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Corriere del Veneto – Un po’ di verità sul cemento.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

dic

2013

I Comuni, il Piano casa, la crisi

Vi è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui nella gerarchia dei valori dei veneti l’integrità del paesaggio e la corretta pianificazione urbanistica venivano assai dopo della necessità di dare lavoro. Un capannone nuovo era buono perché consentiva a qualcuno di non emigrare e tanto bastava perché qualsiasi altra considerazione apparisse un’inutile leziosità. Le norme, quando c’erano, venivano piegate all’esigenza concreta. E’ seguita la stagione della pianificazione con le regioni nuove protagoniste. Il miglioramento delle condizioni economiche rendeva accettabili le regole ed un ceto politico-affaristico cominciò anzi ad apprezzare le possibilità di arricchimento individuale che quella gestione del territorio offriva: terreni agricoli, per effetto di scelte spesso molto discrezionali, cambiavano destinazione e moltiplicavano in un giorno di valore. Quando non diventavano edificabili potevano essere destinati a cava per fornire i materiali per alimentare lo sviluppo edilizio. E’ così che molti contadini veneti si sono convinti che la coltivazione è l’uso meno redditizio che si può fare della terra.

I conti tornavano per tutti in una regione che cresceva senza sosta. Quando quella stagione è finita e la crescita vera è venuta meno si è avuta la stagione del debito: negli ultimi vent’anni il Veneto ha subito una devastazione territoriale assai maggiore di quella che aveva subito in tutti gli anni precedenti in cui le norme erano poche e comunque sacrificabili. Questa stagione è stata alimentata dal credito facile divenuto facilissimo ed assai economico dopo l’adesione all’euro. Tremonti resterà alla storia con la legge cui ha legato il suo nome per avere pensato che lo sviluppo economico si realizzi con l’indiscriminata costruzione di capannoni inutili. Il danno vero è venuto quando i comuni, messi di fronte ai tagli dei trasferimenti statali, hanno cominciato a commerciare la pianificazione urbanistica contro improbabili benefici pubblici ma soprattutto hanno finanziato la spesa dei comuni con un uso sempre più improprio degli oneri di urbanizzazione che venivano raccolti sospingendo le nuove e sovrabbondanti edificazioni.

Le polemiche di oggi sul Piano Casa segneranno l’inizio della nuova stagione con un triste ritorno alle origini. Il territorio nuovamente – e questa volta dichiaratamente – svenduto per il lavoro che non c’è più. Svendere si deve e le polemiche di questi giorni non dividono chi ama il bello da chi non lo ama. La vera polemica è sulla modalità della svendita. Questa volta e per la prima volta, però, non c’è più chi compra: in un mercato ormai paralizzato da anni e con un stock immenso di invenduto è difficile pensare ad una corsa ai benefici del Piano Casa. La differenza rispetto al passato è che se il pubblico allora sceglieva di svendere, il privato comperava per dare alimento alle speranze nel futuro. Oggi invece il pubblico svende ma il privato non compera perché con il debito pubblico non si è svenduto solo il paesaggio ma anche la fede nel futuro.

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