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400 dipendenti, 22 partecipate, 17 aziende sperimentali e un buco di 5,5 milioni

Persino i revisori dei conti gettano la spugna e la Regione manda il commissario 

Nessuno mette in dubbio l’utilità dei 450 mila euro investiti per la valorizzazione del canneto Bonello Bacucco di Porto Viro (peraltro bellissimo) né i 164 mila spesi per uno studio sulla «wind energy off shore» (l’energia eolica in alto mare). Né vorremmo essere accusati di criticare i 62 mila euro spesi la progettazione di sistemi di pretrattamento delle deiezioni cunicole (le cacche dei conigli) a fini energetici. E mai ci sogneremmo di obiettare che lo studio per la valorizzazione commerciale del pesce azzurro dell’Adriatico (45 mila) poteva farlo qualcun altro. Come del resto la realizzazione di fasce tampone forestali lungo il Passante di Mestre (200 mila euro: perché non paga la Cav?). Per lo stesso motivo sono utili iniziative la produzione pilota di vermi marini da esca, la selezione di lieviti autoctoni per il Lison, lo studio sulla domanda di legna da ardere nel Veneto (17 mila euro), l’analisi dei farmers market veneti (8 mila), lo studio sulla difesa del mais senza danneggiare le api (20 mila), la produzione sperimentale dello scazzone della Valdastico (15 mila). Sembrano davvero uscite da persone che ne intendono.

Abbiamo un solo, piccolo dubbio: servivano proprio 1.538 euro per «l’apertura e gestione del profilo istituzionale you tube e facebook» quando, per dire, l’ufficio stampa è composto da un dirigente e tre impiegati?

E poi, per dirla tutta, perché la manutenzione delle piante verdi degli uffici di Agripolis costa a un’azienda che si occupa di agricoltura 11 mila euro l’anno? Avranno forse chiamato un’impresa di giardinaggio?

Benvenuti a Veneto Agricoltura, l’Azienda regionale per i settori agricolo, forestale e agroalimentare: diciassette sedi, 47 milioni di euro di bilancio, quasi quattrocento dipendenti e una pletora di società partecipate, centri e aziende strumentali. Si va dalla preziosa Intermizoo, il laboratorio per la sperimentazione delle razze taurine, alla Corte benedettina che fa ristorazione e catering. E poi 22 partecipazioni e 17 centri e aziende agricole.

Per «disboscare» questa architettura, che negli anni è diventato un feudo opaco della Lega Nord, il governatore Luca Zaia lo scorso giugno ha nominato un commissario: il dirigente regionale Giuseppe Nezzo, che già lo aveva accompagnato al Ministero dell’Agricoltura. La politica, più lesta di una volpe (a proposito: a quando uno studio sull’argomento?) si è riciclata nei consigli di amministrazione delle partecipate.

Così i leghisti Paolo Pizzolato, fino a giugno amministratore unico, e Giorgio Bonet, direttore generale (è andato in pensione ma si è fatto dare una consulenza), si sono parcheggiati nei consigli di amministrazione delle partecipate.

«Un sistema di porte girevoli» ha denunciato il consigliere regionale Diego Bottacin. Che addirittura svela come quattro giorni prima del commissariamento, Pizzolato abbia trovato un posto – nel cda di Intermizooal suo predecessore Corrado Callegari, ex parlamentare della Lega.

Insomma, la Lega ha davvero occupato praticamente tutti i posti, suscitando l’evidente imbarazzo dell’alleato Pdl.

Un’occupazione che è parsa esagerata persino allo stesso assessore Franco Manzato, che dopo aver respinto un paio di blitz (l’assunzione di 65 nuovi dipendenti e due dirigenti), ha convinto Zaia a mandare un commissario vero, non pescato dalla politica.

Nezzo si è già messo le mani nei capelli: la situazione è peggio di quel che ci si aspettava.

Solo le diciassette aziende agricole e centri di Veneto Agricoltura perdono – bilancio 2011 – ben 5,5 milioni di euro (nel 2010 erano in perdita per 6,3 milioni). E nelle 22 società partecipate (dalla Cantina sociale di Premaore a quella del Terraglio, dall’Ente fiera Verona alla Nuova Pramaggiore srl) è bloccato patrimonio per 1,8 milioni di euro.

Se ne è reso conto anche il Collegio dei revisori, che rileva come «l’assenza nel bilancio finanziario degli ammortamenti non consente di rendere intelleggibile il grado e l’entità della perdita di valore dei beni strumentali utilizzati dall’Ente e dai suoi Centri e Aziende». Praticamente, come viaggiare a fari spenti nella nebbia.

Insomma, Veneto Agricoltura appare davvero – a quasi vent’anni dalla sua felice intuizione – come un «bancomat della politica» verde padana. Ed è un peccato, perché dentro la struttura ci sono le professionalità, la cultura e la competenza per fare bene semplicemente quello per cui era nata: sperimentazione e ricerca. E Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno, per aiutare l’agricoltura del Veneto a vivere senza i sussidi europei.

Daniele Ferrazza

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