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Crisi sempre più pesante anche nel Miranese. I sindaci presi d’assalto ogni giorno da persone che si ritrovano senza lavoro

MIRANO – Il termometro della crisi lo tengono in mano i sindaci. Loro per primi toccano con mano ogni giorno le richieste di aiuto che, ormai a migliaia, arrivano da tutte la parti del Miranese.

Non si contano più i curriculum sulle loro scrivanie, le telefonate e le visite passate dalle rispettive segreterie. La “febbre da crisi” è cresciuta sempre più in questi anni, specie dal 2011; se prima a bussare alla loro porta c’erano gli stranieri, ora il numero di italiani è cresciuto in modo sensibile, diventando addirittura maggioritario.

E c’è chi governa una città del Miranese che di notte neppure riesce a dormire. Lui è Silvano Checchin, dal 2009 sindaco di Spinea, che, senza tanti giri di parole, spiega come questa situazione si sia fatta allarmante.

«Sono sincero», commenta, «quando dico che non riesco più a starci dietro, sta diventando una cosa impossibile, una fatica psicologica non da poco. Se quando ho iniziato le richieste erano divise tra italiani e stranieri, oggi la netta maggioranza è di connazionali. Eppure mettiamo soldi per i contributi, spendiamo fondi per i contributi. Qui la Regione è in ritardo, perché abbiamo ricevuto il corrispettivo fino al 2010. Mi complimento con il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, per la proposta di aprire nove chiese a scopi caritativi per i più poveri: anche noi dovremmo dare delle risposte».

Che la situazione sia cambiata, se ne accorge pure Mirano, con la giunta insediata da un anno e mezzo. «Eppure le richieste sono raddoppiate», aggiunge l’assessore al sociale, Annamaria Tomaello, «e, anzi, posso dire che il quadro si è capovolto rispetto a poco tempo. Qui si parla che stiamo uscendo dalla crisi, invece non vediamo spiragli. Le istanze sono soprattutto di italiani, con coppie che si trovano senza impiego da un giorno all’altro e non riescono ad arrivare a fine mese. Così si rivolgono a noi per l’affitto, le bollette, l’Imu, anche se noi mettiamo a disposizione delle borse spesa e dei buoni pasto. La mia proposta è ridurre gli sprechi: perché, a fine giornata, i negozi e i supermercati non mettono a disposizione avanzi di pollo, code di prosciutto, e via dicendo, a una cifra simbolica?».

Anche nell’ufficio di Michele Celeghin di Noale il viavai di persone è costante. «La cosa grave», sottolinea, «è che mi chiedono soldi per comperare il pane o avere vestiti: ci sono persone che si vergognano di rivolgersi alla Caritas. Il target è vario: si va dai giovani agli adulti, ma tanti tra i 50 e i 60 anni. Credo sia giunto il momento di razionalizzare le spese tra i Comuni e trovare una via di uscita anche con le associazioni: far lavorare i disoccupati nei campi, così da produrre ortaggi e allevare animali da cortile. Così si porterebbero a casa qualcosa. Non sarebbe carità, ma impegnare le persone».

Sulla scrivania di Giovanni Battista Mestriner (sindaco di Scorzè) ci sono cento curriculum. «Tanti gli italiani», fa presente, «e in quattro anni e mezzo di mandato, il quadro si è fatto preoccupante. Ma non ne usciamo finché non si abbassano le tasse e le spese dello Stato. Basta mettere altre imposte sul lavoro».

Alessandro Ragazzo

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