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Comunicato stampa Opzione Zero

Grandi Opere” uguale malaffare”: l’ennesima riprova arriva con l’arresto per corruzione, induzione indebita, turbativa d’asta ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione dell’ex super-dirigente del ministero dei Lavori pubblici Ercole Incalza.

Incalza, già coinvolto nello scandalo MOSE, è stato negli ultimi quindici anni uno dei funzionari chiave per l’approvazione di tutte le grandi opere inserite nella Legge Obiettivo, tra queste non fa eccezione la nuova autostrada Orte-Mestre un’opera totalmente inutile e distruttiva, ma che potrebbe garantire una “torta” molto ghiotta per le cricche del cemento, almeno 10 miliardi di euro già in fase preliminare.

Del resto non è un caso che insieme all’ex super-dirigente del ministero dei Lavori pubblici, tra le altre 50 persone indagate figura anche il pregiudicato Vito Bonsignore; ex europarlamentare collega di partito dei ministri Lupi e Alfano, Bonsignore è a capo del gruppo privato GEFIP Holding, il proponente dell’autostrada Orte-Mestre.

Va ricordato poi che nonostante parere negativo dello scorso agosto da parte della Corte dei Conti, e i gravi sospetti di malaffare che emergono dalle intercettazioni dell’inchiesta MOSE, la Orte-Mestre è stata rimessa letteralmente in pista dal Governo Renzi con apposito “codicillo” (comma 2 dell’Art. 4) introdotto nello “Sblocca Italia”.

E’ in questo quadro sconfortante che tra pochi mesi ANAS potrebbe indire il bando per la progettazione definitiva e la concessione della nuova autostrada, un’opera che il Presidente della Regione Veneto, così come il Partito Democratico, continuano a considerare strategica ed indifferibile, mentre la messa in sicurezza della statale Romea e della E-45 rimangono un miraggio.

Se si tratti di miopia o di opportunismo lo si saprà presto, ma quello che oggi deve essere chiaro è che chi oggi ha ancora il coraggio di sostenere il sistema delle “grandi opere”, con tutto il corollario di norme straordinarie pensate ad arte per promuoverle e gestirle senza trasparenza e fuori dal controllo democratico delle comunità locali, ha una responsabilità politica enorme.

La Orte-Mestre è un mostro pronto a divorarsi i territori, la salute dei cittadini e miliardi di euro dei contribuenti. Bisogna fermarla subito prima che diventi un altro gigantesco caso di malaffare, della portata almeno doppia di quello del MOSE. Non ci sono più alibi per nessuno.

 

TRIBUNALE – L’ex amministratore delegato dell’Autostrada Ve-Pd andrà probabilmente a
processo

Lino Brentan voleva far vincere la Sacaim: “Devo procurare una scorta al partito veneziano”

Lino Brentan non faceva gli interessi della Società autostrade Venezia-Padova quando, nel 2007, convinse Piergiorgio Baita (della Mantovani costruzioni) e Mauro Scaramuzza (Fip industriale) a rinunciare ad un appalto. La sua intenzione era di far vincere la ditta Sacaim per poi ottenere da questa finanziamenti per il Partito Democratico. Lo scrive il Tribunale del riesame di Venezia nelle motivazioni del provvedimento con cui, alla fine di febbraio, ha revocato la misura di obbligo di dimora a Campolongo Maggiore, restituendogli la piena libertà, a distanza di nove mesi dall’arresto subìto nel giugno del 2014.

Il collegio presieduto da Angelo Risi motiva la revoca della misura soltanto con il venir meno di esigenze cautelari, considerato con Brentan non è più al vertice della società autostradale e che è trascorso molto tempo dai fatti contestati. Nelle dieci pagine di ordinanza, però, conferma la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei suoi confronti per il reato di concussione per induzione, in relazione a 65mila euro che avrebbe preteso da Scaramuzza per far eseguire in subappalto alla Fip le opere assegnate a Sacaim. Per questa vicenda Brentan andrà probabilmente processo tra breve: la Procura ha già provveduto al deposito degli atti, la procedura che normalmente precede una richiesta di rinvio a giudizio.

È interessante leggere cosa scrive il Riesame, al quale gli atti relativi a Brentan sono stati rispediti dalla Cassazione, secondo la quale in precedenza i giudici veneziani non avevano adeguatamente motivato la conferma della misura cauteare.

I giudici parlano di «gravi indizi di colpevolezza», rinvenibili sulla base delle dichiarazioni di Baita e Scaramuzza. Il primo ha raccontato che Mantovani si era aggiudicato l’appalto e che Brentan lo chiamò per dirgli che la sua offerta sarebbe stata dichiarata anomala per poi assegnare a Sacaim i lavori per le barriere antirumore lungo la tangenziale. Anche Scaramuzza riferisce di essere stato chiamato da Brentan il quale gli avrebbe spiegato che l’assegnazione alla Sacaim gli permetteva di «procurare una scorta per il Partito Democratico dell’area veneziana».

L’offerta Sacaim (10,3 milioni di euro) fu più onerosa per le casse della Venezia-Padova (2,5 milioni in più); poi i lavori furono subappaltati a Fip che realizzò l’opera per l’ammontare dell’offerta da lei presentata (8,8 milioni).

Scamaruzza ha raccontato di aver ricevuto una successiva confidenza da Brentan, il quale avrebbe manifestato «amarezza per la mancata riconoscenza che il partito dimostrò nei suoi confronti, dopo che lui gli aveva procurato questo finanziamento».

Gianluca Amadori

 

IL COMMISSARIO VERNIZZI, REGIONE E SIS: IL TERMINE PER LE RISPOSTE SCADEVA IERI

VENEZIA – Silvano Vernizzi dice di aver risposto senza imbarazzi alle questioni poste dalla Corte dei Conti sulla Pedemontana Veneta. Nemmeno una delle 70 domande l’ha trovato impreparato. Al massimo in totale disaccordo, ma con fior di motivazioni, come ha spiegato in anticipo la settimana scorsa, con l’avvocato Paola Noemi Furlanis al fianco, in una conferenza stampa. Bisognerà vedere se saranno condivise dalla magistratura contabile, che ha messo sotto indagine l’opera. Il termine per le risposte scadeva ieri.

Il commissario all’emergenza non era l’unico chiamato a dare spiegazioni. Nell’elenco dei destinatari di chiarimenti ci sono i 36 Comuni interessati all’attraversamento dell’arteria, lunga oltre 90 chilometri; la Regione Veneto; la società concessionaria Sis che si è aggiudicata il project; i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente; il dipartimento della Protezione Civile; le associazioni ambientaliste Wwf, Legambiente e Italia Nostra.

Nelle risposte di queste ultime confluiscono le osservazioni del Covepa, il comitato veneto per la Pedemontana alternativa, nel quale rientrano gruppi di oppositori più o meno coordinati del Vicentino e del Trevigiano. Alla Corte dei Conti il Covepa chiede di fare luce almeno su tre punti: 1) per quale motivo nell’aumento dei costi della Pedemontana il commissario Vernizzi abbia inserito 195 milioni costituiti almeno per metà da opere già previste dal Cipe nel 2006, che dovevano far parte del costo iniziale del project e rientrare nel contratto firmato nel 2010, non essere aggiunte successivamente; 2) a che titolo la Regione sborsi di tasca propria altri 110 milioni di euro per opere complementari di raccordo; 3) perché il costo degli espropri sia stato fatto lievitare in modo abnorme, creando una sperequazione evidente tra agricoltori e non agricoltori ma soprattutto danneggiando l’erario.

Va detto che la Corte dei Conti è l’unico controllore di cui il commissario straordinario si debba preoccupare. Sopra di lui c’è solo il consiglio dei ministri che l’ha nominato e il ministero che ne rappresenta il braccio operativo. Entrambi sono lontani dal teatro delle operazioni. Sul posto Vernizzi ha potere assoluto.

A cascata, l’unico controllo sui cantieri di cui si deve preoccupare il concessionario Sis, è quello fatto dall’Arpav, che si è impegnata a monitorare lavori e cantieri per 8 anni al modico prezzo di 4,6 milioni di euro, 600.000 euro all’anno. Sapete chi paga questo controllore? Sis, cioè il controllato.

Renzo Mazzaro

 

La denuncia del presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti Alessandro Bratti: l’emendamento sul recupero dei residui dei forni elettrici sarà un’arma di difesa per gli accusati nei processi sull’occultamento di scorie inquinanti sotto l’autostrada Brebemi e la Valdastico sud. E “un passepartout per le acciaierie”

 

Le scorie d’acciaieria dell’Ilva di Taranto potranno essere usate in tutta Italia. Sotto le strade, nelle massicciate ferroviarie, come materiale di riempimento per le bonifiche e i recuperi ambientali. E cambierà anche la normativa di riferimento per stabilire se quegli scarti industriali sono pericolosi e inquinanti oppure no. Lo prevede un emendamento al decreto Ilva, presentato dai senatori Alessandro Maran (Pd) e Aldo Di Biagio (Fli) e già approvato in commissione lo scorso 19 febbraio. Dunque parte integrante del testo che sarà votato con la fiducia alla Camera il 3 marzo.

“Un passepartout per le acciaierie italiane per poter collocare queste scorie in tutte le infrastrutture – dice a ilfattoquotidiano.it il presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti Alessandro Bratti – utilizzando un test che non esiste ed è semplicemente un lasciapassare”. Il decreto prevede infatti che per caratterizzare le scorie venga utilizzato, al posto del vecchio “test di cessione” delle sostanze inquinanti, un regolamento europeo pensato per la “registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche” (il 1907/2006) che “nulla ha a che fare con i rifiuti: una pura invenzione, che introdurrà soltanto nuovo caos”.
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La possibilità per l’Ilva di utilizzare le scorie senza effettuare il test di cessione degli inquinanti “potrebbe determinare un pericoloso precedente – prosegue Bratti – perché anche tutti gli altri impianti sarebbero legittimati a comportarsi allo stesso modo”. Molte le inchieste e i processi a rischio, secondo il presidente della Commissione rifiuti, tra tutte quelle sulle scorie di acciaieria smaltite sotto l’autostrada Brebemi, di cui si è occupata la Dda di Brescia, e quelle finite sotto l’autostrada Valdastico sud (Vicenza) su cui indaga la procura antimafia di Venezia. Due inchieste finite sotto i riflettori della Commissione ecomafie.

L’emendamento al decreto Ilva è stato presentato dal senatore friulano del Pd, ex Scelta Civica, Alessandro Maran, e dal collega di Fli Aldo Di Biagio, già a capo dell’ufficio relazioni internazionali dell’allora ministro delle Politiche agricole e forestali Gianni Alemanno. “I residui della produzione dell’impianto Ilva di Taranto – si legge nel testo del decreto – costituiti dalle scorie provenienti dalla fusione in forni elettrici (…) possono essere recuperati per la formazione di rilevati, di alvei di impianti di deposito di rifiuti sul suolo, di sottofondi stradali e di massicciate ferroviarie (R5) o per riempimenti e recuperi ambientali (R10)”.

Non solo per i terrapieni e i sottofondi stradali, ma anche nel caso dei materiali di riporto per le bonifiche ambientali e per i recuperi “a verde” delle cave esaurite, potranno essere utilizzati dunque rifiuti speciali, in particolare i “rifiuti del trattamento delle scorie” (codice Cer 10 02 01), le “scorie non trattate” (Cer 10 02 02) e le “scorie di fusione” (Cer 10 09 03).

La legge prevedeva già la possibilità di utilizzare le scorie di acciaieria per i rilevati stradali, se adeguatamente trattate e conformi al test di cessione previsto dal decreto del Ministero dell’Ambiente del 5 febbraio 1998. Proprio sulla quantità e qualità degli inquinanti presenti nelle scorie utilizzate nelle infrastrutture si sono sviluppate alcune delle principali inchieste sul traffico di rifiuti nel nord Italia. Il decreto Ilva però permetterà alle aziende di utilizzare, “se più favorevole”, il Regolamento (CE) 1907/2006 al posto del test di cessione, affidando poi all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale il compito di “accertare l’assenza di rischi di contaminazione per la falda e per la salute (…) nel termine di 12 mesi dall’avvenuto recupero”. Entro un anno dalla fine dei lavori, quindi, l’Ispra dovrà accertare se c’è stato danno per l’ambiente.

“Chi si difende nei processi per traffico di rifiuti utilizzerà la norma a suo favore – commenta il presidente Bratti – e tutto rischierà di finire in prescrizione. Ricordiamoci che il sostituto procuratore antimafia Roberto Pennisi, recentemente, ha dichiarato che l’autostrada Brebemi è stata fatta al solo scopo di interrare rifiuti”.

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Gazzettino – “La Regione dimentica la Romea”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

5

mar

2015

MIRA – Dura nota di Opzione zero sulla sicurezza

Per il Comitato la Regione non si cura minimamente della messa in sicurezza della Romea.

MIRA – «La messa in sicurezza della ’Romea’ è l’ultimo deo pensieri della Regione, che invece continua a sostenere le grandi opere».

Dura presa di posizione del Comitato Opzione zero attraverso le portavoci Rebecca Rovoletto e Lisa Causin ed il presidente Mattia Donadel sulle recenti delibere regionali in tema di viabilità: «In due recenti decisioni della Giunta – afferma Opzione Zero – la Regione continua a investire miliardi senza curarsi di una delle arterie più pericolose d’Italia. A gennaio è stato approvato un indirizzo sugli interventi tra il 2015 e il 2020 sui circa 740 km. di strade statali che attraversano il territorio regionale. La messa in sicurezza della ’Romea’, nonostante i continui incidenti e le richieste di comitati e amministrazioni locali, non compare nemmeno nell’elenco dei semplici miglioramenti. Invece nella lista delle infrastrutture prioritarie compaiono 13 nuove strade, tra bretelle, varianti e tratti di collegamento».

Opzione Zero lo scorso settembre organizò una manifestazione in “Romea” per evidenziare il problema sicurezza ed esprimere la contrarietà alla Mestre-Orte.

«Il 13 febbraio scorso – sottolineano ancora gli esponenti di Opzione Zero – Zaia ha firmato una delibera nella quale la Regione indica al Governo quali sono le opere ritenute ’strategiche’ e ’indifferibili’. Si va dalla Pedemontana alla Valdastico nord, dal Gra di Padova alla Nuova Valsugana e pure la Mestre-Orte. Della ’Romea’ nessuna traccia».

(L.Gia)

 

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Comunicato stampa Opzione Zero 4 marzo 2015

La Romea è una delle strade più pericolose d’Italia, ma per la Regione Veneto a guida leghista, questa non è una priorità; meglio continuare a spendere miliardi di euro per le “grandi opere” distruttive e foriere di malaffare.

Questo è quanto emerge da due recenti delibere della Giunta Regionale.

La prima di queste è la DGR 91 del 27 gennaio 2015: si tratta di un atto di indirizzo attraverso il quale la Regione Veneto propone ad ANAS quali devono essere le priorità di intervento  tra il 2015 e il 2020 sui circa 740km di strade statali che attraversano il territorio regionale.

Peccato che ancora una volta la messa in sicurezza della Romea, nonostante i continui incidenti e le richieste di comitati e amministrazioni locali che da decenni chiedono risposte a questo grave problema, non compaia nemmeno nell’elenco  degli interventi migliorativi della rete statale esistente. E certamente non si può più dire che il problema sia la mancanza di soldi, visto che nella stessa delibera si indicano come prioritari altre 13 nuove infrastrutture stradali, tra bretelle, varianti e tratti di collegamento.

D’altra parte si sa, il sistema dei “grandi appalti” è quello più appetibile per le multinazionali del cemento e dell’asfalto. Alla Giunta Zaia poco importa degli scandali per corruzione e malaffare che hanno coinvolto in pieno la sua stessa amministrazione e il PD veneto, così come molte delle grandi ditte che per anni si sono accaparrate commesse da centinaia di milioni di euro per opere inutili e distruttive.

Arresti o non arresti, e soprattutto prima che scada il mandato,  meglio assicurarsi che i “grandi affari” vadano avanti il più in fretta possibile, come confermato in modo inequivocabile dall’altra delibera di Giunta, la DGR 159 del 13 febbraio 2015, con la quale la Regione indica al Governo quali sono le opere ritenute “strategiche e indifferibili”. Nella lista nera ci finiscono ovviamente tutti i progetti messi a punto dalla cricca veneta del cemento durante la presidenza Galan-Chisso: pedemontana, Valdastico nord, Nogare mare, GRA di Padova, nuova Valsugana, TAV… ; non poteva mancare poi la famigerata Orte-Mestre, l’autostrada da 10 miliardi, spacciata furbescamente come la soluzione dei problemi di sicurezza della Romea e che se tutto va male sarà realizzata non prima del 2030. In compenso la SS 309 è già oggi lasciata in stato di abbandono, e se per chi la usa questo è un rischio poco importa.

Le elezioni regionali sono vicine, e Opzione Zero invita i cittadini a tenere bene a mente le responsabilità politiche di questa situazione.

 

VENEZIA – Pallido in volto che sembra l’Ermengarda del Manzoni, fa la sua apparizione al 9° piano del torrione di Veneto Strade il commissario alle emergenze viarie Silvano Vernizzi. Parlando si rilassa e dopo un’ora di movimentazione di carte sul tavolo, sembra un altro. La sala è piena di giornalisti e telecamere, c’è da scommettere che neanche il 31 dicembre 2016 quando scadrà da commissario Vernizzi ne avrà tanti. Ha convocato la conferenza stampa per dare «la massima trasparenza» all’inchiesta avviata dalla Corte dei Conti sulla superstrada Pedemontana veneta.

Bello sentirgli dire «massima trasparenza» sapendo che ha fatto di tutto per impedire che l’atto aggiuntivo alla convenzione firmato nel 2013 – atto che aumenta i costi del project – fosse reso noto ai contribuenti.

Vernizzi continua a sostenerlo, citando due pareri dell’avvocatura di Stato, superati dalla realtà, perché l’atto aggiuntivo è stato reso pubblico dal notaio presso il quale lo stesso Vernizzi e Matterino Dogliani, responsabile della società concessionaria, sono andati a registrarlo.

Tanta insistenza per una causa persa è commovente. È da augurarsi che il resto della replica alla Corte dei Conti non abbia la stessa consistenza.

Da Roma sono arrivate 70 contestazioni, alle quali Vernizzi deve rispondere entro lunedì. Ieri si è dichiarato pronto a farlo e ne ha sintetizzato i contenuti.

 

Emergenza. Lo stato di emergenza è stato dichiarato dal Cdm dei ministri il 15 agosto 2009, successivamente prorogato dal governo Berlusconi e da Monti, il quale pure ha rivoluzionato la normativa. C’è una sentenza a sostegno della Corte Costituzionale, c’è una proroga Renzi fino al 31 dicembre 2016.

Vernizzi omette di dire che contro l’emergenza il Comune di Villaverla ha fatto ricorso al Tar del Lazio e ha vinto, ottenendo un risarcimento di cui il commissario ha dovuto farsi carico.

 

Costi pubblici. La Pedemontana doveva costare 1 miliardo e 828 milioni di euro da progetto preliminare ma al progetto esecutivo è arrivata con 2 miliardi 258 milioni. L’aumento è di 429 milioni, dovuti a una serie di motivazioni, alcune delle quali lasciano perplessi. Esempio: + 195 milioni per recepimento prescrizioni Cipe ex delibera 96/2006 e per richieste enti locali. Passi per gli enti locali, ma le prescrizioni Cipe sono precedenti alla stipula della convenzione. Cosa rimaneva da recepire? In ogni caso, come vengono coperti questi aumenti? La risposta di Vernizzi è tassativa: «Con il contributo pubblico a totale carico dello Stato, il quale partecipa al project con un esborso di 614.900.000 euro».

 

Costi dei privati. Se aumenta il contributo pubblico, deve aumentare anche quello dei privati. Qui bisogna fare un atto di fede nelle dichiarazioni di Silvano Vernizzi: «A me non importa come o dove i privati vanno e recuperare 1 miliardo 643 milioni di euro che devono mettere nel project. Mi basta sapere che lo fanno. So che hanno provveduto all’aumento di capitale richiesto. E per il finanziamento dalle banche, mi hanno fatto sapere che otterranno il clousing finanziario entro marzo».

 

Garanzie. Il clousing finanziario è la copertura assicurata al concessionario dalle banche: la Sis copre i 1600 milioni richiesti dall’intervento, in piccola parte con mezzi propri, per il resto con finanziamenti bancari. Ma qui è notte fonda: il concessionario avrebbe dovuto avere la copertura bancaria già in partenza dei lavori quattro anni fa. Aspettiamo pure la fine di marzo, si suppone del 2015.

Nel frattempo i bene informati spiegano che Dogliani ha incaricato un fondo inglese di raccogliere denaro offrendo un rendimento del 10% ma a oggi è arrivato solo a quota 600 milioni. Manca un miliardo all’appello.

 

I lavori. Vernizzi dice che il cronoprogramma è rispettato «più o meno». Impossibile stabilire quanto più e quanto meno, perché il cronoprogramma è allegato all’atto aggiuntivo, che nessuno dovrebbe conoscere. In compenso sappiamo che finora il pubblico ha sborsato 180 milioni di euro e il privato solo 100. Eppure il project stabilisce il contrario: tre parti di spesa al privato contro una del pubblico.

Renzo Mazzaro

 

La Corte dei conti continua i suoi accertamenti senza conoscere il documento chiave cioè l’Atto aggiuntivo alla convenzione che è la fonte del rincaro da 1,8 a 2,25 miliardi

Il nuovo accordo fra commissario e concessionario a lungo top secret: “svelato” dal notaio che l’ha registrato

VENEZIA – Sulla Pedemontana veneta, superstrada a pagamento di cui si parla da anni ma che esiste solo sulla carta, è entrato il primo utente ufficiale. Potrebbe sembrare un turista che si è perso, visto che viene da Roma, invece ci è arrivato apposta. È niente di meno che la Corte dei Conti, sezione centrale di controllo, che ha aperto un’indagine sullo stato di avanzamento dei lavori.

Il magistrato incaricato è Antonio Mezzera, funzionario rigoroso, già autore di accertamenti sulla vicenda Mose che avrebbero potuto bloccare lo scandalo nel 2007, se il suo rapporto non fosse stato insabbiato. Purtroppo Mezzera sta viaggiando su un’utilitaria: lo dice anzi lo scrive lui stesso in una lettera in cui chiede collaborazione ai Comuni, spiegando di essersi documentato finora su wikipedia (!) e averne ricavato solo «una scarna cronologia».

E te credo, visto che il documento chiave che ha fatto lievitare i costi portandoli da un miliardo e ottocento milioni a 2 miliardi 258 milioni – aumento a carico dei contribuenti, è ovvio – è l’«Atto aggiuntivo alla convenzione» firmato il 18 dicembre 2013 tra il commissario per l’emergenza Silvano Vernizzi e l’amministratore delegato della società concessionaria Matterino Dogliani.

Documento difeso con i denti da Vernizzi in nome della privacy e/o della riservatezza commerciale. Solo una disattenzione della giunta regionale, che in una delibera s’è lasciata scappare il nome del notaio Alberto Gasparotti di Mestre, presso il quale era stato registrato l’atto, ha consentito ai comitati veneti per la Pedemontana alternativa (Covepa) di entrarne in possesso. Se n’è occupato Andrea Zanoni, all’epoca parlamentare europeo del Pd, che dopo due mesi di insistenze è riuscito ad avere l’accesso al documento, pagando 700 euro di diritti al notaio. Da notare che quest’ultimo è tenuto dalla legge che disciplina la sua professione ad assicurare la pubblicità degli atti registrati. Morale: la trasparenza negata dall’ente pubblico è stata garantita da uno studio professionale.

«La cosa non ha impedito a Vernizzi di andare su tutte le furie addirittura minacciando di denunciare il notaio», racconta Zanoni, che ad ogni buon conto ha messo le carte a disposizione di chiunque. Chi non le ha ancora lette, a quanto pare, è la Corte dei Conti, a giudicare almeno dalla delibera che avvia l’indagine affidata a Mezzera.

La magistratura contabile dimostra di essere ferma all’impostazione iniziale della convenzione per la Pedemontana: nel 2010 la Regione Veneto si impegnava a integrare i guadagni della società concessionaria con un contributo di 436 milioni di euro in 30 anni, se il traffico sulla Pedemontana fosse stato inferiore ai 25.000 veicoli l’anno; sopra i 35.000 veicoli, Regione Veneto e società concessionaria si sarebbero invece divisi gli utili.

L’atto aggiuntivo ha cambiato le cose: sotto 25.000 veicoli Vernizzi impegna la Regione Veneto a pagare a Dogliani 436 milioni di euro in 15 anni e non più in 30. Non solo: il pagamento dei 436 milioni non viene spalmato sui 90 chilometri da realizzare, ma scatta tutto intero al completamento del primo tratto, peraltro collocato dove meno serve. Quanto a dividere gli utili, non basta più raggiungere i 35.000 veicoli l’anno: questa soglia adesso va superata del 15%.

«L’atto aggiuntivo è a tutti gli effetti una revisione del contratto di project», dice Massimo Follesa, architetto, portavoce del Covepa per l’area vicentina, «operazione indispensabile per consentire alla società concessionaria di proseguire i lavori. Finora sono andati avanti solo con il contributo pubblico. L’ha ammesso lo stesso Dogliani: non hanno ancora il closing delle banche che dovrebbero finanziare l’operazione per un miliardo e mezzo. Questa condizione doveva essere accertata fin dall’inizio. Evidentemente neanche le banche ritengono che l’infrastruttura si paghi con i pedaggi».

Renzo Mazzaro

 

Incontro con IL PROCURATORE GENERALE NOTTOLA

VENEZIA – Il senatore grillino Cappelletti incontra il procuratore generale della Corte dei conti Nottola per chiedergli di indagare sulla Pedemontana Veneta.

Lo rende noto lo stesso parlamentare del Movimento 5 stelle: «La SPV è un’opera che si sta realizzando in violazione dei più basilari principi di trasparenza; inizialmente doveva costare 1,829 miliardi di euro, ma a seguito degli aggiornamenti progettuali, il costo è lievitato a 2,258 miliardi di euro. E pare debba crescere ulteriormente».

Cappelletti ricorda la genesi e i promotori politici della grande opera: «Importanti nomi delle istituzioni venete, come Galan, Zaia e Chisso, due dei quali passati recentemente dalle patrie galere – dice il senatore grillino – hanno offerto coperture politiche ad un’opera che mancava delle coperture economiche necessarie. In particolare il presidente Galan ha fortemente voluto, nel 2009, la dichiarazione dello stato di emergenza e la nomina di un commissario per derogare ad importanti norme in materia ambientale e di protezione civile».

Il parlamentare del Movimento 5 stelle si incontrerà, dunque, con il procuratore generale Nottola per chiedere di fare chiarezza sui finanziamenti, sull’aumento dei costi, «sulle numerose ipotesi di irregolarità nell’applicazione del codice dei contratti, e sul trasferimento del rischio d’impresa dal concessionario al concedente – conclude – che evidenzierebbe un consistente sbilanciamento di interessi a favore dei privati».

 

Inchiesta di “presadiretta”

VIGONOVO – Un coro di no alla camionabile e un appello da sindaci, comitati e operatori economici per realizzare nel più breve tempo possibile il completamento dell’idrovia Padova-Venezia. Questo è emerso dall’inchiesta televisiva di Presadiretta su Rai 3 che domenica sera, parlando del decreto “Sblocca Italia”, ha toccato anche il delicato tema dell’idrovia.

La trasmissione di Riccardo Iacona, nel servizio curato da Rebecca Samonà, ha messo in luce la necessità di proseguire questa grande opera incompleta. Un’opera che aspetta da 50 anni di vedere la luce.Se ultimata, l’idrovia Padova-Venezia potrebbe proteggere una zona ad alto rischio di alluvioni, dare impulso al turismo sulle vie d’acqua e togliere parte del traffico merci dalle strade.Mancano solo 13 chilometri da scavare, ma dopo 50 anni e 55 miliardi di vecchie lire spesi, il canale è incompiuto.

Durante il servizio su Rai 3 si è schierato contro la camionabile il sindaco di Vigonovo Damiano Zecchinato. Zecchinato ha spiegato che “se la camionabile voluta dall’ex assessore Chisso andasse in porto, l’idrovia non potrebbe svolgere né la sua funzione di canale scolmatore, né di via navigabile per trasportare merci».

Contrari alla camionabile anche il comitato “Opzione zero” con il presidente Mattia Donadel: «È assurda questa situazione, l’idrovia potrebbe risolvere i problemi di traffico e idraulici ed è ferma, mentre il Governo vuole realizzare a tutti i costi la Romea Commerciale».

Nel corso del servizio sono stati intervistati anche gli operatori turistici che lavorano lungo il Naviglio del Brenta che hanno spiegato come all’epoca della Serenissima la sicurezza idraulica fosse più curata che oggi.

(a.ab.)

 

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