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POLITICA E AFFARI»LO SCANDALO DELLE FATTURE FALSE

È l’unico coinvolto nell’inchiesta Mantovani ancora in cella e per il manager ora il rischio è di rimanerci fino a due anni

L’avvocato difensore Paola Rubini: «Attendiamo l’udienza davanti alla Cassazione non condividiamo l’attualità dell’esigenza cautelare»

PADOVA – Si apre un nuovo filone d’indagine e, intanto, Piergiorgio Baita, 64 anni, l’ex presidente del consiglio di amministrazione di Mantovani spa, è l’unico fra gli indagati ancora in carcere dal 27 febbraio scorso nell’ambito dell’inchiesta che ha per protagonista la più importante impresa di costruzioni del Veneto. Un carcere – quello di Belluno – dove rischia di restare almeno un anno in detenzione preventiva, periodo destinato a lievitare di un altro anno se, prima della scadenza del termine di custodia cautelare, la procura chiederà il rinvio a giudizio o il giudizio immediato facendo scattare il decorso dei termini fin dal principio. «È quello che prevede la legge perché al mio assistito, fra gli altri, è stato contestato il reato di associazione a delinquere con l’aggravante del primo comma» spiega la penalista Paola Rubini, uno dei difensori che assiste il manager con il collega Piero Longo, in attesa che la Cassazione fissi la data dell’udienza per discutere un alleggerimento se non l’annullamento o la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dal pubblico ministero veneziano Stefano Ancillotto. Nel marzo scorso il tribunale del Riesame aveva già rispedito al mittente la richiesta di scarcerazione, confermando a carico di Baita il rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Diversa la sorte dei co-indagati come Claudia Minutillo (una rapida carriera da segretaria dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan a quella di amministratore della società Adria Investimenti), di William Ambrogio Colombelli, titolare della Bmc Broker di San Marino, sospettata di essere una delle “cartiere” di Mantovani, e dell’ex direttore amministrativo della spa, il ragioniere padovano Nicolò Buson, tutti finiti agli arresti domiciliari dopo un lungo interrogatorio con il pm e la firma di un verbale di parecchie pagine. Nessuna collaborazione o confessione da parte di Baita che, pochi giorni dopo l’arresto, con un semplice tratto di penna si era dimesso da ben 42 incarichi compreso il ruolo di vertice alla Mantovani, spianando la strada a una strategia difensiva che punta a dimostrare come da parte del manager non ci sia nessuna possibilità di inquinare o di orientare gli accertamenti in corso. Conferma l’avvocato Rubini: «Attendiamo la fissazione dell’udienza davanti alla Cassazione. E aspettiamo la pronuncia del giudice di legittimità sull’applicazione della misura restrittiva. Secondo il pm c’è stato un tentativo di inquinare le prove che risalirebbe a diversi mesi fa: la difesa contesta l’attualità dell’esigenza cautelare». Sul merito dell’indagine, nessuna presa di posizione, nemmeno alla luce degli ultimi sviluppi: «Il compendio di conoscenza che ci è stato offerto, con il deposito delle carte messe a disposizione della difesa, non dicono certo tutto». La partita è aperta, mossa dopo mossa. E la prossima settimana i difensori incontreranno Piergiorgio Baita: nella sala-colloqui del carcere di Belluno. Salvo novità.

Cristina Genesin

 

L’indagine punta su Svizzera e Canada

Nuove perquisizioni, sotto la lente transazioni per l’acquisto oltre frontiera di materie prime e servizi

VENEZIA – Il Canada e la Svizzera. È internazionale la nuova frontiera delle indagini della Procura di Venezia, nell’inchiesta che vede ancora in carcere l’ex presidente del colosso edile Mantovani Piergiorgio Baita, accusato – con altri complici ora agli arresti domiciliari – di aver orchestrato un sistema di cartiere, alle quali attribuire false fatturazioni per milioni di euro per servizi mai eseguiti e costituire così fondi neri ed evadere il fisco. Spulciando tra le migliaia di fatture sequestrate negli uffici della Mantovani – e che hanno permesso di scoprire nuove cartiere – i finanzieri del Nucleo tributario si sono imbattuti anche in fatture emesse da una società svizzera (per alcuni servizi intestati alla Mantovani) e da una canadese, sulle quali ora sono stati accesi i riflettori dell’indagine. La società canadese ha ricevuto da Mantovani i pagamenti per 20 milioni di euro in 10 anni, per l’acquisto della pietra per la realizzazione dei fondali del Mose. Pietra comprata in Croazia dall’impresa maggiore azionista del Consorzio Venezia Nuova – concessionario dello Stato per le opere di salvaguardia della laguna – ma pagata a una società con sede legale in Canada: perché andare incontro ad un sovrapprezzo del 10-20% per l’intermediazione, invece di saldare direttamente le cave croate, si sono domandati i finanzieri, coordinati dai pm Ancillotto e Buccini? Il sospetto degli investigatori – da verificare – è che si tratti di un altro modo per creare fondi neri all’estero: in questo caso i beni sarebbero reali (migliaia di tonnellate di pietre), ma pagati con un sovrapprezzo all’azienda canadese, per creare un fondo. Circa un milione all’anno, per 4-5 anni: un sospetto, per ora, che ha portato il 24 aprile i finanzieri del Nucleo tributario padovano a una nuova perquisizione durata 12 ore alla sede della Mantovani, per acquisire dati relativi all’acquisto dei “masegni”. Per rogatoria, la Procura ha chiesto alle autorità canadesi notizie circa la titolarità della società verificare se sia o meno riconducibile alle cave o alla Mantovani stessa. Un altro filone degli accertamenti ha invece preso la via della Svizzera, in questo caso per fatturazioni relative a servizi pagate a una società elvetica: anche in questo caso, il sospetto (da appurare) è che si tratti di un modo per creare un fondo all’estero. Se Baita è in carcere e potrà restarvi per parecchio altro tempo – in quanto accusato di essere a capo dell’associazione – a fine maggio scadranno i termini di custodia per altri protagonisti dell’indagine: William Colombelli, Claudia Minutillo e l’ex direttore di Mantovani Sergio Buson, agli arresti domiciliari perché hanno dato il loro contributo all’inchiesta. Potrebbero tornare liberi o il pm Ancillotto potrebbe chiudere l’inchiesta e chiedere nei prossimi giorni il processo con rito immediato. (r.d.r. – e.f.)

 

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