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LA RIVOLUZIONE – Entro il 31 dicembre il Veneto dovrà modificare la rete ospedaliera: “decreto Balduzzi” e nuove schede così cambieranno l’offerta sanitaria della regione

LE APERTURE – 26 lungodegenze e 17 chirurgie d’urgenza

I TAGLI – Prevista la chiusura di 11 geriatrie e 6 oncologie

Mentre il Veneto aspetta che la politica sdogani le schede che dovranno tagliare ospedali e rivoluzionare il sistema delle cure, ci pensa il ministro Balduzzi a rimescolare le carte, con un decreto che di fatto supera le schede e rischia di riaprire tutti i giochi (sempre che fossero già stati chiusi).
Martedì le Regioni andranno ad Arezzo per discutere il provvedimento e cercare di limare quanto proposto. La parola d’ordine è “limitare i tagli”, e questo vale sia per le regioni in piano di rientro (come il Piemonte ad esempio), sia per quelle “virtuose”, come il Veneto, che nella trattativa hanno qualche chance in più e chiederanno al ministro che questo decreto rappresenti solo una linea d’indirizzo.

Ma quale sarà l’assetto della sanità veneta del 2013? Se la riunione di martedì non porterà nuove, l’assetto sarà rivoluzionato: in Veneto si dovranno tagliare 1260 per acuti e 15 di neuro-riabilitazione, e andranno invece creati 741 nuovi posti letto per la riabilitazione e 63 per la lungodegenza. E questo comporterà la chiusura di 11 reparti di geriatria e di 6 oncologie. Mentre si dovranno aprire 26 strutture di lungodenza, 17 di medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza e 10 centri trasfusionali. In aggiunta a questo ci sono altri due cambiamenti di non poco conto: una decina di case di cura che rischiano la chiusura (perché hanno meno di 80 posti letto per acuti, toccherà alla politica veneta trovare la soluzione per evitare che questo accada) e il fatto che il “decreto Balduzzi” consideri “presidi” le strutture private e quindi non dovranno sottostare ad alcun badget imposto dalla Regione. Ma non sono solo questi i numeri sul quali il Veneto dovrà ragionare.

I reparti, per poter rimanere aperti, dovranno garantire un volume di attività annua ben preciso: ad esempio un reparto di chirurgia della mammella dovrà fare oltre 100 primi interventi all’anno di tumore della mammella. Un reparto di laparoscopia sarà obbligato a produrre almeno 100 interventi all’anno; e una cardiologia che voglia trattare gli infarti dovrà vedere ogni anno non meno di 100 pazienti. Cosi vale per le angioplastiche coronariche: con meno di 250 procedure all’anno, si chiude. Le maternità che fanno meno di mille parti l’anno, dovranno avere una proporzione di cesarei non superiore al 15 per cento, sopra i mille parti, non oltre il 25. Indicazioni che di fatto porteranno il Veneto a rivedere l’attività di diversi reparti, accorpandoli se i numeri sono più bassi del richiesto.
La classificazione proposta da Balduzzi non prevede strutture “monospecialistiche” (ad esempio riabilitative). Nel Veneto ce ne sono una ventina e sono clasificate come “ospedali nodo di rete” dal nuovo Piano socio sanitario regionale. Che fine faranno?

Ma è necessario fare un passo indietro. La sanità veneta in questi ultimi giorni ha focalizzato la discussione sulle schede ospedaliere e territoriali, indispensabili per fare quelle economie necessarie per chiudere il bilancio in attivo. Le indicazioni del “decreto Balduzzi”, se pur limate dall’esito dell’incontro di martedì prossimo, rischiano di superare tutte le discussione sulle qualità la sanità si è avvitata fino ad ora. Introducono infatti parametri e numeri non di poco conto. E ancora non è tutto. Il punto “2.1” del decreto introduce un elemento che per il Veneto è fondamentale: “la programmazione regionale provvede alla definizione della rete dei posti letto ospedalieri per acuti, attribuendo ai presidi ospedalieri pubblici e privati accreditati le relative funzioni entro il limite di 3 posti letto per mille abitanti…”. Due le considerazioni: il numero dei letti, che per il Veneto come si è visto deve scendere, e quanto attribuito alla programmazione (e quindi al Consiglio regionale).

La questione su chi a questo punto deve fare cosa (Giunta o Consiglio), rischia di ingarbugliarsi ancora di più. E in tutto questo bailamme che la Regione si trova a dover affrontare in zona Cesarini (con l’aggravante della nomina dei direttori generali in corso), entra a gamba tesa anche un “giallo” relativo alla nomina del prossimo direttore generale della Sanità. Con l’approvazione dello Statuto sono state eliminate le figure dei segretari, mentre per tutti si è in attesa di una legge bloccata in commissione, per quello generale alla sanità la legge tutt’ora in vigore (ma che è sotto il giudizio della Corte Costituzionale) prevede venga nominato dal Consiglio. Quindi, o si cambia questa norma (ma non si è trovato accordo di maggioranza) o la nuova figura deve essere nominata entro il 31 gennaio, data di scadenza del dottor Domenico Mantoan.

Daniela Boresi

 

 

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