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Nuova Venezia – Chiarotto scarica Baita

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

mar

2013

Pronta la richiesta di risarcimento danni

Il manager della Mantovani dal carcere di Belluno annuncia le dimissioni da tutti gli incarichi: è nominato in 42 Cda

PADOVA – Un’azione di responsabilità. Tanto annuncia il patron della Mantovani Spa Romeo Chiarotto nei confronti dell’ingegnere Piergiorgio Baita. Il proprietario dell’asso “pigliatutto” degli appalti veneti, tramite la cassaforte di famiglia Serenissima Holding, darà mandato a un legale al fine di studiare il caso per vedere se si ravvisino gli estremi per avviare un’azione di responsabilità. E se così sarà, scatterà la richiesta di risarcimento danni. Romeo Chiarotto, del resto, lo ha ripetuto più volte davanti al sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto mercoledì mattina quando lo ha interrogato: la famiglia non ha nulla a che vedere con le fatture false, di cui era totalmente all’oscuro. L’inchiesta della guardia di finanza di Venezia e Padova che ha portato in carcere oltre a Baita anche il direttore amministrativo della Mantovani Nicolò Buson, l’imprenditore di San Marino William Colombelli e l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, presidente di Adria Infrastrutture, ha squarciato come un fulmine il ciel sereno sotto cui era convinto di riparare i suoi affari l’ottantatreenne Chiarotto. Tanto più che era stato proprio lui, negli anni Novanta, a volere Baita alla guida della Mantovani, dopo che un’inchiesta nell’ambito di Tangentopoli che lo coinvolse, restituì l’ingegnere del tutto “pulito”. «Sono in corso di adozione i provvedimenti più opportuni per assicurare alla società una governance autorevole, estranea ai fatti sui quali la magistratura sta indagando» si legge nella nota diffusa ieri dalla società per azioni, «ma anche in grado di garantire continuità nell’operatività e negli indirizzi tecnici e gestionali». Ecco perché all’orizzonte si profila la causa per danni della famiglia Chiarotto contro Baita, perché il granitico colosso delle costruzioni rischia di crollare come un castello di sabbia investito dall’onda lunga della scandalo per frode fiscale. Finalizzata, secondo gli inquirenti, alla costituzione di fondi neri. Ma questo è il filone ancora aperto dell’inchiesta. Quello a cui potrebbe imprimere un’accelerata la decisione venerdì prossimo del tribunale del Riesame, che dovrà decidere sulla scarcerazione di Baita e Colombelli. Perché se dovranno rimanere in carcere, le probabilità che decidano di collaborare con gli investigatori si fanno più concrete. Intanto i legali dell’ingegnere sessantaquattrenne, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, hanno annunciato che Baita, attualmente nel carcere di Belluno, ha firmato le dimissioni da tutti i suoi incarichi. Ben 42, secondo la Camera di commercio. Oltre che presidente del cda della Mantovani, Baita figura vice presidente di Adria Infrastrutture, presidente di Talea e Palomar (tutte e tre società finite nell’inchiesta per false fatture), Expo 2015 e Nogara Mare. Risulta anche vice presidente di Autostrada Serenissima, Gra di Padova e Veneta sanitaria finanza di progetto, consigliere di Veneto City, Consorzio Venezia Nuova e Thesis. Sullo sfondo restano i destini della Mantovani: «La società» conclude la nota di ieri, «è fortemente impegnata, sostenuta dai propri azionisti, a portare avanti gli importanti progetti e lavori a essa affidati e ringrazia le maestranze per l’unitarietà e la dedizione in più occasioni manifestate in questi giorni».

Elena Livieri

 

Zanoni: «Zaia deve mettere fine al cumulo di cariche di Vernizzi»

L’eurodeputato Andrea Zanoni invita il governatore del Veneto a porre fine al cumulo di incarichi di Silvano Vernizzi: «Inaccettabile che la stessa persona presenti progetti con la mano destra e li approvi con quella sinistra» dice Zanoni, «invito la magistratura ad andare fino in fondo nelle indagini sul terremoto che sta scuotendo il Veneto. Zaia risolva una volta per tutte la gravissima situazione di conflitto d’interessi rappresentata da Vernizzi, ad esempio al tempo stesso amministratore delegato di Veneto Strade e presidente della commissione regionale incaricata di concedere la Valutazione ambientale strategica (Vas), nonché collezionista di svariati altri incarichi». Tra le reazioni politiche anche quella di Barbara Degani, presidente della Provincia di Padova, dopo l’annuncio da parte del Pd di una interrogazione sulla vendita delle quote dell’Autostrada Padova Brescia: «Noi abbiamo adottato da subito procedure di evidenza pubblica anche per trattative private» ha detto Degani, «le illazioni sul prezzo delle quote sono dimostrazione di malafede. Il primo prezzo di 740 euro del 2009 era dipeso da trattative con altri enti, quello di 518 del 2011 dalla stessa società per la ricapitalizzazione. E il consiglio provinciale approvò all’unanimità la vendita». (e.l.)

 

I SINDACATI SI AFFIDANO ALLA PROPRIETA’

«Il colosso tiene si giri pagina»

PADOVA «Il nostro obiettivo è la salvaguardia dei livelli di occupazione, la Mantovani è un colosso internazionale che può superare questa bufera. Noi ci auguriamo che Piergiorgio Baita esca di scena e siamo convinti che la famiglia Chiarotto saprà trovare un nuovo manager cui affidare la gestione dell’azienda». Francesco Andrisani, della Fillea Cgil di Venezia, non ha dubbi: «I 900 dipendenti della Mantovani non hanno alcun motivo per temere contraccolpi all’occupazione dall’inchiesta avviata dalla procura di Venezia. Nutriamo la massima fiducia nei confronti della magistratura e siamo convinti che saprà far emergere le esatte responsabilità degli imputati coinvolti nell’inchiesta. Quando si parla di evasione fiscale c’è da sperare che si possa andare fino in fondo, ma il portafoglio ordini della Mantovani ci lascia tranquilli», spiega Andrisani. Il colosso delle costruzioni, asso pigliatutto con il project financing, ha due supercommesse che vale la pena citare: il Mose di Venezia (da consegnare al consorzio Venezia Nuova entro il 31 dicembre 2016) e la piastra dell’Expo 2015 di Milano: si tratta di un contratto da 165 milioni di euro, la cui importanza è stata sottolineata, mesi fa, dal premier Mario Monti: «Non c’è missione all’estero in cui non sottolineiamo l’importanza dell’adesione ad Expo 2015». Se questo è il quadro, quali ripercussioni ci possono essere per il futuro? «La Mantovani è controllata al 95% dalla famiglia Chiarotto e noi siamo convinti che l’amministratore delegato Baita dovrà rispondere delle sue azioni. Per quanto riguarda il Mose, il Consorzio Venezia Nuova si trasferirà da Campo Santo Stefano all’Arsenale e i 130 dipendenti verranno assegnati ai nuovi uffici», conclude Andrisani. Omero Cazzaro, della Uil padovana, aggiunge che i sindacati hanno chiesto un incontro con la Mantovani per fare il punto della situazione occupazionale: «Non ci sono segnali preoccupanti, vogliamo solo sapere quali provvedimenti verranno adottati nei confronti di Baita nel caso in cui le accuse venissero confermate». Assai diversa la riflessione di Andrea Castagna, segretario della Cgil di Padova, che esprime profonda preoccupazione per un’inchiesta che «dimostra quanto profondo sia il legame tra politica e appalti pubblici. Un paio di settimane fa è esplodo lo scandalo delle commesse degli elicotteri di Finmeccanica in India, e ora anche il Veneto si interroga su una colossale presunta evasione fiscale. Ho sempre espresso contrarietà al projet financing perché, come il nuovo ospedale di Mestre dimostra, si finisce per pagare due-tre volte il costo dell’opera e mi permetto di sollevare forti perplessità sul sottopasso delle Torricelle di Verona: si tratta di un traforo lungo 13 chilometri che verrà a costare 8-900 milioni di euro. Il sindaco di Verona Tosi è stato costretto a rinviare la firma della convenzione del projet con la Mantovani, ma io credo che quell’opera sia dannosa all’ambiente e troppo onerosa. Infine una battuta che gira a Padova: i più soddisfatti dell’inchiesta sono i costruttori edili dell’Ance, che vedono un barlume di speranza per la fine di un monopolio» conclude Castagna.

Albino Salmaso

 

La Minutillo chiede gli arresti domiciliari

L’ex segretaria di Galan ha ammesso che alcune fatture dalla Bmc di Colombelli erano false

VENEZIA – In attesa del riscontro alle dichiarazioni dell’ex segretaria di Giancarlo Galan divenuta manager – dichiarazioni secretate dopo 6 ore di interrogatorio, premessa per un prossimo ampliamento degli indagati – l’avvocato Augenti ha presentato ieri mattina istanza per trasformare la custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari. Dei quattro arrestati, Claudia Minutillo è l’unica ad aver ammesso con il pm Stefano Ancillotto che – sì – si era accorta che alcune delle fatture emesse dalla società sanmarinese Bmc del compagno William Colombelli fossero false. «Si sta consumando, è molto depressa, non mangia da giorni, mai avrebbe sospettato di finire in questa situazione», spiega l’avvocato Augenti, «d’altra parte non ho mai visto nessuno finire in carcere per false fatturazioni, neppure con importi molto maggiori e null’altro le è stato contestato in quest’indagine». Con tutti gli appalti pubblici gestiti dalla Mantovani, c’è tensione nell’aria per possibili nuovi sviluppi investigativi, legati all’utilizzo dei fondi neri per milioni di euro (20 quelli contestati sinora, 10 però prescritti) creati con le false fatturazioni. Piergiorgio Baita – accusato di essere a capo dell’associazione per delinquere finalizzata alla fabbricazione di false fatture e che potrebbe dunque restare agli arresti cautelari per 6 mesi, contro i 3 dei compagni di carcere – punta a trasferire l’inchiesta a Padova e questo chiederanno gli avvocati Longo e Rubini al Riesame. Ma il manager potrebbe non contestare nel merito tutte le accuse. «Stiamo studiando la mole immensa degli incartamenti», spiega l’avvocata Paola Rubini, «certe intercettazioni sono suggestive: Baita è una persona intelligente e si rende conto che ci sono delle problematiche, ma finché non avremo contezza di tutti gli atti non avrebbe senso rispondere alle domande del pm». Suggestiva, ma fuori dalle indagini, la notizia dei video hard dei propri incontri trovati sul computer di Colombelli. «Sono molto stupito che elementi attinenti alla sfera personale più privata siano stati divulgati», commenta l’avvocato Fogliata, «dal momento che non hanno nulla che fare con le indagini». La Procura conferma: nessun legame tra i video e l’inchiesta. Intanto, il pm Stefano Buccini sta approfondendo i controlli sulle false fatturazioni intestate a consulenze e lavori relativi al Mose.

Roberta De Rossi

 

SALVAGUARDIA

A Bruxelles il dossier dei comitati sul Mose

Ci sono anche le registrazioni di Report (Rai3) e molti articoli della Nuova nel dossier inviato ieri alla Commissione petizioni del Parlamento europeo dall’associazione Ambiente Venezia. Luciano Mazzolin e Tiziana Turatello hanno raccolto un voluminoso dossier di documenti e studi. E hanno chiesto al Parlamento europeo di riaprire il dibattito sulla grande opera. Nel dicembre scorso la presidente Erminia Mazzoni aveva comunicato alle associazioni – che hanno raccolto 12.500 firme contro il Mose, depositando la petizione a Bruxelles – che la loro domanda non era stata archiviata. Pratica riaperta, dunque, anche se dall’esposto sono ormai passati più di sei anni. «Ma è l’occasione per valutare quello che è stato fatto», dice Mazzolin. Nel dossier inviato al Parlamento anche la relazione della Corte dei Conti, voluminoso rapporto firmato dal magistrato Mezzera che metteva in luce le anomalie della gestione della salvaguardia negli ultimi vent’anni. Concessione unica, prezzo lievitato (da 1 miliardo e mezzo a 5 miliardi e mezzo, escluse le opere di mitigazione, la gestione e la manutenzione dell’opera), controlli scarsi, conseguenze ambientali. A cominciare dai cantieri di Santa Maria del Mare, aperti in area tutelata e per questo sanzionati dall’Europa. E poi i progetti alternativi non esaminati, le previsioni del rialzo del livello dei mari firmate da Paolo Pirazzoli ignorate. Fino ai dubbi tecnici sul funzionamento delle paratoie in condizioni particolari, contenuti nel rapporto della società di ingegneria francese «Principia», commissionato dal Comune cinque anni fa. «Siamo pronti a rispondere alle domande», dice Mazzolin, «e abbiamo fiducia nell’Europa».(a.v.)

 

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