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LO SPECIALE – Inchiesta sul Mose spiati per tre anni dal grande fratello della Finanza

TESTI a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese

L’OMBRA DELLE TANGENTI A FINE FEBBRAIO 2013 «Decine di milioni sottratti all’erario per scopi illeciti»

AFFARI SOSPETTI – I sassi comprati in Croazia fanno un “giro” in Canada per arrivare in laguna

Dal 2009 al 2011 ricostruite le attività del Consorzio Venezia Nuova

I primi arresti arrivano nel 2013. Tutto parte da una coop di Chioggia

All’indomani dell’arresto di Baita, Minutillo, Colombelli e Buson, a fine febbraio 2013, il colonnello Nisi, senza mai pronunciare la parola tangenti commentò: «Una tale mole di denaro, si tratta di decine di milioni di euro, trafugata all’erario e all’economia legale ci autorizza a pensare che sia stata usata per degli scopi illeciti. E questa è il prossimo fronte che andremo ad aggredire. Perché fondi neri di queste dimensioni raramente sono finalizzati al godimento personale. L’esperienza ci insegna che spesso vengono veicolati verso la pubblica amministrazione, ma allo stato delle indagini non possiamo ancora sbilanciarci». Invece si era sbilanciato. Eccome.

 

LA SALETTA INTERCETTAZIONI E I PEDINAMENTI

Le vite degli indagati vissute da tanti finanzieri

È in Corso del Popolo a Mestre, angolo via Costa, che giorno dopo giorno, si materializza, fuor di metafora, l’intera inchiesta sul Mose. Il quartiere generale delle indagini è l’enorme palazzone al civico 55, diventato da pochi anni sede del Comando provinciale della Guardia di Finanza. Èal 5. piano dove viene depositato e catalogato tutto il materiale sequestrato nelle perquisizioni che si susseguono lontano il più delle volte dai clamori della cronaca. Dove è collocata la “saletta” intercettazioni con gli operatori inchiodati ore e ore nella trascrizione scrupolosa delle conversazioni: al pari del film “Le vite degli altri” vivono quelle degli indagati, conoscendo tutto di loro, meglio di loro. Giorni, settimane, mesi, anni sottratti alla propria di esistenza, agli affetti, compresi quelli dei bimbi: «Papà deve lavorare, dai non arrabbiarti, giocheremo un’altra volta?». Alle pareti, i disegni dei piccoli, le loro foto e anche gli schizzi tracciati dai loro padri nelle ore interminabili con le cuffie in testa, ad ascoltare e scrivere.
E poi ci sono anche i colleghi impegnati nei pedinamenti, inseguimenti, rilievi contabili, approfondimenti d’indagine, insostituibili nell’esaminare i documenti e nel collegare gli indizi per comporre il puzzle complicato e ragionato del “quadro probatorio”. Giani bifronti: esperti tributaristi e astuti sbirri. Ègrazie ai sacrifici di tutti loro, uomini e donne delle Fiamme gialle – riflette il colonnello Nisi – se si è potuto a dare granitiche (è l’aggettivo scelto dal gip) fondamenta all’ordinanza della retata storica. Per questi finanzieri come per i loro superiori il lavoro prosegue.

 

Renzo Nisi, Colonnello della Finanza – CORRUZIONE «Non c’è nulla di cui andar fieri nel trovare conferma di una corruzione così radicata»

Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia – IL BENE E IL MALE «Occorre ripartire dall’abc dell’etica, chiamando le cose per nome: il bene bene, il male male»

Carlo Nordio, Procuratore aggiunto – SOLDI NOSTRI «Qui le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini, dello Stato»

Raffaele Cantone, Autorità anticorruzione – INQUIETANTE «Quello che sta emergendo in questa vicenda è un sistema molto inquietante, ancor più di quello già grave venuto alla luce per Expo»

 

L’operazione Antenòra per alto tradimento

IL REDENTORE Lo scandalo al centro dell’omelia del patriarca «Preghiamo per la città»

Alto tradimento. Devastante anche solo pensarlo. Pensare cioè che la presunta talpa dei corrotti del Mose sia un ufficiale della stessa Finanza. Come si fa a pensare che un generale delle Fiamme gialle possa aver “tradito” la divisa? Ma quando negli investigatori si fa strada questa consapevolezza, ai Finanzieri non resta che rifugiarsi nella letteratura. Ecco perché l’inchiesta sul Mose la chiamano “operazione Antenòra”. Il rimando, dottissimo, è dantesco. Antenòra è il girone infernale in cui il Sommo poeta relega i “traditori dello Stato”. Il Mose ne conta troppi: magistrati, amministratori e funzionari pubblici, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E se Fiorello intona la “ballata del Mose”, il presidente del Governo, Matteo Renzi, stigmatizzando crudamente la neo Tangentopoli lagunare, invoca l’introduzione del reato – coincidenza fortuita? – di “alto tradimento”.

 

Il grande fratello delle Fiamme gialle li ha spiati per 3 anni

Un operatore al lavoro su una centralina telefonica pe le intercettazioni

Le indagini della Guardia di finanza di Venezia hanno portato alla luce una corruzione diffusa. Il sistema Mose, grazie a questa inchiesta, è entrato anche nel mirino della massima autorità contro la corruzione, il magistrato Raffaele Cantone, secondo il quale la vicenda Mose è peggio dell’Expo. Nelle tre puntate precedenti della nostra inchiesta abbiamo visto lo snodarsi dell’inchiesta fino agli arresti del 4 giugno 2014.

Indagini hi-tech quelle che hanno incastrato gli indagati del Mose. Microspie di ultima generazione posizionate in luoghi strategici per l’assidua frequentazione dei “soggetti attenzionati”. Fra i più immortalati nei filmati alcuni fidi gregari di Mazzacurati, Pio Savioli e Federico Sutto, il primo nel consiglio Consorzio Venezia Nuova e collaboratore del Coveco, il secondo dipendente del Consorzio Venezia Nuova e segretario personale del superpresidente, arrestati con Mazzacurati a luglio 2013 (Sutto anche a giugno 2014): le immagini li ritraggono mentre, secondo gli inquirenti, sarebbero intenti ad incassare e dispensare i fondi neri generati da buona parte delle imprese che fanno parte del Consorzio. Il colonnello Renzo Nisi le aveva già visionate nel febbraio 2013, prima di stringere le manette ai polsi di Baita per associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale.
La pietra rotola. A darle la prima spinta c’è l’attività investigativa tradizionale. Guai se così non fosse. E dunque, oltre alle intercettazioni, ecco i pedinamenti e gli appostamenti, con tanto di telecamere nelle mani dei pazienti finanzieri a fissare volti, contesti, passaggi di strane buste e valigette, i gps sotto le macchine per mappare gli spostamenti. Senza mai trascurare le “carte” che documentano movimenti di denaro, contabilità in nero, conti e investimenti esteri, fatture false o gonfiate. Tre anni in cui il “grande fratello” delle Fiamme Gialle ha restituito “su file” uno spaccato del Consorzio Venezia Nuova. Ed ecco che le informative di polizia giudiziaria, fondamentali per gli atti giudiziari successivi, risultano organizzate nella modalità ipertestuale per consentire ai magistrati l’immediato collegamento e riscontro di quanto scritto con le prove ora video, ora audio, ora su carta. Tre anni: 2009-2011.
Il capitolo finale del Mose è di là dall’essere scritto. Perché c’è ancora tanta documentazione al vaglio e poi ci saranno le confessioni degli indagati e le rivelazioni improvvise. Da cosa nasce cosa, come in una trama di musiliana fusione e confusione. Il Mose dunque ha ancora tanto da narrare. Procedimento penale n. 10105/09. Comunicazione di notizia di reato. Mestre (Ve) 07.07.2011: conta 740 pagine, oltre metà coperte da omissis, l’informativa firmata da Nisi depositata in Procura all’attenzione del pm Paola Tonini. Ci sono già tutti gli attori: quelli che verranno arrestati il 28 febbraio del 2013 (Baita, Minutillo, Colombelli, Buson), quelli che verranno arrestati il 13 luglio 2013 (Mazzacurati, Savioli, Sutto, i Boscolo Bacheto …), quelli che verranno arrestati il 4 giugno 2014 (Orsoni, Chisso, Brentan, Giordano, Tomarelli, Venuti, Casarin, Spaziante, Meneguzzo, Morbiolo, Marchese…).
C’è la genesi dell’inchiesta. Si parte da una normalissima verifica fiscale. È settembre 2009. «Da un paio di settimane a Venezia, presi visione delle ispezioni ancora aperte – racconta Nisi – e fra tutte mi colpì la verifica eseguita alla Cooperativa San Martino di Chioggia, della famiglia Boscolo Bacheto. Qualcosa non mi tornava nei bilanci».
L’azienda sta realizzando il Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e palancole. La San Martino compra in Croazia, ma i sassi e le palancole prima di arrivare in Italia fanno il giro del mondo, passando addirittura per il Canada, che non è proprio la via più breve dalla Croazia a Chioggia. Un “tour” che le Fiamme gialle rendicontano, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre 6 milioni di euro di “costi fantasma”. Di reale c’è solo il conto corrente in Austria dove vengono depositati i soldi con la mediazione di due società “cartiere”, una con sede a Villach, in Austria, e l’altra a Mestre. Come reali sono i viaggi che di tanto in tanto i Boscolo padre e figlio effettuano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portano? A chi serve? I finanzieri mettono le mani su una chiavetta Usb affidata alla segretaria della coop. Dentro c’è tutto, file dettagliati di tutto il “nero”.
«Dovetti farmi accompagnare in Procura, all’epoca ancora situata in Piazza San Marco perché – racconta Nisi – non sapevo arrivarci e fu lì che conobbi la dottoressa Tonini che mi diede fiducia e la delega a investigare. Il Mose? Ne avevo sentito parlare come tutti, ma del Consorzio Venezia Nuova e della potenza che rappresentava, devo ammetterlo, ero abbastanza all’oscuro». Questione di tempo perché del Consorzio Venezia Nuova, monarca e cortigiani compresi, la Finanza conoscerà ogni aspetto, ogni segreto. Ad aprire nuovi scenari, alcune intercettazioni di Brentan, l’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova, arrestato a gennaio 2012 per corruzione nell’ambito di alcuni lavori assegnati dalla Provincia, in cui affermava che la Mantovani di Baita, fra i soci di maggior peso dentro Consorzio Venezia Nuova e dentro la stessa società autostradale, poteva risolvere qualsiasi cosa. Capace di sconfiggere persino i concorrenti più blasonati sotto il campanile di San Marco come la Sacaim di Alessandro Alessandri (in seguito acquisita dalla Rizzani de Eccher spa). Un nome, quello di Alessandri, che la Finanza ritrova nella famosa Lista Pessina, l’avvocato svizzero che aiutò i suoi facoltosi clienti, almeno 500 schedati nel suo computer portatile, a occultare i propri guadagni nei caveau off shore dei paradisi fiscali. A coordinare i due fascicoli (Brentan e Pessina) il pm Stefano Ancilotto che comprende immediatamente il valore della posta in gioco. A far quadrare il cerchio, il controllo tributario nella sede amministrativa della Mantovani, avviato dai finanzieri guidati dal tenente colonello Giovanni Parascandolo.
Il resto è cronaca recente.
«Sostenere che sono soddisfatto di quanto abbiamo portato alla luce è difficile. Non c’è nulla di cui andar fieri nel trovare conferma di una corruzione così radicata, presente, e minuta, tale da assumere carattere patologico». Suona come un epitaffio il saluto di Nisi alla città il 5 settembre 2013.
E di patologia parlerà anche il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, a Venezia il 17 luglio 2014 per toccare con mano l’attuale gestione del Mose. Il 5 giugno aveva dichiarato: «Quello che sta emergendo in questa vicenda, che ovviamente deve essere vagliata dalla magistratura, è un sistema molto inquietante, ancor più di quello già grave venuto alla luce per Expo». E il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio denuncerà con forza l’odiosa peculiarità del caso Mose: «Qui le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini, dello Stato».
Il Mose: nato sull’onda emergenziale dell’acqua granda del 1966, iniziato nel 1984 e non ancora terminato. Corruzione. Patologia. Epidemia. La peste del XXI secolo. «Preghiamo per la nostra città. In questo momento è particolarmente necessario. Il riferimento va ai fatti di cronaca, che in questi mesi hanno posto Venezia alla ribalta». Inizia così l’omelia del patriarca Francesco Moraglia durante la messa solenne che alle 19 di sabato 19 luglio ha dato avvio alla Festa del Redentore, in ricordo della costruzione dell’omonima chiesa, quale ex voto per la liberazione del morbo che flagellò la città da 1575 al 1577. Così la celebrazione di una delle tradizioni irrinunciabili per i veneziani detta lo spunto per un severo richiamo alla responsabilità di fedeli e di cittadini e per una austera strigliata ai politici: «Occorre ripartire dall’abc dell’etica, chiamando le cose per nome: il bene bene, il male male».
Il caldo è torrido nel primo tardo pomeriggio di vera estate di un luglio, quello del 2014, che Venezia ricorderà a lungo. Accanto a Moraglia, a tagliare il nastro del ponte votivo che collega le Zattere alla Giudecca, non c’è il sindaco, dimissionario dopo l’arresto, bensì il commissario prefettizio nominato per traghettare Ca’ Farsetti alle elezioni. Il rito religioso lascia spazio a quello laico della cena in barca o sui tavoli in riva in attesa del grandioso spettacolo pirotecnico. I botti continuano a ritmo cadenzato. È la notte dei fuochi.

4 – Continua (Le precedenti puntate sono state pubblicate il 10, 15 e 17 agosto)

 

LE CONFESSIONI DI BAITA, MAZZACURATI E MINUTILLO

CASO MOSE – Dal Riesame di Milano sul caso Milanese le conferme della fondatezza dell’inchiesta lagunare

«Il Consorzio, sistema illecito»

I giudici: così fu creata una rete per avere appoggi e complicità da politici, tecnici e burocrati

«Sono credibili e hanno confermato quanto già raccolto dagli inquirenti»

Era un «sistema a sfondo illecito» quello creato dal Consorzio Venezia Nuova «per la creazione di una rete di appoggi, connivenze e complicità, in grado di creare provviste extracontabili di pronto utilizzo per il pagamento di somme a esponenti della pubblica amministrazione a diversi livelli – politici, burocratici, tecnici, di controlo»
È il Tribunale del riesame di Milano a fornire un’ulteriore conferma al quadro probatorio delineato dalla Procura di Venezia nell’inchiesta sulle presunte “mazzette” per i lavori del Mose. Un “sistema” che prevedeva pagamenti «anche a prescindere dall’ottenimento di specifici risultati (comunque parallelamente perseguiti a seconda delle emergenze e delle esigenze) che comunque garantissero al Cvn di proseguire nelle proprie attività».
«SISTEMA ILLECITO» – I magistrati lombardi si stanno occupando dello stralcio delle indagini relative a Mario Milanese (all’epoca stretto colaboratore del ministro dell’economia, Giulio Tremonti) e al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, entrambi accusati di corruzione: il primo in relazione a 500mila euro che l’ex presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, dice di avergli versato per ottenere il via libera ad alcuni fondi per il Mose; il secondo a presunte mazzette (altri 500mila euro, su 2milioni promessi) in cambio di informazioni riservate sull’indagine all’epoca appena avviata dalla Guardia di Finanza.
LE VIOLAZIONI FISCALI – Nell’ordinanza di 32 pagine con cui due settimane fa è stato confermato il carcere per Milanese, è effettuata un’analisi complessiva sulla fondatezza dell’inchiesta Mose: a convincere i giudici di Milano della solidità del quadro probatorio vi è innanzituto il fatto che «le indagini nascono a prescindere da dichiarazioni di chiamanti in correità, ed attengono a fatti posti a fondamento degli “strumenti” a disposizione della “struttura”: le violazioni di natura tributaria ed altri meccanismi fraudolenti che consentono di disporre di una cassa di fondi “neri” per la gestione illecita della “macchina” – come definita da Piergiorgio Baita», ex presidente della Mantovani.
Insomma, a fondamento delle accuse ci sono innanzitutto dati oggettivi, acquisiti nel corso dell’accertamento fiscale a carico di Mantovani e Cvm; elementi che poi «si arricchiscono, con le intercettazioni telefoniche e ambientali, con le voci dirette dei soggetti che mantengono in vita la struttura e la alimentano, costribuendo a delineare episodi – oltre che la trama generale – specifici, ricostruiti a prescidenre dalle dichiarazioni successive dei chiamanti in correità», scrive il Riesame di Milano.
CONFESSIONI CREDIBILI – Le confessioni di Mazzacurati, Baita e Claudia Minutillo (ex segretaria dellallora Governatore del Veneto, Giancarlo Galan) nonché degli altri indagati che hanno collaborato con la Procura di Venezia, costituiscono un successivo riscontro ad «elementi già a disposizione degli inquirenti»: circostanza che rafforza la loro credibilità e attendibilità.
Il Riesame di Milano scrive che è assai difficile ipozzare che «una volta divenuta nota a Mazzacurati la mole di informazioni a disposizione degli inquirenti, egli abbia potuto in qualche modo “manipolare” tali elementi per accusare soggetti “estranei” e proteggerne altri». E rilevano che le dichiarazioni di Baita non sono in contraddizione con quelle di Mazzacurati. Analoghe conclusioni a cui è giunto il Riesame di Venezia nel confermare il carcere per Galan, per l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso e per altri indagati che, secondo gli inquirenti, hanno avuto un ruolo di primo piano nei vari episodi di corruzione. L’inchiesta nel frattempo prosegue e, dopo l’estate, non è escluso che possano giungere nuove sorprese.

Gianluca Amadori

 

SCANDALO MOSE – Mazzacurati sarà interrogato in video dagli Usa

VENEZIA – Il filone dell’inchiesta Mose riguardante l’ex ministro Altero Matteoli indagato per corruzione

Si farà in videoconferenza, dagli Stati Uniti, l’interrogatorio dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, richiesto dall’ex ministro Altero Matteoli, accusato di aver incassato “mazzette” in relazione alle opere di disinquinamento di Marghera. L’autorità giudiziaria statunitense sta predisponendo il necessario per l’audizione che si svolgerà nel prossimo mese di settembre: Mazzacurati si trova, infatti, in California e le sue condizioni di salute non gli consentono di rientrare. L’interrogatorio, alla presenza di difesa e accusa, si svolgerà limitatamente alla posizione di Matteoli, di cui si sta occupando il Tribunale dei ministri.
Nel frattempo resta in carcere […………………..], importante socio del Cvn, accusato di corruzione, finanziamento illecito e false fatture nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Il gip di Venezia, Roberta Marchiori, ha rigettato sabato scorso l’istanza di concessione degli arresti domiciliari presentata dai suoi difensori, gli avvocati Renato Alberini e Carlo Marchiolo. Per uscire dal carcere, […..] ha rinunciato a tutti i suoi beni (le quote nelle società Grandi lavori Fincosit e della Italholding) il cui usufrutto quinquennale è stato ceduto dall’imprenditore – con atto stipulato davanti ad un notaio che gli ha fatto visita in cella – per dimostrare ai magistrati di non avere più alcun “interesse” nella gestione aziendale e, di conseguenza, di aver cancellato il rischio di commettere altri reati dello stesso tipo. La stessa Procura aveva dato parere contrario alla concessione dei domiciliari, ritenendo che le esigenze cautelari non siano venute meno, alla luce della rete di relazioni e contatti intrattenute da […….].
Duro il commento dei legali dell’imprenditore i quali hanno annunciato che presenteranno appello: «La misura cautelare non deve diventare un mezzo di pressione per indurre confessioni o delazioni – hanno dichiarato gli avvocati Alberini e Marchiolo – Il nostro assistito è incensurato e gli sono stati sequestrati beni per 18 milioni di euro: non c’è motivo per cui la custodia cautelare debba proseguire».

Gianluca Amadori

 

VENEZIA – Partita a Ferragosto, ha già raccolto 500 firme “verificate” una a una e quasi 400 online, su Change.org. Si tratta della petizione lanciata dal gruppo 25 Aprile, Venezia Viva e Ambiente Venezia per chiedere al presidente del Consiglio Renzi di fermare il progetto di scavo del Canale Contorta dell’Angelo. «Quello del Comitatone è stato un blitz d’agosto che va fermato: bisogna, prima, sapere», commenta Marco Gasparinetti, del Gruppo 25 aprile, «la legge speciale impone interventi che siano graduali, sperimentali e reversibili e lo scavo di un nuovo Canale dei Petroli non lo è: determinerà l’accelerazione della massa d’acqua in ingresso, spazzando ad esempio via le isole di Sant’Angelo delle Polveri e San Giorgio in Alga, alle quali abbiamo intitolato l’iniziativa». «Tutto il mondo è contrario passaggio delle grandi navi, ma il Contorta non è la soluzione», commenta l’ex consigliere Renzo Scarpa, di Venezia Viva, «per questo chiediamo ai cittadini di reagire: inciderà sulla velocità d’ingresso dell’acqua e non c’è nuova barena che tenga. Pochi centimetri in più, ma la marea inizierà prima e stazionerà più a lungo. Piazza San Marco sarà sempre sotto». «Il primo atto è questa lettera al premier firmata da veneziani, non da Vip», prosegue Gasparinetti, avvocato, «poi, se il progetto andrà avanti, ci costituiremo con nostre osservazioni nella procedura di Via». «La realizzazione del nuovo canale», si legge, «porterebbe il Canale dei Petroli nel cuore di Venezia riducendone le difese naturali e sottoponendola alla pressione congiunta delle masse d’acqua provenienti dalle bocche di porto di Lido e Malamocco. Chiediamo di ritirare immediatamente il progetto e di riprendere il confronto fra tutte le proposte a disposizione». La petizione sarà sostenuta dal Comitato Nograndinavi, che ieri si è riunito, annunciando anche qualche sorpresa per la Mostra del Cinema: «Ci saremo per ribadire le nostre posizioni», commenta Luciano Mazzolin. Molte le iniziative: l’8 settembre assemblea a San Leonardo promossa dalla Municipalità di Venezia contro lo scavo; il 15, assemblea pubblica organizzata dal Comitato No Grandi Navi domenica 21 settembre, “gita in acqua” aperta ai veneziani dal Canale della Giudecca, fino al Contorta «per mostrare cos’è.

Roberta De Rossi

 

La soluzione Contorta è una forzatura

Mi rivolgo a Matteo Zoppas, presidente di Confindustria. Le recenti decisioni prese dal Comitatone sulla nostra portualità, condivise e fortemente sostenute proprio da Zoppas, e l’aperto appoggio offerto da Confindustria alla gestione Vpt, appaiono ben poco rispondenti con gli interessi e le prerogative della cittadinanza veneziana, unica a dover giudicare in materia. Con una clamorosa forzatura e approfittando dell’assenza di un sindaco eletto, viene scelta una soluzione che porterà ancor più sfruttamento a una città che chiunque dotato di un minimo di spirito critico riconosce aver superato ogni limite ragionevole. Venezia, dove l’Università di Ca’ Foscari ha stimato tra 10 e 12 milioni il volume di turismo sostenibile e compatibile con le sue delicatissime strutture, oggi, non contenta dei 30 milioni di turisti, dovrebbe aumentare i flussi ampliando la ricettività delle strutture portuali per accogliere giornalmente fino a dieci grandi navi e per di più creare un’ulteriore via d’acqua che inevitabilmente andrà ad alterare i flussi delle maree in corrispondenza con il canale della Giudecca e cioè all’interno del centro storico. Non solo si prosegue nell’evitare qualsiasi regola che stabilizzi e qualifichi i flussi turistici, ma si arriva al punto di mettere le mani sul delicatissimo equilibrio lagunare già oggetto di opere che, con il senno di poi, avremmo voluto e dovuto evitare. Il professor Costa ci sorprenderà a breve con teorie che addirittura dovrebbero dimostrare i benefici derivanti dallo scavo del Contorta. Personalmente non ne vedo né a livello ambientale né per gli interessi dei veneziani. Vpt rifiuta Porto Marghera, una soluzione che invece porterebbe grossi vantaggi al declino di quell’area e non avrebbe costi ambientali e soverchie difficoltà salvo quelle di scontentare gli interessi di Vpt. Vpt è la sola e unica responsabile di questo assurdo stato di cose e con lei il presidente dell’Autorità portuale. Se ci sono posti di lavoro a rischio non sono da addebitare a chi contrasta la presenza delle grandi navi in laguna, vanno addebitati a coloro che, senza valutare la sostenibilità dei loro business, ne hanno consentito uno sviluppo fuori controllo e ad altissimo rischio e oggi si nascondono dietro lo spettro dei licenziamenti, per continuare in un’opera di sfruttamento al di fuori di ogni ragionevole pianificazione e corretta visione di un futuro sostenibile, per quella che è considerata la più bella città del mondo e, come tale, è sotto gli occhi del mondo intero. Le mie sono considerazioni dettate dal buon senso e dall’aver vissuto 66 anni in questa città, facendo il mestiere dell’imprenditore. Il mio consiglio è di valutare meglio gli aspetti legati alla sopravvivenza di Venezia come città “vivibile”. Se non ne salvaguardiamo questo lato fondamentale, rischieremo di vederci il mondo contro e un’ennesima figuraccia, dopo quella che ha visto perdere la faccia a una parte della locale Imprenditoria sulla vicenda Mose e, ahimé, ancora oggi ben presente nell’Associazione che Zoppas presiede.

Massimo Vidal – Amministratore delegato Mavive Spa

 

Servono numeri precisi sui lavoratori a rischio

Vorrei riuscire ad avere notizie precise sul numero effettivo dei lavoratori a rischio, se le grandi navi dovessero lasciare Venezia. Si parla sempre di cinquemila persone, senza peraltro dare dettagli. Non è che nel conto si metta, a forfait, un indotto interminabile? L’altro giorno un tassista veneziano mi diceva, ad esempio, che anche i suoi colleghi di Padova e Treviso lavorano molto con le grandi navi. Anche questi ultimi rientrano nel conto? Ricordo che nel 1966 procedevano alacremente i lavori per un gigantesco ampliamento di Porto Marghera (si guardava a Rotterdam…). Il canale dei Petroli era stato scavato in tempi record, velocemente si stava procedendo all’imbonimento di migliaia di ettari e al contemporaneo scavo dei canali di “penetrazione” per le navi che dovevano arrivare ai nuovi stabilimenti che vi si sarebbero insediati. L’industria, italiana e non solo, aveva grandi progetti per l’area (con una visione credo oggi superata). Porto Marghera contava allora 40 mila addetti e triplicarlo avrebbe triplicato,o comunque più che raddoppiato, l’occupazione nel territorio. La catastrofica inondazione del novembre ’66 mise subito in stato di accusa il canale dei Petroli e i lavori di bonifica della laguna in corso, e assestò un colpo fatale al progetto degli industriali, che vi stavano investendo ben più di quanto sinora realizzato per l’attività crocieristica. E nessuna delle organizzazioni sindacali insorse contro il blocco del progetto. Il tutto sulla base del principio, che parrebbe ovvio, che l’integrità fisica di Venezia ha la priorità su qualunque altra cosa. Appare quindi, come minimo, assurdo che venga ora proposto lo scavo di un nuovo grande canale, con l’alibi (fragile) dei posti di lavoro, quasi che fossero i lavoratori del settore i beneficiari esclusivi dell’attività croceristica. Sarebbe in ogni caso interessante, per la trasparenza delle posizioni in gioco, avere numeri precisi degli addetti alle crociere e relativi datori di lavoro (non solo il ); dati, questi, che i responsabili del settore crocieristico e dell’Autorità portuale non avrebbero certo difficoltà a fornire.

Paolo Trentinaglia De Daverio – Venezia

 

MALAMOCCO – Mose, ieri mattina alle 4 le squadre di ingegneri, tecnici, operai e sommozzatori che si alternano 24 ore su 24, hanno iniziato il varo del terzo cassone di soglia alla bocca di porto di Malamocco. La struttura è stata calata in acqua mediante il syncrolift – il mega ascensore per consentire il galleggiamento del cassone in cemento armato che pesa circa 23.000 tonnellate – ed è stata agganciata al mezzo speciale per il trasporto e l’affondamento in trincea. I cassoni di Malamocco sono i più grandi dell’intera opera e misurano 60 metri di lunghezza, 48 metri di larghezza e 11,55 metri in altezza. Nel rispetto dell’ordinanza della Capitaneria di porto il traffico navale attraverso la bocca di porto è stato interdetto al traffico dalle 3 alle 7. Dalle 7 e fino al termine dei lavori di posizionamento del cassone è utilizzata la conca di navigazione sia per l’entrata che per l’uscita dalla bocca di porto. La prima nave transitata ieri mattina alle 7.30 circa è stata la Bernhard Sibum lunga 139 metri. E’ stata accompagnata dai rimorchiatori Hippos e Vanna C in direzione laguna. A seguire sono uscite in mare la Sider Tis di 119 metri e la Big Cem di 96 metri. All’interno di ogni cassone vi sono due elementi fissi: celle stagne e la doppia dorsale di corridoi posti lungo l’asse longitudinale.Le celle interne hanno dimensioni variabili da 4×5 in pianta con altezze prossime ai 3-4-5 metri a seconda della loro ubicazione. Le celle destinate a esser allagate o riempite attraverso calcestruzzo sono state rese stagne e per necessità, durante le fasi di ripresa dei getti, sono stati inseriti gli elementi water stop. L’allagamento delle celle, o il loro riempimento con calcestruzzo, serve quando i cassoni sono varati in mare per poter controbilanciare le spinte del moto ondoso e andare a migliorare il baricentro del cassone stesso evitando così qualsiasi tipo di sbilanciamento o ribaltamento. Le gallerie centrali di distribuzione sono doppie e parallele perché ogni tipologia di impianto, meccanico, elettrico e idraulico è stato realizzato in maniera ridondante in modo da poter sempre funzionare anche in caso di guasto.

 

Gazzettino – Terza puntata dell’inchiesta Mose.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

17

ago

2014

LE REGOLE NON SCRITTE DEL MOSE

Retrocessioni e garanzia di lavoro per le consorziate

Chi sono gli investigatori che hanno sgominato la banda del Mose. Il tratto comune: lavorare nell’ombra. E colpire al momento giusto

Il mago dei numeri il pianificatore e il trasformista

È l’ingegnere Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova a spiegare a Baita come va il mondo dalle parte del Mose. Ad afferamrlo è lo stesso Baita nell’interrogatorio del 28 maggio 2013. Si conoscono dagli anni Settanta quando lavoravano insieme alla Furlanis di Portogruaro. Si ritrovano in Cvn nel 2002: «L’ing Mazzcurati mi ha chiamato e mi ha detto se ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Cvn, cioè impegni chiamiamoli non trasferibili in atti statutari. Gli impegni di cui mi fece parola erano due: uno relativo alla retrocessione di un certo importo… Il secondo impegno era di garantire a un’impresa consorziata del Consorzio, l’impresa Vittadello, il lavoro».

 

Terza puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di Finanza, l’investigatore che ha incastrato i “padroni di Venezia”.

4 GIUGNO – I finanzieri tra case e hotel per eseguire gli arresti eccellenti

La squadra di Nisi. Difficile nominare uno a uno tutti coloro che l’hanno temprata. Da citare chi con l’incarico di comandante dei diversi Gruppi del Nucleo ha svolto le indagini più delicate. Paolo Zemello, alla guida del Gruppo tutela spesa pubblica, Roberto Ribaudo, comandante del 1. Gruppo tutela entrate, e Nicola Sibilia, a capo del Gruppo investigativo criminalità organizzata: sono loro a costituire il team d’assalto di Nisi. Personalità diverse e per certi versi opposte che si completano a vicenda per capacità, competenza, impegno. Serietà. Autorevolezza. Che condividono la stessa visione di lotta alla illegalità e che hanno trovato in Francesco De Giacomo, capo ufficio operazioni, un coordinatore abile nell’armonizzare temperamenti, nel far girare i complessi meccanismi interni, gettando le basi per una circolarità di informazioni rivelatasi vincente. Anche con la stampa, nella sua veste di responsabile dei rapporti con i mass media: in parte è merito suo se si è sdoganata la banda del Mose facendole sbiadire quell’orizzonte provinciale e territoriale cui la volevano relegare e schiacciare i leader medesimi. «Cosa altro deve succedere perché se ne parli a Roma, a Milano, fuori dalla laguna?», si sono chiesti a più riprese Nisi e i suoi: nemmeno l’arresto di Mazzacurati aveva prodotto l’effetto sperato. Si è dovuto attendere il 4 giugno 2014: da allora basta dire Mose, al pari di Expo, per connotare il servizio tv o radiofonico, il talk show di turno. Mai come in questo frangente la sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso tutti i mezzi di comunicazione ha messo definitivamente al riparo l’inchiesta e i suoi registi, in primis i giudici.

L’ARRESTO DI MAZZACURATI
Ribaudo, severo e intransigente, taciturno e discreto, nato a Merano, è quasi spietato nel perseguire l’obiettivo prefissato: ha fatto suo il motto di Helmuth Karl Bernhard von Moltke, stratega feldmaresciallo dell’esercito prussiano, che ci permettiamo di tradurre dal tedesco come segue: “Nessun piano di battaglia sopravvive al primo contatto con il nemico”, a significare che quasi mai l’attacco iniziale è quello decisivo. Anzi. Ne sanno qualcosa Giovanni Mazzacurati, ex presidente di Cvn e i sodali braccati come delle prede per quasi tre anni, fino alla zampata dell’estate 2013 che ha segnato il count down per gli arresti eccellenti di quasi dieci mesi più tardi. Blanditi, rassicurati, di nuovo blanditi, con accorti stratagemmi tanto da farli cadere dalle nuvole all’atto della presentazione del conto. Teorico del basso profilo, si saprà ufficialmente della sua, per così dire, immissione in ruolo a Venezia – giunto dalla capitale tre anni prima – proprio durante la conferenza stampa sulla decimazione del Cvn. È seduto vicino a Nisi che gli dà la parola per «illustrare i particolari». Sardonico confida: «Il miglior complimento? Quello dei cronisti di giudiziaria che incontravo quasi quotidianamente nei corridoi in Procura mentre mi recavo dalla dottoressa Tonini per depositare le carte e per fare il punto sulle indagini. Mi avevano scambiato per un avvocato…». Bisogna ammetterlo, il ‘physique du rôle’ del legale lo possiede in pieno. E poi il mimetismo è una delle doti indispensabili nella guerra di logoramento. Chissà, sarà incocciato nello stesso equivoco anche Mazzacurati quando la mattina di venerdì 12 luglio 2013 quel ragazzo distinto e dai modi signorili si è presentato alla porta della dimora gentilizia alle Zattere, informando l’ottuagenario inquilino che quella casa si sarebbe trasformata in una prigione, per quanto dorata: Mazzacurati ne potrà uscire solo l’8 agosto. Quando cioè comincerà a “parlare”, riempiendo un centinaio di pagine a verbale, rispondendo alle domande puntuali della “signora” – così si riferisce alla pm Tonini, nell’intercettazione grazie a cui i finanzieri apprenderanno che fra di loro c’è una talpa – gettando le basi per la fase tre dell’inchiesta: l’arresto dei presunti prezzolati del Mose. Ribaudo è a Milano il 4 giugno del 2014: alle sue cure è affidato il numero 28 della lista stilata dal gip Scaramuzza, il vicentino Roberto Meneguzzo, specie di enfant prodige della finanza – tanto da guadagnarsi l’appellativo (immeritato?) di Cuccia del Nordest – fondatore e amministratore delegato della Palladio Finanziaria, holding azionista di peso di Generali. Stando alle contestazioni è il trait d’union fra Venezia e Roma, fra il Cvn e gli uffici che contano nella capitale: il tramite per agganciare Marco Milanese, allora braccio destro del ministro all’Economia Giulio Tremonti, e sbloccare la delibera con cui il Cipe nel 2010 assicura l’approdo al Mose del finanziamento di 400 milioni di euro, dietro “ricompensa” di 500mila euro. E Meneguzzo sarebbe anche il collegamento con il generale Emilio Spaziante che avrebbe ricevuto la mazzetta da mezzo milione nell’ufficio meneghino della Palladio. Sarà un caso ma anche Meneguzzo viene arrestato nello stesso albergo dove, a Milano, alloggia, qualche piano sopra, Spaziante.

L’ARRESTO DI CHISSO
Sibilia, romano, cittadino del mondo. Camaleontico: lo incontri passeggiando in campo in centro storico e lo scambi per un commerciante ebreo, barba lunga a punta e cappello, passa qualche mese e assomiglia a un dandy futurista, e poi ancora un emulo vintage della moda freak. E poi i tatuaggi che no, su un graduato delle Fiamme gialle, non si può. Ma tutto è calcolato, spariscono come per magia indossata la divisa. Un eclettismo esistenziale che traspare nel modo di indagare: è lui che importa da Trieste, comando di provenienza, e propone a Nisi, la figura dell’agente sotto copertura che si insinua nel circolo ristretto dei fidatissimi di Keke Pan e raccoglie le prove schiaccianti che inchioderanno alla cella, l’ormai ex boss dagli occhi a mandorla. Un segugio di razza, dall’indole gioviale e volitiva, che condotto da Nisi impara a fiutare oltre ai cartelli della droga, per i quali ha una vera predilezione, anche quelli “dei schei” facili e pubblici come quelli del Mose. Sotto l’ala del pm Ancilotto dà sostanza all’inchiesta su Baita: ed è proprio lui che suonerà all’ingresso della villa di Mogliano all’alba del 28 febbraio 2013 con l’ordinanza di custodia cautelare in mano firmata dal gip Scaramuzza, buttando giù dal letto il dominus di Mantovani spa e socio pesante e pensante di Cvn e scortandolo, terminata la perquisizione al Baltenig di Belluno, dove rimarrà detenuto per 106 giorni. All’alba di mercoledì 4 giugno 2014 Sibilia si trova a Favaro, hinterland mestrino. Al citofono del condominio gli risponde un signore assonnato e frastornato: è l’assessore regionale Chisso. Mentre il 31 gennaio 2012 guida i suoi uomini a Campolongo Maggiore, paesino della Riviera del Brenta, diventato famoso per aver dato i natali al boss della mala Felice Maniero. L’indirizzo è via Puccini 10: l’abitazione di Lino Brentan, fino al 2009 amministratore della società Autostrada Venezia-Padova, storico notabile del Pci-Pd veneziano, presunto referente di un “collaudato sistema” di gestione clientelare di appalti per favorire un cartello di imprenditori amici dediti alla corruzione. Un altro potente nella rete grigioverde. Processato con rito abbreviato sarà condannato a quattro anni. L’arresto bis il 4 giugno 2014 con la grande retata del Mose.

3 – Continua (Le precedenti puntate sono state pubblicate il 10 e il 15 agosto)

TESTI a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto, Maurizio Dianese

 

28 MAGGIO 2013 / L’INTERROGATORIO CHIAVE

Baita: «Mazzette per venti milioni di euro»

«Il giorno 28 maggio 2013 alle ore 15.25, in Venezia, presso gli uffici della Procura della Repubblica, avanti ai Pubblici Ministeri Dott. Stefano Ancilotto e Dott. Stefano Buccini, Sost. Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, è comparso: BAITA Piergiorgio, nato a Venezia il 18/8/1948, residente in Mogliano Veneto, via Rimini, 6/A. Detenuto presso la Casa Circondariale di Belluno». Inizia così l’interrogatorio che darà il “la” alle indagini sul Mose. Piergiorgio Baita era stato arrestato il 28 febbraio 2013. Prima del 28 maggio aveva già fatto un paio di interrogatori “pattinando sul ghiaccio” e cioè dicendo il meno possibile cercando di giocare come il gatto con il topo. Ma dopo si rende conto che il topo è lui. E inizia a parlare. Parla per 4 ore esatte, dalle 15.25 alle 19.20 del 28 maggio e riempie 115 pagine di verbale. Poi renderà altri 6 interrogatori, ma in questo del 28 maggio sostanzialmente racconta già tutto e quel che impressiona è il conteggio finale che fa Baita il quale parla di “mazzette” per una ventina di milioni di euro in 10 anni ai quali bisogna aggiungere centinaia di milioni di euro in “liberalità” e cioè quattrini dati per sponsorizzare una squadra di basket e il restauro di un convento, una scuola del Patriarcato di Venezia o una regata velica. Il conto totale, fatto dall’ing. Baita fa lievitare la cifra dei quattrini che i cittadini hanno sborsato ad 1 miliardo di euro. Si inizia così: «Credo di cominciare dal 2002, anno nel quale la Mantovani compie un salto di dimensioni e anche di collocazione di mercato… ». E in quell’anno che Mantovani con un investimento di 70 milioni di euro acquista da Impregilo e Fisia la partecipazione al Consorzio Venezia Nuova, diventandone il socio più grosso.

 

 

Lavori in corso alle bocche di porto di Chioggia e Malamocco, con modifiche degli accessi delle navi. Arriva il sesto pezzo: è l’ultimo cassone “di soglia” della barriera

LIDO. Proseguono a pieno ritmo i lavori del Mose alle bocche di porto che secondo quanto riferisce il Consorzio Venezia Nuova sarebbero ormai oltre l’85 per cento di realizzazione. Si avviano verso l’ultimazione le operazioni di posa dei cassoni del Mose alla bocca di porto di Chioggia. Nelle prossime ore è prevista la movimentazione del sesto pezzo: si tratta dell’ ultimo cassone “di soglia” della barriera.

Per circa due giorni, pertanto, sarà necessaria la chiusura totale della bocca di porto alla navigazione in entrata e in uscita per garantire la massima sicurezza durante le operazioni di varo e posa dei cassoni. Sarà interdetto completamente il traffico portuale dalle 12 del 16 agosto fino alle 7 di lunedì 18 agosto. Le complesse operazioni di movimentazione e affondamento degli 8 cassoni (6 di alloggiamento e 2 laterali, di “spalla”) previsti per questa barriera sono iniziate lo scorso 7 giugno e sono state attuate rispettando il cronoprogramma. La conclusione della posa in opera di tutti i cassoni è prevista per il 28 agosto, salvo imprevisti.

Sono iniziate invece lo scorso 19 giugno le operazioni di movimentazione e di affondamento dei 9 cassoni previsti per la barriera di Malamocco. Il 17 agosto sarà stato posato il quinto cassone “di soglia”. Le attività connesse alla posa in opera di tutti i 9 cassoni si svolgeranno in più riprese fino al 15 ottobre 2014.

Per facilitare il traffico delle navi e delle imbarcazioni durante le operazioni di posa, da giugno 2014 è stata resa operativa la conca di navigazione, realizzata per garantire il passaggio delle grandi navi anche quando le paratoie saranno chiuse. Sono stati varati e affondati anche tutti i 9 cassoni (2 di spalla e 7 di alloggiamento) nello scavo predisposto lungo il canale di Treporti.

Si sta procedendo con l’installazione delle paratoie: a oggi sono state agganciate ai cassoni 18 paratoie delle 21 previste per questo varco. Entro la fine di settembre saranno installate tutte le paratoie e si potrà procedere alle prove di movimentazione dell’intera schiera.

Per quanto riguarda la barriera di Lido Sud, lungo il Canale di San Nicolò, è in corso la rimozione delle porte stagne. Lo scorso 8 maggio si è conclusa la fase di varo e affondamento dei 9 cassoni (7 di alloggiamento e 2 laterali, di “spalla”) previsti per la barriera . Ora si sta procedendo appunto a rimuovere le porte stagne dell’intera barriera sommersa per rendere percorribile la doppia galleria di impianti.

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Gazzettino – Nuova Valsugana bloccata in galleria

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15

ago

2014

INFRASTRUTTURE La conferma arriva dal commissario straordinario Vernizzi: «Progetto fermo al Ministero»

«Sono state richieste delle integrazioni al promotore dell’opera e i problemi legati al caso Mose hanno frenato l’iter»

La conferma arriva dal commissario straordinario Vernizzi: «Progetto fermo al Ministero per la statale 47. Sono state richieste delle integrazioni al promotore dell’opera e il caso Mose ha frenato l’iter»

SPV, AVANTI TUTTA «Pedemontana, si sta lavorando alacremente per recuperare tempo»

CANTIERI APERTI anche a Ferragosto nel tratto bassanese della Pedemontana veneta per recuperare il tempo perso a causa delle piogge.

Fiumi d’inchiostro, decenni d’incertezza, migliaia di pagine e incartamenti, proposte e controproposte. Ma la Valsugana in galleria, ad oggi, è ferma. A confermarlo è il commissario straordinario della Valsugana, che fra l’altro lo è anche della Superstrada Pedemontana Veneta, Silvano Vernizzi.
«La variante in galleria della Valsugana attualmente è ferma al Ministero dell’Ambiente. Sono state richieste delle integrazioni al promotore dell’opera – conferma Vernizzi – a questo aggiungiamo i problemi legati alla giustizia (caso Mose, ndr) di questi ultimi mesi, aspetti che hanno comportato un inevitabile rallentamento di tutto l’iter».
Tempistiche o possibilità che la vicenda si sblocchi a breve?
«Al momento non sono in grado di fare valutazioni in merito», ribadisce il commissario straordinario. Stupore, rassegnazione; se non lui, chi altri può ipotizzare tempistiche e sviluppi futuri su quella che dalla metà degli anni Sessanta è l’opera più lunga a parole, scritti e articoli dell’intero territorio, ma ancora inesistente a fatti?
Gentilini, Berti e Mazzalai sono solo alcuni dei progettisti che negli anni hanno provato a mettere su carta idee e dettagli da sottoporre alle varie comunità; progetti che in un modo o nell’altro non sono mai riusciti a decollare, contrastati dalle continue divisioni tra comuni, dall’una o dall’altra amministrazione, da questo o da quel comitato o alle prese con difficoltà legate ai costi elevati o ai paletti legali.
Oggi invece a mettere i bastoni tra le ruote al progetto della nuova Valsugana sono gli arresti eccellenti che a partire dal Mose hanno messo in crisi il sistema del «project financing» coinvolgendo poi molti degli attori di spicco del mondo infrastrutturale veneto, tra i quali l’ex Governatore Giancarlo Galan e soprattutto l’ex assessore Renato Chisso.
Mancando il vertice del settore, tutto va a rilento specie nei casi in cui, come per la Valsugana, di concreto non c’è ancora nulla e tutta la strada rimane solo nella fase progettuale. E pensare che a metà febbraio la Commissione Nazionale Via aveva accordato l’ok al project financing, il tutto però non senza problemi tanto che furono ben 29 le prescrizioni con necessari ulteriori controlli; verifiche sono state richieste innanzitutto in merito alla qualità dell’aria e alla tipologia di inquinamento con la necessità di monitorare costantemente e per un lungo periodo le emissioni generate dal traffico lungo l’ipotetica galleria; ulteriori approfondimenti sono stati richiesti anche per quanto riguarda le problematiche del carsismo con la necessità di un’ulteriore mappatura di tutte le cavità carsiche conosciute da documentare con maggiori dettagli anche nei tratti di pianura; verifiche inoltre dovranno essere portate a termine anche dal punto di vista delle emissioni acustiche e della tutela della flora e della fauna lungo i territori interessati dall’ipotetico tracciato.
Discorso a parte invece quello legato alla Superstrada Pedemontana Veneta con i cantieri già aperti da mesi e gli operai al lavoro anche in queste giornate a ridosso del Ferragosto: «Non era previsto che gli operai lavorassero anche in questi giorni – spiega ancora il commissario Vernizzi – ma visti i numerosi giorni persi a causa del maltempo stiamo cercando di recuperare il leggero ritardo che abbiamo accumulato sull’iniziale tabella di marcia. Nessuno stop quindi, si lavora e si va avanti».

Seconda puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di finanza, svegliato alle 4 del mattino del 4 luglio 2014 da un sms: «Ci siamo».

I POTERI FORTI – Dalle verifiche dei bilanci di una coop di Chioggia alla scoperta dei fondi neri dello scandalo-Mose

L’UFFICIALE – Esperto di fisco, si era occupato delle plusvalenze di Inter e Milan e del crac della Popolare di Lodi

ACCUSATO E ACCUSATORE – Piergiorgio Baita, classe 1948, ex patron della Mantovani spa, le sue rivelazioni hanno contribuito alla Retata storica

L’investigatore che ha incastrato i padroni di Venezia

Il colonnello Nisi ha condotto le indagini fino al trasferimento a Roma «Solo un avvicendamento di carriera. Non lo nascondo, ero sfinito»

Il cellulare squilla: «Sia gentile, non insista. Non mi occupo più delle indagini. Non è con me che deve parlare». Il tono è garbato, ma fermo. Il colonnello Renzo Nisi, preme per l’ennesima volta il tasto di fine conversazione del suo smartphone. Un assedio, quello dei giornalisti, cui si sottrae con sottile compiacimento. E correttezza: l’uomo dell’inchiesta sul Mose? Non più. La titolarità investigativa ora è di altri e c’è una scala gerarchica con cui confrontarsi. Il cellulare continua a squillare. Risponde a chi “riconosce”. Sul display in rapida successione i nomi di Luigi Delpino, procuratore capo di Venezia, dell’aggiunto Carlo Nordio, dei sostituti Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Stefano Buccini, i magistrati che, dandogli fiducia, hanno dato corpo e concretezza alle ipotesi accusatorie. Si era partiti da un giro di fatture false, emerso analizzando i bilanci di una cooperativa chioggiotta – la San Martino – e si era approdati ai fondi neri del Mose. Tanti soldi per narcotizzare i controllori e comprare il consenso attraverso elargizioni a enti pubblici, privati, religiosi, associazioni, club, fondazioni.

IL TRASFERIMENTO A ROMA

Più di qualcuno aveva letto il suo trasferimento a Roma come una sorta di rimozione per affossare l’inchiesta. «Una liberazione» la parola quasi gli sfugge dall’increspatura sulle labbra sottili indugiando con la memoria a quei giorni difficili, opachi, ostili. Ma che ne sanno della fatica, della pressione, della tensione, delle subdole intimidazioni, del timore mai sopito che potesse accadere qualcosa di irreparabile? Davide contro Golia. Quando lo scontro è con i poteri forti non ci sono esclusioni di colpi. Lo sa bene. Ci ha messo del tempo a realizzare l’esatta portata della partita che stava giocando, la capacità offensiva dei “padroni ombra” di Venezia. Avevano agito nel e dal profondo occupando spazi, poltrone, palazzi, al riparo da sguardi indiscreti come possono essere quelli dell’opinione pubblica, del “popolino” alle cui spalle si sono ingrassati con l’ingordigia di chi si sente onnipotente. Vivendo in un mondo parallelo sprezzante e offensivo per chi tira avanti col proprio stipendio e magari rischia anche la pelle per portare a casa ogni mese mille euro, se va bene duemila, e si ritrova a dire più no che sì ai desideri dei figli. Un mondo in cui trova posto pure una Spectre, una capillare rete di controspionaggio – in cui pullulano i doppiogiochisti – per neutralizzare chi osa disturbare il manovratore.

L’INGEGNERE E IL REGISTA

«Mazzacurati chi? Il regista?», si era sentito ribattere quando aveva dato la notizia dell’arresto del sovrano del Cvn. No, era il padre di Carlo. Questo Mazzacurati, compianto cantore – è stato stroncato dalla malattia il 22 gennaio 2014 – della terra veneta, dei suoi valori e della sua gente autentica, tanto nelle virtù quanto nei vizi, ha diretto film dalla rara e struggente poetica universale e nel contempo severa e lucida. L’altro Mazzacurati, Giovanni, ingegnere intelligente, brillante, spregiudicato, diventato, a insaputa della stessa gente ritratta dal figlio, fra i personaggi più influenti d’Italia, capace di interloquire alla pari con presidenti di regione, ministri e capi di governo, boiardi di Stato e alte cariche ecclesiastiche, capitani d’industria, docenti universitari. Un potere carsico, secondo le accuse, nato e cresciuto disponendo e spendendo soldi pubblici, milioni, miliardi: 6 e mezzo l’ammontare definitivo per il Mose. Un perfetto sconosciuto. All’esterno della holding clandestina fa più rumore il nome di Piergiorgio Baita, onnipresente nelle opere cruciali e più dispendiose della regione, fautore del project financing sposato senza riserve da Galan e Chisso. «Lo ripeto io non sono l’inchiesta e il mio trasferimento si inserisce nel naturale avvicendamento di carriera che vede gli incarichi di comando ruotare circa ogni tre anni. Quando il generale Giancarlo Pezzuto mi chiamò a maggio 2013 non potevo rappresentargli, per dovere d’ufficio, ciò su cui stavamo investigando. D’altronde Baita fuori dal Veneto non era annoverato fra i soliti noti. E io, io – esita – non lo nascondo, ero sfinito. A Pezzuto chiesi solo una proroga di un paio di mesi e me li concesse sulla base di una indiscussa stima reciproca». Giusto il tempo di eseguire le ordinanze di custodia cautelare a carico di Mazzacurati & Co.

L’ARRIVO A VENEZIA

La memoria va al luglio 2009. Nisi è appena approdato in laguna. Arriva da Milano a ridosso del suo 42. compleanno. Il trasloco, la famiglia, l’iscrizione a scuola per il “grande”‘ al liceo e per il “piccolo” all’asilo. A Venezia c’era stato una sola volta in gita con la moglie. Le ossa in grigioverde se l’era fatte per lo più in terra lombarda. Ma con i gradi da colonnello, nella regione al tempo comandata dal generale Spaziante per Renzo Nisi, non c’era posto. «Che dice di Venezia?». Si può fare. In fin dei conti poteva andare peggio dal punto di vista logistico, s’intende. Esperto in fiscalità internazionale, dal 2003 sotto la “madonnina” era stato alla guida del Gruppo verifiche speciali firmando, fra le altre, le indagini sui “colletti bianchi”, sulla false plusvalenze di Milan e Inter, sul crac della ex Popolare di Lodi, sull’anomala operatività della marocchina Wafa Bank, sul gruppo di consulenza finanziaria Mythos Arkè. È il biglietto da visita con cui si presenta a condurre il Nucleo di Polizia tributaria veneziano: un pedigree di uno che non molla, di uno che non teme il confronto nemmeno con i colossi, di uno che va fino in fondo a costo di andarci a fondo. Dalla sua ha una competenza invidiabile e una condotta lineare dentro e fuori la caserma.

IL CALCIO E LE REGOLE

Per Nisi scatta un percorso a ostacoli, peggio, cosparso addirittura di trappole interne, che metterà a dura prova la tenuta del pool di investigatori che lo affiancherà. Uno staff che gli piace definire «nato da una congiuntura astrale insondabile con il risultato stupefacente di consentire di mettere a punto una macchina in grado di sviluppare al massimo le potenzialità intrinseche». Lui che alle coincidenze non ha mai dato peso e che a Venezia, malgrado le sue resistenze, viene catturato dalla malìa di una città accogliente e al contempo escludente, capace di farti sentire ospite gradito e intruso impiccione. È uno, il colonello Nisi, che crede nella squadra intesa come amalgama coeso di umanità, professionalità, specializzazione, talento. E non a caso usa spesso metafore calcistiche quando riferisce delle attività svolte: tattica, melina, contrattacco, affondo, vittoria. Giusta distanza. Nisi non dimentica mai il patto siglato all’ingresso nelle Fiamme Gialle: il rispetto della legge. Prima di tutto. Le regole. Per lui un imperativo morale che lo ha posto al riparo tanto dalle lusinghe quanto dalle intimidazioni. È un buon allenatore. Insegna e pratica il rigore e, pirandellianamente, il piacere dell’onestà. Già l’onestà. Una parola che suona ironica, fuori tempo, démodé nella “Venezia circo barnum” del Mose.

IN VENDITA. NON TUTTI

Banalmente Nisi dà il buon esempio. E sceglie chi reputa simile nell’intimo e capace investigatore.
In vendita. Non tutti. Non pochi. Nei “palazzi” delle inchieste più clamorose condotte dalla Guardia di Finanza a Venezia, luoghi in cui si dovrebbe tutelare la collettività: Ca’ Corner, Ca’ Farsetti, Ca’ Balbi. Corruzione patologica, che salta fuori anche quando viene spodestato “il re di via Piave”, al secolo Keke Luca Pan, cittadino cinese naturalizzato mestrino – condannato a sette anni e otto mesi di reclusione – che nel giro di un quinquennio è riuscito a sottomettere ai suoi diktat di malavitoso l’area contigua alla stazione ferroviaria di Mestre fondando un impero immobiliare: interi condomini, centri massaggi, alberghi, negozi, a lui riconducibili. Nessuno poteva metter piede nel suo regno senza il benestare del sovrano. Prostituzione, immigrazione clandestina, falsi permessi di soggiorno, minacce: e a libro paga funzionari comunali, vigili urbani, forze dell’ordine. Tutti sapevano. C’è voluta la felice intuizione dell’agente infiltrato per smascherare affari e connivenze. «È una delle operazioni che ricorderò con più nostalgia – confesserà Nisi nell’accomiatarsi da Venezia ai primi settembre del 2013 – poiché ha avuto un effetto immediato sulla gente comune. L’abbiamo considerata una sorta di regalo alla città perché siamo riusciti a restituire ai residenti, attraverso la confisca dei beni di proprietà di Pan, un quartiere che ormai era diventato una sorta di zona franca». Un’altra data memorabile quel 13 dicembre 2012 con il blitz dei finanzieri accolto dagli applausi dei cittadini che festeggiavano l’invocata e avvenuta “liberazione”.

(Continua domenica 17 agosto)

 

DEI 50 INDAGATI

Per Orsoni, Marchese e Sartori solo finanziamento illecito

L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese e l’ex eurodeputato Lia Sartori sono accusati solo di finanziamento illecito ai partiti. Gli altri indagati invece devono rispondere di corruzione. Si tratta di reati diversi (il finanziamento illecito è meno grave e non prevede come contropartita un atto specifico), anche se l’inchiesta è unica e viene indicata come inchiesta sul Mose. Giorgio Orsoni proclama la sua estraneità all’accusa e ha deciso di difendersi a processo; Giampietro Marchese, pur dicendosi innocente, ha chiesto di patteggiare la pena e si è accordato per 11 mesi di reclusione con la sospensione condizionale; Lia Sartori nega ed è ancora agli arresti domiciliari.

 

IL MEMORIALE – Mazzacurati: ecco chi riceveva denaro dal Consorzio (Dal memoriale dell’ingegner Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova)

… Dal 2004 e sino al 2006 il referente politico per le attività relative al Sistema Mose è stato il Sen. Ugo Martinat, allora Vice Ministro con specifica delega alle Infrastrutture Strategiche. Il Sen. Martinat subordinava la dovuta allocazione dei finanziamenti alla dazione di somme di denaro. Mi pare di aver versato al Sen. Martinat circa 400 mila euro. All’epoca era previsto che il Sistema Mose fosse completato entro l’anno 2010. Il Sen. Martinat è deceduto nel 2009. … Successivamente, il dottor Meneguzzo mi metteva in contatto con l’On. Milanese, che si presentava quale soggetto direttamente competente, sul piano politico, a gestire le questioni del finanziamento delle opere alle bocche di porto. In sostanza, l’On. Milanese rappresentava che avrebbe assicurato i finanziamenti … solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500 mila euro. Successivamente, il dottor Meneguzzo mi presentò il Generale Spaziante… Mi veniva, pertanto, richiesta dal Gen. Spaziante una somma particolarmente rilevante (circa 2 milioni di euro). Ho versato al Gen. Spaziante complessivamente 500 mila euro in due occasioni in Roma … Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013 ho versato dei denari all’On. Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana. Nel periodo 2001-2008 sono stati versati all’ing. Maria Giovanna Piva circa 150/200 mila euro all’anno. Per quanto posso ricordare ho versato, a sostegno delle diverse campagne elettorali, somme all’ avv. Ugo Bergamo, al sig. Giampietro Marchese, al prof. Giorgio Orsoni.

 

Gazzettino – Mose, caccia al tesoro in Moldavia

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14

ago

2014

TANGENTI Intanto anche Neri, collaboratore stretto di Mazzacurati, ha chiesto il patteggiamento

Mose, caccia al tesoro in Moldavia

La Procura sospetta che parte dei proventi delle mazzette sia nascosta in conti segreti all’estero

INCHIESTA – Si spostano all’estero le indagini sulle tangenti legate alla costruzione del Mose: i giudici sospettano che in Moldavia ci siano i conti

TRIBUNALE DI MILANO – Confermato il carcere per Milanese, l’ex segretario di Giulio Tremonti

Potrebbero essere nascosti in Moldavia parte dei soldi provento delle “mazzette” del sistema Mose. Ne sono convinti i magistrati della Procura di Venezia i quali hanno avviato le procedure per una rogatoria alla ricerca di conti correnti direttamente intestati a qualcuno degli indagati oppure affidati a qualche prestanome. La nuova “caccia” all’estero si aggiunge alle rogatorie già avviate da tempo in Canada, in Svizzera, in Croazia, nel Regno Unito e in alcuni Paesi del Medio Oriente, di cui sono attese a breve le prime risposte da parte delle locali autorità giudiziaria, alle quali i pm veneziani hanno chiesto di svolgere indagini finanziarie per loro conto.
Evidentemente la Procura ha raccolto nuovi elementi che portano direttamente nella Repubblica Moldova dove qualche politico potrebbe aver portato (o fatto portare) consistenti somme di denaro. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto ha già lavorato con successo in passato con le autorità moldave, riuscendo a catturare un giovane accusato del brutale omicidio a scopo di rapina di un fruttivendolo veneziano, avvenuto nel 2007, e ciò lo renderebbe fiducioso sul possibile esito delle ricerche. Top secret, per il momento, il nome (o i nomi) della persona sospettata di aver nascosto nell’Europa dell’Est i proventi illeciti.
Nel frattempo gli inquirenti registrano l’ennesima richiesta di patteggiamento, che porta ormai ad una ventina il numero degli indagati che hanno deciso di chiedere l’applicazione della pena. Non tutti hanno confessato, e qualcuno giustifica tale scelta con l’intenzione di chiudere al più presto il processo. Ma per la Procura, la “resa” di un numero così consistente di indagati viene interpretata come una conferma della solidità del quadro accusatorio. L’ultimo a concordare il patteggiamento è stato il settantatreenne romano Luciano Neri, ex stretto collaboratore di Giovanni Mazzacurati, accusato di essere stato il gestore dei fondi neri per conto dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova. Fondi neri con cui Mazzacurati ha confessato di aver corrotto e finanziato per anni la politica e pubblici funzionari incaricati di controllare la realizzazione del Mose. Da più di due mesi Neri si trova agli arresti domiciliari e finora, a differenza del suo ex datore di lavoro, si è trincerato dietro il più assoluto silenzio, rifiutandosi di raccontare ciò che sa ai magistrati che coordinano le indagini, i pm Ancilotto, Buccini e Tonini. Il suo difensore, l’avvocato Tommaso Bortoluzzi ha concordato una pena di 2 anni, e la Procura confida di riuscire a confiscargli un milione di euro quando la sentenza sarà passata in giudicato.
Una importante ulteriore conferma della solidità degli indizi raccolti dai pm veneziani è arrivata anche dal Tribunale del riesame di Milano che, nel confermare il carcere per Marco Mario Milanese, l’ex segretario dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, definisce credibili e riscontrate le confessioni di Mazzacurati, dell’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo, l’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan. E avvalora la qualificazione giuridica fatta dalla Procura, che per tutti ha contestato il reato di corruzione, al contrario di quanto ha fatto il Riesame di Venezia, secondo il quale gli imprenditori più piccoli potrebbero essere stati vittima di concussione da parte di Mazzacurati: «Pare assai difficile per il Tribunale leggere in termini estorsivi o concussivi il comportamento di Mazzacurati nei confronti dei consorziati», scrivono i giudici milanesi, spiegando che le piccole imprese che lavoravano per il Cvn accettarono di costituire fondi neri per il pagamento di “mazzette” sulla base di «una ponderata valutazione di convenienza».

Gianluca Amadori

 

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