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Lupi annuncia: vogliamo rispettare il decreto.

Polemica sulla scogliera di sette chilometri che il Porto vuole a lato del canale dei Petroli.

Italia Nostra: proposta scioccante, basta scavare canali in laguna

«C’è una legge che vieta il passaggio delle grandi navi davanti a San Marco e il governo intende applicarla. Spero che gli enti locali si mettano d’accordo sulla soluzione alternativa. In caso contrario, decideremo e ci prenderemo la nostra responsabilità».

Il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi annuncia: «La prossima settimana convocheremo la riunione saltata qualche giorno fa per la minaccia della crisi. Ed entro ottobre prenderemo una decisione».

Si avvicina dunque il momento delle scelte per le alternative alle grandi navi in laguna. E le polemiche sono sempre più calde. L’Autorità portuale e il Magistrato alle Acque hanno presentato alla Salvaguardia il progetto per la «protezione del canale Malamocco Marghera». Proposta elaborata dal Consorzio Venezia Nuova e dalla società Hydrostudio-Rinaldo srl. Sono previsti sette chilometri e mezzo di nuove scogliere con una larghezza di 26 metri. E anche «barene traslate» che dovrebbero essere costruite con 5 milioni e 600 mila metri cubi di fanghi, probabilmente scavati dal nuovo canale Contorta Sant’Angelo. Il progetto alternativo del Porto dunque muove i primi passi operativi. Anche se il ministero non ha deciso e il Comune è contrario e propone la nuova Marittima a Marghera.

«Il Contorta? Un progetto scioccante», lo definisce Lidia Fersuoch, presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, «fatto da chi pensa che Venezia sia solo un anello indistinto di acque dove scavare a piacimento profondi canali industriali». Una scelta che secondo Italia Nostra contrasta con le normative vigenti.

Scogliere in laguna. Come si è fatto per il Mose, per le difese fatte dal Consorzio Venezia Nuova alle isole minori come il Lazzaretto Nuovo. Ieri mattina intanto all’Istituto veneto di Scienze, Lettere e Arti intenso dibattito sulle alternative per le navi da crociera. Il presidente Costa ha rilanciato la sua ipotesi («Unico progetto sul tappeto fattibile in tempi brevi», insiste, «che avrebbe anche una valenza ambientale»). Contestato da Andreina Zitelli (e Stefano Boato (Iuav), dal comitato No Grandi Navi.

«Paolo Costa ha svelato finalmente il suo obiettivo», dice il portavoce Silvio Testa, «la divisione in due della laguna con scogliere lunghe chilometri. Altro che riequilibrio ambientale. Se si vogliono salvare davvero la laguna, la portualità e il lavoro le grandi navi devono restare fuori, come suggerisce l’ingegnere Luigi D’Alpaos».

Si è parlato anche della convenienza economica delle crociere. «Non portano vantaggi alla città, i costi sono superiori», ha detto l’economista Giuseppe Tattara.

Alberto Vitucci

 

PUNTURINE

Venezia città a rischio, ora lo sanno anche gli americani

Doveva accadere che qualcuno, prima o poi, se ne accorgesse anche lontano dalla laguna. E scoprisse, con raccapriccio, che Venezia non è più il posto delle favole. Che ha cessato di essere l’ottava meraviglia del mondo, quel luogo magico che galleggia sulle acque come per incanto, dove tutti gli abitanti della terra, giovani e vecchi, sognano di andare almeno una volta nella vita. No, adesso Venezia è una città a rischio. A rischio di disastro e di scomparsa. E condivide questo triste destino, la città che fu Serenissima, con altri 66 siti storici e archeologici di quarantuno Paesi del mondo. Non più morte “a” Venezia, ma morte “di” Venezia. L’hanno scoperto e decretato, con tanto di carte intestate e di timbri ufficiali, gli americani. Gente che notoriamente ama Venezia ed è sensibile ai sui problemi. Fin da quando, una cinquantina di anni fa, tirato per la manica dell’impermeabile candido, modello Bogart in Casablanca, dalla contessa “rossa” Teresa Foscari Foscolo, uno dei Kennedy, Ted, ciuffo al vento e camminata da star, piombò commosso sui murazzi devastati dall’alluvione per rendersi conto dei danni e promettere aiuti a stelle e strisce. L’allarme rosso, lanciato a livello mondiale, arriva adesso da New York, dove Bonnie Burham, presidente del World Monuments Fund, ha annunciato, con la necessaria voce di circostanza, che la città dei Dogi è stata inserita tra i sessantasette siti mondiali più a rischio, per l’impatto devastante del turismo (25 milioni di visitatori l’anno, in continua crescita), e per il pericolo rappresentato dal passaggio delle grandi navi nel bacino di San Marco. Che non è propriamente una menzione di merito, e nemmeno una medaglia. Secondo gli americani del WMF, quello della città lagunare è un “drammatico esempio” di un modello economico di sviluppo legato al turismo, che rischia di distruggere la città e il suo patrimonio storico, artistico e culturale. Non fosse che hanno scoperto l’acqua calda, attività in cui molti americani abitualmente eccellono, e che l’hanno scoperta con un bel po’ di anni di ritardo, è tutto drammaticamente vero: a Venezia tutto è drammaticamente a rischio. A cominciare dalla protezione della città dalle alluvioni: a quarantasette anni dalla tragica “acqua granda” del 1966, il grande sistema di barriere mobili che dovrebbe difendere la città, non è ancora in funzione. Bene dunque che finalmente anche gli americani si rendano conto del rischio. Bene che tramite loro se ne accorga (forse) anche il resto del mondo. Resta da domandarsi se l’inserimento di Venezia tra i siti mondiali più a rischio, che dovrebbe fungere da stimolo ai governanti, servirà a qualcosa. Se risolverà il problema. Probabilmente no. Passato lo choc, e l’inevitabile buriana di polemiche, tornerà a soffiare lo scirocco, e non succederà assolutamente nulla. Come non è successo nulla dal dopoguerra, salvo l’affermarsi incontrollato e ingovernato della monocultura turistica, l’esodo della popolazione, il calo del numero degli abitanti, l’aumento vertiginoso delle presenze turistiche, e il cambio dei connotati del tessuto urbano, con lo spuntare di negozi di maschere e fast food al posto del panettiere, del lattaio e di tutti quegli esercizi commerciali che scandiscono i ritmi di una vita normale in una città normale. Ma Venezia non è più una città “normale”. Un raffinato analista come Giuliano Segre, presidente della Fondazione di Venezia, ha detto recentemente ad un convegno che i 25 milioni di turisti sono destinati a diventare, in non moltissimi anni, 50 milioni. Non potendo sparare loro addosso come leprotti, bisognerebbe trovare i modi per governare questi enormi flussi. Ma servirebbero governanti all’altezza.

Roberto Bianchin

r.bianchin@repubblica.it

 

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