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l’opinione

di Gianfranco Vecchiato – architetto

È inutile girarci attorno. In questa stagione l’Urbanistica appare morta. Se in qualche caso sopravvive per cultura politica o per didattica, trova sempre più difficoltà a trasferire le sue regole sul piano concreto. Questo è un male grave per qualsiasi società ed ancor più per quella veneta, erede di un grande passato e di un conflittuale presente. In un dibattito il professor Paolo Feltrin ha ironicamente osservato che se si sommassero gli abitanti previsti da ciascun PRG dei 581 Comuni del Veneto, si arriverebbe al numero di 15 milioni. Ma se questa è ancora la fotografia della realtà, del “modello Veneto”, i Pat non dovevano essere lo strumento efficace per superarla? Non è solo il “terzo piano casa” ad alimentare questo pessimismo su una disciplina che ha conosciuto nel primo Novecento grandi idealità e maestri di pensiero, quanto la quotidiana visione del territorio, di luoghi sempre più alterati, di residui paesaggi trepidi fra insensibilità crescenti. Abbiamo modelli urbani superati dalla attualità di una crisi globale avvitatasi con moto inerziale che attraversa tante aree angosciate dal futuro. L’Urbanistica nata nell’Ottocento si trovò a rispondere ad un processo rivoluzionario: quello industriale in luoghi dove in suburbi malsani vivevano e lavoravano in condizioni igieniche spaventose, masse crescenti di popolazione. Essa ha germinato dottrine politiche e sociali, utilizzato e forgiato pensieri culturali, innestando nell’economia, nei costumi, nella scienza e nella tecnica, visioni del mondo e delle società. È stata, con esiti diversi, al servizio di regimi totalitari e delle più avanzate democrazie. Per sua natura è una disciplina in continua evoluzione. Ora abbiamo sotto agli occhi quotidiane incongruenze: investimenti sovradimensionati o carenti, equilibri che si spezzano, legislazioni prolifiche e norme inefficaci o dannose. Amministrare il coacervo di situazioni compromesse, rende interdipendenti altri fattori. E si cercano allora scorciatoie che non risolvono i problemi di fondo. La Regione Veneto ha accolto nel suo disegno urbanistico sotto il titolo il “Terzo Veneto” anche gli impegni della cosiddetta “Carta di Asiago” , nella quale il compianto Mario Rigoni Stern auspicava il ritorno all’essenziale. Negative non sono le necessità di sconfiggere la burocrazia, la stanza per un figlio, favorire la rigenerazione ed il risparmio energetico ma lo spezzare le questioni senza affrontarle organicamente per migliorare la normalità. Questo allarga il solco fra gli obiettivi scritti ma non praticati, rendendo esiziale l’esercizio della “Politica”. Il critico d’arte Philippe Daverio annotava che mentre in Francia la rivoluzione tagliò molte teste ai nobili, nel Veneto ai patrizi e ai loro epigoni che abitavano le ville è stata, con i capannoni, tagliata …la vista. Bisogna ridare occhi alla nostra mente, al nostro futuro, alla nostra storia. Anche per coloro che verranno. E bisogna coltivare con piena dignità e consapevolezza la nostra cultura.

 

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