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I commissari del Consorzio bloccano parte della maxi liquidazione

Mazzacurati, stop a un milione

La gestione commissariale del Consorzio Venezia Nuova ha bloccato un milione e 154 mila euro della maxi liquidazione (sette milioni) dell’ex presidente Giovanni Mazzacurati. Bilancio chiuso con 28 milioni di passivo.

Venezia Nuova: la nuova gestione commissariale congela 1,154 milioni su 7

Il bilancio chiuso con 28,7 milioni di passivo. Meno fondi: gestione in difficoltà

VENEZIA – Ventotto milioni e 700 mila euro di passivo. Che toccherà alle imprese ripianare. Liquidazione di 7 milioni di euro all’ex presidente Mazzacurati in parte bloccata. E criteri modificati.

Segna una netta inversione di tendenza il bilancio consuntivo 2014, approvato in questi giorni dalla nuova gestione commissariale nominata dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone.

Conti passati al setaccio dai tre commissari che governano il Consorzio da fine 2014, Luigi Magistro, Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo.

La liquidazione di 7 milioni di euro era stata disposta nel dicembre 2013, sei mesi dopo l’arresto dell’ex presidente e direttore, dal Consorzio presieduto da Mauro Fabris. Ma adesso i commissari hanno deciso di congelarne una parte, un milione e 154 mila euro.

«È intenzione degli amministratori straordinari», si legge nella nota integrativa al bilancio 2014, «procedere a un approfondimento sulla sussistenza di tale debito». Cioè a dire: quell’importo potrebbe anche non essere legittimo.

Altro debito riscontrato dal bilancio è quello di 317 mila euro che l’ex direttore non avrebbe versato per l’acquisto delle azioni Tethis. Controllata del Cvn anche questa amministrata per molti anni da Mazzacurati.

Infine, il bilancio introduce una significativa modifica dei criteri sul pagamento degli «oneri del concessionario». Sull’importo di tutti i lavori il Consorzio aveva diritto per legge a un aggio del 12 per cento, per gli «oneri del concessionario e l’attività di sorveglianza sui lavori».

Cifre cospicue – circa 600 milioni di euro sui quasi 6 miliardi di spesa prevista per le dighe mobili – che servivano per il mantenimento della macchina del Consorzio e altre spese. I commissari nel passare al setaccio i bilanci degli anni scorsi, hanno scoperto ad esempio che il 12 per cento veniva versato con congruo anticipo, prima dell’inizio dei lavori in quota pari al 60 per cento. Solo il 40 per cento durante i lavori. In sostanza, i soldi degli «oneri» sono già arrivati e sono già stati spesi. E adesso la gestione si troverà in grande difficoltà per i minori fondi a disposizione.

«E questo», scrivono Magistro, Ossola e Fiengo, «proprio nel momento in cui il progetto entra nella sua delicata fase operativa». Primo bilancio dell’era commissariale. Reso pubblico e soprattutto attento alla nuova situazione che si è creata. Azzerati i contributi che venivano dati alle istituzioni, a cominciare dal teatro La Fenice (un milione). Quelli del Marcianum, l’istituzione culturale creata dall’ex patriarca Scola. Ridotte le iniziative e i convegni, ridotte anche le cerimonie. Oltre all’aspetto giudiziario – della corruzione e dell’evasione fiscale – le inchieste sul Mose hanno provocato un cambio nella gestione.

Alberto Vitucci

 

L’EX capo DEL CONSORZIO per il mose

Respinta dal giudice Scaramuzza la richiesta di incidente probatorio dell’ex sindaco Orsoni e di Lia Sartori

VENEZIA – Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, non è idoneo a sostenere un interrogatorio e i primi segnali di decadimento sarebbero stati evidenti già durante l’interrogatorio che aveva sostenuto, nel settembre dello scorso anno, davanti al giudice della California per conto del Tribunale dei ministri che giudicava l’ex ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli. Questa, in sostanza, la decisione del giudice veneziano Alberto Scaramuzaza, che ha quindi respinto la richiesta di incidente probatorio avanzata dai difensori degli indagati Giorgio Orsoni e Lia Sartori, l’ex sindaco di Venezia e l’ex europarlamentare di Forza Italia.

I due esponenti politici sono accusati del reato di finanziamento illecito dei rispettivi partiti dai pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini sulla base delle dichiarazioni di Mazzacurati, il quale ha sostenuto di aver finanziato le loro campagne elettorali, rispettivamente per le comunali e per il parlamento europeo.

Gli avvocati dei due, quindi, avevano chiesto di sentire in incidente probatorio, prima dell’udienza preliminare e del processo, il principale accusatore, ma il suo avvocato ha consegnato la documentazione medica in cui si afferma che non ricorda più nulla e che soffre di una patologia cardiaca molto grave. Con la sua ordinanza, il giudice di Venezia che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare per la corruzione per il Mose accoglie questa tesi e spiega che Mazzacurati non può più essere sentito.

I verbali dei suoi interrogatori, quelli resi davanti ai pubblici ministeri alla presenza del suo difensore, a questo punto, saranno acquisiti, come ha chiesto il pm Ancilotto, e inseriti nel fascicolo che finirà sul tavolo del giudice Andrea Comez, colui che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio degli indagati da parte della Procura, quando verrà presentata, e, nel caso, dovrà processare chi chiederà di farlo con il rito abbreviato.

Giorgio Cecchetti

 

Il pm Tonini ha depositato gli atti dell’indagine sullo scavo dei canali portuali a causa della quale Mazzacurati fu arrestato

L’indagine che ha fatto scattare le manette ai polsi del potente ex presidente del Consorzio Venezia Nuova è chiusa. L’inchiesta è quella a causa della quale Giovanni Mazzacurati ha deciso di raccontare tutto quello che sa e ha parlato delle mazzette che per anni ha distribuito a ministri, generali, pubblici funzionai e politici perché così potessero proseguire i lavori del Mose.

Nei giorni scorsi, il pubblico ministero Paola Tonini ha depositato gli atti, alcuni faldoni, dell’indagine per la turbativa d’asta per lo scavo di un canale del Porto di Venezia e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per quel reato di otto imprenditori, per la maggior parte di Chioggia.

La posizione degli altri imputati, tra i quali ci sono Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Pio Savioli, Federico Sutto e gli altri protagonisti della successiva inchiesta sul Mose, resta ancora in sospeso: si tratta di indagati che hanno collaborato e per i quali gli avvocati concorderanno con la Procura il patteggiamento.

Per turbativa d’asta, quindi, andranno sotto processo per ora solo Roberto Boscolo Anzoletti (54 anni, di Chioggia), a capo della «Lavori Marittimi e Dragaggi spa», Valentina Boscolo Zemello (32, Rosolina), amministratore della “Zeta sil”, Antonio Scuttari (80, Favaro), amministratore della “Clodiense Opere Marittime srl”, Carlo Tiozzo Brasiola (39, Chioggia), amministratore della “Somit srl”, Luciano Boscolo Cucco (64, Chioggia), amministratore della “La Dragaggi srl”, Dimitri Tiozzo (48, Zelarino), amministratore della “Tiozzo Gianfranco srl”, Juri Barbugian (41, Cona), amministratore della “Nautilus srl”, ed Erminio Boscolo Menela (59, Chioggia), titolare della “Boscolo Sergio Menela e Figli srl”.

Il 12 luglio di due anni fa finirono agli arresti domiciliari in sette (oltre a Mazzacurati, Savioli, Sutto, Boscolo Anzoletti, i due Boscolo Bacheto della Cooperativa San Martino, e Boscolo Contadin della “Nuova Co.Ed.Mar.”), gli altri sette furono raggiunti da un provvedimento di obbligo di dimora.

Baita se la cavò: il pm ne aveva chiesto l’arresto, ma il giudice, nella sua ordinanza di custodia cautelare, scrisse che aveva già cominciato a collaborare (era stato arrestato per la frode fiscale della “Mantovani” ed era già stato scarcerato).

Esiste la Legge speciale per Venezia del 1984 che permette al Consorzio Venezia Nuova di concedere i lavori senza alcuna gara pubblica o bando, essendo «concessionario unico». Ma gli appalti degli enti pubblici veneziani dovevano essere gestiti come prevedono le regole, invece il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati, stando alle accuse, avrebbe gestito la gara per lo scavo dei canali portuali di grande navigazione dell’Autorità portuale come si trattasse di «cosa sua».

«È stato individuato il ruolo centrale», avevano scritto allora in un comunicato gli investigatori della Guardia di finanza del Nucleo di Polizia tributaria che avevano fatto le indagini, «nel meccanismo di distorsione del regolare andamento degli appalti di Giovanni Mazzacurati, che predeterminava la spartizione delle gare allo scopo di garantire il monopolio di alcune imprese sul territorio veneto, di tacitare i gruppi economici minori con il danaro pubblico proveniente da altre Pubbliche amministrazioni e quindi di conservare a favore delle imprese maggiori il fiume di danaro pubblico destinato al Consorzio Venezia Nuova».

Le indagini hanno permesso di ricostruire le manovre, tra i mesi di maggio e giugno 2011, messe in atto per pilotare l’appalto dell’Autorità portuale per lo scavo dei canali. Si trattava di un lavoro diviso in tre stralci per complessivi 12 milioni e mezzo di euro. Un appalto che alla fine è stato vinto dall’Associazione temporanea d’imprese composta dalla “Lavori Marittimi e Dragaggi,” da “Zeta srl”, “Clodiense Opere Marittime srl”, “Somit srl”, “La Dragaggi srl”, la “Tiozzo Gianfranco srl”, la “Nautilus srl” e la “Boscolo Sergio Menela e figli e C. srl”.

Una gara vinta con un ribasso dell’11 per cento, quando invece in analoghe gare il ribasso praticato è stato anche del 46 per cento. In questo modo l’Autorità portuale aveva speso da due a quattro volte di più per il dragaggio di quei canali. Alla gara avevano partecipato altre due ditte, la “Rossi Costruzioni generali srl” e la “Sales spa”, che avevano presentato ribassi minimi del 2,8 per cento e del 2,2 per cento. Ma soprattutto non avevano partecipato alla gara la “Mantovani”, la “San Martino”, la “Co.Ve.Co.” e la “Nuova Coedemar”.

Secondo le intercettazioni, «a fronte delle doglianze del titolare della “Lavori Marittimi Dragaggi” di non aver ottenuto dal Consorzio lavori per il Mose, Mazzacurati lo avrebbe assicurato che il lavoro del Porto se lo sarebbe aggiudicato lui. Con la collaborazione di Sutto e Savioli avrebbe convinto le imprese più importanti a lasciar perdere e a non presentare offerte, in cambio di alcuni lavori del Consorzio per la ricostituzione delle barene, e alle due che si erano ormai presentate alla gara di proporre un ribasso ampiamente inferiore a quello di chi doveva vincere.

Giorgio Cecchetti

 

Gazzettino – Mose. Il Consorzio paga al Fisco 18 milioni

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23

mag

2015

MOSE – Il Cvn salda senza cercare di opporsi il salatissimo conto dell’Agenzia delle Entrate

Il Consorzio Venezia Nuova paga senza opporsi. Una cifra da capogiro pari a 18 milioni e 531.927 euro. Non un centesimo di meno. È il conto che l’Autorità finanziaria ha presentato al Consorzio Venezia Nuova lo scorso 16 ottobre per irregolarità fiscali rilevate dalle Fiamme Gialle nelle annualità 2005-2009. Conto che lo stesso Cvn ha accettato di versare sottoscrivendo, due settimane fa, il 7 maggio, con la Direzione regionale del Veneto dell’Agenzia delle Entrate lo specifico atto di adesione a seguito di istanza da accertamento.

Il totale solo di sanzioni e di interessi ammonta a quasi 6 milioni e 755mila euro cui vanno sommati gli 11 milioni e 777mila euro di imposte dovute fra addizionale regionale e comunale, Irpeg, Irap, ritenute e Iva. Anche questo è uno degli effetti dell’onda lunga dello scandalo Mose, visto che nei rilievi mossi dalla Guardia di Finanza lagunare sono compresi anche quelli relativi all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per prestazioni tecniche fantasma e anticipi di riserve su lavori mai svolti allo scopo di creare la provvista di denaro contante gestita da Giovanni Mazzacurati per finalità corruttive, vale a dire il fondo mazzette, gestito da Luciano Neri.

A firmare l’accordo con l’Erario per il Cvn sono stati i commissari plenipotenziari, nominati a dicembre 2014 per traghettare in porto il Mose, dopo che l’Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione, guidata da Raffaele Cantone, aveva annunciato l’avvio dell’iter di commissariamento del Consorzio a seguito della “retata storica” scattata all’alba di quasi un anno fa, era il 4 giugno, con una sfilza di arresti eccellenti, fra cui il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, e in seguito l’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, onorevole di Forza Italia.

A far scattare il count down per lo tsunami in laguna, contribuì quindi anche la verifica fiscale nella sede del Cvn, in Campo Santo Stefano a Venezia, aperta l’11 giugno 2010 dai finanzieri del Nucleo tributario provinciale. Uno stratagemma per entrare senza sospetti nel palazzo del “grande burattinaio” – la definizione fu del pm Paola Tonini, titolare del fascicolo – ovvero di Mazzacurati e piazzare le cimici ambientali in tutti gli uffici dei dirigenti e funzionari organici al “sistema Mose”.

Ed è stato questo controllo certosino e puntuale delle “carte” a fornire conferma contabile a quanto emergeva dalle intercettazioni, scoprendo i proventi illeciti non dichiarati finalizzati ad alimentare le tangenti a politici di tutti i livelli, magistrati, vice questori, generali delle Fiamme gialle, e sui quali oggi il Consorzio è chiamato a onorare le tasse.

Era il 3 novembre 2014 quando l’allora presidente ormai a fine corsa del Cvn, Mauro Fabris, subentrato a Mazzacurati dimessosi poco prima di venire arrestato il 12 luglio 2013, dichiarò che non sarebbe stata intrapresa alcuna iniziativa per contrastare le risultanze della verifica fiscale. Adesso si attende l’esito degli accertamenti per i periodi di imposta successivi al 2009 fino al luglio 2013: e l’”obolo” si prefigura altrettanto pesante.

Nei fatti si tratta di una minima parte, seppur sempre consistente, del denaro drenato dalle casse dello Stato in maniera fraudolenta, e che in tal modo viene restituita alla piena disponibilità di tutti i cittadini.

 

Nuova Venezia – Tangenti Mose, Baita teste su Milanese

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13

mag

2015

L’ex manager di Mantovani domani in udienza a Milano: chiamato dal pm contro l’ex parlamentare

VENEZIA – Trasferimento a Milano, in Tribunale, domani per l’ingegnere Piergiorgio Baita. Giovedì, infatti, l’ex presidente della «Mantovani» è stato chiamato a testimoniare dal pubblico ministero del capoluogo lombardo Roberto Pellicano nel processo che vede sul banco degli imputati Mario Milanese, l’ex braccio destro del ministro dell’Economia del governo Berlusconi Giulio Tremonti ed ex parlamentare di Forza Italia. Deve rispondere di corruzione per aver ricevuto dalle mani dell’allora presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati 500 mila euro.

Baita è a conoscenza di alcuni particolari dei quali può riferire, visto che era uno di coloro che stava nella cupola del Consorzio che decideva chi e quanto pagare. L’ingegnere veneto è già stato condannato in via definitiva per frode fiscale ma è ancora indagato per corruzione, per questo sarà interrogato con la presenza del suo difensore in aula, l’avvocato veneziano Alessandro Rampinelli.

La Procura milanese ha chiesto anche la testimonianza di Mazzacurati, colui che avrebbe consegnato il denaro a Milanese, ma il suo difensore è pronto a consegnare, così come ha fatto a Venezia durante l’incidente probatorio, la documentazione medica che proverebbe che l’anziano ingegnere non solo è gravemente cardiopatico ma ormai ha perso la memoria. Milanese deve rispondere di corruzione: stando all’accusa, avrebbe rivestito il ruolo di «intermediario qualificato» in virtù dell’«autorevolezza» delle cariche politiche e dei suoi rapporti privilegiati – ha spiegato il pm ai giudici – con l’allora ministro dell’Economia che era anche presidente del Cipe».

Fu proprio il Cipe a decidere il maxi stanziamento che nel 2003 ha di fatto sbloccato gli appalti per le paratoie del Mose da collocare nelle tre bocche di porto della laguna di Venezia.

Per l’accusa Milanese avrebbe ricevuto negli uffici di Milano di Palladio Finanziaria 500 mila euro in cambio del suo intervento per introdurre «una norma ad hoc per salvare il finanziamento di 400 milioni per il Mose che altrimenti il Cipe avrebbe destinato ad altre opere nel Sud Italia.

Il Tribunale ha già ammesso come parte civile contro Milanese sia il Consorzio Venezia Nuova sia il ministero dell’Economia.

Giorgio Cecchetti

 

PADOVA. Giancarlo Galan contro un prete. Il prete è don Francesco, viceparroco del rione Torre che, dal pulpito, aveva osato: il diavolo? Come Galan e le banche che finanziano le industrie delle armi. E Galan lo ha querelato per diffamazione.

È domenica 22 febbraio 2015 e nell’omelia domenicale don Francesco parla del diavolo, «satana corrotto e tentatore», adeguando i fatti della vita alle parabole del vangelo. E spiega che Satana o il diavolo si traducono nei comportamenti corrotti che, quotidianamente, stanno davanti ai nostri occhi. Un esempio per tutti: la vicenda giudiziaria dell’ex governatore del Veneto e ministro, uno dei protagonisti dello scandalo Mose che si è fatto ristrutturare la sua villa con i soldi delle tangenti. Nulla di inventato: l’8 ottobre 2014 Giancarlo Galan ha patteggiato per corruzione due anni e 10 mesi di carcere concordando la restituzione di 2,6 milioni di euro, dopo aver incassato per anni dal Consorzio Venezia Nuova, all’epoca presieduto da Giovanni Mazzacurati, uno “stipendio” di un milione di euro, più una serie di favori, come il restauro della villa. In cambio di un via libera regionale senza limiti ai lavori del Mose, tra atti amministrativi e finanziamenti concessi sempre a tempo di record.

Forte la reazione dell’ex doge nonché ex esponente del Governo, assistito dall’avvocato Fabio Pinelli, ha presentato una querela contro il sacerdote per il reato di diffamazione. Querela trasmessa alla procura padovana che, ora, sarà assegnata a un pubblico ministero per le indagini del caso.

 

Nuova Venezia – Mose, inchiesta sulla diga crollata al Lido

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30

apr

2015

Corte dei Conti

Una diga di sassi da 43 milioni di euro, crollata nel 2012 per una mareggiata, e una perizia da 6 milioni per ripararla. La Corte dei Conti apre un’inchiesta e acquisisce documenti nelle sedi del Consorzio Venezia Nuova e del Magistrato alle Acque.

La procura della Corte dei conti fa sequestrare il dossier sulla «lunata» costata 43 milioni e altri 6 per riparare il disastro

VENEZIA – Una diga di sassi costata 43 milioni di euro. Crollata sotto la forza di una mareggiata, nel novembre del 2012, solo pochi giorni dopo che i lavori si erano conclusi. E una «perizia di variante» da 6 milioni per riparare il manufatto, sostituendo i massi con tripodi e macigni in pietra d’Istria più grandi. Una vicenda strana, su cui adesso la Corte dei Conti intende far luce.

Nei giorni scorsi un gruppo di finanzieri inviati dal procuratore capo Carmine Scarano ha acquisito nuova documentazione al Consorzio Venezia Nuova e al Magistrato alle Acque. C’è da verificare perché siano stati spesi quei milioni. E, ancora, perché una diga nuova di zecca sia crollata in mare nella sua parte terminale. C’è anche da chiarire un contenzioso che dura ormai da quasi tre anni. Chi deve pagare la ricostruzione e la variante?

Nel progetto originario il Consorzio Venezia Nuova aveva previsto di realizzare la diga, la famosa «lunata» lunga un chilometro, al largo della bocca di porto di Lido, utilizzando sassi di medie dimensioni. Sotto la furia del mare e dello scirocco, in un evento che il Consorzio Venezia Nuova aveva allora definito «eccezionale» la difesa era franata in mare. Opera contestata prima di nascere. Avrebbe dovuto contribuire, secondo il Comitatone, a «ridurre la punta massima di marea di almeno 4 centimetri».

In realtà la riduzione effettiva già sperimentata nelle analoghe dighe a Chioggia e Malamocco non va oltre il centimetro. La diga allora ha funzione di proteggere le paratoie dal vento di scirocco. Il Comune aveva votato contro la sua realizzazione, per i costi considerati eccessivi, pari alla necessità annuale per la manutenzione urbana. Ma si era fatta lo stesso. E lo scorso anno anche i lavori di ripristino dopo il crollo si sono conclusi. Rinforzando con i tripodi in cemento la barriera sulla testata est, con massi più grandi quella dal lato ovest. Anche su questo adesso si indaga.

E ieri i commissari Luigi Magistro e Francesco Ossola si sono riuniti all’Arsenale con il comitato consultivo delle imprese che compongono il Consorzio Venezia Nuova. Qualche protesta dalle imprese per i lavori che vanno a rilento. Magistro ha risposto ribadendo che dopo gli arresti del 4 giugno scorso e l’inchiesta sul Mose e la corruzione tutto è andato a rilento.

«Il prezzo della legalità», aveva detto alla Nuova. I 400 milioni deliberati dal Cipe nel giugno del 2014 sono infatti stati sbloccati solo pochi giorni fa, il 17 aprile. Di altri 200 stanziati dal ministero dell’Economia due anni fa non vi è traccia. Adesso dovrebbero sbloccarsi, e ripartire i lavori ai cantieri che vanno a rilento da mesi.

Il Mose doveva costare 1 miliardo e mezzo di euro come da progetto di massima. Oggi siamo arrivati a quasi sei miliardi, gestione e manutenzione esclusa. I lavori dovevano concludersi nel 2008, poi nel 2012. Infine nel 2015 e adesso nemmeno nel 2017 sarà possibile a detta del Consorzio.

Intanto anche nella sede del Cvn, all’Arsenale, continua il lavoro di controllo dei commissari, nominati quasi un anno fa dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Nomine ratificate come prevede la legge dal prefetto di Roma. E adesso, accanto a Magistro, esperto di finanze e Ossola, ingegnere e progettista, il nuovo prefetto di Roma Franco Gabrielli ha nominato Giuseppe Fiengo, presentato ieri alle imprese.

Alberto Vitucci

 

INCHIESTA MOSE: DECISIONE il 26 MAGGIO

Il medico di famiglia: dopo la morte del figlio Carlo, l’ingegnere si è aggravato Perciò il magistrato ha chiesto al giudice di non procedere con l’incidente probatorio

VENEZIA – Durante l’ennesima udienza per stabilire se e come interrogare l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha prodotto un verbale di assunzione di informazioni del medico della famiglia Mazzacurati.

La padovana Maria Teresa Sanna spiega che da una decina d’anni cura sia Giovanni Mazzacurati sia la moglie e, incalzata dalle domande del rappresentante della Procura lagunare, spiega che prima dell’arresto e immediatamente dopo le sue dimissioni dal Consorzio, nel giugno 2013, era stanco ma presente a se stesso, preciso e orientato e «con ragionamenti caratterizzati da forte rigore logico».

La medico padovana lo ha visitato in due occasioni anche dopo che era finito agli arresti domiciliari: «Dopo il 12 luglio 2013», spiega la professionista, «era fortemente stressato a causa di quanto occorsogli e delle sempre peggiori condizioni di salute del figlio Carlo, appariva stanco, ma presente a se stesso…Verso la fine di gennaio 2014, quando il figlio Carlo morì, ho notato un deciso peggioramento dello stato di salute mentale e fisica, un declino che ho notato direttamente sino al marzo 2014».

Infine, la medico è andata in un’occasione anche a San Diego a visitare Mazzacurati e signora: «Nell’ottobre-novembre dello stesso anno ho potuto riscontrare un ulteriore aggravamento dello stato di confusione spazio-temporale dell’ingegnere».

Sulla base di questa testimonianza il pm ha chiesto al giudice Alberto Scaramuzza di non procedere con l’incidente probatorio viste le condizione di salute del grande accusatore e di acquisire i verbali resi dall’ingegnere durante le indagini preliminari, quando è stato interrogato più volte alla presenza del difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli.

I difensori dell’ex sindaco Giorgio Orsoni e dell’ex europarlamentare del Pdl Lia Sartori, che avevano chiesto l’interrogatorio di Mazzacurati, hanno insistito nel chiedere l’incidente probatorio. Il giudice si è riservato di decidere e ha rinviato tutti all’udienza del 26 maggio prossimo, quel giorno dirà se intende procedere con l’incidente probatorio o meno e, nel caso decida per il no, se acquisire i verbali degli interrogatori resi a partire dal luglio 2013.

La volta scorsa gli avvocati avevano chiesto e ottenuto il video dell’interrogatorio reso per rogatoria in California, davanti ad un giudice americano, da Mazzacurati. Interrogatorio che era stato richiesto dal Tribunale dei ministri del Veneto, che procedeva nei confronti dell’ex ministro Altero Matteoli, per il quale il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere: in Procura è già arrivata tutta la documentazione inviata da Palazzo Madama.

Giorgio Cecchetti

 

MOSE – Il Pm deposita un verbale d’interrogatorio all’udienza riguardante Orsoni e Lia Sartori

La deposizione del medico di famiglia accredita la genuinità delle confessioni e delle accuse dell’ingegnere

L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, era lucido nel periodo in cui, dopo l’arresto, nel luglio del 2013, riempì centinaia di pagine di verbale ricostruendo ai magistrati della Procura il “sistema Mose”. Lo ha raccontato agli inquirenti la dottoressa padovana Maria Sanna, il medico di famiglia che per una decina di anni ha curato Mazzacurati e la moglie.

Il verbale con le sue dichiarazioni è stato depositato a sorpresa, ieri pomeriggio, dal pm Stefano Ancilotto nel corso dell’udienza celebrata di fronte al giudice Alberto Scaramuzza, nella quale i difensori di due indagati, l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e Lia Sartori, ex presidente del Consiglio regionale e poi eurodeputata di Forza Italia, chiedono di poter interrogare Mazzacurati per poter contestare le accuse di finanziamento illecito formulate nei loro confronti.

Dall’aprile 2014 Mazzacurati si trova in California, nella villa della moglie, e il suo difensore, l’avvocato Giovanni Muscari Tomaioli, ha prodotto ampia documentazione medica dalla quale risulta che non è più in grado di deporre, a causa delle peggiorate condizioni di mente. Peggioramento che la dottoressa Sanna fa coincidere con la morte del figlio, il regista Carlo, e dunque con il gennaio 2014: da quel momento, secondo il medico, Giovanni Mazzacurati si è fatto prendere dallo sconforto ed è iniziata una fase di decadimento psichico.

La dottoressa ha riferito di aver visitato Mazzacurati anche in California, nel novembre scorso, trovandolo notevolmente peggiorato. Nella testimonianza resa al pm Ancilotto e alla Guardia di Finanza la dottoressa Sanna racconta di aver visitato Mazzacurati anche durante il periodo trascorso ai domiciliari e nei mesi successivi, mentre erano in corso gli interrogatori con la Procura, riferendo che era perfettamente lucido e deciso a chiarire con i magistrati la sua posizione.

«Nel luglio del 2013 non ho notato nessun segnale di disorientamento: era fortemente stressato (…), appariva stanco ma presente a se stesso (…) era preciso, a differenza di quando l’ho trovato nel mese di ottobre/novembre 2014 quando mi sono recata negli Stati Uniti a San Diego: lì l’ho effettivamente trovato confuso e disorientato. Verso la fine di gennaio 2014, quando il figlio Carlo morì, ho notato un deciso peggioramento dello stato di salute mentale e fisico…».

Per il pm Ancilotto, il racconto del medico padovano è un “colpo da novanta”: si tratta della testimonianza di una specialista (peraltro esperta di psichiatria) che “smonta” l’ipotesi della difesa di Orsoni e Sartori, tesa a dimostrare che il decadimento di Mazzacurati era già iniziato durante gli interrogatori del 2013, e che dunque quelle sue confessioni non sono credibili.

In chiusura di udienza, il pm Ancilotto ha chiesto al gip di acquisire definitivamente verbali d’interrogatorio di Mazzacurati al fine di far acqusire loro valore di prova. La difesa di Orsoni e Sartori ha invece insistito per poter interrogare l’ex presidente del Cvn. Il gup ha rinviato per la decisione al prossimo 26 maggio.

 

Non funzionerà. Punto. Sintetizzare l’opinione che Tommaso Cacciari (nipote di Massimo, ndr) ha del Mose è fin troppo semplice. Lui, da sempre attivista contro l’opera, l’aveva già bocciata nel 2006 ed era stato querelato dal Consorzio Venezia Nuova con una richiesta danni di 250 mila euro. Ha vinto.

“Non serviva la magistratura per capire i problemi del Mose, bastava usare la logica: la laguna non è un bidet che puoi isolare con un tappo”.

Andiamo con ordine. Hanno sbagliato tutto. L’intero progetto? Ancora prima: l’idea. Sa quando si è cominciato a parlare di Mose? Con l’alluvione del ‘66. Venezia ha alle spalle un territorio manomesso, cementi- ficato che non è più in grado di raccogliere le piogge e l’acqua defluisce da 100 comuni in mare. I geni hanno pensato di chiudere la laguna.

Con le paratie le acque non defluirebbero?  Esattamente. Quando Padova è finita sotto acqua noi qui a Venezia non abbiamo messo gli stivali perché defluiva dalle bocche di porte, ci fosse stato il Mose avremo fatto la fine dei topi.

La differenza tra fogna e laguna è il ricambio di acqua pulita con il mare, se impediscono questo ricambio noi diventiamo una fogna velenosa. Esistono alternative? Certo: stringere le bocche di porto, cioè i tre punti in cui la laguna comunica con il mare, e alzare i fondali, così eviteremmo almeno 80 dei 100 giorni annui di acqua alta.

Perché non è stato scelto? Rendeva impossibile il transito in laguna delle grandi navi. Il Mose non è pensato per tutelare la città ma per tutelare il gigantismo navale. Ora sappiamo che è stato il sistema corruttivo a decidere di farlo. Sarà operativo nel 2017 Iniziano altri problemi. Aldilà del lato psichiatrico di chi pensa di poter fermare il mare con un pannello, queste 78 paratie le hanno dovute distanziare tra loro di 80 centimetri.

Insomma: sono inutili? Una presa in giro. Ogni paratoia è fissata a una cerniera sul fondale. Alcuni studi sostengono che quella cerniera non regge. E andranno pulite ogni anno perché il “fooling”, cioè la vita che un corpo immerso nell’acqua si trova attaccato addosso, sarà di 24 centimetri l’anno. 78 relitti che si riempiono di alghe, conchiglie, sabbia. Che fai? Mandi il sommozzatore con una spazzola?

Quindi? Va ripensato tutto. Da anni sia come comitati di cittadini sia come movimenti No Mose e No Grandi Navi contestiamo questo scempio. Domani sa- remo in 15 piazze di Venezia a spiegare le nostre motivazioni e il 9 maggio di sarà una manifestazione in laguna.

 

Nuova Venezia – Minutillo mette all’asta 20 borse Hermes

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17

apr

2015

E poi scarpe e tailleur: l’ex segretaria di Galan (attesa da due processi per corruzione ed evasione) deve pagare gli avvocati

VENEZIA. Per sopravvivere e per pagare le parcelle dei suoi difensori (deve ancora affrontare il processo per corruzione a Venezia e quello per evasione fiscale a San Marino, dopo aver patteggiato in laguna per frode fiscale) sta svendendo il suo tesoro. Un tesoro fatto soprattutto di borse, scarpe e vestiti.

Chi ha frequentato la sua villa, in una delle zone più esclusive della terraferma veneziana a due passi dal Terraglio, racconta di aver visto nella sua cabina-armadio decine di borse Hermès, Gucci, Prada, Chanel, poi file infinite di scarpe e tanti, tanti completi e tailleur.

Qualche commessa chiacchierona delle boutique alla moda di piazza Ferretto ha riferito alle amiche che Claudia Minutillo, l’ex segretaria dell’allora presidente della giunta regionale Giancarlo Galan poi trasformatasi in manager grazie all’aiutino di Piergiorgio Baita, quando rimaneva stregata da un vestito, ne acquistava due o tre, di colore diverso.

E in questi giorni alle amiche, attraverso il suo Iphone, ha inviato le fotografie delle borse che vuole vendere, insomma quasi un asta che, c’è da scommetterci, non andrà di certo deserta. Ha inviato le istantanee di almeno una ventina di borse Hermès, modello «Birkin», ispirate alla maison francese dall’omonima attrice diventata famosa per la più erotica canzone degli anni Settanta. Una borsa che è necessario prenotare e attendere per mesi prima di avere: stando, al messaggio da lei inviato alle amiche, ne avrebbe una ventina di svariati colori da piazzare.

Per ora, i prezzi dell’asta non si conoscono, ma quello medio per una «Birkin» Hermès è noto: novemila euro, c’è poi quella più cara perché di pelle esotiche, 44 mila euro. Tra le sue borse c’è anche un modello più a buon mercato, il «Kelly», ispirato dalla grande Grace, perché l’appoggiava sulla pancia per nascondere ai giornalisti che era incinta del marito Ranieri, principe di Monaco. Per la «Kelly» bastano 3800 euro.

Per mantenere il livello di vita precedente, che era davvero alto visto quello che si poteva permettere di acquistare, Claudia Minutillo si trova dunque costretta a svendere il suo lussuoso guardaroba. A differenza di altri personaggi il suo futuro professionale si è dissolto, difficilmente potrà trovarsi altre sistemazioni con prebende simili a quelle precedenti.

Imprenditori e manager arrestati e scarcerati, dopo il patteggiamento o comunque la condanna, possiedono professionalità che qualcuno può utilizzare ancora e quello che sta accadendo a Baita, che è tornato ad operare, anche se non direttamente, per i lavori del Mose è un esempio.

Minutillo, invece, è arrivata ai vertici grazie alle conoscenze, alle capacità di mettere in relazione manager e politici, ora la sua scelta processuale, quella di collaborare (è stata la prima a raccontare ai pubblici ministeri chi e come pagava l’ex ministro Galan, l’ex assessore regionale Renato Chisso, l’ex magistrato alle acque Cuccioletta) difficilmente le permetterà di rientrare in quel mondo.

Giorgio Cecchetti

 

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