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Gestione rifiuti, sul nullaosta regionale. Undici deputati M5S “interrogano” il ministro dei Beni culturali.

La querelle riguardante l’adeguamento dell’impianto di gestione rifiuti Cosmo di via Mestrina sbarca alla Camera dei Deputati. Undici onorevoli del Movimento Cinque Stelle, infatti, hanno presentato una interrogazione a risposta scritta al ministro dei Beni culturali Massimo Bray (di recente a Venezia per l’inaugurazione della Biennale) chiedendo se fosse a conoscenza del nulla osta concesso dalla Regione al progetto. I grillini, primo firmatario il miranese Emanuele Cozzolino, nel documento fanno propri i dubbi che i comitati per l’ambiente di Noale e Salzano in questi anni hanno espresso in tutte le salse, tra assemblee e manifestazioni, sottolineando come l’adeguamento tecnologico permetterà allo stabilimento di «realizzare nuovi locali, installare un nuovo ciclo di lavorazione e dei nuovi silos» per lo stoccaggio di 153 tipi di sostanze (tra cui rifiuti tossici e non). L’ok da palazzo Balbi è arrivato a fine febbraio, dopodiché i lavori di adeguamento dovranno iniziare entro dodici mesi dalla pubblicazione della delibera. La messa in esercizio provvisorio dell’impianto invece dovrà avvenire entro tre anni dalla data di avvio degli interventi. Quindi entro quattro anni il piano dovrà essere almeno in larga parte esecutivo.

«L’impianto – si legge nell’interrogazione – sorge su un terreno sottoposto a vincolo ambientale, essendo limitrofo al fiume Marzenego, e l’ampliamento andrà a occupare in misura ancora maggiore l’area che costeggia il fiume, di proprietà del comune di Noale, nonché area urbanistica di rispetto ambientale con previsione di area a parco urbano».

Per questo motivo dai dirigenti dell’impianto era stata presentata una istanza di autorizzazione paesaggistica (il cui esito sarebbe stato vincolante). Istanza approvata dalla direzione regionale del ministero per i Beni culturali e paesaggistici a settembre 2012. Su questo punto, però, il Movimento Cinque Stelle vuole vederci chiaro:

«Il ministro ci dica se tutte le normative in materia di tutela del paesaggio sono state rispettate».

 

Nuova Venezia – Valdastico Sud, indagato Schneck

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7

lug

2013

«Fanghi inquinanti per costruire l’autostrada».

E la Direzione distrettuale antimafia di Venezia invia 27 avvisi di garanzia.

VENEZIA. La Direzione distrettuale antimafia di Venezia ha inviato 27 avvisi di garanzia nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta presenza di materiali inquinanti nel sottofondo dell’A31 Valdastico Sud. C’è anche Attilio Schneck, ex presidente della Brescia-Padova e attuale commissario straordinario della Provincia di Vicenza.

La denuncia. A far scattare l’inchiesta un esposto presentato dalle associazioni “Medicina democratica” e “Associazione italiana esposti amianto”. Nel documento si denunciava un presunto inquinamento delle falde sotto il cantiere dell’A31 Sud per la presenza di materiale, rifiuti di acciaieria, altamente tossico. All’origine la denuncia ad Albettone di un proprietario di un cane che aveva bevuto da una pozza vicina al cantiere dell’A31 Sud e morto poco dopo. L’inchiesta è finita sul tavolo del pm veneziano Rita Ugolini. Il magistrato ha conferito a due esperti il compito di una prima ricognizione dalla quale sarebbero emersi elementi che farebbero ritenere fondata la denuncia.

Gli accertamenti. La Procura ha quindi deciso di procedere con ulteriori accertamenti nei lotti contestati: il 4, Montegaldella-Albettone; il 5, lo svincolo Albettone-Barbarano, e 6, cioè il viadotto sul Bisatto nei Comuni di Albettone e Agugliaro. Ma per farlo era necessario emettere gli avvisi di garanzia, in tutto 27, tra imprenditori vicentini, veneti e lombardi e i vertici della società autostradale. Le accuse: falso idelogico, traffico illegale di rifiuti in forma organizzata.

I nomi. Oltre a Schneck, oggi è presidente dell’A4 Holding, è indagato il presidente della Serenissima Costruzioni spa, controllata di A4 Holding, il veronese Flavio Orlandi. Poi il vicentino Antonio Beltrame, Afv Acciaierie Beltrame. E ancora. Valeria Caltana della Mestrinaro spa di Zero Branco (Treviso). Nell’elenco anche Pierluca Locatelli, della Locatelli geom. Gabriele spa di Grumello del Monte (Bergamo). Poi i veneti Carlo Meneghini della Eco.Men di Carmignano di Brenta (Pd); Filippo Galiazzo della Zerocento srl di Conselve (Pd); Luciano Bugno, della Bugno Luciano srl di Vigonza (Pd); Marcella Ceotto, della Old Beton srl di Susegana (Tv); Simone Matteo Venturi di Villafranca (Vr); Luigi Persegato della Co.Se.Co. srl di Lozzo Atestino (Pd); Fabio Zanotto della Egi zanotto spa di Marano Vicentino; Paolo Cornale della Ac.S.G. Palladio srl di Vicenza, Roberto De Conti, della Lachiver Laboratori srl di Verona; Albereto Tommasi, Lecher ricerche e analisi srl di Salzano (Ve); Mauro Saccon, di Altavilla vicentina.

Commenta Schneck: «La Bs-Pd ha fatto da stazione appaltante: abbiamo espletato la gara e svolto un’inchiesta interna dopo la notizia dell’esposto. In ogni caso, questo è un atto dovuto che serve per procedere con le analisi che faranno chiarezza. Come società ci costituiremo parte civile per chiedere i danni contro chi ha depositato l’esposto».

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CASALE – L’amministrazione Giuliato gioca la carta del ricorso al Tar per bloccare la discarica Coveri di via delle Grazie. Il progetto finisce dunque ancora una volta al centro di una battaglia giudiziaria.

«Il Comune ha deciso di promuovere un ricorso al Tar del Veneto contro i provvedimenti con cui la Regione ha espresso parere favorevole di compatibilità ambientale, di approvazione e autorizzazione del progetto e di autorizzazione integrata ambientale»,

spiega l’assessore all’Ambiente Massimo Da Ros.

«Sebbene manchi ancora la delibera di giunta regionale, questi provvedimenti si manifestano già lesivi per gli interessi del Comune e della cittadinanza e meritano pertanto di essere sottoposti al vaglio del tribunale amministrativo».

Per la difesa, il Comune di Casale si è affidato all’avvocato Antonio Pavan di Treviso. A breve dovrebbe essere fissata l’udienza per la discussione dell’istanza di sospensiva che è stata formulata con il ricorso. A fine aprile, dopo che la commissione regionale di Valutazione di impatto ambientale aveva dato parere favorevole al progetto di discarica, il sindaco Giuliato aveva annunciato di voler andare al Tar. Ora i tempi sono maturi per il ricorso alla giustizia amministrativa. Anche il comitato di cittadini “Civiltà Sostenibile” ha annunciato di voler presentare un ricorso al Tar. Servono però soldi per l’incarico legale, ed è così che il comitato sta promuovendo una colletta. Chi vuole contribuire può contattare “Civiltà Sostenibile” via mail o Facebook. E intanto la discarica diventa terreno di scontro politico. Patrizia Bisinella, senatrice della Lega che ha presentato il 28 maggio una interrogazione parlamentare assieme al collega Franco Conte (Pdl), punta il dito contro Ermete Realacci (Pd), presidente della Commissione Ambiente della Camera e firmatario di una altra interrogazione.

«C’è chi cavalca le questioni per tornaconto personale e che si dà da fare per risolvere i problemi. Siamo felici di appartenere a questa seconda categoria di persone»,

dice l’onorevole Bisinella.

«Il presidente onorario di Legambiente la pensa come noi? Bene, con noi e insieme al senatore Conte, prema sul Ministro Orlando perché sia garantita la salvaguardia del diritto alla salute e la tutela dell’ambiente».

Rubina Bon

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Gazzettino – Casale. Coveri, il Comune ricorre al Tar

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7

lug

2013

CASALE – L’Amministrazione impugna il parere favorevole della commissione Via

La Giunta di Casale ha rotto gli indugi sull’annosa vicenda del progetto della discarica 2-B per rifiuti speciali prevista nella zona agricola in via delle Grazie a Lughignano. Ieri l’assessore all’ambiente Massimo Da Ros ha annunciato che è stato

«presentato ricorso al Tar contro i provvedimenti con cui la Regione ha espresso parere favorevole di compatibilità ambientale con l’impianto di smaltimento da 310 mila tonnellate di rifiuti speciali».

L’incarico è stato affidato al legale Antonio Pavan di Treviso. Mercoledì gli amministratori casalesi si sono incontrati con la commissione regionale Via (valutazione impatto ambientale) per fare il punto della situazione. Il 24 aprile scorso la commissione Via aveva dato parere favorevole al progetto, con una serie di prescrizioni che la Coveri avrebbe dovuto presentare entro 30 giorni. Per non aver presentato la documentazione richiesta nei tempi prescritti, il progetto Coveri avrebbe dovuto decadere. Invece non è stato così.

«Arrivati a questo punto – aggiungere l’assessore Da Ros – è opportuno che il Tribunale regionale amministrativo esamini nei contenuti tutta la vicenda».

Intanto il presidente della commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, ha chiesto alla Giunta di Casale di fornire tutta la documentazione sulla discarica Coveri. Da rilevare che sulla spinosa questione i senatori Patrizia Bisinella (Lega Nord) e Franco Conte (Pdl) hanno presentato un’interrogazione. Ieri l’esponente del Carroccio Bisinella ha lanciato un frecciata ad Ermete Realacci a proposito delle competenze per affrontare nella giusta sede parlamentare il problema della dicarica Coveri:

«C’è chi cavalca le questioni per tornaconto personale e chi si dà da fare per risolvere i problemi. Siamo felici di appartenere a questa seconda categoria di persone».

 

Interrogazione in Regione del capogruppo Pd Lucio Tiozzo

MESTRE «Perché il presidente Zaia non difende e tutela i diritti e le prerogative dell’ex consigliere regionale Gianfranco Bettin?». Se lo è chiesto Lucio Tiozzo, capogruppo del Pd a Palazzo Ferro Fini, presentando un’interrogazione sulla vicenda giudiziaria che sta coinvolgendo l’attuale assessore all’Ambiente del Comune di Venezia, e legata a una querela presentata nel 2005 da Corrado Clini, all’epoca Direttore generale del Ministero dell’Ambiente, e ora ministro del Governo Letta. Bettin, ricordano dal Pd, fu firmatario di una interrogazione riguardante la Jolly Rosso, una nave italiana che alla fine degli anni Ottanta il Governo inviò in Libano a ritirare 10 mila fusti di rifiuti tossici. Dopo lunghe indecisioni i fusti furono smaltiti in alcuni siti industriali italiani tra cui quello di Marghera. Nel 2005 il settimanale L’Espresso pubblicò un articolo sulla vicenda. «Per il procedimento a carico del consigliere regionale Bettin, l’allora Presidente della Regione, Giancarlo Galan, incaricò due giuristi per la stesura di un ricorso alla Corte Costituzionale, la quale stabilì che la Regione avrebbe dovuto porre la questione del conflitto di attribuzione solo all’apertura effettiva del processo», ricorda Tiozzo. «Il processo è ripreso nel 2010, e in quell’anno è stato eletto Presidente della Regione Luca Zaia: da allora nulla è stato fatto nonostante le ripetute segnalazioni sulla necessità di procedere secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale. Si rischia un pericoloso precedente. Va verificato se sussistono le condizioni per attivare tutte le possibili procedure per tutelare i diritti e le prerogative dell’ex consigliere». (s.b.)

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Municipalità solidale con l’assessore

MARGHERA. Il consiglio di Municipalità di Marghera prende una netta posizione pro-Bettin nei riguardi della causa civile intentata dall’ex direttore del Ministero dell’Ambiente ed ex Ministro Corrado Clini con richiesta risarcimento di 1 milione di euro riguardo una interrogazione sulla vicenda della nave Jolly Rosso e di come sia stato trattato e smaltito il carico che trasportava. «La Municipalità di Marghera», spiega il Consiglio nella sua presa di posizione, «ritiene utile e prezioso per Marghera e per il territorio veneziano, l’impegno che Gianfranco Bettin sta conducendo da decenni di contrasto all’emarginazione e al disagio sociale, contro la criminalità e l’inquinamento ambientale insieme al quartiere. Doveroso dunque esprimere la solidarietà e l’auspicio che un processo come questo, intentato per una denuncia fatta in qualità di consigliere regionale e formalizzata e resa pubblica con un’interrogazione alla giunta regionale, si concluda con un nulla di fatto” Alla solidarietà, la Municipalità di Marghera aggiunge inoltre “Preoccupazione per tale processo e per tale metodo che, se dovesse produrre effetti legali e giudiziari, significherebbe negare il diritto dei consiglieri regionali, a essere tutelati nelle proprie prerogative». (ma.to.)

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MARGHERA – Le parole con cui Guerrino Cravin, amministratore delegato di Alles, ieri ha difeso il progetto di revamping della sede Alles di Marghera, non sono piaciute all’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin secondo il quale, nonostante le garanzie della società sul miglioramento tecnologico degli impianti, le conseguenze per Marghera saranno terribili. Secondo Bettin

«l’amministratore delegato di Alles minimizza l’impatto che avrebbe su Porto Marghera il revamping del suo impianto di trattamento dei rifiuti, autorizzato recentemente dalla Regione Veneto e contro il quale si sono da tempo pronunciati sia il Comune che la Provincia, autorizzazione oggetto di un ricorso al Tar presentato dall’amministrazione. Al di là dei progetti di miglioramento tecnologico degli impianti di Alles, dei quali non possiamo che prendere atto positivamente se essi comportano maggiore efficienza e tutela di chi lavora e un minore impatto ambientale, le ragioni inestirpabili di preoccupazione e di opposizione rimangono quelle più volte rimarcate: l’abnorme aumento dei codici, cioè del tipo di rifiuti trattabili, la loro provenienza non da “zone limitrofe” o “dalla regione”, come dice Alles, bensì dall’intero mercato globale dei rifiuti, come certifica l’autorizzazione, mentre la più grande preoccupazione strutturale suscitata dal provvedimento della giunta regionale è la modifica autoritaria del Piano regolatore di Margheraa».

Secondo Bettin

«Alles, incredibilmente, nega che modifica sia essere avvenuta ma essa è scritta nero su bianco negli atti della Regione, rappresenta anzi la sola possibilità di autorizzare Alles a ricevere i rifiuti di ogni provenienza e grazie ad essa Porto Marghera rischia di diventare, esattamente, la pattumiera dei rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia se non d’Europa e oltre. Ne deriverebbero un duro impatto sull’ambiente e sulla salute, uno stravolgimento delle linee di evoluzione dell’area che comporterebbe un vantaggio occupazionale minimo a fronte di un allontanamento delle attività sostenibili ambientalmente e competitive e innovative sul piano tecnologico ed economico che si stanno cercando di attrarre grazie ai recenti accordi sulle bonifiche e sulla messa a disposizione di nuove importanti aree da reindustrializzare».

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PORTOMARGHERA

Alles, continua la polemica. Ieri la dura presa di posizione dell’ad dell’azienda Guerrino Cravin che ha posto l’aut aut: «O si fa l’ampliamento o chiudiamo» con le relative ripercussioni occupazionali. Oggi la replica di Gianfranco Bettin, assessore comunale all’Ambiente che rimprovera a Cravin di minimizzare l’impatto che avrebbe su Porto Marghera il revamping del suo impianto di trattamento dei rifiuti, autorizzato dalla Regione Veneto e contro il quale si sono pronunciati sia il Comune che la Provincia di Venezia, che anche insieme al Comune di Mira hanno ricorso al Tar.

«Al di là dei progetti di miglioramento tecnologico degli impianti di Alles – afferma Bettin in una nota – dei quali non possiamo che prendere atto positivamente se essi comportano maggiore efficienza e tutela di chi lavora e un minore impatto ambientale, le ragioni inestirpabili di preoccupazione e di opposizione rimangono quelle più volte rimarcate: l’abnorme aumento dei codici, cioè del tipo di rifiuti trattabili, la loro provenienza non da “zone limitrofe” o “dalla regione”, come dice Alles, bensì dall’intero mercato globale dei rifiuti, come certifica l’autorizzazione, mentre la più grande preoccupazione strutturale suscitata dal provvedimento della giunta regionale è la modifica autoritaria del Piano regolatore di Marghera. Alles, incredibilmente, nega che la modifica sia avvenuta ma essa è scritta nero su bianco negli atti della Regione, rappresenta anzi la sola possibilità di autorizzare Alles a ricevere i rifiuti di ogni provenienza e grazie a essa Porto Marghera rischia di diventare, esattamente, la pattumiera dei rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia se non d’Europa e oltre». «Ne deriverebbero – conclude Bettin – un duro impatto sull’ambiente e sulla salute, uno stravolgimento delle linee di evoluzione dell’area che comporterebbe un vantaggio occupazionale minimo a fronte di un allontanamento delle attività sostenibili ambientalmente e competitive e innovative sul piano tecnologico ed economico che si sta cercando di attrarre grazie ai recenti accordi sulle bonifiche e sulla messa a disposizione di nuove importanti aree da reindustrializzare».

 

«Ho solo difeso la mia città, non mi devo scusare». Così Bettin risponde all’ex ministro Clini, che a proposito del processo sulla vicenda dei rifiuti tossici della Jolly Rosso smaltiti a Marghera, si lamenta per non aver mai ricevuto delle scuse.

«Personalmente – dice l’assessore all’Ambiente – non penso di aver nulla di cui scusarmi con lui. Io ho solo difeso la mia città, che rappresentavo come Prosindaco, e la mia regione, da consigliere regionale. Ho chiesto e cercato la verità su cosa avessimo respirato, su cosa sia finito nell’aria, nell’acqua, nella terra intorno a noi. L’ho fatto con atti istituzionali, difendendo, nel contempo, la libertà di informazione e la libertà di espressione. È la Regione Veneto, per ignavia o sciatteria o altro, ad aver calpestato se stessa e la propria dignità dimenticando l’art. 122, comma 4, della Costituzione, secondo il quale: “I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”».

 

 

Verso la sentenza la richiesta di risarcimento di Clini (all’epoca direttore dell’Igiene pubblica Asl 12)

«Precedente pericoloso se passa il principio che si può “querelare” un’interrogazione regionale»

MARGHERA. L’ex ministro dell’ambiente, il veneziano Corradi Clini, ha chiesto un milione di euro di risarcimento a Gianfranco Bettin e al giornalista dell’Espresso Riccardo Bocca per un’interrogazione al Consiglio regionale presentata dal primo quando era consigliere a palazzo Ferro Fini sulla base di un servizio giornalistico firmato sul settimanale dal secondo. Al centro della vicenda i fusti di rifiuti tossici recuperati dalla motonave Jolly Rosso in Libano e bruciati in parte nell’impianto Sg31 della Monteco al Petrolchimico di Marghera. La causa civile, davanti al Tribunale di Roma, dura ormai da due anni e la sentenza è prevista a giorni. A raccontare la vicenda è lo stesso Bettin: «Nel febbraio del 2005, ricorda l’assessore comunale,

«l’Espresso pubblicò il servizio di Bocca nel quadro di una più vasta inchiesta che si occupava delle piste seguite da Ilaria Alpi prima di essere assassinata a Mogadiscio, tra queste quella di un traffico di rifiuti tossici, e si occupò anche del recupero da parte della Jolly Rosso nel 1989, inviata a Beirut dal governo, di circa 10 mila fusti scaricati da un’azienda lombarda».

Nell’articolo si citava una relazione del febbraio 1990 dell’Asl veneziana nella quale, analizzando la condensa dei fumi in uscita dal forno Sg31 si confermava la presenza di uranio. Ma già nel 1989, quando Bettin era consigliere di quartiere di Marghera, aveva raccolta la testimonianza di alcuni operai i quali riferivano che nei fusti della Jolly Rosso sarebbe stato presente uranio. Allora, però, il direttore dell’Igiene pubblica dell’Asl 12, allora era Clini, contestò quelle valutazioni, sostenendo si trattasse di disinformazione. Nel 2005, però, sulla base del servizio della rivista, Bettin presentò un’interrogazione in Consiglio regionale in cui chiedeva alla giunta se fosse a conoscenza dei fatti e quale fosse la natura e l’entità dell’inquinamento radioattivo. Inoltre, chiedeva se la giunta intendeva rendere pubblico il documento dell’Ulss tenuto segreto per 15 anni. Stessa interrogazione presentò la deputata verde veneziana Luana Zanella in Parlamento. Clini, nel frattempo diventato direttore generale al ministro dell’ambiente, citò in giudizio Boccia, Bettin e Zanella. Il Parlamento, però, negò l’autorizzazione a procedere contro la deputata, mentre la Regione, allora retta da Giancarlo Galan, avviò un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, la quale rispose che la Regione avrebbe dovuto porre la questione all’apertura del processo. Nel frattempo però, a guidare la giunta regionale è arrivato Luca Zaia, che non ha mai provveduto a proseguire ciò che Galan aveva iniziato e così la causa è andata avanti. Per Bettin si tratta

«di un precedente pericolosissimo perché se passa il principio che si può “querelare” un’interrogazione si crea un vulnus letale nella rappresentanza e viene minata la possibilità di usare uno strumento indispensabile per l’accertamento della verità».

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IL CASO – Bettin e Clini. Lite milionaria in tribunale sui veleni della Jolly Rosso

A GIORNI LA SENTENZA

Il sociologo: «Mi ha chiesto un milione di euro»

La replica: «Mai sentita una parola di scuse»

IL CASO – L’assessore all’Ambiente querelato dall’ex ministro per una vicenda di oltre vent’anni fa

Gianfranco Bettin rischia di dover pagare un milione di euro all’ex ministro e attuale direttore generale del ministero dell’Ambiente, Corrado Clini. La storia è vecchia di oltre vent’anni e tutto ruota attorno alla Jolly Rosso, una nave italiana che a fine anni Ottanta il Governo mandò in Libano a caricare 10 mila fusti di rifiuti tossici che erano stati gentilmente regalati da una azienda lombarda, la Jelly Wax, ma il Paese della penisola arabica non gradì il dono.

«All’epoca molte aziende italiane smaltivano così le proprie scorie, a volte anche con complicità mafiose o di apparati dello Stato»

racconta Bettin che oggi è assessore comunale all’Ambiente. Dopo mesi di indecisioni, si smaltirono i fusti in alcuni siti industriali del Paese, compresa Marghera che, dentro al Petrolchimico, ha l’inceneritore SG31 nel quale furono bruciati nonostante le proteste di ambientalisti, operai e Bettin.
Dopo cinque anni il settimanale L’Espresso pubblicò un articolo che, ricordando quella vicenda, citò una relazione dell’Ulss 36 (oggi Ulss 12) datata 28 febbraio 1990 nella quale, analizzando la condensa dei fumi usciti dal forno SG31, si confermava presenza di uranio. In quell’articolo Gianni Mattioli, allora docente all’Università di Roma, disse che le concentrazioni erano preoccupanti.
Bettin era prosindaco di Mestre e anche consigliere regionale e presentò un’interrogazione; stessa cosa fece la parlamentare dei Verdi Luana Zanella alla Camera dei deputati.
Corrado Clini, che nel frattempo era sbarcato al ministero dell’Ambiente, querelò in sede civile Bettin, Zanella e il settimanale.
Ebbene, il Parlamento rifiutò l’autorizzazione a procedere per Luana Zanella, e l’allora governatore del Veneto, Giancarlo Galan, fece la stessa cosa, ma la Corte Costituzionale stabilì che per Bettin bisognava aspettare l’apertura del processo che avvenne nel 2010; nel frattempo Galan era stato sostituito da Luca Zaia e la Regione non mosse più un dito per Bettin.

«Queste tutele non sono dei privilegi – commenta l’assessore – rappresentano la garanzia che, in nome dei cittadini tutti, si possano porre anche le domande più scomode, anche nei confronti di chi è potente».

Bettin, che a giorni aspetta la sentenza, dice che non parla per chiedere tutele

(«per quanto riguarda la mia vita, in ogni caso, cercherò di arrangiarmi»)

ma perché

«per sciatteria o precisa volontà politica di discriminare il sottoscritto, la Regione crea un pericolosissimo precedente».

Quanto al querelante

«non ho niente da dire sul dottor Corrado Clini. Egli, assistito dal grande studio legale che presta anche consulenza giuridica al ministero dell’Ambiente, esercita una possibilità che l’attuale normativa lascia a chiunque (specie se potente) scambi le critiche per reati. È la legge che andrebbe cambiata, come da tempo sostengono in molti. Ed è la Regione Veneto che è indicata come un ente che non rispetta se stesso né i propri esponenti».

Corrado Clini dice che non si ricordava nemmeno più del processo:

«È passato troppo tempo. Ricordo, però, molto bene quanto venne scritto in quell’articolo e le dichiarazioni uscite, e non erano rappresentazioni di opinioni politiche, ma accuse molto pesanti su una mia responsabilità diretta su una cosa orribile, in qualche modo legata a fenomeni di criminalità organizzata».

L’Espresso citava una documentazione dell’Ulss 36 nella quale si parla di uranio.

«Non ho mai visto una lettera del genere. È vero, al contrario, che fui io a ordinare accertamenti su tutto, compreso l’uranio, e le conclusioni furono che il tipo di concentrazioni trovate rientrava nel fondo naturale dell’ambiente».

Lei chiede un milione di euro a Bettin. «

Dissi subito che, qualunque cifra avessi preso, l’avrei devoluta a programmi di risanamento ambientale per Porto Marghera. Ad ogni modo la cosa che mi fa più specie è che in tutti questi anni non ho mai sentito una parola di scuse da nessuno di loro».

 

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