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Nuova Venezia – Grandi navi, ecco le alternative

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20

feb

2014

TRE PROGETTI

Grandi navi due alternative a Contorta

I tre principali progetti presto all’esame del ministero per l’Ambiente. Le ipotesi Lido e Marghera

PAOLO COSTA – Il Canale Contorta Sant’Angelo è l’unica via alternativa per togliere il traffico dal canale della Giudecca e mantenere il lavoro

Cesare de Piccoli – Il nostro è un progetto reversibile, con vantaggi per tutti e più occupazione. Si può fare in meno di due anni e costa 130-170 milioni

Grandi navi, via alla seconda fase per realizzare le alternative al passaggio davanti a San Marco. La svolta impressa dal Senato, che ha chiesto di mettere sullo stesso piano i progetti, costringe a un cambio di prospettiva. Perché il secondo punto dell’ordine del giorno unitario approvato il 6 febbraio da palazzo Madama prevede tempi ristretti. Un mese per decidere le procedure, tre mesi per valutare – senza ricorso alla Legge obiettivo – i progetti presentati. Scelte strategiche da cui dipende il futuro della città, della laguna e delle sue attività economiche. Domani l’atteso dibattito convocato dalla Municipalità in sala San Leonardo a Cannaregio. Il sindaco Giorgio Orsoni e il senatore Felice Casson, primo firmatario della mozione, esporranno le loro soluzioni. Sono ore decisive per la formazione del nuovo governo, che dovrà applicare quanto stabilito dalla mozione votata praticamente all’unanimità.

La Valutazione strategica. Il primo passo toccherà al ministero dell’Ambiente. Che dovrà istruire una Valutazione ambientale strategica per esprimere un giudizio di fattibilità sui progetti depositati, il loro impatti economico e ambientale. A giudicarli dovranno essere i membri della commissione ministeriale, con l’integrazione di esperti di chiara fama e indipendenza.

Le alternative. Sono almeno tre le principali alternative che andranno esaminate: il progetto del canale Contorta-Sant’Angelo, l’ipotesi Marghera e il progetto bocca di Lido.

La novità rispetto a qualche mese fa è che anche le ipotesi di Marghera e Lido hanno raggiunto adesso un livello di avanzamento notevole, con approfondimenti e studi geologici e trasportistici. Eccoli nel dettaglio.

Marghera. È l’alternativa lanciata dal sindaco Giorgio Orsoni, che trova però l’opposizione del Porto e della società delle crociere Vtp. Alcuni studi di architettura stanno elaborando il progetto di massima che prevede la realizzazione della nuova Marittima in tre fasi. La prima, realizzabile subito, con due navi ormeggiate nelle attuali banchine del canale Brentella. La seconda (due anni di tempo) per realizzare altri due posti nave nel canale Industriale nord e il bacino di evoluzione per le navi alle Trezze. La terza (entro sei anni) per ricavare altri due posti per grandi navi sempre sul canale Brentella. In questo modo le navi superiori alle 40 mila tonnellate arriverebbero a Marghera dalla bocca di Malamocco. L’area di Marghera sarebbe valorizzata con progetti di sviluppo in project financing. L’attuale Marittima potrebbe trovare nuovo sviluppo essendo dedicata a yacht, navi di lusso medio piccole, congressi. Con nuovi edifici per 130 mila metri quadrati destinati prevalentemente a residenza. Aree e servizi portuali spostati a Marghera potrebbero liberare a San Basilio spazi preziosi per la città e le attività culturali e universitarie.

Lido. L’idea lanciata qualche anno fa dall’europarlamentare Cesare De Piccoli, già viceministro e vicesindaco della città, sta prendendo la forma di un vero progetto. In questo caso sarebbero realizzate strutture galleggianti per l’approdo di quattro grandi navi da crociera davanti all’isola artificiale del Mose, lato Punta Sabbioni. Tempo di realizzazione, meno di due anni, costo tra i 130 e i 170 milioni di euro. I vantaggi, secondo i proponenti, sarebbero molteplici. Navi fuori dalla laguna, risparmio di costi per la gestione, Marittima attuale disponibile per altri usi. E nuovi posti di lavoro, anche per i collegamenti con motonavi dalla Marittima e da Tessera, punto di imbarco a San Pietro di Castello. Ipotesi radicale che vede il favore dei comitati, del Movimento Cinquestelle e altri comitati di cittadini.

Contorta. Per mesi è stato l’unico progetto sul tappeto, sostenuto e sponsorizzato dall’Autorità portuale e dal Magistrato alle Acque. Quattro chilometri di canale, profondo dieci metri e largo 170 metri, per collegare il canale dei Petroli all’attuale Marittima. Grandi navi via da San Marco ma non dalla città, con l’attuale Marittima lasciata all’uso di oggi. «Unico modo per mantenere l’occupazione», ripete il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa. Ma secondo gli oppositori – compreso il Comune – si tratta di un progetto illegittimo, contrario alla Legge Speciale e al Palav.

Giudecca. Quotazioni in discesa per l’idea lanciata dal parlamentare si Scelta civica Enrico Zanetti, progetto finanziato da Vtp, la società delle crociere. Nuovo canale dietro la Giudecca, Marittima che resta com’è.

Altre. Numerose le altre ipotesi che però non sono ancora progetti, tra cui la Marittima davanti a Sant’Erasmo di Ferruccio Falconi, l’off shore a Malamocco con sublagunare di Gino Gersich, il porto a Santa Maria del Mare.

Entro 15 giorni l’iter sarà avviato.

Alberto Vitucci

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DOMANI ALLE 17,30 DIBATTITO CON IL SINDACO

«La città si esprima sul suo futuro»

Felice Casson (Pd) dopo la svolta del Senato: adesso trasparenza

«La città deve esprimersi, e sostenere un’ipotesi. Bisogna smetterla con le contrapposizioni e avviare un progetto strategico che possa difendere l’ambiente e anche l’occupazione».

Felice Casson, senatore veneziano del Pd autore della mozione sulle grandi navi, si prepara alla seconda fase. Cioè il percorso di valutazione delle alternative al passaggio delle navi nel canale della Giudecca.

Domani alle 17.30 in sala San Leonardo l’atteso dibattito il sindaco Giorgio Orsoni, il presidente della Municipalità Erminio Viero.

L’ultima volta, il 20 gennaio scorso, fu un successo. Oltre 300 persone, gente fuori perché la sala era strapiena. Comitati, parlamentari e addetti ai lavori, ma anche molti cittadini decisi a esprimere la loro opinione. Un asse che chiedeva «trasparenza» con il «no» a nuovi scavi in laguna. Pochi giorni dopo Casson e il grillino Giovanni Endrizzi avevano presentato le loro mozioni. Poi sintetizzate insieme a quella di Della Zuanna (Scelta civica) e Dalla Tor (Ncd) nell’ordine del giorno approvato all’unanimità.

Il giorno dopo, tutti soddisfatti. Il sindaco per lo «stop» imposto al governo e al Porto che avevano già annunciato il ricorso alle procedure speciali della Legge Obiettivo per realizzare alla svelta il canale Contorta Sant’Angelo. Il presidente del Porto Paolo Costa, convinto che in fondo i tempi ristretti richiesti siano più o meno quelli previsti nella Legge Obiettivo. Intanto, in attesa di decisioni strategiche, il porto passeggeri è chiuso. A causa dei lavori del Mose e della posa dei cassoni, il traffico delle navi in bocca di Lido è sospeso fino a maggio.

(a.v.)

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Nuova Venezia – Grandi navi, progetti sul tavolo

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18

feb

2014

Venerdì assemblea pubblica a San Leonardo: faccia a faccia Orsoni-Casson

Si torna a San Leonardo. Un mese dopo l’affollata assemblea pubblica sulle alternative alle grandi navi in laguna. Due settimane dopo l’ordine del giorno del Senato che ha chiesto unanime al governo di mettere sullo stesso piano le proposte, senza forzare sulla soluzione del nuovo canale voluta dal Porto. Il governo Letta non c’è più. Ma è possibile che i ministri interessati restino al loro posto. In ogni caso, dovrà essere avviata la procedura per sottoporre a Valutazione di impatto ambientale tutti i progetti sul tappeto.

Se ne discuterà nuovamente in sala San Leonardo, venerdì pomeriggio, in un faccia a faccia tra il sindaco Giorgio Orsoni e il senatore del Pd Felice Casson, primo firmatario della mozione sulle alternative poi trasformata in ordine del giorno. Organizza la Municipalità, con il presidente Erminio Viero e il delegato all’ambiente Roberto Vianello. Sono stati invitati comitati, cittadini e associazioni. Potrebbe essere un passaggio decisivo per il futuro della portualità in laguna.

«Chiediamo garanzie ambientali, tutela dell’ambiente, del lavoro e dell’occupazione», dice Viero. L’Autorità portuale ha già protocollato la sua proposta. Il nuovo canale Contorta Sant’Angelo che dovrebbe collegare il canale dei Petroli con l’attuale Marittima. Dieci metri di profondità, 170 metri di larghezza, quatto chilometri di «autostrada» nel mezzo della laguna.

Sul tavolo anche l’ipotesi di navi in bocca di Lido, davanti all’isola artificiale del Mose. Progetto preliminare per cui l’ideatore Cesare De Piccoli, ex viceministro e deputato europeo, per anni vicesindaco, ha già affidato a un pool di ingegneri e geologi.

Più indietro sembra l’ipotesi di Marghera, elaborata da alcuni studi di architettura, non foss’altro perché le bonifiche dell’area richiederebbero tempi non immediati. Ognuno ovviamente spinge per la propria soluzione.

Solo il canale secondo il Porto è in grado di garantire la conservazione della Marittima e delle attività portuali.

Solo il Lido invece, ipotesi sostenuta anche dal Movimento Cinquestelle e dai comitati, può salvare la portualità.

Confronto aperto. Se ne discute venerdì.

(a.v.)

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Firmato ieri a Roma un contratto tra la Bei e il Consorzio Venezia Nuova

In tre anni prestati 1193 milioni. L’ex sede di Palazzo Morosini sul mercato

Finanziamenti per il Mose. La Bei, Banca europea degli investimenti, ha firmato ieri a Roma il contratto di prestito di altri 200 milioni di euro al Consorzio Venezia Nuova per il proseguimento dei lavori delle dighe mobili alle bocche di porto. Duecento milioni che vanno ad aggiungersi ai 993 milioni già erogati – sempre sotto forma di prestito – dalla Banca europea, di cui 480 già versati nel 2011 e 513 (in due tranche) nel 2013.

«Si tratta di un prestito e non di un ulteriore finanziamento», precisano al Consorzio, «che sarà rimborsato nei tempi stabiliti».

Rimborso a carico dello Stato, che attraverso il Cipe finanzia annualmente ormai, dal 2002, le varie tranche per la realizzazione dell’opera. Il contratto di finanziamento con la Bei, con prestiti rimborsabili a tasso ridotto, era stato firmato nel 2008 dal governo italiano con la Bei per un ammontare massimo di un miliardo e mezzo di euro.

Il Mose intanto va avanti, e i lavori dovrebbero concludersi entro il 2016, con qualche anno di ritardi sulla tabella prevista. E un aumento notevole dei costi. Un miliardo e mezzo (3200 milioni di lire) il costo preventivato per il progetto di massima. Poi aumentato via via fino a raggiungere i 4 miliardi 700 milioni di euro (contratto a prezzo chiuso), di nuovo aggiornati per l’aumento dei prezzi dei materiali e le opere di compensazione richieste dall’Unione europea a 5 miliardi e mezzo.

«I lavori del Mose sono in fase avanzata, sono stati conclusi all’80 per cento», dice il Consorzio in una nota, «si tratta di una grande opera ad altissima tecnologia espressione del know how di eccellenza e capacità tecnico ingegneristica made in Italy. Venezia e l’Italia, con il Mose, sono diventati un modello di riferimento».

Lavori che proseguono, come prosegue l’allestimento dell’Arsenale, che dovrà diventare il centro di manutenzione delle paratoie, con la sala operativa già pronta. Alle Teze dell’Arsenale si sono trasferiti da qualche mese anche gli uffici amministrativi del Consorzio, prima ospitati nello storico palazzo Morosini di campo Santo Stefano. Opera seicentesca di Baldassarre Longhena, di proprietà delle Asicurazioni generali. Locali prestigiosi in pieno centro storico, lasciati liberi per occupare le Teze dell’Arsenale restaurate dal Magistrato alle Acque. E oggetto di contenzioso da parte dei comitati per l’apertura dell’Arsenale alla città. Palazzo Morosini è intanto disabitato. A quanto pare diventerà anch’esso residenza turistica.

Alberto Vitucci

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GRANDI NAVI – Oggi il voto di una mozione unitaria promossa da Pd e M5S

Una mozione unica che impegni il Governo alla comparazione di tutti i progetti esistenti, ponendo al centro di questa comparazione temi ambientali, economici, a cominciare dalla salvaguardia dell’ambiente lagunare, della salute dei veneziani e dei posti di lavoro della crocieristica e del suo indotto.

Al testo, prodotto da un’azione congiunta di Pd e Cinquestelle (Casson ed Endrizzi come principali fautori) e condiviso da quasi tutte le forze politiche, si è arrivati dopo un pomeriggio di dibattito sulle mozioni presentate da Pd, M5S, Forza Italia, Nuovo centrodestra, Scelta Civica. Oggi sarà discusso in aula questo documento, che dovrebbe mettere la parola fine alla prelazione per lo scavo del Contorta e all’inserimento dell’opera in Legge obiettivo.

«Le grandi navi non devono entrare in laguna – ha detto il grillino Endrizzi – la soluzione individuata dall’Autorità portuale porterebbe ad uno stravolgimento della laguna: una gigantesca rotatoria per portare le navi a Venezia attraverso Marghera e forse il raddoppio del canale dei Petroli. Le soluzioni sostenibili – ha continuato – quelle condivise con i veneziani, tutelano l’occupazione e la sviluppano. Chi vuole tenere il porto in Marittima è nemico dell’occupazione».

« Ogni soluzione – ha detto poi Casson, Pd, il quale ha anche presentato il testo che dovrebbe unificare le posizioni – deve essere valutata con la massima trasparenza per evitare come è accaduto con il Mose che si arrivi a profili di ordine criminale. Ci sono almeno 5 progetti presentati e chiediamo per la scientificità e per la trasparenza che si faccia la comparazione. Non si chiede di privilegiare un’opera, ma una comparazione che tenga conto di tutti gli aspetti compresi quelli imprenditoriali e occupazionali».

Mario Dalla Tor (Ncd) ha auspicato un documento condiviso dopo aver presentato la sua mozione. I senatori di Fi, Piccoli e Bonfrisco, hanno invitato ad avere un “sano realismo”, perché sono in ballo oltre al patrimonio di Venezia e della laguna, anche migliaia di posti di lavoro e la possibilità, con l’uscita eventuale di Venezia dalla crocieristica, di danni anche per la portualità del resto d’Italia a vantaggio di altri Paesi.

Michele Fullin

 

 

Grandi navi, documento dei circoli veneziani del Pd: valutare le alternative

VENEZIA – Le attività del Porto vanno sostenute, anche per tutelare l’occupazione. Ma il Porto deve adeguarsi alla città e alla sua laguna, la cui salvaguardia è di «preminente interesse nazionale», finanziata negli ultimi decenni con 10 miliardi di euro». È il rapporto conclusivo del Gruppo di lavoro sulla Portualità, messo in piedi dai circoli del Pd di Venezia. Che l’altra sera, alla sezione Di Vittorio di Cannaregio, lo hanno approvato dopo una lunga assemblea. Un passo importante in vista del dibattito al Senato, previsto per dopodomani. Il documento del Pd chiede di valutare tutti i progetti sul tappeto, sottoponendoli a Valutazione di impatto ambientale e di adeguare il Piano regolatore portuale, fermo al 1965. L’invito rivolto al ministero delle Infrastruuture è quello di dare il via al Piano morfologico della laguna, approvato nel 2001 e mai attuato. E di «sospendere nel frattempo ogni iniziativa per nuovi canali in laguna, nel rispetto della Legge Speciale».

In prospettiva, conclude il documento, le grandi navi dovranno essere posizionate davanti al Mose, fuori della laguna, o a Marghera.

«Sono molto soddisfatto», dice Felice Casson, primo firmatario della proposta di mozione che andrà in discussione a palazzo Madama, «abbiamo ribadito che occorre valutare i progetti sul tappeto ma anche tutelare i posti di lavoro. Con le alternative i posti di lavoro non diminuiranno, anzi».

Industriali, sindacati e alcuni rappresentanti delle categorie la pensano in maniera diversa. «Subito il canale Contorta con la Legge Obiettivo», ha sintetizzato il presidente degli Industriali Matteo Zoppas, «altrimenti niente blocco al passaggio delle navi. la politica non può decidere da sola, sono a rischio 4 mila posti di lavoro».

Dibattito che si infiamma. Il comitato «No Grandi Navi» ha prodotto uno studio, firmato dal docente di Ca’ Foscari, l’economista Giuseppe Tattara, in cui si ribadisce che con le alternative e il recupero della Marittima per yacht e navi medio piccole, si creerà maggiore occupazione.

Della stessa opinione il sindaco Giorgio Orsoni. «Non si possono usare questi argomenti in modo strumentale», dice, «e non è vero che l’unica alternativa è quella di scavare un nuovo canale in laguna. Volendo le banchine a Marghera si possono attrezzare in tre mesi».

Autorità Portuale e Venezia terminal passeggeri però insistono: «La Marittima non si tocca». Dunque, per togliere le navi da San Marco bisogna scavare il nuovo canale».

Alberto Vitucci

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L’INTERVENTO – Grandi navi un convitato di pietra

di Giuseppe Tattara  – Università di Ca’ Foscari membro del comitato “ No grandi navi”

Al fondo del problema delle grandi navi a Venezia c’è un convitato di pietra, l’innalzamento previsto del livello del medio mare in Adriatico. È una presenza scomoda, incombente ma invisibile, muta, e perciò inquietante e imprevedibile, che tutti conoscono ma che nessuno nomina. Eppure le previsioni parlano chiaro: il livello medio dell’Adriatico è destinato ad accrescersi di 60 cm per fine secolo, di circa la metà al 2050.

Le barriere mobili del Mose possono evitare le acque alte per i prossimi decenni, ma le barriere si dovranno aprire e chiudere sempre più di frequente, quasi quotidianamente, e alla fine non saranno nemmeno sufficienti a proteggere la città dalle inondazioni.

Le chiusure frequenti delle barriere del Mose impediranno alle grandi navi di entrare, generando difficoltà e ritardi che la industria crocieristica, con i suoi rigidi calendari, non può sopportare.

In questa situazione l’unica soluzione vera alla portualità delle grandi navi deve essere ricercata al di fuori della laguna, in mare. L’Autorità portuale e Venice terminal passeggeri rimuovono queste scomode previsioni, che tuttavia sono scientificamente provate, e propongono con il canale Contorta Sant’Angelo una soluzione strutturale irreversibile che è inevitabilmente di breve periodo, che dovrà essere abbandonata tra qualche decennio se va bene, e ci lascerà di fronte a una laguna devastata, con un grande canale che trascinerà in mare i sedimenti che costituiscono il “collante” delle case e delle fondamenta della nostra città; un risultato che stiamo già sperimentando con il canale Malamocco Marghera e che non vogliamo si ripeta.

Ci aspetteremmo che un decisore pubblico avvertito sappia anticipare i tempi, sappia prevedere gli effetti del gigantismo navale per l’equilibrio morfologico della laguna, per la sicurezza della città, per la salute degli abitanti e non agiti il ricatto occupazionale di fronte a una situazione di estrema gravità ambientale derivante dalla sua incapacità di pianificare con lungimiranza la propria attività. Ci si dice che hanno investito e investono centinaia di milioni in marittima. Ma che senso ha investire centinaia di milioni senza una prospettiva di lungo termine? Adesso ne capiamo il significato: il ricatto alla città, volto a portare a casa ancora per qualche decennio le “uova d’oro” continuando in questa folle attività di scavi e canali, senza preoccuparsi che così facendo si ammazza la gallina che quelle uova per tanti anni ha deposto e può continuare a deporre.

L’Autorità portuale capisca finalmente che la laguna e la città pongono al suo agire dei vincoli fisici ben precisi e che l’unica prospettiva non è cercare di rimuoverli con soluzioni di breve periodo, come il canale Contorta, ma prendere atto che la laguna va salvaguardata perché solo così si salvaguarda la città e si costituisca invece come polo logistico, ad alta intelligenza, capace di coordinare una serie di scali diversi, che, a seconda del tipo di traffico e delle condizioni dei luoghi, potranno essere posti in laguna o in mare, e che possono garantire assieme occupazione e ricchezza nel lungo periodo.

 

Nuova Venezia – “Venezia diventera’ come Disneyland?”

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1

feb

2014

 

IL FUTURO DELLA CITTA’

Stasera speciale del Tg2 sui problemi, dai restauri alla residenza, fino ai nuovi musei

Venezia diventerà Disneyland? Le grandi navi da crociera, sempre più grandi. Ma anche l’assalto dei turisti, che hanno sfiorato nel 2013 quota 30 milioni. I vaporetti in tilt, le botteghe di vicinato che chiudono, gli artigiani che non ce la fanno più a pagare gli affitti. E la trasformazione delle residenze in appartamenti turistici e Bed and breakfast.

«Quale futuro per Venezia» è il titolo dello speciale di Tg2 dossier che va in onda stasera alle 23.40 su Raidue, curato da Claudia D’Angelo. Quaranta minuti di interviste con personaggi della cultura veneziana, servizi e immagini sulla Venezia «fuori stagione», un attimo di pausa prima della ripresa dell’invasione turistica che arriverà con il Carnevale. Un viaggio nella città dei veneziani e tra i loro problemi. Come quello dei restauri. Interventi obbligati e frequenti in un città che sta sull’acqua, che a Venezia sono più costosi che altrove. Fino a qualche anno fa c’erano i contributi della Legge Speciale. Destinati al restauro delle abitazioni e delle parti comuni. Adesso i fondi non arrivano più, dirottati in larga parte al completamento del Mose, la barriera di dighe mobili contro l’acqua alta. Dal 2002, anno di entrata in vigore della legge Obiettivo, i fondi per il Comune sono andati via via esaurendosi. Ecco allora il taglio dei restauri, il rallentamento della grande opera di scavo dei rii e restauro delle fondamenta. ma anche delle ristrutturazioni dei singoli edifici. Temi di cui si occuperà l’inchiesta del Tg2. Insieme al capitolo delle Grandi Navi, in questi giorni tornato d’attualità per la serie dei ricorsi al Tar, il dibattito sul nuovo canale Contorta, il moto ondoso. Ma anche qualche esempio di Venezia recuperata, di restauri eccellenti come quello di Punta della Dogana, firmato da tadao Ando, e quello delle Gallerie dell’Accademia

(a.v.)

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Nuova Venezia – Grandi navi, dibattito in Senato

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31

gen

2014

La prossima settimana in aula le mozioni di Endrizzi (Cinquestelle) e Casson (Pd)

Grandi navi al Senato. Si discuteranno la settimana prossima nell’aula di palazzo Madama le due mozioni sulle alternative alla croceristica in laguna, presentate dal senatore Felice Casson – insieme ad altri 20 parlamentari del Pd, Sel e Psi) e da Giovanni Endrizzi, del Movimento Cinquestelle.

Per la prima volta del problema navi si parlerà in aula. «Momento importante», dice Casson, «perché si dovrà discutere del problema. E poi si tratta di una mozione e non di una interrogazione. Se sarà approvata, come mi auguro, il governo sarà impegnato ad attuarla».

Comune il contenuto dei due documenti. Che impegnano il governo a «prendere in considerazione tutte le proposte progettuali che prevedano soluzioni extralagunari». E poi a formulare «adeguate valutazioni ambientali di garanzia (Vas, Via, Aia), escludendo il ricorso alle procedure speciali previste dalla Legge Obiettivo, con la comparazione dei diversi studi».

L’esatto contrario di quanto proposto dall’Autorità portuale, che insiste per realizzare il nuovo canale Contorta-Sant’Angelo in laguna sud, lasciando la Marittima dov’è. E della Venezia Terminal passeggeri, che ha proposto l’alternativa di un nuovo canale dietro la Giudecca, lasciando sempre le navi in Marittima.

Non basta secondo i due senatori, che chiedono invece al governo «soluzioni conformi alla compatibilità con l’equilibrio lagunare e all’impatto ambientale»; la «rapidità di esecuzione» e anche la «flessibilità, reversibilità e gradualità» degli interventi, come previsto dalla Legge Speciale.

Infine, le risorse a disposizione e la sicurezza del lavoro per gli operatori. Che a differenza del Porto, Endrizzi e Casson vedono tutelata anche con soluzioni diverse ed extralagunari. Confronto avvenuto in pubblico il 20 gennaio scorso, nel dibattito organizzato dalla Municipalità in sala San Leonardo. Pubblico straripante, con l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos che aveva ribadito la «pericolosità» di scavare nuovi canali per l’equilibrio lagunare.

Una battaglia che non si placa, in vista della ripresa della stagione croceristica prevista per la primavera prossima. Oggi il transito delle grandi navi è vietato per sei mesi per i lavori del Mose.

Poi entrerà in vigore l’ordinanza della Capitaneria – che Vtp intende impugnare al Tar – con il limite per navi al di sopra delle 96 mila tonnellate. Troppo per il Porto, troppo poco per i comitati. «La croceristica», dicono, «si salva solo mettendo le grandi navi fuori dalla laguna».

Alberto Vitucci

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L’INTERVENTO 

di Gianni Fabbri – Docente Iuav

Il nuovo maxi canale sarà realizzato in continuità con il canale dei Petroli che, non dimentichiamolo, è stato la principale causa della distruzione della laguna sud.

Quando, nel luglio del 2013, dopo più di un anno, venne finalmente promossa una riunione interministeriale per dare seguito al decreto Clini-Passera per l’estromissione delle grandi navi dal cuore di Venezia, alcuni ingenui pensarono che lo studio delle diverse possibili soluzioni dovesse essere frutto di una Valutazione ambientale strategica (VAS). Lo suggerivano l’estrema delicatezza del contesto storico-ambientale della laguna e di Venezia, e la complessità della questione portuale. Come noto, infatti, “la VAS rappresenta lo strumento di integrazione tra le esigenze di promozione dello sviluppo sostenibile e di garanzia di un elevato livello di protezione dell’ambiente. L’obiettivo principale è valutare gli effetti ambientali dei piani o dei programmi, prima della loro approvazione, durante e al termine del loro periodo di validità, promuovendo inoltre la partecipazione pubblica nei processi di pianificazione-programmazione”. Ma nel comunicato dell’incontro interministeriale di luglio (stranamente?) non si faceva cenno ad alcuna procedura consolidata e, in attesa del nuovo incontro interministeriale autunnale, numerose ed eterogenee furono le proposte inviate all’Autorità marittima: alcune nella forma semplice di una relazione scritta, altre con qualche approfondimento tecnico, altre ancora come studio di prefattibilità; una infine – quella dell’Autorità Portuale e del Magistrato alle Acque – nella forma di uno “studio di massima”. Alcune di queste proposte riguardavano soluzioni interne alla laguna, con lo scavo di nuovi canali portuali o l’ampliamento di quelli esistenti; altre una soluzione extra-laguna, al di là delle nuove difese a mare del Mose. A novembre vi fu la nuova riunione interministeriale. Venne allora deciso che, accanto ad alcune restrizioni del traffico navale nel Bacino di San Marco, la soluzione finale doveva essere quella individuata dallo studio dell’Autorità portuale. Con quali criteri, in base a quali valutazioni comparative, con riferimento a quali valori di sviluppo sostenibile, a quali garanzie di protezione ambientale? Ah, saperlo! La questione non è procedurale. Il fatto è che, attraverso un’opaca procedura, si sia scelto, con buona pace del ministro Orlando, di realizzare un nuovo maxi canale di 4,5 km, largo 150-200 metri, profondo 10-12 metri; in continuità con il canale dei Petroli che è stato, negli ultimi decenni, la causa principale della distruzione della laguna sud, ridotta ormai a un braccio di mare!

Ma questo non è tutto: per realizzare il nuovo canale Contorta Sant’Angelo sarà necessario ampliare il canale dei Petroli. Avremo dunque un enorme canale portuale di più di 12 km che collegherà direttamente il mare con il cuore della città. Con ciò che ne conseguirà come violenza e velocità delle maree. Ancora. La distruzione delle barene e delle velme, cioè dei caratteri geo-morfologici della laguna, già attuata dal canale dei Petroli, si estenderà fino all’interno della città. A menoché non si proceda all’arginatura di questo canale tagliando in due la laguna. E questa è ormai l’opzione mascherata presente nel progetto già predisposto dall’Autorità portuale e dal Magistrato alle Acque, sia per l’arginatura del canale dei Petroli che per le cosiddette opere di mitigazione ambientale del nuovo canale Contorta Sant’Angelo. In barba alla vigente legislazione speciale per Venezia e con tutte le intenzioni di inserire il progetto nella Legge obiettivo in modo da sottoporlo a un’annacquata Valutazione d’impatto ambientale (VIA). Le opache procedure servono a coprire le cattive politiche e a navigare ai margini della legalità. Contro queste dissennatezze e complicità, è allora assai rilevante che per la prima volta vi sia stata una presa di posizione ufficiale del Pd, con una mozione molto dura presentata in Senato a ridosso di Natale da un nutrito numero di parlamentari. Così sia finalmente! Ora attendiamo che questa novità trovi espressione nell’Amministrazione Comunale e nelle forze politiche che la governano.

 

L’OPINIONE

Crocierismo come si può salvare l’occupazione

di Giuseppe Tattara – Docente Iuav

L’occupazione legata al crocierismo costituisce una valore importante per la nostra città, un valore che va salvaguardato con il massimo impegno. Ma come si salva l’occupazione? L’attuale stazione marittima è situata all’interno della laguna e, stante il divieto di passare per il bacino di San Marco, le navi da crociera vi approderebbero, secondo il progetto della Autorità portuale, entrando dalla bocca di Malamocco, facendo un tratto del canale di Petroli e poi attraverso il nuovo canale Contorta. Lo scavo del nuovo canale Contorta altera gravemente l’equilibrio morfologico della laguna, e per questo va combattuto senza esitazioni. Ma anche se fossimo disposti ad astrarre da questa considerazione, la soluzione prospettata dalla Autorità portuale per il porto crocieristico va rifiutata per diverse ragioni.

Il progressivo innalzamento del livello del mare richiederà una frequente chiusura delle paratie del Mose con il blocco degli ingressi delle grandi navi, che non passano nella conca (opera che consente il passaggio delle navi quando le paratie sono chiuse); l’opera di manutenzione delle paratie, concentrata nei mesi estivi, richiederà arresti della navigazione; sarà necessario addivenire a una turnazione degli ingressi a causa della necessità di condividere circa 10 km del canale dei petroli con le navi commerciali.

Ci sono rischi e disagi poi nel far ruotare le navi di 180 gradi, uscite dalla marittima, in un punto del canale della Giudecca oggi molto trafficato dalle linee urbane, mentre permane immutato l’inquinamento dell’aria per il centro storico.

La soluzione dell’Autorità portuale salvaguarda le rendite legate agli investimenti pregressi in marittima, senza prospettive per il futuro. Non si garantisce così l’occupazione! Per salvare l’occupazione dobbiamo guardare alla soluzione strutturalmente migliore per il porto passeggeri e la convinzione di molti partecipanti al Comitato è quella di uno sdoppiamento del porto, con una stazione marittima storica, destinata alle navi di minori dimensioni, compatibili, che utilizzi gran parte delle strutture esistenti, e una stazione marittima nuova al di fuori della laguna, destinata alle navi maggiori. Vari progetti sono allo studio, i tempi di realizzazione sono relativamente brevi, la spesa è contenuta rispetto alla soluzione del Contorta. La soluzione “dei due porti” ha molti vantaggi. La domanda da parte delle compagnie di crociera è infatti sufficientemente rigida per consentire alla città una iniziativa di questo tipo. In questi mesi siamo stati rassicurati da diversi manager delle compagnie crocieristiche che, in ottemperanza ai divieti sanciti dall’accordo raggiunto lo scorso 5 novembre a Roma, si dicono pronti a usare navi inferiori alle 96 mila tonnellate di stazza pur di non “perdere Venezia” che per le loro rotte è meta “irrinunciabile” e allo stesso tempo dalle dichiarazioni del presidente dell’Autorità portuale che ci dice che lo scavo del canale Contorta potrebbe essere finanziato dalle compagnie di crociera; usando questo accesso le compagnie sarebbero poi gravate di oneri per i piloti e i rimorchiatori molto superiori a quelli attuali. Fino a pochi mesi fa il presidente della Vtp, Trevisanato, alzava urla al cielo perché ogni limite posto alla navigazione avrebbe indotto le compagnie ad abbandonare Venezia per altri scali e perché i costi per l’attracco in città erano già così alti che un aggravio, per quanto piccolo, dirottato le compagnie verso altri porti. Non è così. È bastato aspettare pochi mesi e le bugie sono venute a galla: le compagnie sono disposte a sobbarcarsi una situazione transitoria di relativi costi e disagi, se le prospettive future sono tali da garantire la continuazione delle rotte per Venezia. È la città, con la sua unicità, che è il centro irrinunciabile di ogni crociera che percorra l’Adriatico. Su questa considerazione è necessario oggi progettare una nuova marittima fuori dalla laguna, moderna, che guardi al futuro, che sia collegata alla città e all’aeroporto. Questo è l’unico modo serio per tutelare l’occupazione legata al porto crocieristico, anzi l’unico modo per aumentare stabilmente l’occupazione, e per un lungo periodo di tempo.

 

Gazzettino – La Banca europea indaga sul Mose

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2014

MOSE – La banca europea indaga sull’utilizzo dei fondi comunitari

I servizi interni della Banca europea degli investimenti hanno contattato le autorità giudiziarie e di polizia italiane per ottenere maggiori informazioni sulle indagini della magistratura a proposito dei lavori di alcune ditte del Consorzio Venezia Nuova e dei numerosi arresti effettuati dalla Guardia di Finanza nei primi mesi dell’anno scorso.

In particolare la Bei vuole capire se ci siano stati legami anche con i lavori effettuati nell’ambito del progetto finanziato in parte proprio dalla banca europea per la realizzazione delle paratoie contro le inondazioni.

Così il commissario europeo all’Ambiente Janez Potocnik ha risposto all’interrogazione del parlamentare europeo Andrea Zanoni, membro della commissione Envi Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare al Parlamento europeo, che già si era mosso più volte sull’argomento. Zanoni, infatti, aveva chiesto l’intervento di Bruxelles anche paventando il “possibile futuro mancato funzionamento dell’opera”, e aveva proposto delle modifiche in corso. Ma su questo l’Unione europea ha risposto che “spetta alle autorità nazionali decidere in merito a eventuali modifiche del progetto”.

Zanoni va giù duro: «Non possiamo permettere, ancor più in tempo di crisi, che quasi un miliardo di euro di fondi europei finisca in attività illecite e in un progetto sul quale fioccano i dubbi di funzionalità e rispetto dell’ambiente».

La Commissione europea, nel settembre scorso, aveva già avviato un’inchiesta su istanza proprio di Zanoni sulla possibile violazione degli indirizzi comunitari sul monitoraggio indipendente della realizzazione del progetto Mose. Secondo Zanoni infatti, il progetto è stato “scippato” all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale Ispra, che è un ente ministeriale, a vantaggio della Regione.

R.V.

 

La considerazione: «Ogni cittadino dà in solidarietà al resto del Paese 3.700 euro all’anno»

Le polemiche che sono seguite all’aumento dei pedaggi autostradali scattato in questi primi giorni dell’anno, mi danno lo spunto per fare una riflessione sul rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie locali. In Italia ci sono una decina di Regioni dove si pagano più tasse rispetto alla media nazionale. In linea generale, ciò è dovuto a due ordini di motivi: il primo è legato al fatto che in queste realtà territoriali il livello di reddito è superiore alla media nazionale; il secondo è riconducibile alla fedeltà fiscale che in alcuni territori è maggiore che in altri. Per contro, queste realtà ricevono pochi contributi da parte dello Stato, confermando, tra i cittadini e gli imprenditori, la sensazione che nella parte più sviluppata del Paese si paghi molto e si riceva poco.

Il Veneto è un caso molto emblematico: il suo residuo fiscale pro capite (dato dalla differenza tra quanto si versa a Roma di tasse e contributi e quanto si riceve in termini di servizi e trasferimenti) è pari a poco più di 3.700 euro. Ciò vuol dire che ogni cittadino veneto dà in solidarietà al resto del Paese 3.700 euro all’anno. Consapevoli che le opere pubbliche si dovrebbero realizzare con le tasse che i contribuenti pagano regolarmente, in virtù della cronica mancanza di risorse pubbliche, le grandi infrastrutture del nostro Paese, ed in particolar modo nel Veneto, vengono sempre più realizzate con il meccanismo del «Project financing». In altre parole, per costruire una grande opera (sia essa un’autostrada o un ospedale) si chiede il coinvolgimento di soggetti privati, ponendo così rimedio alla mancanza di risorse pubbliche. E’ chiaro che questi privati partecipano all’iniziativa solo se hanno un ritorno economico: spesso questo beneficio si traduce in nuove tariffe o con aumenti di pedaggio per quanto riguarda i nuovi tratti autostradali, che poi, però, ricadono sulle tasche dei contribuenti e delle imprese che operano in quell’area.

Alla luce di tutto questo, proviamo ad indovinare in quale parte del Paese viene maggiormente utilizzato il «Project financing »? Guarda caso proprio al Nord, con il risultato che i contribuenti del settentrione si pagano queste infrastrutture due volte. Dapprima con le tasse, che in misura maggiore di altre parti del Paese versano allo Stato, poi attraverso il pagamento di ticket e di tariffe, per coprire gli investimenti privati. L’obiezione che qualcuno potrebbe sollevare è abbastanza scontata: senza il loro apporto, quasi sicuramente queste opere, necessarie per modernizzare il Paese, non si potrebbero realizzare. Questo è assolutamente vero, tuttavia, voglio sollevare una questione di principio: perché i veneti, e in generale i cittadini del Nord, devono pagare le grandi opere due volte , quando «subiscono» un livello di pressione tributaria che non ha pressoché eguali nel resto d’Europa, mentre in altre parti del Paese continua a pagare «Pantalone»? Mi riferisco alla famigerata Salerno- Reggio Calabria. Secondo l’ex ministro Corrado Passera, la superstrada senza pedaggio doveva terminare entro la fine del 2013. Invece, a distanza di oltre 50 anni dall’avvio dei lavori, ci sono ancora 13 chilometri di cantieri aperti e 58 chilometri non finanziati. E mentre in questi giorni i nostri ticket autostradali hanno subito i rincari più elevati d’Italia, con la legge di Stabilità approvata prima di Natale, il Parlamento ha deciso di rifinanziare la «grande incompiuta» con altri 340 milioni di euro. E’ proprio il caso di dire: oltre il danno anche la beffa.

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Non sono autostrade per pendolari

C’ è un punto in cui il rapporto tra costi e benefici non lascia scelte. E i pendolari che usano l’autostrada, anche se confortati da uno stipendio di tutto rispetto, l’hanno già superato. La scelta obbligata è la statale. O la provinciale. O le stradine, quelle che neanche il navigatore.

Colpa dei rincari e dei tempi. Nel senso di congiunture. Il macro clima influisce sempre di più sulla meteorologia del risparmio e la curva dei conti personali è cambiata. Il “massì, lasciamo questi tre-quattro euro al casello che torniamo prima dalla famiglia” è diventato un lusso. Perché gli euro ora sono cinque, otto o dieci. Al giorno. E la famiglia ha bisogno anche di quelli per vivere bene, alle volte solo per sopravvivere.

Per qualcuno “la scelta” tra fare e non fare l’autostrada vale uno stipendio. Caso specifico, uno fra tanti: ci aiutano il cruscotto e l’econometro di un duemila diesel. Da Treviso centro (abitazione) a Padova Fiera (posto di lavoro) sono 52 chilometri in autostrada e 46 lungo la Noalese. L’autostrada da Padova Est a Treviso Sud, più lunga e comunque più veloce, costa 9 euro e 60 andata e ritorno che per 220 giorni lavorativi l’anno fa 2.112 euro. E c’è un altro fattore che incide sulla differenza, scoperto provando le due tratte: l’econometro. Tra l’autostrada, percorsa a 120 all’ora, e la Statale, percorsa a 70, l’automobile fa 5 chilometri in più al litro che con calcolo approssimativo, fidatevi, fanno circa 2 euro e mezzo di benzina al giorno. Altri 500 euro l’anno di differenza.

Ai già ragguardevoli costi andrebbero aggiunti, questa volta in ambedue i casi, la benzina (3.600 euro l’anno) e l’usura dell’auto (0,21 centesimi al chilometro), calcolo che il Corriere del Veneto ha fatto solo qualche giorno fa su diverse tratte. Non è questo il nodo, va ricordato a completezza del quadro ma qui stiamo ragionando solo sull’aumento dei pedaggi. Capitolo tempi. In autostrada sono 41-44 minuti da garage a garage, abbastanza stabile. Lungo la Statale da 52 minuti a 1 ora e 8 minuti a seconda del traffico e dell’ora, naturalmente al netto di incidenti o giornate limite. Diciamo da 10 a 25 minuti in più a tratta. E chi sta alzando la manina nell’ultimo banco per parlare di mezzi pubblici la abbassi pure: ci sono impieghi e orari e percorsi e distanze che rendono l’automobile indispensabile.

Il punto è proprio questo: è veramente una scelta? No, non lo è. Non è nemmeno un dramma, che come ci scriveva qualche giorno fa un volontario in India la fine del mondo è un’altra cosa. Ci si può tranquillamente accontentare delle strade ordinarie (e così da Padova a Mestre, da Mestre a Treviso o da Verona a Vicenza). Resta da capire se i comuni di Quinto, Scorzè, Santa Maria di Sala e tutti quelli tagliati dalla Noalese (che potrebbe essere il Terraglio, la Riviera del Brenta, la Regionale 11 o un’altra statale) saranno contenti di farsi attraversare da migliaia e migliaia di veicoli in più. Magari anche i Tir come hanno minacciato gli autotrasportatori. E viene da chiedersi se è veramente questa la soluzione per la mobilità in Veneto, evitare (e non boicottare) un servizio nato (al prezzo di grandi investimenti) per decongestionare il traffico, migliorare la sicurezza, sostenere il lavoro e l’economia.

A queste tariffe non ci sono alternative e se fossimo i concessionari delle nuove arterie a pagamento in costruzione con il project financing – dalla Pedemontana alla Romea commerciale, dalla superstrada per Jesolo alla Nogara mare – saremmo un tantino preoccupati per il piano di rientro.

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«Il Passante il mio capolavoro. Farei in project anche i treni»

Galan e il caso dell’autostrada «pagata due volte». L’ex governatore: meglio il pedaggio che le tasse allo Stato.

VENEZIA— Giancarlo Galan, ce l’hanno tutti con lei. Dicono che il Passante si sta rivelando una fregatura, che per ripagarlo i veneti sono costretti a buttare il sangue al casello. Lei l’ha voluto, ideato, costruito. Col senno di poi, è stato un errore?

«Sta scherzando, vero?».

No. Dal governatore Luca Zaia al presidente di Cav Tiziano Bembo tutti dicono di avere le mani legate, che il piano finanziario approvato al momento della realizzazione del Passante non lascia scappatoie davanti agli aumenti matti e disperatissimi necessari a ripagare Anas dell’investimento.

«Se qualcuno pensa di governare il Veneto dando la colpa dei rincari dei pedaggi a Galan, forse è meglio che vada a coltivare gli asparagi. Il Passante l’ho voluto io e lo rivendico. Zaia non lo voleva ed è una verità. Ma se fosse stato per lui e per la Lega staremmo ancora aspettando il tunnel scavato nel fango grazie a una fantomatica macchina di una società svedese…».

Nulla di cui pentirsi dunque?

«Al contrario, c’è molto di cui andare orgogliosi. Chieda ai veneti se stanno meglio ora, col Passante, o prima, con la tangenziale di Mestre. Quanto a Cav, è il capolavoro della mia vita. Con quella società abbiamo smentito chi va dicendo che il Veneto è un gigante economico e un nano politico, abbiamo sconfitto l’Anas, Pietro Ciucci, l’establishment romano, i grand commis di Stato. E per che cosa, per creare una poltrona in più e farci sedere il capo staff di un partito in consiglio regionale? No. L’abbiamo fatto per dimostrare che su 32 chilometri di autostrada si possono fare utili mostruosi e che le risorse spropositate che lo Stato lascia normalmente ai concessionari privati possono essere dirottate nelle casse della Regione, che poi li reinveste sul territorio».

Intanto, però, i veneti si pagano l’autostrada due volte: con le tasse e con i pedaggi.

«C’è un fondo di verità in questo, una verità che purtroppo non riguarda solo le autostrade ma anche gli ospedali e molte altre opere. Dopo di che, se vogliamo essere onesti, dobbiamo anche dire che sul piano infrastrutturale molte risorse destinate al Veneto vengono assorbite dal Mose».

Non c’è alternativa? Dalla Pedemontana alla Nogara-Mare, passando per la Nuova Valsugana e la Romea Commerciale, dobbiamo abituarci a pagare due volte quel che altrove (sul Grande Raccordo Anulare di Roma, ad esempio) è gratis da sempre? «Possiamo inveire contro Roma ladrona quanto vogliamo ma è così. E finché le cose non cambieranno, delle due l’una: o le strade si fanno con i privati o, semplicemente, non si fanno».

C’è chi invoca la ri-nazionalizzazione…

«Ma siamo impazziti? Va bene che spira il vento dello statalismo più sfrenato ma non diciamo fesserie. Preferisco pagare il pedaggio a un privato efficiente e trasparente, in cui è chiaro a chi vanno gli incassi e come vengono utilizzati (bene o male che sia), piuttosto che sborsare più tasse per uno Stato lento, burocratico, opaco, in cui non si capisce mai chi ha le responsabilità delle buche e dove vanno a finire i soldi. Ha presente com’è presa la Cesena-Orte?».

La frammentazione dei concessionari, ben cinque in Veneto, non aiuta a semplificare il quadro.

«E’ una follia. Quella di riunire le concessioni in un’unica società è sempre stato un mio cruccio ma come nel caso delle multiutilities per fare certe operazioni servono le persone, non bastano le intenzioni. E purtroppo in questi settori ci sono interessi diversi che si faticano a conciliare».

Lei ha governato questa regione per 15 anni. E’ soddisfatto del risultato ottenuto sul piano della mobilità?

«Molto è stato fatto e sfido chiunque a negarlo. Certo, c’è ancora tanto da fare. Penso che il Veneto sia una grande città diffusa, che si articola in due poli: Venezia e Verona. Questi due poli vanno collegati con le strade e le autostrade, un sistema ferroviario metropolitano, due scali aeroportuali possibilmente sotto il medesimo ombrello societario, due piattaforme logistiche, Verona e Padova-Venezia, un porto e un grande polo medico. Penso sia questa la direzione su cui lavorare».

A proposito di sistema ferroviario metropolitano: è come un miraggio, lo immaginiamo da anni ma non si concretizza mai.

«E’ difficile dirsi soddisfatti quando si pensa alla metropolitana di superficie. E’ un progetto che ho ereditato da chi mi ha preceduto e che ho tentato in ogni modo di portare avanti. Disgraziatamente era concepito secondo quei vecchi sistemi statalisti di cui parlavamo prima e i risultati si vedono: oltre alla suggestione c’è ben poco. Ah, se solo potessi tornare indietro! Farei sedere attorno a un tavolo tecnici e progettisti, poi farei una bella gara… ».

Non lo dica…

«E invece sì che lo dico: rifarei in project financing pure quello!».

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Auto e treno, i costi e i tempi. Che cosa conviene ai pendolari

Usare la macchina tutti i giorni costa fino a mille euro al mese

La ferrovia è più economica ma solo per chi ha orari d’ufficio

VENEZIA — Studenti, stagisti, impiegati, operai, ingegneri. E ancora: avvocati, medici, infermieri, commercianti, insegnanti. In veneto ogni mattina quasi un milione di persone esce di casa e si riversa sui treni regionali o sulle autostrade. Percorre chilometri e chilometri per andare dal Comune dove abita a quello dove lavora. E arrivata sera, inverte la marcia rigettandosi nelle stazioni e sulle strade rifacendo lo stesso percorso al contrario. Il Veneto della «metropoli diffusa» è una terra di pendolari in un mondo di tariffe che non smettono di crescere. Poco importa che siano pedaggi autostradali o abbonamenti ferroviari. Il prezzo che si paga per andare al lavoro è sempre più alto. Per questo motivo, alla luce degli aumenti delle tariffe autostradali del primo gennaio e dei disagi denunciati periodicamente da chi prende il treno due volte al giorno abbiamo deciso di mettere a confronto i diversi mezzi di trasporto. E di sottolineare i vantaggi e gli svantaggi dell’automobile e del treno.

Spese a confronto (auto)

Andare al lavoro in macchina non costa poco. Basta dare un’occhiata alla tabella per scoprire che con la stessa cifra ci si può pagare un anno di affitto nella città dove si lavora. Secondo i calcoli ufficiali dell’Automobile club d’Italia (Aci) i pendolari che usano un’automobile a diesel spendono mediamente 0,25 centesimi al chilometro comprensivi del carburante e dell’usura dell’auto che include anche il cambio gomme obbligatorio (l’alternanza estive- invernali) imposto dalla legge due anni fa. Ipotizzando un lavoratore che infila la strada dieci volte a settimana (cinque all’andata e cinque al ritorno) per quarantotto settimane (tutti hanno diritto a un mese di ferie) e aggiungendo la spesa dei pedaggi (aggiornati al primo gennaio) il risultato è di quelli salati. Di fatto chi si muove nella Città metropolitana allargata spende da un minimo di cinquemila euro (Venezia- Treviso) a un massimo di diecimila euro all’anno (Treviso- Padova). Non basta? Allora chiedete a chi va da Verona a Padova o viceversa. Là la spesa supera di poco i mille euro al mese. Praticamente uno stipendio. Non resta dunque che lasciare l’auto in garage e prendere il treno.

Spese a confronto (treno)

Il treno è decisamente più economico. Anche aggiungendo una spesa di trecento euro all’anno per fare un abbonamento all’autobus che porta fino alla stazione (o dalla stazione di arrivo al luogo di lavoro) è molto difficile arrivare a spendere più di cento euro al mese. I prezzi degli abbonamenti mensili, anche se sono recentemente aumentati, sono senza ombra di dubbio i più bassi d’Europa.

Tempi a confronto (treno)

I tempi di percorrenza dei treni regionali però non sono competitivi. A parte il fatto che le stazioni dei piccoli Comuni non sempre sono collegate alle case dei veneti dagli autobus di linea e che in quelle dei capoluoghi non si sa mai dove parcheggiare, basta ascoltare le lamentele quotidiane di chi prende un treno per affrontare la tratta casa-lavoro con un certo senso di preoccupazione. I treni sono lenti, rari. E non sempre rispettano gli orari di partenza e arrivo. E non solo. Per chi deve fare i turni o per chi non va o non torna dal lavoro nelle cosiddette fasce protette (7-9 e 17-19) prendere un treno è una vera e propria avventura. Per muoversi tra i capoluoghi della PaTreVe comunque si deve uscire di casa almeno un’ora prima per arrivare al lavoro anche negli orari canonici. E non diversa è la situazione del Polo Ovest. Da Verona a Vicenza o da Rovigo a Verona ci vuole più di un’ora e mezza per arrivare a destinazione. E non sempre la giornata fila liscia come si vorrebbe. Per chi finisce di lavorare dopo le 21 o per chi inizia prima delle 7 infine non c’è quasi nulla da fare. I treni, per molte tratte, non ci sono proprio e non resta che tirare fuori la macchina dal garage e lasciare giù mezzo stipendio.

Tempi a confronto (auto)

Al momento, l’automobile è il mezzo più rapido per muoversi in Veneto. Pur sapendo che a causa del traffico, dei semafori e delle code non si riesce quasi mai a superare una media di 60 chilometri all’ora nemmeno nelle tratte autostradali, chi usa l’auto nell’area della Città metropolitana arriverà al lavoro a qualunque orario in un massimo di un’ora (la tratta più lunga è Padova-Treviso). Nei tragitti più brevi i tempi sono dimezzati: chi abita a Venezia ci mette meno di trenta minuti sia per andare a Padova che per andare a Treviso. Più lunga infine è la strada di chi va da Padova a Verona. Ci vuole quasi un’ora e mezza per arrivare a destinazione. Ma con un treno regionale le ore diventano quasi tre. E alle volte, il tempo è denaro.

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Pedaggi, in Veneto rincari record. Ecco quanto costa andare al lavoro

Gli aumenti più pesanti d’Italia. E a Dolo la tariffa cresce del 250% in una notte. Chi si sposta nella PaTreVe pagherà dai 1300 ai 2300 euro all’anno

VENEZIA—Se non ve ne siete già accorti tornando dalle vacanze, ve ne renderete conto a brevissimo quando riprenderete ad andare al lavoro regolarmente. Le autostrade costano di più. I pendolari che percorrono la A4 tra Verona e Padova o la Valdastico (A31) devono sborsare per il pedaggio l’1,44% in più rispetto al 31 dicembre 2013, chi si muove lungo il Brennero deve affrontare un aumento dell’1,63%, chi fa uso del Passante deve fare i conti con una crescita media delle tariffe del 6,26% e chi ha bisogno della A31 tra Rovigo e Padova o della A27 tra Venezia e Longarone spende il 4,43% in più. La botta più forte è dedicata a chi va dal Veneto al Friuli. La tratta dell’A4 tra Venezia a Trieste e quella della A28 tra Portogruaro e Pordenone aumentano infatti del 7,17%. Non basta? Allora fate quel pezzetto di autostrada che va da Dolo a Padova, il famoso «girello» dei pendolari che volevano risparmiare andando dal capoluogo lagunare a quello patavino. Bene. Là l’aumento è stato un secco +250%, per scoraggiare gli automobilisti a fare i furbi.

 

Andare da Venezia a Padova o da Dolo a Padova adesso costa 2,80 euro, 50 centesimi in meno per chi viene da Venezia, due euro in più per chi viene da Dolo, con buona pace dei residenti della Riviera del Brenta (che però potranno usufruire di uno sconto del 40% sulla tariffa se faranno la tratta più di venti volte al mese). Inutile aggiungere che i veneti non sono stati tra gli italiani più fortunati quanto a tariffe. A conti fatti sono quelli che hanno subito gli aumenti maggiori tra quelli accordati dal ministero delle Infrastrutture su richiesta dei concessionari. A fronte di una crescita nazionale media delle tariffe del 3,9% i concessionari che operano in Veneto hanno ottenuto un aumento del 4,3%. Perché? Perché dei 23 concessionari di tutta la rete autostradale italiana i tre che hanno ottenuto aumenti maggiori a livello nazionale (Autovie Venete, Cav e Autostrade per l’Italia) operano tutti nella nostra regione. Una mazzata che si traduce in centinaia di euro in più da pagare per chi deve prendere l’autostrada tutti i giorni per andare al lavoro e che nel prossimo futuro si rifletterà anche sui bilanci dalle aziende che fanno circolare le merci per il territorio regionale. In attesa di capire quanto incideranno le nuove tariffe sui prezzi delle merci, ci dobbiamo accontentare di capire quanto influisce l’aumento dei pedaggi sugli stipendi dei residenti della mitologica PaTreVe.

 

Partendo dal presupposto che si lavora cinque giorni a settimana per 48 settimane (siamo ottimisti e calcoliamo un mese di ferie all’anno, ndr) chi vive a Venezia e lavora a Padova, per esempio, quest’anno per percorrere all’andata e al ritorno i 25 chilometri che separano i due capoluoghi lascerà alla A4 Holding 1344 euro all’anno, mentre chi percorre i 60 chilometri che vanno da Treviso a Padova (con il ritorno fanno 120) inizi pure a ragionare su un possibile trasloco in pianta stabile o il 2014 gli costerà di pedaggio 2304 euro (e non contiamo la benzina e l’usura dell’auto). Lasciando il fronte della Città metropolitana allargata e spostandosi più a Ovest, chi va da Verona a Vicenza o viceversa metta in conto di spendere 1344 euro, mentre chi va da Verona a Rovigo si metta proprio una mano sul cuore: in un anno dovrà pagare 3984 euro. Dura la vita autostradale anche per chi va da Verona a Padova o viceversa. Per andare al lavoro dovrà lasciare all’A4 Holding 2592 euro all’anno, più di duecento euro al mese, per capirci. Meno difficile da digerire la tratta Vicenza Padova che con 912 euro è l’unica sotto i mille tra capoluoghi veneti. Ma basta già spostarsi poco fuori, per esempio a Montecchio, per dover sborsare 1296 euro ogni anno, circa cento euro al mese. D’altra parte, a sentire il ministero dei Trasporti, sarebbe potuta andare molto peggio di così. I concessionari avevano chiesto aumenti molto più corposi dicendo di aver fatto enormi investimenti per mantenere efficiente la rete autostradale. E con il calo delle auto in circolazione a causa della crisi non ci stavano più dentro con le attuali tariffe. Di parere del tutto diverso le associazioni dei consumatori che già prima dell’entrata in vigore dei nuovi prezzi si erano scagliate contro «una serie di aumenti ingiustificati ». A commentare per tutti comunque ieri è stata la Cna che non è voluta entrare nel merito della questione, ma per bocca dei suoi rappresentanti nazionali ha rammentato al ministro Maurizio Lupi che «c’è poco da stupirsi se domani ritorneranno i forconi in piazza».

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I sindaci schierano i vigili: «Se i pendolari passano da noi sarà un disastro»

Dopo i rincari dei pedaggi autostradali, il timore è che il traffico si sposti nei paesi e lungo le statali

VENEZIA — Automobilisti di tutto il Veneto segnatevi bene a mente questa informazione: a partire dal 7 gennaio e per tutta la settimana a venire i comandanti della polizia municipale schiereranno tutti i loro agenti agli incroci principali delle città di provincia per controllare eventuali anomalie del traffico. «Con la fine delle festività e la ripresa della vita lavorativa e scolastica ordinaria ci troviamo davanti alla prova del fuoco – spiega il comandante della polizia municipale del Comune di Mira Mauro Rizzi -. Se a causa dell’aumento dei pedaggi autostradali ci dovesse essere un riversamento del traffico lungo le statali e le regionali sarebbe un problema. Già ci sono i lavori in corso che creano disagi, ma così aumenterebbero anche i rischi per la viabilità».

Il timore delle forze dell’ordine della Riviera del Brenta è che a fronte di un aumento secco delle tariffe di Cav (nel caso della tratta Dolo- Padova il prezzo del pedaggio è balzato da 80 centesimi a 2,80, con un aumento del 250%), i pendolari della zona saluteranno per sempre i caselli e si incolonneranno con pazienza lungo le strade secondarie che passano per i centri urbani. «Se quelli che facevano il tornello per non pagare l’intera tratta dovessero attraversare la città non so che cosa succederebbe – confessa il comandante di Dolo Alberto Baratto -. Al momento non abbiamo rilevato crescite preoccupanti del traffico urbano e lungo la Riviera, ma con la fine delle feste potrebbe intensificarsi. In ogni caso siamo pronti per eventuali emergenze». A creare ulteriori preoccupazioni sono le minacce degli autotrasportatori. Secondo l’Aiscat, l’associazione delle concessionarie autostradali, le strade a pedaggio della regione sopportano tutti i giorni il passaggio di 895 mila veicoli. Anche se solo una piccola parte si riversasse nel traffico urbano, i disagi sarebbero incalcolabili.

«Non solo a livello di tempi e spostamenti – interviene il sindaco di Jesolo Valerio Zoggia che teme un ulteriore intasamento della Triestina, la statale che collega la terraferma veneziana al Friuli passando lungo il litorale -, ma soprattutto per la qualità dell’aria che respiriamo». La diminuzione della velocità dei mezzi in coda e l’aumento dei tempi di spostamento dovuti al traffico porterebbero anche a una possibile crescita dei Pm10 nei centri abitati con un forte impatto anche sulla salute e sulla qualità della vita. «Credo che il governo dovrebbe correre subito ai ripari pensando a forme di sgravi fiscali per chi usa le autostrade per lavoro – continua Zoggia – non possiamo permetterci un cambio di abitudine degli automobilisti in questo senso». «Prenderemo le decisioni che servono dopo il monitoraggio di questa prima settimana – aggiunge il primo cittadino di Portogruaro Antonio Bertoncello, anche lui interessato dalle sorti della Triestina -. Al momento però non abbiamo dati e non ci fasciamo la testa prima del tempo».

Sul fronte opposto dal punto di vista geografico, ma dello stesso parere il sindaco di Rubano Ottorino Gottardo che rischia di trovarsi investito dal traffico di pendolari tra Vicenza e Padova. «La mia speranza è che gli automobilisti si facciano scoraggiare dal fatto che la velocità sulle nostre strade è molto più bassa di quella autostradale – spiega -. Capisco che le tariffe siano aumentate, ma anche il tempo è un costo, quindi al momento ci limitiamo a monitorare la situazione ». Da stamattina i comportamenti dei pendolari saranno tenuti sotto controllo anche dalla polizia stradale che valuterà, sulla base di una possibile diminuzione del traffico autostradale, di rafforzare le pattuglie sulle strade regionali e su quelle urbane. «Se il traffico autostradale dovesse subire variazioni ce ne accorgeremo immediatamente », conclude il comandante della polizia stradale di Venezia Maria Faloppa.

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Tosi: «I rincari erano inevitabili, paghiamo anche gli sprechi del passato»

Il sindaco e concessionario, presidente della Brescia-Padova, che nel 2012 ha prodotto ricavi per 322 milioni di euro

VERONA — Gli aumenti autostradali? Inevitabili. A Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, ma anche presidente della Brescia-Padova, la concessionaria autostradale veneta parte del gruppo A4 Holding, di cui resta di fatto il vero «forziere » (nel 2012 ha prodotto ricavi per 322 milioni di euro e un utile di 38, quelli che consentono al bilancio consolidato di A4 Holding di chiudere in attivo per 18,5 milioni di euro, visto che la gestione delle partecipate – dalle costruzioni, all’immobiliare, alle telecomunicazioni, e perfino ai campi da golf – era in rosso per 41 milioni), non ci sta a vestire i panni del colpevole dei rincari autostradali: «Per quel che ci riguarda, avevamo proposto un aumento del 4% e ci è stato riconosciuto un ben più limitato 1,89%». Riduzione tra l’altro che non sta per niente bene a Brescia- Padova, determinata a chiedere una riconsiderazione di quanto concesso, che potrebbe sfociare, in caso di risposta negativa, in un contenzioso davanti al Tar. Ma il problema degli aumenti resta.

I vostri non saranno i rincari più vistosi, ma in questo momento tutti pesano molto. Possibile che in un’epoca di spending review, le società autostradali non riescano ad evitarli?

«Il problema è diverso. Bisognerebbe guardare nel Paese alle situazioni di serie A e B che si creano tra aree dove le autostrade sono gratis, dove le infrastrutture sono costruite e mantenute dallo Stato, e altre dove lo Stato non spende nulla e le opere si fanno sulla base dei pedaggi gestiti da spa private».

Già, ma proprio per questo, visto che in Veneto le tasse pagate non servono a costruire grandi opere, che vengono pagate una seconda volta con i pedaggi, come per il Passante, non si potrebbe almeno evitare di pagarle una terza volta, come con gli aumenti Cav del 6%, i cui piani finanziari dovrebbero esssere già definiti?

«Non conosco in concreto la genesi degli aumenti sul Passante. Ma so che il criterio di fondo con cui i ritocchi vengono concessi è la tenuta del piano finanziario. Immagino che ci saranno stati extra-costi ».

Eppure il tema resta sul tappeto.

«Quegli aumenti non sono fatti a capocchia, sono concessi su opere inserite nei piani finanziari: non si traducono in guadagni per le concessionarie».

Sì, ma provare a tagliare spese?

«Negli ultimi anni sono stati compiuti contenimenti drastici rispetto ai decenni d’oro. Da cui ci trasciniamo risultati come una gestione del personale che ci costa in media 70 mila euro l’anno. Una cifra enorme; e non parlo di dirigenti, ma della media per dipendente. Oltre alle scelte sbagliate sulle acquisizioni societarie fatte in passato».

È l’accusa del consigliere regionale ex Udc e ora di Futuro popolare, Stefano Valdegamberi, secondo cui i pedaggi, magari indirettamente, sostengono un insieme di società in perdita.

«Valdegamberi sbaglia però a collocare nel tempo le responsabilità: che sono di chi ha gestito nel passato, e cioè degli amici suoi. Noi abbiamo passato gli ultimi anni a ripulire la Brescia-Padova, buona parte di quelle società l’abbiamo dismessa ».

La crisi ha ridotto il traffico sulle autostrade. I rincari non rischiano di deprimerlo ancora, inducendo ad un ritorno sulla rete ordinaria, azzerando tra l’altro l’obiettivo-decongestione, per cui si fanno le grandi opere?

«Non credo che il rischio sia reale. I tempi di percorrenza non rendono comunque competitive le strade ordinarie. E sono fattori di cui tengono conto piani finanziari e adeguamenti tariffari».

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Autostrade, Zaia lancia il bollino annuale

Il governatore propone il modello austriaco della «vignetta» per spalmare i costi dei pendolari. Le mani legate sui treni

Presidente Luca Zaia, l’aumento dei pedaggi autostradali ha mandato i veneti su tutte le furie. I pendolari sono inferociti e le chiedono di intervenire perlomeno su Cav, la concessionaria che gestisce il Passante e la Venezia-Padova partecipata al 50% dalla Regione. Lo farà?

«Ho già parlato col presidente Tiziano Bembo, una soluzione per ammortizzare l’impatto degli aumenti dev’essere trovata. Non sta a me dire come, gli uffici di Cav ci stanno lavorando».

Avrà pure una proposta…

«Personalmente sono favorevole all’introduzione della “vignetta” sul modello austriaco o sloveno. Un sistema mutualistico per cui tutti sono tenuti a sottoscrivere il bollino autostradale, ad un costo di una cinquantina di euro all’anno, così che spalmando su una platea più vasta i costi, questi gravano meno sui singoli utenti. Ma mi chiedo: i veneti sarebbero disponibili? Anche quelli che usano di rado l’autostrada? Senza contare che un’autostrada meno cara disincentiverebbe l’uso dei mezzi pubblici, con nuove polemiche. E’ un equilibrio complicato».

Certo gli aumenti deliberati a inizio anno gridano vendetta.

«Restiamo su Cav. Quando fu costruito il Passante, e ricordo che tutti lo chiedevano per liberare la tangenziale di Mestre, fu spiegato urbi et orbi che questo sarebbe stato ripagato con i pedaggi. Così è andata e ora l’equilibrio finanziario della società va salvaguardato».

Non si possono trovare dei correttivi in corsa?

«Soluzione alternative andavano studiate prima, ora è tardi. Per la Pedemontana, ad esempio, abbiamo già stabilito l’esenzione totale per gli studenti fino a 23 anni e per i pensionati over 65».

Passante, Pedemontana, Nogara- Mare, Romea commerciale. Il Veneto di domani sarà «a pagamento».

«L’autostrada è un’infrastruttura ma è anche un servizio che, in quanto tale, va pagato. Bisogna essere onesti: nessuno costruisce le strade gratis, per farle servono i soldi. Dove li troviamo? E’ come se chi ha acquistato la casa col mutuo poi si lamentasse degli interessi… ».

E così i cittadini pagano due volte: con le tasse e con i pedaggi.

«E’ un ragionamento criptoleghista che mi trova perfettamente d’accordo. Stiamo lottando da anni contro questo andazzo e non prendo lezioni dai rivoluzionari del sofà. E’ un fatto incontestabile che il Veneto paghi ogni anno 21 miliardi di euro di tasse, denari sprecati in mille rivoli che quando servono per le autostrade o i treni non si trovano mai».

Le concessionarie dicono che «gli adeguamenti» servono per ripagare gli investimenti. Quali?

«Non sta a me fare l’avvocato difensore dei concessionari. Ci sono dei dubbi in proposito? Si vada in procura».

Forse si stava meglio quando si stava peggio, con le autostrade nazionalizzate…

«Questo è populismo allo stato puro. Secondo lei i 2 mila miliardi di debito pubblico da dove sono saltati fuori? C’è stata un’epoca, quella dell’Italia del boom, in cui spendere 100 o spendere 1.000 era lo stesso. Oggi non sarebbe più sostenibile».

Un’alternativa all’automobile ci sarebbe: il treno. Ma alla fiaba della metropolitana di superficie ormai non crede più nessuno. E lei?

«Le ragioni per cui alcune infrastrutture non ci sono o sono in ritardo vanno ricercate nel passato ed è inutile star qui a recriminare. Si dice: perché la PaTreVe non ha un servizio metropolitano come Barcellona, Londra, Parigi? E’ un paragone senza senso: si tratta di aree di dimensioni differenti, urbanizzate in modo diverso. Dolo non è il Tibidabo e sulla nostre linee circolano appena 200 mila persone: siamo ben lontani dalle economie di scala di certe metropoli europee».

Forse se si facessero più investimenti l’utenza aumenterebbe.

«La Regione fa sempre la sua parte, ovviamente col bilancio che ha, mettendo sul trasporto pubblico oltre 700 milioni l’anno. Lo Stato dov’è? Ci riempie di spot sull’Expo di Milano ma non ha fatto nulla per migliorare i trasporti che serviranno i 15 milioni di turisti che arriveranno nel 2015».

Vanno aumentati i prezzi dei biglietti?

«Vedere cammello, pagare moneta. Il servizio ferroviario ci costa caro già oggi per cui pretendo da subito treni capienti, confortevoli, puntuali, “giapponesi”, sulle corse che ci sono. Vogliamo poi migliorarci ulteriormente, aggiungendone di nuove? Pensiamo a come finanziarle. Mi ripeto: i servizi si pagano. Tutti guardiamo con ammirazione alla tutela dell’ambiente in Germania ma lì un metro cubo d’acqua arriva a costare 7 euro. Qui ci sarebbe la rivoluzione. Ad esempio, perché non differenziare i prezzi degli abbonamenti? Ci sono pendolari- operai e pendolari-manager, studenti di famiglie facoltose e studenti figli di cassintegrati».

La gara nel 2015 risolverà i problemi?

«Una gara in Veneto è già stata fatta e l’ha vinta Trenitalia. Ne faremo un’altra e sarà l’occasione per mettere nero su bianco le aspettative dei veneti. Poi toccherà al governo dare un segnale, eliminando quello che è un monopolio di fatto. Ricordo che la trafila è: ministero delle Finanze, Ferrovie dello Stato, Trenitalia. Un trittico che spiega molte cose».

Resta senza risposta la Grande Domanda: può esistere un «Veneto metropolitano» all’interno del quale è impossibile muoversi?

«Ci sono dei problemi, non lo nego, e stiamo lavorando duro per risolverli, senza chiacchiere. Ma sia chiaro: io penso al Veneto, non alle suggestioni elettorali come la PaTreVe. A Belluno non hanno forse diritto alle autostrade ed ai treni come tutti gli altri? ».

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