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VENEZIA – I verbali dell’ex presidente del Consorzio sugli appalti contestati e sulle pressioni delle imprese di Chioggia

Mazzacurati: «Mi chiesero di lasciare quei lavori alle imprese piccole.

Un tentativo a fin di bene, c’era un’ingiustizia. E non ho preso soldi»

«Sono venuti questi chioggiotti e mi hanno chiesto di poter mettere una buona parola, diciamo, in modo che le imprese più… medio grosse, non partecipassero a questo lavoro, lo lasciassero alle imprese più piccole (…) Io non ho preso soldi (…) È stato un tentativo a fin di bene (…) era un modo per fare lavorare (…) per noi è un fatto molto positivo che la gente vada d’accordo, che lavori… si era creata una situazione in cui c’era un’ingiustizia».

L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, ha spiegato così l’intervento messo in atto nella primavera del 2011 per convincere le società Mantovani, Cooperativa San Martino e Nuova Coedmar a non partecipare ad un appalto da 12 milioni di euro per scavi nei canali portuali, in modo da lasciare campo libero ad una cordata di piccole imprese, capeggiate dalla Lmd di Roberto Boscolo Anzoletti. Quell’accordo, ritenuto in violazione della legge, è finito sotto inchiesta per turbativa d’asta e, lo scorso luglio, sono stati disposti gli arresti domiciliari nei confronti di sette persone, tra cui lo stesso Mazzacurati (rimesso in libertà prima di Ferragosto dal gip Alberto Scaramuzza).
Mazzacurati, dimessosi dalla carica di presidente del Consorzio a fine giugno (15 giorni prima dell’arresto), ha accettato di rispondere alle domande del pm Paola Tonini il 25 luglio, alla presenza del suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli: un’interrogatorio durato appena mezz’ora, nel quale ha cercato di ridimensionare l’episodio finito sotto accusa, e di attribuirsi un ruolo di “buon padre di famiglia”, intervenuto per riequilibrare il mercato ed evitare che le piccole imprese potessero fallire a causa della crisi. L’unico interesse era che «ci fosse un circolo di lavoro e di produzione che fosse soddisfacente per queste imprese (…) C’era un forte risentimento perché si andava verso un sistema di lavori più complessi, più sofisticati», ha spiegato, riferendosi ai lavori del Mose che richiedevano in quella fase specifiche professionalità e non consentivano al Consorzio Venezia Nuova di assegnare interventi ai dragatori di Chioggia. «Li conosco tutti da quando sono nato. Quindi loro, trovandosi in difficoltà, cosa che fanno spesso, sono venuti da me per vedere se potevo intervenire… ho chiamato Baita (amministratore della Mantovani, ndr), che mi ha detto che tanto lui non avrebbe concorso».
L’ex presidente ha quindi ammesso di aver convinto il Coveco, la coop. San Martino e Nuova Coedmar a non concorrere. In cambio di cosa? «Niente, avrebbero avuto un po’ di serenità nel clima – ha risposto Mazzacurati – questi lavori erano poca roba nel complesso… in qualche modo avrebbe riequilibrato un po’ le questioni».
In realtà dalle intercettazioni effettuate dalla Guardia di Finanza emerge che le società più grandi accettarono di non partecipare all’appalto portuale in cambio dell’assegnazione di alcuni lavori di refluimento, ovvero di sistemazione delle barene in laguna. E Mazzacurati ha ammesso: «Hanno posto delle condizioni, che in parte sono state…»
L’ex presidente ha anche ammesso di essersi adirato dopo aver scoperto che il Coveco aveva violato il patto presentando un’offerta, come risulta da un colloquio intercettato con l’allora consigliere del Consorzio Venezia Nuova, Pio Savioli («eravamo d’accordo che dovevano astenersi»). E proprio a Savioli diede l’incarico di mandare un dipendente del Consorzio, Giorgio Mainoldi, per convincere l’amministratore del Coveco, Franco Morbiolo, a ritirare l’offerta per lasciare che le piccole imprese di Chioggia riuscissero ad aggiudicarsi tutti i lavori. «L’ordine era partito da me», ha precisato.
Mazzacurati ha assicurato di non aver mai parlato della vicenda con il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Costa, aggiungendo di non essere a conoscenza dell’esito dell’appalto finito sotto accusa. Ha quindi aggiunto di non essersi mai occupato delle 19 precedenti gare per lavori portuali: «Nessuno è venuto a sollecitarmi di intervenire e forse non l’avrei neanche fatto». E ad una domanda del pm Tonini ha riconosciuto: «Capisco che non è stata una mossa ortodossa, però è stata fatta a fin di bene».

Gianluca Amadori

 

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