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regione e territorio » L’insidia

La nuova norma risponde alla crisi dell’edilizia, non ad esigenze di pianificazione

E un’applicazione massiccia nelle città potrebbe metterne a rischio l’identità

BEPI CONTIN

Sarà certo con negli occhi le immagini che arrivano dalla Sardegna che la Giunta regionale veneta si appresta ad approvare il nuovo Piano casa 3, e sarà dopo il lutto nazionale e il minuto di silenzio che valuterà un ulteriore scioglimento di “lacci e laccioli” che nel corso di questi quattro anni avrebbero frenato l’applicazione dei precedenti Piani 1 e 2 accompagnati, per alcuni, da successo – 62.000 pratiche e 2,5 miliardi di giro d’affari – mentre, per altri, si è trattato di un vero e proprio flop (di media 26 pratiche all’anno nei 581 comuni veneti).

Che il nuovo piano risponda a una sostanziale emergenza provocata dall’attuale situazione del comparto edile, lo dice lo stesso provvedimento limitandone la durata a cinque anni così ammettendo implicitamente che non possa durare a lungo, diventare strutturale. Si teme il suo stesso potenziale destabilizzante che va sì nella direzione auspicata da aziende e imprese, ma anche a confliggere con altri comparti di ordine ambientale, estetico, caratteristico e culturale poiché vi rientrano i centri storici interessando edifici non vincolati dalla Soprintendenza, i quali, come si sa, sono la stragrande maggioranza – Padova ad esempio ne conta poche centinaia a fronte di decine di migliaia. Andiamo per punti.

Uno. La convinzione è che derogando, liberando l’attività edilizia da quanto previsto da regolamenti comunali e Lr 11/2004, si possa dare un nuovo impulso all’economia: si ipotizza così che la colpa sia delle troppe regole; sarà dunque colpa delle troppe regole in vigore e che fino ad ora hanno disciplinato il costruire che l’edilizia soffre? Niente affatto. L’urbanistica nasce ai primi dell’Ottocento a causa dell’“urbanesimo”, del trasferimento di popolazione dalle campagne alla città, in città che erano già malandate per conto loro – si veda il David Copperfield di Dickens –. Senza regole le città si erano via via configurate come veri e propri campi urbani dove le persone non potevano che vivere come animali se non peggio. Con le regole le città hanno predisposto un atteggiamento che nella nostra regione ha ancora un che di eccezionale, di “fenomenale”: la pianificazione. La pianificazione è quell’insieme di progetti che disciplina gli insediamenti nella loro distribuzione/collocazione nel tempo futuro, nella morfologia e tipologia in rapporto con ambiente storia e paesaggio. Regole di convivenza territoriale resa possibile dalla consapevolezza che siano necessarie non per solo loro stesse, alla parte politico-ideologica che le esprime, bensì ai cittadini che come abbiamo visto in più occasioni vivono le conseguenze del cattivo progetto come della sua mancanza e pagano il conto a volte con la vita.

Due. La Crisi. Proprio la vigente disciplina urbanistica ora accusata di “frenare” ha invece in questi anni consentito al Veneto di essere in testa alle regioni con maggior costruito e consumo di suolo, se ne è consumata una superficie pari all’intera provincia di Vicenza: la stessa regione, per bocca del suo presidente, ha lanciato l’allarme (anche se non ha ancora tirato il freno). Dunque le regole hanno favorito e non ostacolato ed allora che si va cercando? Non è che questo piano sia una forma di accanimento terapeutico e che l’ammalato oramai possa guarire non ingrassando ulteriormente ma solo dimagrendo; non sarà che l’edilizia sia giunta a un punto di non ritorno e che questa crisi non sia superabile come le precedenti solo aspettando congiunture migliori? I dati Ance dal ’99 al 2012 ci dicono che confrontando Germania, Italia e Spagna nel rapporto fra Pil e investimenti in edilizia abbiamo nella prima un progressivo staccarsi verso l’alto del Pil, nella seconda, l’Italia, un andamento parallelo alla crescita, mentre per la Spagna è ben maggiore l’investimento in edilizia; come dire che se vogliamo stare coi paesi più competitivi siamo fin troppo legati al mattone rispetto al manifatturiero e al turismo.

Tre. Centri storici. Un’applicazione massiccia del Piano con aumento dell’80% della cubatura – ma c’è chi giura che si possa arrivare al 130% – sulle prime rimanda a un tormentone del Drive In (che non è il “troppo giusto” bensì “ammè me pare ‘na strunzat’”) di trent’anni fa, e poi a una probabile confusione con “centro abitato”. Un centro storico è un centro abitato con alcune prerogative: secondo la Treccani esso è «forma e contenuto di un luogo caratterizzato da una spiccata identità». E ciò vale sia nel tempo che nello spazio, vi rientrano sia agglomerati rurali di pianura come quelli di montagna oltre che i grandi e medi centri urbani; ma, è bene dire, indipendentemente dalla loro dimensione: il centro di Canale d’Agordo, passando per Piove di Sacco fino a Marostica o Venezia, sono tutti “centri storici”. Diverso è il centro abitato: Marghera è centro abitato ma non ancora storico; l’Arcella è centro abitato ma non ancora storico come molte periferie. La “spiccata identità”, a cui fa riferimento la Treccani per stabilire chi è chi non è, si basa sulla memoria, sull’associazione di quel che Umberto Eco chiama “codice” (“La struttura assente”, Bompiani) che con interventi di ampliamento si andrebbe modificando e Padova non sarebbe più Padova, come del resto Venezia non più Venezia e Agordo non più Agordo. E questo è francamente intollerabile e forse il partenopeo tormentone del Drive In non basta a manifestare neanche una parte dell’indignazione.

Quattro. La questione energetica. I centri abitati costruiti negli anni Cinquanta sono fuori mercato per questione di dispersione ed efficienza energetica. Serve un adeguamento. Giusto: è la grande questione della “rigenerazione urbana” a cui sono dedicate ricerche un poco da tutti poiché tutti riconoscono alcune questioni oramai non più tali: la città si dovrà ricostruire su se stessa. E su questo il Piano interviene e lo fa consentendo un aumento di cubatura che serve per incrementare le potenzialità d’insediamento urbano verso l’alto ovvero senza occupare nuova superficie se non proprio aumentare la dotazione di verde. E qui allora s’ha da fare chiarezza: se il tutto serve per aumentare sì la cubatura ma anche liberare superfici a verde siamo sulla strada giusta. Rimane aperta la questione della “rottamazione della città”.

Cinque. La rottamazione delle città. Con la filosofia di questo nuovo Piano la “rigenerazione urbana” verrebbe lasciata al singolo caso, edificio-edifico/lotto-lotto, in una trasformazione dal basso che è il contrario della pianificazione: processo che mette le questioni in modo tale che siano città e suo territorio a essere via via progettati e normati a scala territoriale (come del resto prevede la legge regionale in vigore). Una rottamazione delle città dal basso si scontra con l’infrastrutturazione viaria anch’essa del tutto obsoleta, oramai inadeguata, tanto quanto gli stessi singoli edifici: non sarà possibile produrre una rigenerazione se non si considererà il carico di funzionalità dei comparti urbani della mobilità, che per il gonfiarsi di cubatura finirebbero per soffocare ulteriormente il tessuto urbano. Dar colpa della crisi dell’edilizia alle regole è uno scaricabarile che non giova agli stessi interessati. La pianificazione deve impegnare chi progetta e propone quanto chi è chiamato ad operare nel rispetto delle regole, che non sono “lacci e laccioli” bensì sbarramenti alle pressioni di una crescita che tende all’interesse immediato ma non a quello di lungo termine.

Le regole casomai non bastano visti i disastri che si verificano anche da noi: ci mancherebbe che le togliessimo e il risultato non potrà che essere lo stesso della Sardegna con l’aggravante di non aver imparato la lezione. A Terralba, uno dei paesi coinvolti, il 15 giugno un comitato locale aveva impiccato decine di fantocci per opporsi «con fermezza al piano delle fasce fluviali previsto dalla Regione e ai vincoli idrogeologici che limitano lo sviluppo del territorio». Ci ha pensato la natura a crearle, le fasce di rispetto a fiumi e canali, e a limitare lo sviluppo. A modo suo.

 

Siamo i più cementificati dopo la Lombardia

La Cgil: «In Veneto quasi centomila appartamenti invenduti e Zaia aveva promesso zero cemento»

MESTRE – 164 milioni di metri cubi di fabbricati non residenziali costruiti fra il 2002 e il 2010; altri 150 milioni di metri cubi di residenziale realizzati dal 2000 al 2010; oltre 380mila ettari di terreno agricolo (27% del totale) sacrificato all’urbanizzazione.

Il Veneto, con i suoi 11 metri quadrati di costruzioni ogni 100, è la regione più cementificata d’Italia dopo la Lombardia. Per questo motivo, «ci opponiamo al piano casa così come proposto nella nuova versione che rischia di occupare altro suolo per realizzare ancora abitazioni in un territorio che si ritrova con 97 mila appartamenti invenduti».

Emilio Viafora, segretario generale della Cgil del Veneto, lancia il suo grido d’allarme e attacca la Giunta regionale e Luca Zaia.

«Qualche settimana fa» ricorda Viafora «il presidente ha affermato che il futuro del nostro territorio sta nel saldo zero di cemento. Vuoi costruire? Devi recuperare sul mercato i metri cubi che ti servono. Parole sacrosante, da sottoscrivere. Peccato che la Regione agisca in modo totalmente opposto».

Il rappresentante sindacale punta sì il dito contro il nuovo piano casa, ma ricorda anche altri “pericolosi” provvedimenti. Primo fra tutti, l’articolo 38 delle norme tecniche contenute nella Pianificazione territoriale.

«La nuova norma» sottolinea il segretario sindacale «dice che le aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alle superstrade a alle stazioni della metropolitana di superficie per un raggio di 2 chilometri dalla barriera stradale, sono strategiche e da pianificare sulla base di appositi progetti regionali.

In pratica, si conferisce un potere programmatico pressoché esclusivo alla Giunta Regionale in un’area la cui somma ammonta a 3.162 metri quadrati e sulla quale si vuole gettare ancora cemento.

Anche per il piano casa si vogliono lasciare pieni poteri solo a palazzo Balbi, alla faccia del decentramento amministrativo».

Viafora contesta le troppe opere in programma, «inattuabili, dato che valgono 16miliardi di euro e quei soldi non ci sono».

E incalza la Regione affinché l’occupazione e gli investimenti vengano rilanciati tramite le ristrutturazioni e i recuperi degli immobili, nonché con la messa in sicurezza del territorio. Il piano casa può essere utile (ma mai quanto gli incentivi statali), ma solo se mantiene le caratteristiche della seconda versione.

«Il nuovo piano prevede una valenza troppo lunga» conclude il segretario Cgil «in più le misure contenute consentono ampliamenti abnormi che non rispondono alle finalità previste dalla legge.

I Comuni, poi, vengono espropriati della loro potestà programmatica e la nuova norma entra in conflitto con i Pat definiti dagli enti locali.

Infine, le misure premiali previste per le aree degradate favoriscono la nascita di nuovi capannoni e di edifici a uso commerciale e questo è in contrasto con la legge sul commercio appena approvata».

(g.cod.)

 

A VENEZIA

Domani corteo promosso da Legambiente: «No alla marea di asfalto prevista in Veneto»

Domani dalle 14 fino al tramonto Venezia accoglierà una moltitudine di associazioni, comitati, forze sindacali e cittadini veneti, che uniti in un corteo sfileranno per le calli della città, «per chiedere con forza uno stop al consumo di suolo sfrenato – come dice una nota di Legambiente Veneto – per bloccare la pioggia di asfalto e di grandi opere previste nella nostra regione».

Legambiente, tra i promotori della manifestazione, ha aderito grazie all’impegno dei suoi 39 circoli sparsi per il Veneto.

«Non possiamo fare a meno – afferma Legambiente – di rivolgere un particolare ringraziamento per don Albino Bizzotto, fondatore dei Beati i Costruttori di Pace, che durante lo scorso mese di agosto ha denunciato, con il suo digiuno per l’ambiente, la forma di lotta più pacifica ma anche più vibrante, la follia dei mille chilometri di nuove autostrade che rischiano di abbattersi sulla pianura più fertile d’Europa. Dopo i capannoni vuoti che riempiono la pianura Padano-Veneta, è partita infatti la stagione delle autostrade, a sferrare un nuovo attacco a quel che resta del suolo agricolo da cui dipende la gran parte della produzione agroalimentare made in Italy».

 

Nella notte il via libera agli ampliamenti edilizi

150 metri cubi in più alle abitazioni e 20% di superficie per capannoni e negozi

Scontro tra Lega e Pdl sul diritto di veto dei sindaci che si oppongono alla legge

VENEZIA – E mattone sia. Nella notte il Piano casa ter diventa legge regionale, prorogando ed estendendo nei prossimi tre anni le deroghe in materia di ampliamento edilizio. Confermati i capisaldi del progetto: bonus di 150 metri cubi supplementari garantiti alle prime case e del 20% di superficie per gli altri edifici; volumetrie accresciute fino al 70% per chi investa nel risparmio energetico e all’80% in caso di ristrutturazioni ispirate alla bioedilizia, con incentivi alla tutela idraulica, sismica e alla bonifica dell’amianto; possibilità edificatorie consentite in zona agricola e anche nelle aree vincolate – quali i parchi – salvo parere contrario della Soprintendenza; riduzione a 5 metri delle distanze minime tra fabbricati ed estendibilità del Piano alle proprietà in un raggio di 200 metri. Le novità? L’ammissione alle agevolazioni delle coppie di fatto e dei partner omosessuali (inizialmente esclusi) su proposta del Pd sostenuta dal capogruppo del Pdl Dario Bond. E l’esenzione dagli oneri fiscali delle famiglie numerose (3 o più figli) caldeggiata dai forzisti di Leonardo Padrin. Il voto finale è giunto a conclusione di una maratona dettata dal calendario strettissimo (stamane i consiglieri torneranno in aula per la seduta straordinaria dedicata alla crisi Electrolux), preceduto da scontri senza esclusione di colpi, trattative sottobanco e alleanze variabili nel segno della frantumazione politica. Così ad accendere il confronto è il derby tra gli assessori di San Martino di Lupari: il pidiellino Marino Zorzato (Territorio) e il leghista Maurizio Conte (Ambiente). Il primo, artefice della manovra, ne rivendica l’efficacia: «Negli ultimi quattro anni il Piano ha consentito a 60 mila veneti di ampliare l’abitazione di proprietà con vantaggi volumetrici e semplificazioni fiscali, rianimando il settore delle costruzioni altrimenti a picco». Il “padano” contesta l’estromissione dei sindaci dall’applicazione dei provvedimenti: «Siamo il partito del federalismo, trovo ingiusto privare le amministrazioni locali di ogni facoltà di pianificazione e controllo»; parole condivise dall’ala tosiana del gruppo ma anche dal titolare del Bilancio, Roberto Ciambetti, sensibile alle pressioni delle municipalità. Dialogo tra sordi, perché in aula Zorzato ribadisce il veto: «Le giunte di sinistra hanno svolto un’azione frenante e dispersiva mentre noi vogliamo garantire a tutti i cittadini eguali diritti». Una lacerazione nella maggioranza che il partito democratico – alfiere della protesta dei sindaci, testimoniata dagli appelli provenienti anche dalle località turistiche a rischio speculativo, Cortina ed Asiago in primis – prova a cavalcare: «Sono i Comuni, non la Regione, l’espressione diretta della comunità, mortificarli è uno schiaffo alla democrazia, una violazione palese delle regole di convivenza», la denuncia di Lucio Tiozzo, Piero Ruzzante, Sergio Reolon e Franco Bonfante; Bruno Pigozzo ha ventilato profili incostituzionali mentre Tiozzo si è rivolto esplicitamente agli «amici leghisti» invitandoli a dissociarsi dalla maggioranza per difendere i diritti del territorio dalla «prepotenza di chi privilegia le logiche di potere». Ma anche l’opposizione ha scontato divisioni plateali. Dall’Udc è arrivato un sì al pacchetto per voce di Stefano Peraro («Ma sia chiaro: è uno strumento anticrisi, non di pianificazione», ha precisato) mentre Diego Bottacin (Scelta civica) ha contestato l’esistenza di oneri di urbanizzazione aggiuntivi a carico delle amministrazioni locali: «Strade? Parcheggi? Di quali spese stiamo parlando? Il Piano interviene su edifici esistenti, non autorizza costruzioni ex novo». Ancora più drastico Giuseppe Bortolussi: «Per anni i sindaci hanno fatto cassa con l’urbanistica e adesso si lamentano, sono loro i maggiori responsabili dello scempio del territorio», ha sentenziato tra le proteste sonore dei democratici e dell’Idv di Antonino Pipitone («Cattiverie gratuite») che tre anni fa lo candidarono a sfidante di Luca Zaia nella corsa alla presidenza del Veneto. Senza sconti, invece, la requisitoria della “pecora rossa” Pietrangelo Pettenò (Sinistra veneta) firmatario di metà dei 140 emendamenti al testo: «Inutile cavillare sui commi, questa deregulation è un’autentica porcheria, fotocopia le richieste dell’associazione costruttori e infierisce su un ambiente già dissestato». Imbarazzo nella Lega, con il capogruppo Federico Caner costretto all’ennesima acrobazia per scongiurare fratture insanabili, e scambi polemici a ripetizione: «Non dateci lezione di correttezza urbanistica, noi diamo risposta alle famiglie che non hanno i soldi per costruire una casa ai figli, voi fate solo propaganda», incalza Piergiorgio Cortelazzo. «Rischi di speculazioni nelle zone industriali e commerciali? Ma in che mondo vivete», sbotta il veterano Carlo Alberto Tesserin «il Veneto è diventato un cimitero di capannoni vuoti e negozi dismessi, magari ci fosse qualcuno che apre nuove attività».

Filippo Tosatto

 

Confcommercio su urbanistica e difesa del suolo

«Il buon governo del territorio: urbanistica e difesa del suolo». È il titolo del convegno organizzato dalla Confcommercio del Veneto che si svolge oggi dalle 9.30 al Centro pastorale cardinale Giovanni Urbani di via Visinoni a Zelarino. A giudicare dalle personalità invitate dagli organizzatori, sarà l’occasione per fare un punto sul Piano Casa 3 ieri al voto in Consiglio regionale. Al convegno della Confcommercio sarà infatti presente innanzitutto colui che è l’ispiratore primo dell’articolato, vale a dire il vicepresidente veneto e assessore regionale al territorio Marino Zorzato. Presente anche Amerigo Restucci, rettore dello Iuav di Venezia, che parlerà di «governo del territorio: il recupero e la valorizzazione dei centri urbani per fermare il consumo del suolo». Accanto a Restucci, Paolo Pileri, del Politecnico di Milano (“Una società che non tutela il suolo non ha a cuore il futuro”), Enrico De Mori del fondo Fai (“Tutelare il territorio, una questione culturale”) e Luigi Lazzaro di Legambiente Veneto (“Fermare il consumo di suolo, rigenerare le città”). Fra gli ospiti anche Roberto Zuccato, presidente di Confindustria Veneto, Giuseppe Sbalchiero, presidene di Confartigianato Veneto, e Massimo Zanon, a capo della Confcommercio regionale.

 

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