione

VENEZIA – (g.l.a.) “Siamo molto soddisfatti della decisione del Tribunale del Riesame che ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del mio cliente, ritenendo che non sussistano gravi indizi di colpevolezza a suo carico”.
Lo ha dichiarato l’avvocato Marco Vassallo, difensore di Giuseppe Fasiol, il funzionario della Regione Veneto arrestato all’inizio di giugno con l’accusa di corruzione in relazione a quattro collaudi (per un compeso compessivo di poche migliaia di euro) che secondo la Procura gli erano stati affidati come contropartita per aver favorito le società del gruppo Mantovani nell’iter relativo a project financing.
“Abbiamo dimostrato che il mio cliente non ha agevolato in alcun modo la Mantovani e che non c’è stato alcun atto di favoritismo e, di conseguenza, alcuna corruzione”, prosegue l’avvocato Vassallo.
A chiamare in causa in qualche modo i funzionario regionale è stato l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, il quale ha raccontato ai pm che quei collaudi furono dati a Fasiol con l’intenzione di ingraziarselo. “Anche se questa fosse stata l’intenzione di Baita, il mio cliente non ha commesso alcun illecito in quanto non ha favorito la Mantovani”, precisa l’avvocato Vassallo.
Fasiol, 52 anni, originario di Lendinara e residente a Rovigo, per il momento non vuole rilasciare interviste: “Desidera solo restare con la sua famiglia, dopo aver trascorso venti giorni ingiustamente in carcere, in un regime di detenzione ingiustificato, in quanto gli era stata anche negata la possibilità di avere colloqui con i suoi cari. Ora vuole soltanto restare un po’ in pace”.

 

MOSE, GALAN PRIVILEGIATO

L’inchiesta sulle presunte tangenti pagate per gli appalti del Mose ha portato all’arresto di 35 persone. Tra gli arrestati, nomi eccellenti come l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni , il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese, il generale in pensione Emilio Spaziante. Per il deputato Giancarlo Galan, per poter procedere occorrerà invece il beneplacito dell’apposita Commissione di Palazzo Madama. Come dire che esistono cittadini più uguali degli altri per i quali valgono regole e privilegi riservati solo ai pochi fortunati che fanno parte del cerchio ristretto della cosiddetta casta. E così, mentre Renato Chisso rimane in carcere nonostante le sue precarie condizioni di salute e l’imprenditore Roberto Meneguzzo tenta il suicidio in cella, Giancarlo Galan, a cui auguro di dimostrare nelle sedi opportune la propria innocenza, ha la possibilità di andare in televisione raccontando la propria verità e confutando senza alcun contraddittorio le accuse rivoltegli e le testimonianze raccolte dai giudici. Il livello di civiltà di uno Stato si misura innanzitutto dal rispetto per la giustizia, ma da troppo tempo nel nostro Paese i processi, contrariamente agli Stati Uniti dove nelle aule di giustizia non entra neanche il fotografo o l’operatore televisivo, anzichè nei luoghi deputati e cioè nei tribunali, si celebrano negli studi televisivi, con tanto di ospiti, pubblico plaudente e intermezzi pubblicitari.

Renzo Bulbarella – Torreglia (Pd)

 

LE ASSOCIAZIONI – Ambiente Venezia: «Rivedere le sezioni delle bocche di porto»

Tanta “carne” sul fuoco per l’associazione Ambiente Venezia. Che alle 17.30 di venerdì indice sulla vicenda Mose una nuova assemblea pubblica a San Leonardo, con la bellezza di nove punti all’ordine del giorno: la moratoria delle opere in corso alle bocche di porto, il superamento della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova e il suo scioglimento, l’abrogazione della legge obiettivo, il superamento del Magistrato alle acque, la riforma della Legge speciale, il superamento della concessione al Consorzio delle aree dell’Arsenale nord, la ripresa delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e per la residenza e il diritto alla casa, nonché l’istituzione di una Authority indipendente di tecnici che studino la possibilità di riconversione del sistema Mose mediante una variante in corso d’opera.
Ieri la comunicazione dell’incontro si è accompagnata alla diffusione di una nota dove Ambiente Venezia, pur sottolineando che «il danno ambientale avvenuto è enorme e irreversibile», e che in materia si sta valutando la possibilità di una denuncia alla magistratura, «rimane forse possibile intervenire nell’ultima fase d’installazione di cassoni e paratie». Proponendo a tal fine la revisione della sezione alle bocche di porto, «con l’innalzamento dei fondali e la definitiva estromissione delle grandi navi dalla laguna, e il recupero di progetti alternativi mai presi in considerazione».

Vettor Maria Corsetti

 

Un “cip” come a poker. Mezzo milione per oliare Cipe e giudici

Mazzacurati racconta ai pm come Meneguzzo li ha convinti a pagare la mazzetta. Ma c’era anche chi si teneva il denaro

VENEZIA – Le tangenti come al poker. Apertura con 100-200 mila euro, poi il rilancio. Il “cip” cioè la puntata minima per giocare al tavolo del ministro Tremonti era 500 mila euro: lo dice Roberto Meneguzzo a Giovanni Mazzacurati, che sta cercando appoggi per sbloccare i finanziamenti per il Mose. È quanto si legge nei verbali dell’interrogatorio all’ex padre-padrone del Consorzio, il 29 luglio 2013. Il presidente Mazzacurati è interrogato dai pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto, presente il difensore Gianbattista Muscari Tomaioli (un’avvertenza: domande e risposte sono sintetizzate). D. Vuole esporre i fatti?
R. Per ottenere finanziamenti ci siamo fatti aiutare dal dottor Meneguzzo della Palladio Finanziaria. Ci consigliò di parlare con Tremonti, il quale ci disse «state tranquilli». Ma non si riusciva a concretizzare. Allora successe qualcosa di nuovo: Meneguzzo ci disse che bisognava dare dei soldi, altrimenti non si andava da nessuna parte. E mi disse che il “cip di apertura” doveva essere 500 mila euro.
D. Per chi?
R. Trattandosi del ministero del Tesoro noi ci abbiamo dato affidamento. L’onorevole Milanese ci disse che sarebbe riuscito a combinare. Ma intanto avevamo una verifica fiscale.
D. Intende al Consorzio?
R. Sì, è venuto Milanese, è venuto un generale della GdF, Spaziante. Anche lui mi ha ditto di stare tranquillo che si poteva risolvere il problema. Gli abbiamo dato dai 400 ai 500 mila euro. Però ho avuto l’impressione che non ci fosse stato un vero intervento. Così ho interrotto il pagamento.
D. Le avevano fatto richieste precise?
R. Mi facevano sempre richieste, soprattutto se tardavo. Inizialmente cifre non molto grosse, sui 100-200 mila euro.
D. Più volte?
R. Quando abbiamo combinato con Milanese abbiamo dato 500 mila euro. Con il generale Spaziante non ricordo se 400 o500 mila.
D. Quanto ha dato all’ingegner Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle Acque?
R.Un150 o 200 mila euro.
D. E quando è andato in pensione?
R. Avevamo promesso un premio, pensavamo a un milione e 200 mila euro. Gli davamo 200 mila euro ogni semestre e al termine gli abbiamo detto: “guarda che ti combiniamo bene”.
D. Ma gli avete riconosciuto questa cifra?
R. L’ingegner Baita gli ha dato 500 mila euro e la cifra è rimasta così. Baita teneva anche i rapporti con Galan, che si si è fatto una bella casa sui Colli. Credo che sia stata finanziata da Baita. Io ho avuto rapporti con Cacciari che mentre era sindaco mi ha chieste di aiutare un’impresa: si chiamava Marinese, proveniva dalla Guaraldo. Poi mi ha chiesto di sponsorizzare con 300 mila euro una squadra di calcio. Abbiamo avuto piccoli esborsi per Bergamo.
D. L’aiuto all’impresa riferibile a Cacciari in cosa si è tradotto?
R. In un lavoro che gli abbiamo dato.
D. Ingegnere, deve dire quale lavoro.
R. Di 10 milioni di euro. A Orsoni abbiamo finanziato la campagna elettorale. Per lo stesso motivo a Marchese abbiamo versato dai 200 ai 300 mila euro. Poi c’era la corte dei Conti. Avevamo molti problemi con loro, fastidi, ritardi… Mi sembrava che se potevamo Stabilire un rapporto…
D.Conchi?
R. A metà degli anni ’90 l’ingegner Neri mi disse di avere un amico nella Corte dei Conti e mipropose di fare una combinazione con lui. La persona si chiama Giuseppone. Ultimamente ho trovato l’ingegner Neri, che non fa più parte del Consorzio, molto agitato perché ha versato una parte dei soldi che gli avevo dato per Giuseppone mail resto se li è tenuti lui.
D. Lui chi, l’ingegner Neri?
R. Sì, ha tuttora un conto in Inghilterra, rintracciabile, con unmilione di euro depositato.
D. Con che frequenza avete versato i soldi a Giuseppone?
R. Annuale. In certi anni abbiamo fatto metà a Natale e metà a Pasqua. Quando Neri eniva a dirmi «guarda che è tanto chenon diamoi soldi», io ne parlavo a Baita che me li faceva avere.
D.Quanto a consegna?
R. Faccia conto 150 mila o 200mila euro per rata.
D. Perché versavate cifre così consistenti?
R. Speravamo di velocizzare le decisioni.
D. Questo magistrato che riceveva i pagamenti che atteggiamento ha avuto nei vostri confronti?
R. Morbido. Ci faceva delle osservazioni facilidaaccettare.
D. Neavete mai discusso in anticipo?
R. No, il rapporto lo teneva l’ingegner Neri. La questione con la Corte dei Conti era delicata, bisognava…
D. Lei non l’ha mai conosciuto di persona?
R. Un’unica volta, dieci o quindici anni fa, in un albergo. Me l’ha presentato l’ingegner Neri.
D. Vi rapportavate sempre attraverso Neri?
R. Sì, ameandava bene. Neri teneva la contabilità su foglietti di appunti. So che ha interrotto le dazioni molto prima di quello che ha poi dichiarato. Ha smesso di dargli i soldi, praticamente.
(Qui ci tocca quasi rivalutare il leghista Enrico Cavaliere, presidente del Consiglio regionale dal 2000 al 2005, che si rifiutò di servire il buffet ai giudici della Corte d’Appello di Venezia, ospitati a palazzo Ferro Fini per la relazione sul bilancio annuale della Regione. «Vadano a controllare qualcun altro », ebbe a dire. Maleducato, ma col senno di poi era sulla notizia).

Renzo Mazzaro

 

Venuti e la moglie: noi custodi dei conti e dei soldi all’estero

Minutillo: quando mi arrestarono mi difese e non ho mai avuto un cappotto così

Riesame: annullati gli arresti di Fasiol e Giordano, domiciliari a Piva e Dal Borgo

Boscolo Contadin: «Davo 5-600 mila euro ogni anno per il nero e per il Marcianum»

VENEZIA – Anche se la Procura di Venezia dovrà ancora attendere il via libera dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera per arrestare e indagare su di lui, di Giancarlo Galan, seppure indirettamente, si è parlato più volte durante l’udienza del Tribunale del riesame di ieri. Il pm Stefano Ancilotto ha depositato il verbale di un’intercettazione ambientale con una conversazione tra il commercialista padovano Paolo Venuti e la moglie nell’auto del professionista. Venuti è il consulente dell’ex governatore del Veneto e con la moglie parla liberamente dei soldi di Galan, fa riferimento ad unmilione e 800 mila euro, «Per cui alla fine in Svizzera li tengo io e quelli in Croazia li tiene lui» sostiene, confermando che l’esponente di Forza Italia soldi all’estero ne ha e su più conti correnti. E ancora, questa volta è la donna che al marito spiega che se Galan «Morisse domani, io potrei anche tenermeli, ma non riuscirei a fare questa roba perché so che sono suoi e di sua figlia e tutti dobbiamo rispettare questo, anche sua moglie (…) sono la prestanome». Confermando i sospetti degli investigatori della Guardia di finanza sul fatto che Venuti non è semplicemente il commercialista dell’uomo politico, ma anche il prestanome. E a Galan, dopo aver sentito come si è difeso a Roma, ha risposto Claudia Minutillo, la ex segretaria. «Ma quale cappotto di Chanel da 16 mila euro? », ha commentato, «io non l’ho mai posseduto una capo del genere». E, poi, ha spiegato che Galan non l’ha più voluta negli uffici di palazzo Balbi dopo essersi sposato, perché era stata la moglie a volerlo. Infine, ha ricordato che quando era stata arrestata erano state altre le parole di Galan: aveva sostenuto che era una lavoratrice, che era seria e impegnata, a differenza di quello che ha detto ieri. Anche il pubblico ministero Paola Tonini ha depositato nuovi atti, in particolare il verbale di cento pagine dell’interrogatorio del vicentino Roberto Meneguzzo, amministratore della «Palladio Finanziaria», il quale pur negando di aver mai consegnato o visto soldi, ha confermato di aver organizzato, in un albergo di Milano, un incontro tra Giovanni Mazzacurati, il braccio destro dell’allora ministro Tremonti Marco Milanese e il numero due della Guardia di finanza, il generale Emilio Spaziante. Meneguzzo ha riferito anche il discorso fatto dall’ufficiale delle «fiamme gialle», il quale aveva confermato l’esistenza di un’inchiesta penale, rivelando il nome del pubblico ministero Paola Tonini, che coordinava le indagini e definendola «uggiosa », e aggiungendo che c’erano in corso intercettazioni. La rappresentante della Procura, inoltre, durante l’udienza avrebbe anche ricordato ai giudici del Riesame, presieduti da Angelo Risi, che Meneguzzo (già a gli arresti domiciliari dopo un tentativo di suicidio nella cella del carcere) la mattina del 4 giugno è stato arrestato in una stanza di un albergo di Milano, lo stesso dove è stato trovato e arrestato anche il generale Spaziante. Infine, il pm Tonini ha depositato anche il verbale d’interrogatorio dell’imprenditore chioggiotto Flavio Boscolo Contadin, direttore tecnico della «Co.Ed. Mar. srl», il quale ha tenuto a precisare che la sua impresa non fa parte delle coop rosse perché lui la pensa in maniera opposta. Ha comunque confermato di aver consegnato nelle mani dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova da 500 a 600 mila euro ogni anno, dal 2000 in poi, per i fondi neri, aggiungendo di non sapere poi a chi Mazzacurati li abbia passati. Inoltre, ha ribadito di essere uno di coloro che ogni anno, su sollecitazione di Mazzacurati, finanziava lo Studium Marcianum dell’allora patriarca di Venezia Angelo Scola. In tarda serata il Tribunale ha deciso: ha annullato le ordinanze di custodia cautelare per il dirigente regionale Giuseppe Fasiol e per il consulente fiscale Francesco Giordano (per mancanza di esigenze cautelari), vanno agli arresti domiciliari l’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva e Luigi Dal Borgo, resta in carcere il commercialista Paolo Venuti. Per Roberto Meneguzzo atti alla Procura di Milano, dove sarebbe stata pagata la tangente di 500 mila euro a Marco Milanese.

Giorgio Cecchetti

 

Cvn ridurrà costi, compensi e personale

Spending review al Consorzio Venezia Nuova. La nuova dirigenza prova a voltar pagina. E ieri il presidenteMauro Fabris (nella foto con Zaia e Orsoni) ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio di amministrazione. All’ordine del giorno la «cura dimagrante», a questo punto inevitabile. Per una struttura che a soli due anni dalla conclusione dei lavori del Mose ha ancor quasi duecento dipendenti tra Consorzio e Tethis. «Siamo a disposizione di quello che deciderà il governo», dice Fabris. Uno dei punti approvati ieri dal Cda è quello di avviare una riduzione dei famosi «oneri del concessionario». La percentuale prevista per legge su tutti i progetti e i lavori del Consorzio. Unasommadi denaro imponente – circa 650 milioni di euro sui 5 miliardi e mezzo di lavori – utilizzata secondo l’inchiesta anche a fini illeciti. Gli oneri potrebbero scendere adesso di 2-3 punti, cosìcome potrebbe essere ridotto il numerodei consiglieri di amministrazione. Questo mentre il Consiglio comunale di Venezia, riunito nella sua ultima seduta prima dello scioglimento, ha chiesto ieri con un documento una commissione di inchiesta parlamentare sul Consorzio,Maanche «nuovi controlli tecnici» sulla grande opera e l’abrogazione della concessione unica e della Legge Obiettivo. Il Consorzio adesso prova a rispondere. Resta vacante il posto di vicepresidente, ricoperto da Pio Savioli e adesso da [……………….], entrambi arrestati nell’ambito dell’inchiesta Mose. (a.v.)

 

Il manager: «Sono finito in un tritacarne»

Da ieri ai domiciliari dopo il tentato suicidio

«Sono finito in un tritacarne. Non posso accettare questa situazione». Parole che Roberto Meneguzzo (nella foto), amministratore di Palladio Finanziaria, ha confidato al suo legale, Giovanni Manfredini. Il manager berico, 58 anni, arrestato il4giugno nell’ambito dell’inchiesta relative alle tangenti del Mose, nella notte tra il 18 e il 19 giugno ha anche tentato il suicidio nella sua cella di isolamento nel carcere di La Spezia. Meneguzzo, che da ieri è agli arresti domiciliari nella sua casa nel centro di Vicenza, è molto dimagrito. In carcere infatti era arrivato a rifiutare il cibo. «Non è disperato», tiene però a precisare il suo avvocato, «anzi è lucido e determinato. Quello compiuto la scorsa settimana in carcere è stato un gesto di rifiuto; il rifiuto di un’ingiustizia che ritiene di continuare a vivere in questi giorni per qualcosa di cui non si sente minimamente responsabile». Roberto Meneguzzo, ai domiciliari dopo il tentato suicidio, nel frattempo sta anche attendendo l’esito del ricorso al Tribunale del Riesame dopo la discussione della sua posizione processuale avvenuta ieri a Venezia. «Il mio assistito», aggiunge l’avvocato Manfredini, «sente di essere finito in una situazione kafkiana: vittima di una profonda ingiustizia». Anche ieri, nell’udienza al Riesame, la tesi difensiva di Meneguzzo è stata quella di ribadire la sua totale estraneità di fronte alle accuse mosse dai pubblici ministeri lagunari nell’ordinanza che lo ha portato in carcere.

 

Sequestrato lo yacht alla primula rossa

[…] era intenzionato a viverci e a trasformarlo nel suo ufficio galleggiante

Il commercialista unico latitante dell’inchiesta Mose sarebbe l’architetto delle sovrafatturazioni

MESTRE – Venerdì scorso a La Spezia i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Venezia hanno sequestrato un grande yacht in costruzione. Si tratta dell’ “iRrock” che è in via di costruzione presso i cantieri navali Baglietto. Ovviamente il cantiere è assolutamente estraneo alla vicenda mai finanzieri veneziani sono arrivati in Liguria seguendo le tracce dei nuovi sviluppi dell’operazione Antenora, ovvero l’indagine sul Mose e il sistema corruttivo legato alla grande opera veneziana. La grande imbarcazione apparterrebbe ad una cosiddetta “primula rossa” dell’indagine, il commercialista […], contro cui è stato spiccato un mandato di cattura internazionale ed è ricercato dalle polizie di mezzo mondo. […] è il commercialista cui si era rivolta la società Coedmar dei fratelli Boscolo Contadin, ovvero Gianfranco, Dante e Albino di Chioggia per creare, secondo l’ipotesi accusatoria, un castello di società schermo attraverso cui far transitare fittiziamente le transazioni del materiale (sasso da annegamento) per la costruzione del Mose e generare di conseguenza fondi neri all’estero da utilizzare poi per le operazioni di Mazzacurati (Consorzio Venezia Nuova). Un sistema, secondo l’accusa, messo in atto da […] e poi utilizzato anche presso la società Mantovani. L’imbarcazione sequestrata ha un valore di 3 milioni di euro e non risulta intestato al commercialista resosi irreperibile. Lo Yacht batte bandiera maltese. Ma secondo gli accertamenti dei finanzieri, […], prima del 4 giugno, la giornata che ha visto scattare gli arresti per lo scandalo del Mose, sarebbe stato visto spessissimo nel cantiere a La Spezia per curare sin nei minimi dettagli la costruzione della lussuosa imbarcazione. Da quel giorno, […] che si trovava all’estero si è reso irreperibile. La barca, dotata di telefono satellitare,secondo le Fiamme gialle, doveva diventare la “casa galleggiante” del commercialista, che voleva abitarci e farne il suo ufficio galleggiante. Una casa-ufficio in mezzo al mare, in acque internazionali, lontano dal rischio di essere catturato. Una scelta che ha del romanzesco, a pensarci bene, e che lascia intendere forse che il commercialista temeva un imminente arresto e forse si preparava a fuggire. Un piano saltato con il via agli arresti il 4 giugno scorso. e di cui il commercialista dovrà rendere conto, quando ( e se) gli investigatori riusciranno a capire dove si trova ed interrogarlo. (m.ch.)

 

«Stop concessione unica più poteri al Comune»

L’ultimo atto politico del Consiglio comunale, chiesta al Parlamento l’istituzione di una commissione d’inchiesta permanente sul Consorzio

VENEZIA – No alla concessione unica, sì al passaggio dei poteri dal Magistrato alle Acque al Comune. E nuovi controlli sulla tenuta del Mose e sulla bontà del progetto adesso nel mirino della magistratura. L’ultimo atto politico del Consiglio comunale riguarda proprio la salvaguardia della città. Un tema su cui il Comune si è sempre espresso in modo piuttosto critico negli ultimi trent’anni. Fu il sindaco Cacciari a votare contro – unico nel Comitatone – alla prosecuzione dei lavori del Mose. E quando il progetto muoveva i primi passi ci fu un’altra crisi di giunta, con le dimissioni anticipate del Consiglio comunale. «Prima il disinquinamento, poi il cemento», la parola d’ordine inventata dal socialista Emilio Greco, insieme all’ex sindaco Mario Rigo e a Sergio Vazzoler. Una linea ostacolata negli anni seguenti dal partito del cemento e delle grandi opere, sostenuto dal ministero dei Lavori pubblici e dalla Regione. Ieri il Consiglio è tornato sulla questione salvaguardia. Con una mozione presentata dai capigruppo del Pd Claudio Borghello, di Rifondazione (Sebastiano Bonzio) della civica In Comune (Beppe Caccia), dell’Udc (Simone Venturini, del Psi (Luigi Giordani) e di Italia dei Valori (Giacomo Guzzo. Le opposizioni si sono sfilate. Forza Italia non ha votato perché non è stato accolto l’emendamento di Michele Zuin per affidare i controlli e le decisioni al governo. Ma alla fine, pur con qualche polemica da parte del Gruppo Misto, il testo è stato votato a maggioranza, con 26 voti su 28 votanti. Sette punti che adesso vengono consegnati al commissario e che hanno un grande valore politico. Perché il Comune chiede al Parlamento «la costituzione di una commissione di inchiesta permanente sulle attività del Consorzio Venezia Nuova e delle imprese ad esso collegate». Ca’ Farsetti vuol sapere insomma come siano stati impiegati i miliardi di euro destinati dallo Stato al pool di imprese costituito nel 1984 con la prima legge Speciale. Si chiede anche che venga ripreso al più presto l’iter per la nuova Legge Speciale, con il passaggio dei poteri dal Magistrato alle Acque al Comune. Ma anche lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e il superamento del regime di concessione unica, con l’affidamento del controllo sui cantieri e sui progetti a un’Autorità indipendente. Infine, nuovi controlli sulla sicurezza e l’efficacia della grande opera, viste le ombre aperte dall’inchiesta anche sui procedimenti decisionali e sui pareri rilasciati negli ultimi decenni. E l’abrogazione delle norme della Legge Obiettivo che consentono di limitare le procedure di Impatto ambientale e di superare i pareri delle comunità locali interessate alle grandi opere. Una vittoria per tutta quella parte di città, fino a ieri minoritaria, che si era battuta negli anni contro la realizzazione della grande opera. E che non era stata mai ascoltata nelle sedi decisionali governative e regionali. Infine, l’ordine del giorno approvato ieri impegna il Comune a costituirsi parte civile nei procedimenti in corso per corruzione, concussione e riciclaggio (dunque non contro il sindaco), anche al fine di «recuperare le ingenti risorse sottratte alla salvaguardia e alla collettività».

Alberto Vitucci

 

Pm depositano nuove intercettazioni: il commercialista Venuti gestirebbe per conto dell’ex governatore “tesoretti” oltrefrontiera, soprattutto in Croazia

RIESAME – Rigettata la richiesta di scarcerazione per il consulente di fiducia

CONVERSAZIONI – La moglie Sandra avrebbe voluto usare parte dei soldi. Ma l’ex Doge: sono per la figlia

Procura: il “gioco delle coppie” inguaia Galan sui fondi esteri

L’ex presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, ha somme di denaro nascoste all’estero, in particolare in Croazia, e a gestirle per suo conto è il commercialista padovano Paolo Venuti, in carcere con l’accusa di corruzione. La Procura di Venezia ne è convinta e per dimostrare che il professionista si è prestato a fare da prestanome per conto dell’esponente di Forza Italia, i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno depositato, ieri mattina, i brogliacci di alcune intercettazioni ambientali. I nuovi documenti sono stati prodotti davanti al Tribunale del riesame, chiamato a decidere sull’istanza di remissione in libertà presentata dal difensore del commercialista, l’avvocato Emanuele Fragasso. Istanza rigettata in serata, con conferma della misura cautelare.
La conversazione ritenuta dagli investigatori più eloquente in merito al ruolo di Venuti è avvenuta in auto, lo scorso gennaio, mentre il commercialista padovano stava rientrando assieme alla moglie da una cena alla quale, a quanto si capisce, avevano partecipato anche Galan e consorte, Sandra Persegato. È proprio la moglie del professionista ad introdurre il discorso dei soldi di Giancarlo (che secondo la Procura è proprio Galan): «Ma non sono in Svizzera, sono in Croazia?», chiede al marito. «Non hai ancora capito… – le risponde Venuti – quelli… lì c’è il problema mio, suo, promiscuità… per cui alla fine quelli in Svizzera li tengo io e quelli in Croazia li tiene lui…»
Dalle frasi pronunciate dai coniugi Venuti emerge che durante la cena, senza saperlo, la moglie ha discusso con Giancarlo e il commercialista con la signora Persegato sullo stesso argomento: le provviste all’estero. Dal tenore del discorso pare che la signora Persegato non sapesse con precisione dell’esistenza di quel denaro, e che lo stesso Galan non ricordasse a quanto ammontava la cifra custodita dal fido commercialista: «Ma quanti sono i suoi?», chiede la moglie di Venuti. «Un milione e otto… – risponde il professionista – ma non dirglielo… lui sa che c’è un milione e mezzo». Dalla discussione in auto emerge che la signora Galan aveva chiesto a Venuti di poter utilizzare quei soldi: «Lei vorrebbe usare questi 2-300.000 e dice di più che non ha adesso perché l’Agricola Bio Metano non gli sta dando… quindi non può attingere da Veneto Banca…» Ma la moglie del commercialista replica con decisione al marito, spiegando che Giancarlo le ha detto che quel denaro non si può toccare perché è per la figlia: «Fammi giuramento… per piacere assumiti la responsabilità», avrebbe detto Galan alla signora Venuti, pregandola di non consentire alla sua consorte di attingere ai fondi esteri. Venuti insiste: «Potrebbe essere anche un affare questi delle gelaterie in India…»
La moglie del commercialista non cede: «Beh… ma lui… Paolo… sono suoi e deciderà lui o no?… se li è guadagnati lui, cioè deve manovrarglieli la moglie, cioè no…» Venuti non demorde: «Ma se l’indiano e Giopp mi portano un progetto molto convincente…» La moglie taglia corto: «Ci sono delle volontà… non è mica uno che è dichiarato infermo di mente… è lucidissimo e non ne vuole sapere, punto e basta… Se lui morisse domani potrei anche tenermeli, giusto? Ma non riuscirei mai a fare questa roba perché so che sono suoi e di sua figlia… tutti dobbiamo rispettare questa roba, anche la moglie… Sono la prestanome, lui vuole che vadano a sua figlia e a sua figlia andranno».
Venuti avrà la possibilità di chiarire il tenore di questo colloquio nel corso dell’interrogatorio, che potrebbe avvenire presto, davanti ai magistrati.
E ieri sera il Riesame ha depositato gli ultimi provvedimenti sui ricorsi discussi in giornata: annullata l’ordinanza di custodia cautelare (con scarcerazione) per Francesco Giordano, consulente fiscale dell’ex presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati; domiciliari per l’imprenditore bellunese Luigi Dal Borgo, atti a Milano per il vicentino Roberto Meneguzzo, già ai domiciliari da un paio di giorni dopo un tentativo di suicidio in carcere: secondo i giudici l’eventuale dazione di denaro sarebbe avvenuta in Lombardia e non in Veneto. Il Tribunale ha infine ridotto il sequestro dei beni all’imprenditore di Chioggia Stefano Boscolo Bacheto.

Gianluca Amadori

 

L’IMMUNITÀ «La gente è arrabbiata cambiamo la legge»

IL RELATORE «Dobbiamo cercare di coniugare rigore con prudenza»

Rabino: «Capire se c’è persecuzione»

ROMA – «Sul caso Galan ho tenuto fin dall’inizio un atteggiamento di rigore, ma anche di prudenza e imparzialità. Mi riservo di ascoltare il deputato Galan in Giunta per le Autorizzazioni mercoledì. È giusto che Galan porti avanti il suo punto di vista e la sua linea difensiva». Lo ha detto a Skytg24 il deputato di Scelta Civica, Mariano Rabino, relatore sul caso Galan nella Giunta per le Autorizzazioni della Camera.
«Io, il presidente della Giunta La Russa e i colleghi, non dobbiamo pronunciarci sulla colpevolezza di Galan – ha aggiunto Rabino -. Dobbiamo solamente valutare se la misura di custodia cautelare in carcere sia sproporzionata, ossia se ci sia del fumus persecutionis contro il deputato Galan. Non inseguo il giustizialismo e il clima forcaiolo pentastellato che sta entrando nel virus di tutta la comunità nazionale – ha aggiunto Rabino – però è vero che di fronte a tanti scandali e tante corruttele la reazione della gente è più che comprensibile. Ma c’è la possibilità di modificare l’attuale immunità parlamentare mantenendola solo per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni. Per tutto il resto, cioè se si deve chiedere al Parlamento l’applicazione di una misura cautelare come arresto o perquisizione nei confronti di un deputato o un senatore, credo che il giudizio di ultima istanza debba essere affidato alla Corte Costituzionale». Con cautela: «Ho fiducia nella magistratura, ma al Senato può essere sufficiente l’arresto di un paio di senatori per cambiare le maggioranze parlamentari. C’è dunque da tenere conto anche dell’esigenza di garantire il plenum e l’integrità delle assemblee legislative».

 

Minutillo, griffe e carte segrete

Nel suo memoriale Galan dedica all’ex segretaria 6 pagine e ben 8 omissis: chiarirà in Procura

SOTTO ACCUSA – Nel mirino la passione per il lusso: dalle borse Hermes al cappotto da 18mila euro

L’EX SEGRETERIA – Claudia Minutillo attaccata duramente dall’ex Doge: «Aveva un tenore di vita dispendioso, altre cose le dirò solo ai magistrati»

Dama di cuori e di denari. I cuori salteranno fuori a giorni e non ci vuol molta immaginazione ad individuare di chi si tratta visto che, come una mantide religiosa, i suoi uomini se li è mangiati ad uno ad uno, uccidendoli con le sue dichiarazioni alla Procura. Ma questo è il capitolo del domani, oggi bisogna occuparsi del fatto che Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan, è stata attaccata duramente dall’uomo che le aveva dato una vita e un lavoro oltre ad un potere che nel Veneto non aveva uguali. Giancarlo Galan ha dedicato 6 pagine nel memoriale alla sua ex segretaria, la donna che lo ha inchiodato in tanti verbali indicandolo come tangentaro. Ma queste sei pagine contengono 8 “buchi” e cioè 8 omissis. Significa che Galan riempirà questi omissis solo davanti ai p.m. che si occupano dell’indagine sul Mose. Ma con che cosa? Con il cappottino da 18mila euro di cui ha parlato in conferenza stampa? Con i regali che Galan pensava «provenienti da flirt»? O con le mille spese folli di allora e di oggi della piccola Cleopatra di Mogliano? O con accuse più dure, più precise, più dettagliate su quel che Claudia Minutillo aveva combinato ai suoi tempi, al punto da costringerlo a licenziarla per mille motivi, ma soprattutto perché quando c’era di mezzo lei i conti non tornavano? Intanto partiamo dalle spese folli per dire che Claudia Minutillo dovrà per forza trovare il modo di spiegare la vita da marajà. Soldi spesi per oggetti come le borse di Hermes da migliaia di euro al pezzo – per le quali si era fatta fare uno scomparto su misura nella cabina armadio – o la collezione di scarpe in stile Imelda Marcos, servirà anche a dire che Claudia Minutillo sta mentendo su tutto il fronte. «Non mi pare inutile ricordare che la sig.ra Minutillo riuscì a mentire anche sul titolo di studio, asserendo, falsamente, di essere laureata». Sarà perché voleva salire in fretta e in tutta scioltezza le scale del potere, dunque, che si era comprata 12 paia 12 di Christian Louboutin, quelle scarpe nere, decolleté, con la caratteristica suola rossa. Non si trovano all’ipermercato perché costano minimo 700 euro al paio e arrivano a 3mila senza troppi problemi.
Ma Galan riempirà con queste storie da gossip gli omissis sulla piccola Cleopatra di Mogliano? No, Galan ha ben altro in saccoccia. «Figuriamoci se licenzio una persona solo perché è antipatica a mia moglie», ha detto Galan. E dunque in Procura parlerà di soldi che sono spariti nel nulla, di sospetti su fatture che dovevano essere già state saldate e invece venivano sollecitate e di quella volta che scoprì che la tipografia non era stata pagata come invece qualcuno gli aveva giurato. E salteranno pure fuori i soldi che dai conti correnti della società di cui la piccola Cleopatra era amministratrice delegata sono finiti nei conti correnti personali. E poi le firme false per movimentare il conto di San Marino aperto a nome Galan. E poi…

 

IL LEGALE «Difesa debole e mediatica. Doveva parlare ai pm»

VENEZIA – «Una difesa mediatica» e che «tutt’al più sembra cosa debole». Così l’avvocato Carlo Augenti, legale di Claudia Minutillo, commenta le parole dell’ex ministro Giancarlo Galan. «È stata una difesa mediatica: mi sembra una cosa debole». «Meglio sarebbe stato – ha proseguito – se ciò che ha da dire lo dicesse davanti ad un magistrato». Quanto alla propria assistita, Augenti ha affermato che «Minutillo ha riferito quello che le ha raccontato Piergiorgio Baita quando era ad di Mantovani». «Minutillo non ha mai detto di aver visto dazioni o denaro – ha concluso – e ha specificato ai pm che non ha mai fatto da tramite per alcuna consegna. Di certo però ha sempre sottolineato come Baita fosse costantemente arrabbiato per le continue e pressanti richieste di denaro da parte di Galan».

 

Cuccioletta: la collega Piva fu pagata

Scarcerato il funzionario regionale Fasiol, ai domiciliari l’ex capo del Magistrato alle Acque

(gla) Scarcerato Giuseppe Fasiol, il funzionario regionale accusato di corruzione per aver aiutato la Mantovani nelle procedure di project financing; arresti domiciliari per Maria Giovanna Piva, uno dei due ex presidenti del Magistrato alle acque di Venezia accusati di essere stati al soldo per Consorzio Venezia Nuova. Lo ha stabilito ieri sera il Tribunale del riesame di Venezia, accogliendo le istanze presentate dai rispettivi difensori, Marco Vassallo ed Emanuele Fragasso. Le motivazioni del provvedimento saranno depositate nei prossimi giorni. Per Fasiol l’ordinanza è stata annullata, il che significa che il collegio presieduto da Angelo Risi ha ritenuto non vi siano gravi indizi di colpevolezza; per la Piva, invece, gli arresti in casa sono stati considerati sufficienti ad evitare il pericolo di reiterazione di reati dello stesso tipo.
Sul fronte dei gravi indizi di colpevolezza a carico della Piva, ieri mattina i sostituti procuratore Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno depositato uno stralcio dell’interrogatorio sostenuto dal presidente che si insediò dopo di lei, Patrizio Cuccioletta, il quale ha confessato di aver incassato somme di denaro provenienti dal Cvn, riferendo che Mazzacurati gli disse di aver pagato anche la sua collega.
La dottoressa Piva respinge con decisione ogni addebito e, nel corso dell’interrogatorio successivo all’arresto, ha dichiarato che nel corso della sua attività si era messa in posizione di forte contrasto con il Consorzio Venezia Nuova, in particolare per quanto riguarda la scelta relativa alle “cerniere” delle paratie mobili, facendo intendere che questo potrebbe essere il motivo del suo coinvolgimento nell’inchiesta. Una sorta di ritorsione, insomma.

 

TRIBUNALE DEI MINISTRI – Sotto i riflettori il “protocollo Marghera”, nelle carte anche l’ex sottosegretario Gianni Letta

Baita e Buson: così pagavamo Matteoli

 

 

Il sindaco assente alla seduta che ha decretato lo scioglimento dell’assemblea. Maggioranza e parte dell’opposizione chiedono di sciogliere il Cvn e affidare a un ente esterno la revisione dei lavori del Mose

Venezia, ultimo atto senza Orsoni. Il Consiglio: azzerare il Consorzio

DIMISSIONI – Ultimo atto dell’amministrazione comunale veneziana. Ieri le dimissioni dei consiglieri di maggioranza

IL DOCUMENTO – Una verifica tecnico contabile anche sui lavori di porto e aeroporto

LA LETTERA «Che amarezza non è questa la conclusione che mi aspettavo»

Il Consiglio Comunale di Venezia si scioglie: coda all’ufficio protocollo per depositare le dimissioni, mentre a Ca’ Farsetti la poltrona centrale dell’aula consiliare, quella del sindaco Giorgio Orsoni, rimaneva vuota. Si è consumato così, dopo 1.536 giorni, il naufragio dell’amministrazione comunale di Venezia. Le dimissioni dei consiglieri della maggioranza, concordate dopo una lunga trattativa, hanno chiuso ieri sera il mandato cominciato l’8 aprile 2010 e troncato con quasi un anno di anticipo dall’inchiesta sulle tangenti per il Mose. Prima di sciogliersi, il Consiglio però approva il rendiconto di bilancio 2013 e vota la richiesta, presentata dalla maggioranza ma condivisa anche da esponenti dell’opposizione, di sciogliere il Consorzio Venezia Nuova e di affidare a un organismo esterno la verifica tecnico contabile sui lavori svolti. Il capogruppo Pd Claudio Borghello ha sottolineato la contrarietà al sistema della concessione unica, «che non riguarda soltanto il Mose ma anche al gestione di Porto e aeroporto», con i quali i rapporti in questi anni sono stati particolarmente tesi. Nel documento approvato in serata, che prevede che i poteri del Magistrato alle Acque vadano in capo alla stessa amministrazione comunale, viene comunque ribadita l’opportunità che l’opera di difesa dalle acque alte venga completata, ma dopo una puntuale verifica, da parte di un organismo indipendente, delle scelte progettuali e delle modalità di realizzazione, che sono avvenute, stando alle risultanze delle inchieste in corso, senza controllo o con controlli “addomesticati”.
Una giornata ancora convulsa, quella dell’ultima seduta del Consiglio comunale, con nuove proteste da parte del pubblico veneziano, caratterizzata da un nuovo colpo di scena: l’assenza del sindaco ormai dimissionario. In apertura di seduta, nel primo pomeriggio, è toccato al presidente dell’assemblea Roberto Turetta leggere la lettera con la quale Orsoni motivava la sua decisione di non partecipare alla seduta: «Non è la conclusione che mi auguravo per un mandato che ho affrontato con l’entusiasmo di chi offre se stesso nella speranza di contribuire a migliorare la vita nella sua città e che invece è stato e continua ingiustificatamente a essere assimilato a chi illecitamente ha speculato su di essa».
«La stessa amarezza con la quale rassegnai le dimissioni – prosegue Orsoni – continua ad accompagnarmi, e difficilmente mi abbandonerà, a fronte della persistente insistenza di chi è interessato a fare notizia, a non voler prendere atto della diversa natura dell’inchiesta avviata nei miei confronti, nonché della determinazione, generalmente non riconosciuta, con la quale ho respinto ogni accusa avanti i magistrati inquirenti, riaffermando la mia assoluta estraneità ai fatti addebitatimi». In aula erano presenti una sessantina di persone, equamente divise fra rappresentanti dei Fratelli d’Italia, del Movimento dei Forconi ma anche di Rifondazione comunista, concordi nel condannare la contiguità fra politica e affari all’ombra della realizzazione del sistema di salvaguardia dalle acqueralte. Alla fine, mentre in aula cominciavano le dichiarazioni di voto sul bilancio, i consiglieri di maggioranza hanno cominciato a depositare le loro dimissioni. Alle 22.03, approvate le dimissioni, sull’amministrazione Orsoni è calato il sipario.

 

IL VOTO – Documento approvato in Consiglio con adesioni anche dall’opposizione «Sistema da smantellare»

«Mose, sciogliere il Consorzio»

I CONTROLLI «Al Comune tutti i poteri del Magistrato alle acque»

POSIZIONE NETTA «Favorevole allo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova»

IL “TESTAMENTO” – Il presidente Turetta: «Dobbiamo chiedere scusa a Venezia»

DA FINIRE – Ma la maggioranza ritiene che l’opera vada completata Bonzio: «No, stop»

Il “sistema” Mose va smantellato: con lo «scioglimento del Consorzio Venezia Nuova», il superamento della «concessione unica», l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta e l’affidamento a un «organismo indipendente» di un «verifica tecnico scientifico contabile» dell’opera (su «efficacia», «sicurezza» e «congruità dei costi»). Da abolire anche le norme della Legge obiettivo che dribblano le valutazioni di impatto ambientale per le grandi opere. Quanto ai poteri del Magistrato alle acque, vanno trasferiti al Comune che si costituirà parte civile nei procedimenti per corruzione, concessione e riciclaggio.
Eccole le otto “ricette” del Consiglio comunale per uscire dallo scandalo svelato dalle inchieste su Mose & dintorni. Otto punti di una mozione che, alla fine, sono passati a grande maggioranza, alcuni anche con il voto dell’opposizione. Uno degli ultimi atti di questa amministrazione e uno degli ultimi dibattiti che ha riproposto noti distinguo. Primo tra tutti, quello sull’opportunità (o meno) di fermare con il “sistema” Mose anche l’opera. Sebastiano Bonzio (Fds) ha chiesto lo stop dei lavori, immaginando addirittura una riconversione delle opere per lasciare le grandi navi fuori della laguna. Ben più moderata la linea del capogruppo Pd e primo firmatario, Claudio Borghello: «É evidente che l’opera va portata a conclusione, ma se siamo sicuri che sia funzionale e funzionante. E con questa mozione vogliamo impegnare il Governo». Borghello ha anche denunciato il peso delle concessioni dello Stato – non solo per Mose, ma anche per Porto e Aereoporto – che hanno sottratto al controllo del Comune larghe fette del territorio: «Questa amministrazione, anche con l’operato di Orsoni, aveva contrastato queste volontà. Anche su questo vogliamo dare un messaggio al Governo».
Ma a tener banco è stato soprattutto il tema del cantiere. «Lo stop ai lavori può essere solo un danno, anche per l’economia veneziana» ha sostentuto il capogruppo di FI, Michele Zuin, d’accordo sull’impianto della mozione, ma non su tre punti: la verifica («che va resa meno vincolante»), la Legge obiettivo («Non si può fare di tutta l’erba un fascio») e il Magistrato («Il Comune non è in grado di prendersi in carico le sue funzioni»). Un punto, quest’ultimo, sottolineato anche da Ennio Fortuna (Udc): «Sono perplesso sulle capacità del Comune». Renato Boraso (Impegno per Venezia) ha rincarato la dose: «É difficile pensare di smantellare l’edificato. Dove eravamo in questi 25 anni? Basta con l’ipocrisia della politica. Quel che va smantellato è il sistema che ha marciato su quest’opera».
Opposta l’opinione di Giuseppe Caccia (In comune): «La distinzione tra il sistema criminale e l’opera non regge. Questo sistema non aveva solo lo scopo di costruire il consenso, ma anche di evitare i controlli. Che sicurezza ci può essere per la laguna?». Caccia ha poi sottolineato come solo il Consiglio comunale si sia dimesso: «In altre istituzioni, come la Corte dei conti, non si parla di operazione pulizia. E cosa dice chi in Regione aveva condiviso come vice la responsabilità di governo con Galan e si era poi tenuto lo stesso assessore alle infrastrutture?». Per il completamento dei lavori Luigi Giordani (Psi) e Giovanni Giusto (Lega) che ha pure aggiunto: «Se poi quest’opera, che ci ha dissanguato e tolto la dignità, non funziona, consegneremo i responsabili al popolo che faccia giustizia, come ai tempi della Serenissima».
Parole amare sulla mozione sono arrivate da Luca Rizzi (Fi): «É una mediazione tra punti inconciliabili. Quella mediazione a tutti i costi per mantenere lo stato di potere che ha caratterizzato questi ultimi vent’anni». Amareggiato anche Nicola Funari (Gruppo misto): «Il mea culpa andava fatto prima, andandosene o facendosi cacciare dal partito». Una «mozione ipocrita» ha concluso il compagno di gruppo Valerio Lastruccin.

 

Nuova Venezia – Meneguzzo in cella ha tentato di suicidarsi

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

23

giu

2014

Meneguzzo in cella ha tentato di suicidarsi

Il finanziere di Palladio, inquisito per una presunta tangente girata a Milanese, è ora ai domiciliari

VICENZA – Nella notte tra mercoledì e giovedì scorso, il manager vicentino Roberto Meneguzzo avrebbe tentato il suicidio infilandosi un sacchetto in testa e cercando di provocare il proprio soffocamento. È questa la motivazione principale che ha indotto i magistrati veneziani a concedere gli arresti domiciliari a Meneguzzo, dopo venti giorni di carcere a La Spezia durante i quali, appunto, in preda a una grave depressione, avrebbe tentato di togliersi la vita. Adesso Meneguzzo è tornato a casa, a Vicenza, trincerandosi dietro pochi familiari. Meneguzzo, amministratore delegato e presidente di Palladio Finanziaria, era stato arrestato lo scorso 4 giungo nell’ ambito dell’inchiesta sul Mose. L’accusa contenuta nelle settecento pagine di custodia cautelare firmate dal gip Alberto Scaramuzza, fa riferimento a una presunta tangente di 500 mila euro che l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati avrebbe consegnato a Meneguzzo per l’ex consigliere politico di Giulio Tremonti, l’ex parlamentare Marco Milanese. La «stecca» sarebbe stata indirizzata per sbloccare circa 400 milioni di finanziamento destinato al proseguimento delle opere del Mose veneziano. L’ex ministro Tremonti aveva bloccato il via libera e Mazzacurati, preoccupato per l’andamento dei lavori, avrebbe chiesto a Lia Sartori di presentargli Meneguzzo che si sarebbe fatto tramite con Milanese per raggiungere Tremonti. Il Cipe, pochi mesi dopo, sbloccò effettivamente quei fondi e il Consorzio Venezia Nuova poté proseguire nella progettazione delle opere di salvaguardia. Secondo i magistrati, la consegna del denaro per tramite di Meneguzzo, avvenuto negli uffici di Palladio finanziaria a Milano, sarebbe la prova del coinvolgimento attivo di Meneguzzo nel sistema che cercava di agevolare il Mose. Nell’ordinanza è scritto testualmente che il denaro fu consegnato «al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe n. 31/2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro, in violazione evidente dei principi di imparzialità e indipendenza ».

 

Savioli: «Ho fatto favori a Zanonato»

L’europarlamentare querela “Libero”

Pio Savioli, ex dirigente del Consorzio Venezia Nuova, indagato per le tangenti Mose, tira in ballo Flavio Zanonato in un’intervista su “Libero”: «Gli ho fatto favori», dichiara raccontando la storia (peraltro non inedita) di un’asfaltatura fatta fare gratuitamente in Prato della Valle. Il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, riprende l’articolo del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro e lo posta sulla sua pagina Facebook. E in serata, sempre su FB, arriva la secca replica dell’ex primo cittadino di Padova ed ex ministro, oggi europarlamentare, che annuncia querela nei confronti di “Libero”: l’asfaltatura gratis – spiega – la ottenne nel 2011 per favorire la realizzazione della manifestazione di beneficienza Run for children organizzata dalla Città della speranza. Una normale sponsorizzazione, dunque. E poi la stoccata a Bitonci.

 

Oggi iniziano gli interrogatori sul caso. L’accusa è di avere intascato contributi illeciti dal Consorzio Venezia Nuova

LO SPONSOR – Mazzacurati: «Altero mi ha fatto favori e io ho finanziato la campagna elettorale»

MAGISTRATO – Il tribunale del riesame decide su Maria Giovanna Piva

LE INDAGINI – Secondo la Procura il politico avrebbe ricevuto denaro anche per le bonifiche di Marghera

Quei 500mila euro a Matteoli: ne discute il tribunale dei ministri

Iniziano questa mattina, davanti al Tribunale dei ministri, gli interrogatori di alcune delle persone coinvolte a vario titolo nell’inchiesta che riguarda Altero Matteoli, l’ex ministro all’Ambiente ed ai Trasporti del governo Berlusconi.
Nell’ambito delle indagini sul cosidetto “sistema Mose”, la Procura di Venezia ipotizza che Matteoli abbia ricevuto somme di denaro illecite in relazione ad opere di bonifica ambientale dell’area industriale di Porto Marghera e, poiché avrebbe agito in qualità di ministro, gli atti sono stati trasmessi all’organismo competente, composto da tre giudici ai quali spetta il compito di verificare la fondatezza delle accuse, per poi ritrasmettere il fascicolo alla Procura indicandole se procedere con una richiesta di processo o se l’inchiesta debba finire in archivio. Non prima di aver chiesto l’autorizzazione a procedere al Parlamento.
Il principale accusatore di Matteoli è l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati: «Il ministro Matteoli mi ha fatto dei favori e ho corrisposto finanziando la campagna elettorale… gli ho corrisposto dei soldi… erano corresponsioni di denaro direttamente a compenso in qualche modo di favori ricevuti… 400-500mila euro… dal 2009 al 2012-2013», ha messo a verbale Mazzacurati, che ora si trova negli Stati Uniti.
Della questione delle bonifiche ha parlato nel corso dei suoi interrogatori anche l’ex amministratore della società Mantovani, Pergiorgio Baita, che questa mattina sarà ascoltato dal Tribunale dei ministri assieme all’ex direttore amministrativo dell’azienda, Nicolò Buson. Baita ha raccontato di non sapere se Matteoli abbia ricevuto del denaro. Ha però spiegato che c’era un preciso accordo, assunto con Mazzacurati, affinché i lavori per le bonifiche fossero subappaltati ad una serie di aziende. Tra queste figura la Socostramo, per la quale sarebbe stata decisa una quota di compenso a fronte di nessun lavoro svolto. La Socostramo fa capo ad Erasmo Cinque, costruttore romano che è stato consigliere del ministro Matteoli.
Matteoli ha sempre respinto ogni addebito, smentendo ogni possibile coinvolgimento nell’inchiesta. Il suo interrogatorio è in calendario davanti al Tribunale dei ministri per venerdì.
Nel frattempo, tra oggi e venerdì, il Tribunale del riesame di Venezia discuterà i ricorsi presentati da numerosi degli indagati finiti in carcere o agli arresti domiciliari all’inizio di giugno. Oggi saranno valutate, tra le altre, le posizioni dell’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, accusata di essere stata al soldo del Consorzio Venezia Nuova; venerdì sarà la volta dell’ex assessore regionale alla Mobilità, Renato Chisso e del suo segretario, Enzo Casarin; della responsbaile della progettazione del Mose, l’ingegner Maria Brotto e dell’ex presidente dell’Ente gondola, Nicola Falconi, finito sotto accusa per l’attività imprenditoriale della sua azienda, la Sitmar.

Gianluca Amadori

 

Tangenti Mose tenta il suicidio uno degli arrestati

Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria ha cercato di soffocarsi nel carcere di La Spezia. Subito concessi i domiciliari. E’ accusato di essere stato il tramite fra Consorzio e ministeri romani

IL MANAGER – Avrebbe tentato di soffocarsi nella notte

LE ACCUSE – Oltre alla corruzione, rivelazione e utilizzo di segreto d’ufficio

LA DIFESA «Semplice contratto di consulenza per recuperare fondi»

I RAPPORTI – Contatti con Milanese consigliere dell’allora ministro Tremonti

Meneguzzo tenta il suicidio

Concessi i domiciliari al numero uno della Palladio Finanziaria che in cella a La Spezia ha cercato di togliersi la vita

VENEZIA – Ha tentato il suicidio in carcere Roberto Meneguzzo l’ad di Palladio Finanziaria arrestato lo scorso 4 giugno nell’ambito dell’inchiesta sul Mose.
Un gesto sventato che tuttavia ha portato ieri il gip Alberto Scaramuzza, su parere positivo della Procura della Repubblica di Venezia, ad accogliere la richiesta di scarcerazione avanzata dal difensore di Meneguzzo, che è stato posto ora ai domiciliari nella sua abitazione di Vicenza. Il manager, 58 anni, aveva tentato di soffocarsi la notte tra il 18 e il 19 giugno nella sua cella di isolamento del carcere di La Spezia.
Il finanziere vicentino vicepresidente e amministratore delegato di Palladio Finanziaria, holding crocevia nel Nordest, secondo l’ordinanza di arresto, «a conoscenza dell’illecita finalità perseguita» da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, «lo metteva in contatto» con Marco Milanese. In qualità di «consigliere politico» dell’allora ministro Giulio Tremonti, Mazzacurati consegnò a Milanese 500 mila euro «personalmente», «al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe n. 31/2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro, in violazione evidente dei principi di imparzialità e indipendenza».
Meneguzzo poi, secondo l’ordinanza, avrebbe fatto da tramite con Milanese per Mazzacurati in un’altra occasione, per arrivare al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante. In questo caso, in particolare, l’ad di Palladio Finanziaria si sarebbe spartito con Milanese 500mila euro per contattare l’alto ufficiale per conto di Mazzacurati. I reati contestati a Meneguzzo, con Mazzacurati, Milanese, Spaziante e altri, sono quelli di corruzione e rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio.
Contro Roberto Meneguzzo peserebbe in particolare una lunga serie di intercettazioni telefoniche e di pedinamenti, con comunicazioni con Mazzacurati dalle tempistiche sospette, come per esempio quando tra i due intercorse una telefonata subito dopo l’incontro dell’allora plenipotenziario del Consorzio Venezia Nuova con Milanese. Accuse che però Meneguzzo ha sempre respinto, attribuendo la sua attività e i suoi contatti a un regolarissimo contratto di consulenza per ottenere dalle banche gli anticipi per il finanziamento dei lavori in attesa dell’erogazione dei fondi ministeriali. Tra le coincidenze più sospette, un appuntamento tra Meneguzzo e Mazzacurati a Vicenza che un’improvvisa verifica fiscale della Finanza nella sede del Cvn rischiò di far saltare. Secondo gli inquirenti in quell’occasione si stava preparando una mazzetta destinata a Milanese come prezzo dello sblocco di finanziamenti per 400 milioni per il Mose. Quel giorno stesso il generale Spaziante partì da Roma per Venezia e l’indomani Mazzacurati inviò a Meneguzzo via fax il verbale dell’ispezione della Finanza.

 

PADOVA – Secondo il manager, Coveco avrebbe “sistemato” Prato della Valle su richiesta del professionista Giordano per fare un favore all’ex sindaco

Savioli e l’”omaggio” a Zanonato: un’asfaltatura

TESTI CHIAVE – Stamani saranno sentiti Baita e Buson, che erano i capi della Mantovani

VENEZIA – Un favore alla città da parte del Consorzio Venezia Nuova. Questo appare l’asfaltatura di Prato della Valle al tempo in cui era sindaco Zanonato. Lavori per 30mila euro che non sarebbero mai stati fatturati al Comune. Questo per Pio Savioli, secondo i giudici uno dei grandi burattinai del Mose attraverso il Coveco (Consorzio veneto cooperativo). «È un piacere a Padova che è sempre stato un comune vicino, dove c’erano sia Galan che Zanonato» avrebbe riferito in un interrogatorio Savioli.
Quando il pm gli domanda perché la fattura non sia mai stata rilascita al Comune, Savioli avrebbe risposto: «Perché è stata una sponsorizzazione del Consorzio venezia Nuova», ovvero del patron Mazzacurati che aveva messo gli occhi, secondo i giudici, anche sul nuovo ospedale di Padova, l’opera da 650 milioni di euro da costruire in project-financing a Padova ovest. Proprio per questo avrebbe promosso la famosa cena a cui avrebbero partecipato oltre a egli stesso il sindaco Zanonato, il commercialista padovano Francesco Giordano, l’ex segretario della sanità veneta Ruscitti a libro paga del Coveco e lo stesso Savioli che ieri ha rilasciato un’intervista al quotidiano Libero spiegando la genesi dell’intervento, tanto che il neo sindaco di Padova, Flavio Bitonci, della Lega, l’ha commentata ritwittando la prima pagina del quotidiano con la dicitura: “Libero sui favori a Zanonato”.
«Era una striscia di asfalto che doveva servire per una mini maratona» dice Savioli nell’intervista. E spiega che Giordano l’aveva domandato a Mazzacurati, ma questo “piacere” non sarebbe da mettere in collegamento alla vicenda del nuovo ospedale. «Si immagini un’operazione come quella dell’ospedale… Magari bastasse un’asfaltatura», commenta Savioli.

 

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui