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Gazzettino – Tecnico del Mose arrestato per mafia

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10

ott

2013

COSA NOSTRA & GLI APPALTI

VENEZIA – L’ombra di Cosa Nostra su un appalto in Sicilia. Nessun collegamento con il Consorzio, ma è polemica in laguna

Manette a Mauro Scaramuzza, ad della Fip, la ditta che realizza le cerniere delle paratoie

COINVOLGIMENTO – Le indagini riguardano il comparto edile e non industriale

INCHIESTA A CATANIA – I Carabinieri arrestano cinque persone, tra loro c’è l’ad di una ditta padovana legata alla Mantovani

I FATTI – Legami con una società “sospetta” per i lavori di una strada in Sicilia

ARRESTATI – Mauro Scaramuzza e Achille Soffiato, concorso esterno ad associazione mafiosa

L’ombra della mafia sul tecnico del Mose

Manette a Mauro Scaramuzza, a capo della Fip, l’impresa che sta realizzando il sistema di ancoraggio ai fondali

Un collegamento diretto tra la mafia e un’impresa padovana amministrata da un mestrino. Ieri mattina i carabinieri di Catania hanno arrestato cinque persone nell’ambito degli appalti sulla “Variante di Caltagirone”. In carcere sono finiti l’ingegnere mestrino Mauro Scaramuzza, 55 anni, amministratore delegato della Fip di Selvazzano (Padova) insieme al responsabile del cantiere l’ingegner padovano Achille Soffiato, di 39 anni. Oltre a loro i carabinieri hanno arrestato anche Gioacchino Francesco La Rocca, 42 anni, figlio del capomafia detenuto “Ciccio”, suo cognato Giampietro Triolo, di 53, e il fratello di quest’ultimo, Gaetano Triolo, di 42.

In città la Fip è un’azienda abbastanza conosciuta, soprattutto perchè è l’aggiudicataria dei lavori di costruzione delle cerniere che “legano” le grandi paratoie mobili che costituiscono il Mose. Al vertice dell’azienda (che non risulta coinvolta dall’inchiesta catanese visto che il problema riguarda solo il comparto edile e non quello industriale, che lavora per il Mose) è Donatella Chiarotto, sorella di Giampaolo, attuale amministratore delegato della Mantovani arrivato al vertice dopo la vicenda giudiziaria che ha interessato Piergiorgio Baita. In passato anche l’ex ministro Altero Matteoli aveva visitato l’industria padovana. E la vicenda della Fip, ben prima dell’inchiesta siciliana, aveva già sollevato più di qualche polemica visto che proprio il tema delle cerniere scelte per il Mose aveva dato vita a diverse critiche. Con tanto di accuse e di improvvise dimissioni.

Dalle indagini dei carabinieri sarebbe emerso che gli arrestati avrebbero frazionato, con la complicità di dipendenti dell’Anas di Catania, i subappalti senza superare la soglia di 154mila euro, limite da cui scatta l’obbligo dei informative e certificati antimafia.

Secondo l’accusa, la Fip, attraverso Soffiato e Scaramuzza, avrebbe affidato lavori in subappalto a società che, dice la Procura, erano controllate dalla “famiglia” La Rocca. I carabinieri stimano che su circa 36milioni di euro in subappalto, un milione sia andato alla ditta, la “To Revive”, che è stata sequestrata assieme alla Edilbeta costruzioni, gestita dal figlio del boss.

Le indagini, avviate già nel 2011, hanno avuto un’impennata negli ultimi tempi e i carabinieri di Venezia hanno fornito un prezioso contributo ai colleghi siciliani. Sono stati fatti appostamenti, osservazioni e verifiche vicino all’abitazione di Scaramuzza, nella zona di via Terraglietto, ma al momento della conclusione dell’indagine l’amministratore non si trovava in terraferma ma in Sicilia dove è stato arrestato.

Gianpaolo Bonzio

 

I TECNICI DEL MAGISTRATO ALLE ACQUE – Quelle dimissioni per i dubbi sulle cerniere

La tecnologia delle cerniere saldate anzichè fuse era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per l’ingegner Lorenzo Fellin, professore dell’Università di Padova e membro esperto del Magistrato alle Acque nel Comitatone. Tanto che a novembre del 2010 Fellin aveva dato le dimissioni.

«Sono consapevole della gravità di questa decisione – scriveva il professore – ma la mia formazione di ricercatore, improntata al dubbio e alla necessità di continue verifiche, mi porta a prese di posizione più riflessive. Per questo sullo specifico argomento, che ritengo in assoluto il più delicato e il più critico dell’intera operazione di salvaguardia della laguna, intendo non essere ulteriormente coinvolto nelle decisioni che verranno assunte».

Fellin era stato nominato come esperto quando il precedente Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva, si era accorta della carenza di competenze specifiche in un consesso che deliberava per centinaia di milioni di euro. E così erano stati invitati anche l’ing. Armando Mammino, esperto dal punto di vista strutturale successivamente liquidato dal Magistrato alle Acque, Patrizio Cuccioletta (e sostituito con il prof. Renato Vitaliani, che vanta anche consulenze sul ponte della Costituzione a Venezia) e l’ing. Mario Paolucci, metallurgo che aveva sollevato in una perizia alcuni dubbi sulla tecnologia adottata.

«Originariamente le cerniere dovevano essere fuse – ricorda Fellin – poi improvvisamente il progetto esecutivo fu cambiato in corso d’opera. E allora si fece una sperimentazione con un prototipo che costò dapprima 6 milioni di euro diventati 7,5 con una variante successiva.

Ma perchè non si è fatta una gara internazionale per stabilire quale fosse la tecnologia migliore da utilizzare, piuttosto che scegliere la Fip Mantovani? All’epoca c’era un’altra ditta concorrente della Fip, la Fracasso di Padova che avrebbe potuto competere. Ma non ne ho saputo più nulla».

Raffaella Vittadello

 

LA VISITA – Il 18 marzo del 2010 l’allora ministro Altero Matteoli, accompagnato dal governatore Giancarlo Galan e da

Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, visitò la Fip.

CERNIERE – Una tecnologia al centro di polemiche

Lo sviluppo sotto la guida dei Chiarotto

I CANTIERI – Nessun commento da parte del Consorzio Venezia Nuova

La F.I.P. srl fu fondata nel 1945 dal Attilio Daciano Colbachini, lo stesso della IVG di Cervarese leader nei tubi in gomma (acquisita nel 1980 da Romeo Chiarotto). Fino al 1962 ha svolto un’attività di carattere commerciale, rivolta alla distribuzione di articoli tecnici destinati all’edilizia, al settore idroelettrico ed autostradale. Nel 1956 entrò a far parte della società proprio Romeo Chiarotto, patron di Mantovani, che si rese promotore di un’azione di rinnovamento. Chiarotto (oggi ottantaquattrenne) perfezionò l’acquisizione della FIP sempre negli anni Ottanta (dell’’87 quella di Mantovani costruzioni). Oggi FIP Industriale spa, sotto la guida di Donatella Chiarotto (48 anni, padovana ma residente a Treviso), ha aumentato la sua espansione verso i mercati esteri ed opera con prodotti e tecnologie all’avanguardia nel campo dell’ingegneria civile, in particolare nei settori delle strade, autostrade, ferrovie, metropolitane, edifici, impianti industriali, dighe, piattaforme petrolifere e strutture portuali.

 

I lavori alle dighe proseguono. Sabato si alza la prima paratoia

Che l’imbarazzo sia palpabile è certo. E tutto sommato è un’altra tegola – almeno di riflesso – sull’immagine del Consorzio Venezia Nuova, proprio quando si stavano calmando le acque della “tempesta” giudiziaria che nei mesi scorsi con il caso Baita che aveva travolto Giovanni Mazzacurati subito dopo le sue dimissioni da presidente dell’ente. Ora arriva l’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Catania, a catapultare il Consorzio nuovamente sulle prime pagine dei giornali. E anche questa volta, più che in passato, bocche cucite, anche se a mezza voce, dalla sede del Consorzio fanno sapere che la “Fip industriale” di Selvazzano Dentro, è solo una delle 50 aziende che operano nei cantieri del Mose. Insomma, una delle tante anche se centrali, ma in questo caso, il Consorzio non c’entra. Tutte questioni siciliane. Tant’è. Di certo, però la Fip Industriale di Selvazzano, è senz’altro uno degli punti centrali – e da tempo – dell’operazione Mose. Ed è infatti, proprio l’azienda padovana guidata da Donatella Chiarotto, sorella di Giampaolo, attuale amministratore delegato dell’azienda Mantovani del “dopo Baita”, ad essere al centro di una delle commesse più importanti per la realizzazione del Mose: la costruzione delle cerniere che “uniscono” – in un gioco malizioso – tra “maschi” e “femmine” le grandi paratoie mobili che serviranno per difendere Venezia dall’acqua alta. E proprio il caso vuole che sabato prossimo, alla presenza del ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi e delle istituzioni che operano in seno al Comitatone per Venezia, sia stata annunciata in una nota congiunta Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova, la “prima movimentazione” delle prime quattro paratoie mobili posizionate alla bocca di porto del Lido. Quasi uno “scherzo” della Provvidenza. Infatti nell’occasione, Magistrato alle Acque e Consorzio faranno il punto della situazione anche sul Mose e sui lavori che si stanno completando. Come più volte ribadito dal Consorzio, anche davanti ad un taglio di circa 100 milioni di euro relativamente all’ultima manovra del Governo per la “copertura dell’Imu”, i lavori alla dighe mobili sono giunti all’80 per cento del suo completamento. Va ricordato infine che proprio nelle scorse settimane, il Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) aveva stanziato circa 970 milioni di euro proprio per avvicinare sempre più il Mose al suo completamento.

Paolo Navarro Dina

 

Beppe Caccia: «Manager chiave per i lavori a Nord e Sud»

L’ATTACCO / «Stop alla prima di sabato»

Caccia: «Un manager al centro delle maggiori commesse pubbliche»

L’affondo è degno di un centravanti. E per farlo, dopo gli arresti compiuti in terra siciliani, usa una metafora efficace.

«Se la ricostruzione della Dda di Catania sarà confermata – butta lì il consigliere Beppe Caccia – l’ingegner Mauro Scaramuzza era davvero un “uomo cerniera” cioè una figura di connessione decisiva tra gli interessi delle cosche mafiose in Sicilia e quelli delle grandi imprese di costruzioni “pulite” del Nord. Che tanto pulite poi non sembrano essere, a conferma del livello di compenetrazione ormai raggiunto, su tutto il territorio nazionale, tra capitali illegali da riciclare e capitali legali da valorizzare».

E su questo Caccia chiarisce: «Scaramuzza non è un manager qualsiasi. Il suo nome ricorre in molti dei più importanti e discussi affari nel campo delle opere pubbliche: dalla ricostruzione dell’Aquila ai lavori in Lombardia per Expo2015, dai rapporti con la Cmc di Ravenna per la Tav in Val Susa fino ai “protocolli antimafia” in appalti chiacchierati».

Insomma, un uomo al centro delle commesse nei lavori pubblici. «Soprattutto – dice Caccia – è un “uomo-cerniera” dal ruolo chiave nel sistema di potere organizzatosi intorno al progetto Mose e al Consorzio. Sua è la responsabilità della realizzazione delle “cerniere” che devono connettere le paratoie delle dighe mobili ai cassoni sui fondali delle bocche di porto. Cerniere sulle cui garanzie di affidabilità e condizioni di sicurezza ho presentato oltre un anno e mezzo fa un’interrogazione che non ha mai ottenuto risposta dal Magistrato alle Acque».

Per questo, Caccia chiedendo la sospensione della presentazione della prima movimentazione delle paratie mobili prevista per sabato, sottolinea come “l’arresto di Scaramuzza proietti l’inquietante ombra di “Cosa nostra” anche sulla concessione unica per le opere di salvaguardia di Venezia».

P.N.D.

 

COSA NOSTRA & GLI APPALTI

IL PRECEDENTE – Scaramuzza e Chiarotto nel 2011 indagati all’Aquila

LA DIFESA – La famiglia Chiarotto ha rilanciato la Fip ora nell’occhio del ciclone

Il capostipite Romeo: «Siamo increduli, avevamo adottato tutte le precauzioni antimafia per quel cantiere in Sicilia»

«Abbiamo sempre rispettato le regole»

LA SEDE – La Fip ha sede a Selvazzano Dentro in provincia di Padova. La famiglia Chiarotto, titolare anche della Mantovani, l’ha rilevata rilanciandone l’attività

«Siamo increduli. Ci sembra impossibile, viste tutte le precauzioni antimafia che abbiamo attivato prima di iniziare i lavori di questo appalto a Caltagirone. Ora è in viaggio verso la Sicilia il nostro avvocato, e speriamo di poter avere anche noi maggiori dettagli sulla vicenda per comprendere meglio che cosa possa essere accaduto».

L’imprenditore Romeo Chiarotto, 82 anni, capostipite della famiglia che negli anni Sessanta ha dato un nuovo impulso all’azienda Fip di Selvazzano avviando il settore industriale, siede accanto alla figlia Donatella. È lei oggi alla guida della Fip Industriale spa, che conta 440 dipendenti. Ieri mattina nella sede principale di Selvazzano, nota anche per aver realizzato le famose cerniere del Mose, le attività si sono svolte nella totale normalità. Di fatto il nuovo caso giudiziario non tocca il settore metalmeccanico della Fip Industriale, ma quello secondario, edile. Un settore che lavora in autonomia, seguito dal suo amministratore delegato, che si occupa della ristrutturazione di viadotti e di realizzare strade come appunto sta avvenendo da due anni a Caltagirone, con la circonvallazione.

«Il nostro lavoro principale è metalmeccanico – ha spiegato Chiarotto – realizziamo giunti di dilatazione e sistemi antisismici. Ma per mettere in opera i giunti abbiamo un nostro settore edile, che è secondario rispetto al metalmeccanico, che però nel tempo è diventato importante. In questi momenti di difficoltà per il settore si cerca di lavorare dove ci sono opere da realizzare e dove ci sono i soldi. Siamo andati a lavorare in Sicilia con questo appalto per costruire la circonvallazione di Caltagirone».

Un appalto che la Fip ha ottenuto assieme ad altre due aziende siciliane che rappresentando solo il 10% dell’incarico, mentre l’azienda di Selvazzano ne è la capofila. Un appalto da 100 milioni di euro, giunto al 70% della realizzazione e che dovrebbe concludersi entro un anno. Opera finanziata con i Fondi Europei e dall’Anas. Incarico che, come ha spiegato Chiarotto, è stato preceduto da un protocollo di legalità approvato dal ministero del Lavoro, dalla prefettura di Catania e dalla Dia: «Siamo inceduli, abbiamo adottato tutte le precauzioni».

«Il cantiere non è stato bloccato – ha precisato la figlia Donatella – si continua a lavorare. Ora attendiamo di avere maggiori chiarimenti dal nostro avvocato».

Nel gennaio del 2011 l’azienda di Selvazzano venne coinvolta nell’inchiesta riguardante gli isolatori sismici utilizzati a L’Aquila per il progetto C.a.s.e. per la costruzione di 4.500 alloggi dove si ospitavano circa quindicimila persone. Fra gli indagati dalla Procura della Repubblica dell’Aquila anche Donatella Chiarotto e Mauro Scaramuzza.

 

L’ACCUSA – Il Pm chiederà misure più dure

ROMEO CHIAROTTO «Tutto controllatissimo, impossibile lavorare così»

(M. G.) «Andiamo al Sud perché lì per fare le strade ci sono i finanziamenti europei, ma per noi è un’anomalia. Comunque vogliamo essere in regola. Lo sa che ogni giorno controlliamo tutte le 150 persone del cantiere e se ce n’è uno di diverso chiamiamo i carabinieri?». Romeo Chiarotto, 84 anni è il presidente di Serenissimna holding spa, la società “madre” della Fip di Selvazzano presieduta dalla figlia Donatella. «Abbiamo chiesto la documentazione dell’antimafia alla Prefettura di Catania per la “To Revive”. Dopo 75 giorni non ci hanno dato risposta e per il silenzio-assenso siamo andati avanti affidando loro un appalto da un milione. Passa un anno e, sei mesi fa, la Prefettura ci dice che non sono a posto con l’antimafia. Li abbiamo messi alla porta senza finire di pagarli e loro ci hanno pure fatto causa. L’altra, la Edilbeta, il certificato ce l’aveva. Ora mi dica lei come si può lavorare? Avevamo firmato un patto di legalità con la Prefettura, più di così…».

 

VENEZIA – Il Consorzio tace . Gli ambientalisti no: «Stop alla “prima”»

VENEZIA – Da una parte il Consorzio Venezia Nuova che si trincera dietro ad un “silenzio imbarazzato” pur sottolineando che la Fip Industriale di Selvazzano Dentro, è solo una delle aziende che operano per la realizzazione del Mose; dall’altra il mondo ambientalista che si scatena come il consigliere comunale, Beppe Caccia che, fuor di metafora, parla dell’amministratore delgato della Fip, Mauro Scaramuzza, come dell’«uomo cerniera» tra gli interessi delle cosche mafiose in Sicilia e le grandi imprese del Nord. Nel mezzo, le notizie provenienti da Catania, con relative polemiche che – manco a farlo apposta – arrivano a pochi giorni dall’incontro organizzato dal Consorzio Venezia Nuova per la “prima movimentazione” di quattro paratoie mobili (quelle stesse costruite dalla Fip Industriale di Selvazzano, ora al centro dell’inchiesta siciliana) alla bocca di porto del Lido. Un incontro non proprio sottotono visto che Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova, l’ente concessionario per le opere del Mose, hanno organizzato per sabato prossimo la visita del ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi e delle istituzioni che siedono nel Comitatone.

Beppe Caccia, consigliere comunale ambientalista, dopo aver chiesto la sospensione dell’incontro, ha tuonato: «Scaramuzza non è un manager qualsiasi. È l’amministratore delegato della Fip di Selvazzano Dentro, una società controllata dalla Mantovani SpA della famiglia Chiarotto. E il suo nome ricorre in molti dei più importanti affari degli ultimi anni nel campo delle opere pubbliche: dalla ricostruzione dell’Aquila ai lavori in Lombardia per Expo2015, dai rapporti con la CMC di Ravenna per le opere della Tav in Val Susa fino alla sottoscrizione di “protocolli antimafia” in appalti chiacchierati».

 

IL CASO – Appalti in Sicilia, per la procura di Catania l’imprenditore avrebbe favorito l’infiltrazione dei clan

Mafia, in manette l’uomo delle “cerniere”

Arrestato Scaramuzza, l’ad della padovana Fip, che ha realizzato uno dei lavori più importanti del Mose.

Avrebbero frazionato, con la complicità di alcuni dipendenti dell’Anas di Catania, i subappalti senza superare la soglia di 154mila euro, limite da cui scatta l’obbligo di informative e certificati antimafia. In questo modo alcune aziende sospettate di collegamenti con la mafia, ed impegnate nella “Variante di Caltagirone” che interessa 8,7 chilometri con un finanziamento di poco meno di 112 milioni di euro, sarebbero state favorite.

Si conclude con 5 arresti l’inchiesta dei carabinieri di Catania sugli appalti che è penetrata anche in Veneto. In carcere sono infatti finiti l’amministratore delegato della Fip industriale di Selvazzano (Padova), Mauro Scaramuzza, mestrino di 55 anni, il responsabile del cantiere l’ingegnere padovano Achille Soffiato, di 39 anni, Gioacchino Francesco La Rocca, 42 anni, figlio del capomafia detenuto “Ciccio”, suo cognato Giampietro Triolo, di 53, e il fratello di quest’ultimo, Gaetano Triolo, di 42. L’azienda padovana è molto conosciuta in laguna per aver ha realizzato le cerniere del sistema Mose che mira alla difesa di Venezia dalle acque alte.

La Fip, secondo la Procura, attraverso Soffiato e Scaramuzza avrebbe favorito e affidato lavori in subappalto alle ditte “To Revive” e “Edilbeta costruzioni” che sarebbero controllate dal clan La Rocca, in particolare da Gioacchino Francesco La Rocca. Stando a quanto accertato dalla Dda etnea, il danno arrecato alla Stato sarebbe consistente, visto che su 36 milioni di subappalti oltre un milione sarebbe finito alla “To Revive” di La Rocca. Secondo i carabinieri di Catania, inoltre, i protagonisti della Fip avrebbero dimostrato di essere consapevoli dello stratagemma per consentire a queste società di entrare nella spartizione di consistenti subappalti. Il tutto probabilmente al fine di non aver problemi nell’avanzamento del cantiere.

Dall’indagine è poi emerso che il meccanismo coinvolgeva anche tre dipendenti dell’Anas, per i quali le Procure di Caltagirone e Catania avevano chiesto un provvedimento cautelare, ma che il gip non ha concesso perché ha riconosciuto l’ipotesi di abuso d’ufficio, ma non l’aggravante dell’avere favorito l’associazione mafiosa.
L’indagine della Procura (che accusa gli arrestati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni al fine di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale e concorso esterno in associazione mafiosa) era partita da un controllo su un’associazione temporanea di imprese. Da qui sono scattate alcune intercettazioni telefoniche, pedinamenti e riprese video in particolare nei confronti della EdilBeta. Anche i carabinieri di Venezia hanno fornito un aiuto consistente con appostamenti ed osservazioni nelle immediate vicinanze dell’abitazione di Scaramuzza.

Gianpaolo Bonzio

 

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