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Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton, analizza i problemi dell’assetto idrogeologico

«Stop ai piani casa, attenzione agli scantinati, niente case in golena: e ora si ascoltino gli esperti»

«L’acqua che esonda ovunque? La terra e l’acqua presentano il conto, la natura ci avverte che abbiamo superato il limite e perso ogni misura».

Parla l’«uomo anfibio», come ama definirsi ironicamente Marco Tamaro, 55 anni: per 20 è stato al consorzio Destra Piave, è co-fondatore del centro internazionale per la civiltà dell’acqua, e dal 2009 è direttore della Fondazione Benetton, che studia il paesaggio. Tamaro, quest’acqua che emerge ha un che di primordiale e inquietante.

Un blob liquido. La natura si ribella e ricorda la nostra impotenza?

«Sì. Ma ci abbiamo messo del nostro, con gravissime responsabilità. Scavi, cave, cemento. Abbiamo svuotato o depotenziato enti e autorità idriche: ogni giorno che passa senza scelte forti accumuliamo ritardi. Stiamo ancora provando a risolvere i problemi dell’assetto idrogeologico degli anni ’60, all’epoca delle grandi alluvioni. Intanto il mondo è cambiato, come il clima: il nostro territorio è stravolto, ma non ci siamo mossi di un passo».

Chi ha le maggiori colpe?

«Forse si fa prima a dire chi non le ha… Era il 1987, quando la Brundland spiegava lo sviluppo sostenibile; e da allora Onu, conferenze sul clima, commissioni internazionali. Ma poi le istituzioni… ogni volta che si tratta di applicare concretamente il principio di precauzione, di evitare di cementificare le zone fragili, buonanotte suonatori».

Nel 1971 Marchi redigeva il suo famoso rapporto dove diceva tutto. Sono passati 41 anni, e siamo ancora qui.

«Tutto è rimasto ancora sulla carta: è un’analisi bellissima, lucida, sempre e attuale. Ma non si è fatto quasi nulla. Dico: si può sapere qualcosa di definitivo sulla diga di Falzè? E D’Alpaos, che lavorò con lui, dice ancor oggi cose sacrosante: ma lo si fa parlare un giorno, poi si tira dritto come se nulla fosse. L’insipienza dei politici e di chi ha autorità è totale, in materia».

Non va tanto per il sottile.

«Le cosa vanno dette, anche se sono scomode. Almeno tre concetti sono chiarissimi».

Uno alla volta, prego.

«Basta nuovo cemento, si può solo demolire o riconvertire. Ma si tocca la leva della rendita, come fai a trasformare zone agricole in edificabili? Non c’è più business, non ci sono più i voti. E invece si parla ancora di piano casa…».

La seconda? «Bisogna ascoltare chi sa: gli esperti, i geologi. E soprattutto mettere in pratica le prescrizioni. Se c’è un avvallamento, non ci si fa una zona industriale. Gli scantinati sono un problema; ne abbiamo abusato, tanto non facevano volumetria. Ce ne sono in zona di bonifica, sui canali di scolo».

La terza?

«Niente case in golena e nella aree a rischio dei fiumi. Basta con queste scelte assurde».

Insomma, proteggiamo il territorio e il paesaggio veneto. Meglio, quel che ne resta.

«Chiarisco: nessun Arcadia. Sul territorio si possono e si devono fare interventi. Ma con misura, con il rispetto della natura, dei luoghi, della loro storia, interpretarli correttamente. Se un posto si chiama Fontane, qualcosa mi dovrà dire… ponti romani sono ancora in piedi. La velocità con cui abbiamo operato oggi è impossibile da sostenere, il sistema non regge. Lo dicono il clima, Fukushima, lo tsunami, apocalittico perché abbiamo distrutto le foreste di mangrovia».

Dopo la maledetta sete dell’oro, la maledetta sete del potere assoluto sulla natura?

«É la hubris, direbbero i greci: presunzione arrogante di poter governare sempre tutto. Dalla convivenza con la natura siamo passati all’adattarci, ora vogliamo imporci. E finisce che paghiamo milioni di danni a ogni alluvione, invece di spendere una volta sola e poco in semplice prevenzione».

La sua è quasi un’invettiva. Sotto sotto lei è furente.

«Sì, finisce che sembriamo noiose Cassandre. Dai consorzi sono venuto via: scontri durissimi, dicevamo le cose e nessuno, nè sindaci nè istituzioni, ci ascoltava. Anzi: parlavamo, ci ascoltavano, poi si faceva il contrario».

Come se ne esse? Intanto da queste falde sature.

«Paradossalmente, si pompi l’acqua che esonda, ma non si faccia altro: e si attenda che il fenomeno rientri. La natura ha il suo corso: i fiumi di risorgiva, presto, riequilibreranno il sistema. Guai a toccare la falde mungendo acqua».

Andrea Passerini

 

«Manca il prelievo delle aziende»

Geologo della Provincia: «Chiuse per crisi molte fabbriche che usavano l’acqua»

MARENO DI PIAVE «L’innalzamento della falda? Una delle concause potrebbe essere dovuta alla crisi economica». È l’ipotesi di un geologo che opera per la Provincia. Non è suffragata da dati scientifici e per questo la espone a microfoni spenti. Ma potrebbe diventare materia di studio. «Vi sono aziende che sfruttano l’acqua del sottosuolo per le loro lavorazioni», afferma, «negli ultimi anni molti stabilimenti hanno chiuso. È un fenomeno che necessiterebbe di approfondimenti. Ad esempio a Villorba con Benetton». Le fabbriche chiudono, l’acqua non viene più sfruttata a scopi industriali e non vi sono più in funzione grandi idrovore che la prelevano. In caso di precipitazioni abbondanti le falde si gonfiano e poi rimangono alte, mai come negli ultimi anni. Il problema si sposta così su come prevenire gli allagamenti di seminterrati, taverne e garage. «Doveva essere fatta particolare attenzione nelle costruzioni, perchè quando si va a fare piani interrati c’è il rischio che le falde possano salire al di là di quello che è storicamente il loro andamento», spiega Simone Busoni, dirigente del settore ambiente ed ecologia della Provincia di Treviso. Nella Marca, soprattutto in alcune zone, costruire sottoterra può essere pericoloso. Ma solo negli ultimissimi anni nelle autorizzazioni a costruire vengono allegate delle perizie idrogeologiche. Per edifici che hanno 6-7 anni non esistono documenti in merito. Alcuni residenti sono andati nei Comune per chiedere i fascicoli, ma gli è stato risposto che non c’è nessuna norma che richieda dei pareri geologici. I permessi a costruire però sono stati concessi. «Considerato i cambiamenti climatici è un aspetto che deve essere tenuto in considerazione, da adesso in poi per evitare il ripetersi di queste situazioni», aggiunge Busoni. «La falda avrà il suo decorso», spiega il dirigente della Provincia, «stiamo vivendo la fase di piena, se dovesse cessare la fase di alimentazione tornerà ai suoi livelli. Altre soluzioni, in questo momento, oltre a quelle che si stanno attuando con le pompe, non ve ne sono». Il pericolo ora si chiama scirocco e potrebbe arrivare dall’alto, dalle montagne, in cui si sono accumulati metri di neve. Una neve più pesante e ricca d’acqua rispetto al normale, che potrebbe aumentare a dismisura la portata dei corsi d’acqua. «L’incognita neve è un’incognita pesante, i quantitativi di neve caduti in montagna sono stati eccezionali», spiega l’esperto, «tutto dipende dalla temperatura. Se la neve dovesse sciogliersi con gradualità nell’arco dei mesi il problema è relativo. Nel caso invece dovesse sciogliersi nel giro di 15-20 giorni, tutta l’acqua arriverebbe sui fiumi, qui sul Piave e ci troveremo in situazioni critiche».

Diego Bortolotto

 

MALTEMPO»L’EMERGENZA FALDE

«L’acqua ci mangia una vita di lavoro»

Reportage tra gli oltre cento alluvionati di Carità, Fontane e San Sisto

VILLORBA – Con ieri sono tredici. Tredici giorni di una lotta impari contro le falde che si alzano. E poco importa che nelle scorse ore su Villorba splendesse un sole primaverile. Perché contro la natura che si riprende i suoi spazi tra il cemento, niente si può fare se non aspettare. Quanto? Nemmeno gli esperti lo sanno. Intanto però ieri un segnale incoraggiante è arrivato: la falda si sta abbassando. Dieci, forse quindici centimetri: nei giorni scorsi erano un centinaio gli interrati allagati, ieri le stime del Comune parlavano della metà. La cartina al tornasole di un lentissimo ritorno alla normalità la si ha all’ex magazzino Zago. Ieri il pianale di carico sul piazzale è riemerso dall’acqua. Tantissime le pompe e le idrovore ancora in azione tra Carità, Fontane e San Sisto. Senza, il livello dell’acqua sale a dismisura, come al cantiere edile lungo la Pontebbana, non lontano dalla piazza del municipio, diventato una profonda piscina. Il nostro viaggio tra gli “alluvionati per le falde”, in trincea dalla notte di domenica 2, inizia da Carità. La “Bottega orafa Gigi” in via dei Mille è chiusa per gli allagamenti. Alla parrucchiera “Kalè” è stato necessario sradicare il wc per installare le pompe. «Nel bagno che è interrato non c’è più acqua, è un buon segnale. Restano i danni al magazzino», spiega Giulia della Pasticceria Adriana. Il pittore Gianni Ambrogio ha il suo atelier in una casetta a livello degli interrati del condominio in via dei Mille. «Sono riuscito a salvare una vita di lavoro grazie ai sacchi di sabbia sulla porta», racconta mentre le idrovore continuano a pompare. Poche centinaia di metri più a nord a Fontane, oltre la Piavesella, è emergenza in via San Pio X: «Se si bruciano le idrovore, finiamo allagati. Da domenica scorsa, ogni due ore scendo in garage a togliere l’acqua», spiega Massimo Morelli. Nel suo condominio, c’è anche chi ha costruito in fretta e furia in questi giorni uno scalino in cemento davanti alla porta della taverna per salvare ciò che non era già zuppo. Via San Liberale è chiusa al traffico. Il motivo? Ci sono i tubi delle idrovore. «Gli uomini dormono in taverna, siamo terrorizzati dall’acqua e dal pensiero che le pompe si blocchino», racconta la signora Conte mentre ci mostra che in taverna il pavimento sta iniziando ad alzarsi. Dalle mattonelle della rampa, invece, l’acqua zampilla. Via Pastro, altra situazione critica. Spiega Flavia Gritti che nei garage del condominio dove vive hanno dovuto fare i conti con oltre 50 cm d’acqua. Ieri ce n’erano una ventina. «Ci sentiamo come i veneziani con l’acqua alta. Alcuni anni fa erano entrate due dita d’acqua. Stavolta non bastano quattro pompe in azione da lunedì 3. Qualcuno si metta una mano sul cuore e ci aiuti a pagare i costi», dice la donna che tra le molte cose perse nell’allagamento del garage ha dovuto dire addio al plastico di un paesaggio montano fai-da-te. «Ho pianto», confessa. Anna Maria Cigana abita in via monsignor Longhin: «Siamo stressati da 13 giorni, è un incubo continuo, non si dorme. E ci siamo dovuti arrangiare in tutto. I danni? Il Comune ci ha chiesto di quantificarli, ma come facciamo se abbiamo ancora i garage allagati?». A ieri in municipio erano arrivate una sessantina di stime da privati e aziende. C’è chi ha denunciato 1.500 euro di danni, chi 300.000. Ma l’emergenza è ancora lontana dall’essere conclusa.

Rubina Bon

 

Già sessanta stime dei danni in municipio: per le famiglie è un incubo

gianni ambrogio – Sono riuscito a salvare parte del mio atelier grazie ai sacchi di sabbia sulla porta. Sono stato fortunato. Ma la burocrazia complica tutto

anna maria cigana – Siamo stressati da 13 giorni, è un incubo, non dormo. E ci siamo arrangiati. Ma come faccio a quantificare i danni se ho il garage allagato?

 

Frane, smottamenti a Collalbrigo

Sfondato il muro di una casa in Val de Mar, oggi i vigili del fuoco in Cima Grappa

CONEGLIANO – Continua l’allerta per le frane. Occhi puntati su quella registratasi in via Guizza a Conegliano, in località Collalbrigo. Lo smottamento che ha costretto a chiudere l’arteria continua a muoversi. «Si è abbassata di un altro metro», spiega il sindaco Floriano Zambon che ha già stanziato 10 mila euro per una perizia geologica. La strada è off limits anche per i pedoni con disagi per alunni e famiglie costrette a cambiare itinerario. Monitoraggio anche a San Pietro di Feletto dove si contano 15 smottamenti, due dei quali di dimensioni maggiori con danni tra i 60 e i 70 mila euro. L’attenzione è concentrata in via Provera a Rua. Occhio alle frane anche a Susegana e in particolare in via San Daniele a Colfosco, interdetta al traffico. Rimangono critiche le situazioni presenti anche a Vittorio, in via Val de Mar, dove la frana ha sfondato il muro dell’abitazione al civico 4, già isolata. Sotto controllo anche la frana di via Formeniga con interventi di drenaggio. È sotto osservazione il costone a monte di via Vecchia di Farrò a Follina da dove si sono staccate piccole porzioni di roccia. Monitorata anche la strada tra Rugolo e Montaner dove c’è stata la lacerazione della sede stradale e dei muretti di contenimento in più punti. Rimane critica la situazione tra Cappella Maggiore e Fregona dove un tratto di via Rive Anzano è interrotto per un abbassamento della strada: la frana già manifestatasi nel 2010 e riattivata in via Carrettuzza. Oggi la Protezione Civile sarà in Cima Grappa, al rifugio Bassano, a spalare la neve dal tetto per evitare crolli. Nel contempo metteranno in sicurezza anche lo smottamento di ieri in zona, così come a Camol.

(r.z.)

 

Mareno, 318 a mollo Cimadolmo si ribella «È un vero scandalo»

A Vazzola serviranno fino a 150mila euro ad abitazione

Idrovore in funzione nell’ex magazzino di San Vendemiano

MARENO DI PIAVE – La falda scende di qualche centimetro ma cresce il bilancio dei danni, in tutte le aree critiche del Coneglianese. A Mareno, il quadro che emerge dal censimento avviato dal Comune rende l’idea delle dimensioni del fenomeno. Allo stato attuale sono 318 le famiglie colpite e 800 le persone coinvolte. Per tutti i costi dell’emergenza sono altissimi: 1.650.000 euro i danni a immobili, beni e attrezzature. A questi si sommano le cifre spese per togliere l’acqua da garage, scantinati, taverne e cantine: si parla di 28 mila euro al giorno spesi dalla cittadinanza. Per alcuni un salasso senza precedenti, che brucia uno stipendio medio in pochi giorni: «C’è chi spende anche 200 o 300 euro al giorno», spiega Mirco Lorenzon, assessore provinciale alla Protezione Civile, «C’è chi ha speso 1.600 euro in un giorno e mezzo». Ieri alle 14 pompe già installate dalla protezione civile si sono aggiunte altre due idrovore. A Mareno tra i punti critici c’è anche un’area commerciale lungo via Verri. Qui gli scantinati devono fare i conti con l’acqua che sale da sotto, come le famiglie. Sceso, seppur di pochi centimetri, anche il livello dell’Oasi Campagnola. La conta dei danni continua a salire man mano che in municipio arrivano i moduli compilati dalle famiglie. Situazione sempre critica anche a Vazzola: il vicesindaco Claudio Modolo parla di un milione di euro di danni. Occhi puntati sulla scuola elementare di Visnà dove l’acqua: «L’acqua continua a entrare dal muro esterno», spiega Modolo. La speranza è che il livello scenda presto: «La falda è scesa di due centimetri tra le mezzogiorno e le 17 ma è sempre alta», ha raccontato ieri il numero due della giunta di Vazzola dove sono almeno 30 le case, con danni anche di 150 mila euro. A Cimadolmo una sessantina di residenti hanno scritto inviato una petizione all’amministrazione comunale dichiarandosi «stupefatti e scandalizzati». «Le famiglie che si sono trovate a combattere con l’acqua sono tante e con dispiacere abbiamo constatato che l’interessamento dell’amministrazione comunale è stato pressochè nullo», si legge nella lunga missiva destinata a sindaco e giunta. A San Vendemiano le pompe continuano a lavorare 24 ore su 24 in via Carducci, in via De Gasperi ma anche in altre zone come a Cosniga. Idrovore anche nei magazzini dell’ex municipio dove l’acqua ha toccato anche i 20 centimetri rovinando i materiali che alcune associazioni custodivano all’interno. Il sindaco Sonia Brescacin ipotizza 300 mila euro di danni, ma precisa che le valutazioni sono ancora in corso. Ancora allagamenti anche in alcune abitazioni ad Orsago e occhi puntati sulle falde anche a San Fior dove si è creato qualche disagio nelle scorse ore nel sottopasso di via Codolo. L’acqua aveva raggiunto il metro di altezza, intrappolando alcune auto.

Renza Zanin

 

La strada dei Colli Settentrionali resta ancora chiusa

CONEGLIANO – Le strade in alcune zone della Marca lasciano ancora molti Comuni con il fiato sospeso. Ecco il dettaglio aggiornato dalla Provincia. Sulla “Mostaccin” a Maser c’è uno smottamento scarpate a monte in corrispondenza Km 3+200 e 5+600 a con chiusura temporanea della strada; crollo di porzioni di due edifici fatiscenti con caduta di materiale in strada; già riaperta al traffico.  Sulla “Pedemontana del Cansiglio” a Fregona in località Borgo Luca cedimento di 15 m di muro di controripa al Km 7+300 con chiusura della strada. È stato effettuato un primo sgombero, riaperta la circolazione a senso unico alternato. Sulla “dei Colli Settentrionali” a Cison: crollo di muro di sostegno a valle con formazione di voragine in carreggiata al Km 16+500. Strada attualmente chiusa, in corso alcuni interventi di pulizia delle pertinenze per valutare la stabilità e quindi la sicurezza dei muri di sostegno adiacenti. Sulla stessa strada, ma a Follina, smottamento della scarpata a monte al Km 14+200, senza interessamento della carreggiata. Sulla provinciale “di San Stino” chiusura della strada per allagamento per alcuni periodi nel tratto tra la S.P. 53 ed il canale sul Brian. Pulizia e risezionamento fossi stradali. Sulla “Sinistra Piave” a Ponte di Piave, in corrispondenza del sottopasso si sono verificate difficoltà di smaltimento delle acque che hanno comportato una temporanea chiusura.  Sull’“asolana” ad Asolo: Km 0+700 è stato rilevato il crollo di un tratto di 25 metri di muro di sostegno con conseguente cedimento della corsia stradale: si circola a senso unico alternato. Sulla “Dorsale del Montello” km. 2+800 a Nervesa: frana che ha interessato circa 30 ml di banchina e scarpata stradale. Sulla “Pradazzi” cedimento di un tratto di oltre 30 ml di scarpata e banchina. Sgombero materiali franati, segnaletica provvisoria, ripristino buche e pulizia fossati lungo le strade Provinciali colpite. Risultano da monitorare la SP 37 al km. 4+500, la SP 86 al km. 7 a San Pietro di Feletto e km. 9+500 e la SP 152 loc. Guie di Valdobbiadene, su queste strade si registrano movimenti franosi che interessano il piano viabile con cedimenti e fessurazioni che attualmente non costituiscono pericolo. Nel tratto di rilevato stradale al km 12+080 si è verificato un cedimento di circa 15 m. che è costantemente monitorato. Sulla “Felettana” ai San Pietro di Feletto, al Km 6+100 è in corso uno smottamento a valle oltre il muro di sostegno della strada su proprietà privata.

 

L’INTERVENTO PER LA MARCA

Zaia presenta il conto a Roma «Ci servono oltre 20 milioni»

TREVISO – Il conteggio dei danni? Lo presenta Luca Zaia, presidente della Regione: «Ci sono i fiumi sotterranei che riemergono e ci ritroviamo negli scantinati. Venerdì sono stato a Roma al ministero a presentare i conti: il bilancio dei danni nel Veneto, ancora provvisorio, è di 475 milioni, per la Marca almeno di 20, ma verosimilmente alla fine saranno parecchi di più». Speranze di risarcimento? «Loro dicono zero, ma la speranza è l’ultima a morire; e comunque prima che muoia spacchiamo tutto. Come del resto facemmo nel 2010: anche allora ci dissero che di soldi non ce n’erano, poi però saltarono fuori 300 milioni. Ci tengo a dire un’altra cosa: proprio nel periodo in cui arriva almeno il 70% delle prenotazioni, qui sta passando l’idea che il sistema turistico veneto sia devastato e che nessuno voglia fare le vacanze da noi; calma, il sole c’è, le spiagge e le Dolomiti saranno ripulite per essere pronte ad affrontare la nuova stagione. E stiamo pensando ad una campagna di informazione nelle Fiere internazionali».

(si.fo.)

 

alluvione»I RISARCIMENTI

Maltempo, Roma gela Zaia «Gli aiuti finanziari? Zero»

Il governatore invia un dossier a Renzi per chiedere la deroga al Patto di stabilità «Partita aperta con il Governo, la Regione stanzierà 100 milioni per l’emergenza»

VENEZIA – È tornato da Roma a mani vuote, Luca Zaia. I colloqui al ministero dell’Economia, concordati per verificare se e quali risorse il Governo è disposto a stanziare per risarcire il Veneto ferito da alluvioni e frane, hanno scandito l’identico copione: ampia solidarietà verbale; presa d’atto del rigore documentale del dossier che stima in 457 milioni l’entità (provvisoria) dei danni; previsioni funeree circa l’erogazione di aiuti. «Mi hanno detto che la speranza di un risarcimento è pari a zero», riassume il governatore leghista «ma siccome la speranza è l’ultima a morire e prima di morire spacchiamo tutto, diciamo che ci stiamo mettendo tutto il nostro impegno, come abbiamo fatto ai tempi dell’alluvione del 2010. Anche allora la prima risposta fu: “Non abbiamo soldi”; poi però arrivarono 300 milioni». Allora a Palazzo Chigi c’era l’esecutivo “amico” Berlusconi-Bossi ma oggi, più che il colore politico, pesa la cronica instabilità istituzionale sancita dalla staffetta di palazzo Letta-Renzi: «Già, siamo diventati come la repubblica delle banane. Ogni due-tre mesi arriva la crisi e spunta lo stregone di turno con i suoi intrugli, adesso vedremo quali sono le magìe dei prossimi mesi. Poi finirà anche questo e ne arriverà un altro, sopra una diligenza, come nei villaggi del West, e offrirà altre pozioni miracolose. Il problema è che così l’economia e il Paese vanno a picco». Facezie a parte, c’è l’urgenza di rastrellare risorse per avviare la ricostruzione delle infrastrutture, garantire gli indennizzi alle famiglie e alle imprese, rilanciare le opere di salvaguardia: «La partita con Roma è tutt’altro che chiusa, la prima lettera che il premier Matteo Renzi si troverà sul tavolo avrà mia firma e conterrà, oltre alla richiesta di risarcimenti già formulata, la richiesta di una deroga autorizzata al Patto di stabilità, per poter spendere i soldi della Regione a beneficio dei veneti». Conferma la volontà di riscrivere il bilancio 2014 per dirottare una somma consistente dalle spese correnti al capitolo alluvione? «Sì, è quello che intendo che fare, voglio stanziare almeno 100 milioni agli aiuti al territorio, abbiamo 120 Comuni danneggiati, lo stato di calamità è esteso all’intera regione». E qui cominciano gli ostacoli, perché l’operazione richiede un taglio ai budget degli assessorati proprio mentre il dibattito in commissione lascia presumere il consueto assalto alla diligenza. «Stiamo verificando i conti per ritagliare risorse nella direzione indicata dal governatore», fa sapere l’assessore al bilancio Roberto Ciambetti «quest’anno, a differenza del passato, possiamo disporre un margine di spesa libera e vedremo di incrementarlo riducendo le uscite differibili, salve le altre priorità rappresentate da scuola, lavori pubblici e viabilità». Confronto in giunta, si diceva. Con tensioni già serpeggianti. Ciambetti si è assunto l’onere dello sherpa-mediatore ma nessun collega esulta alla prospettiva di rinunciare a una quota di finanziamenti. Contrastanti le prime reazioni. Via libera dal vice di Zaia, Marino Zorzato, unico rappresentante del Ncd nell’esecutivo, che anzi ha caldeggiato un poderoso emendamento al bilancio («Non possiamo far finta che non sia successo nulla») e anche il capogruppo di Forza Italia Leonardo Padrin apre uno spiraglio: «L’emergenza richiede risposte adeguate, è giusto individuare delle priorità e sfoltire il bilancio dalle voci di spesa superflue, che non mancano». Diverso l’atteggiamento di Forza Italia per il Veneto, che conta ben tre assessori – Massimo Giorgetti (lavori pubblici), Isi Coppola (sviluppo economico), Elena Donazzan (istruzione lavoro) – dotati di portafoglio: «Sacrosanto pensare a chi è stato colpito dal maltempo», commenta lo speaker Dario Bond «ma esistono altre urgenze come le estreme povertà, l’erogazione delle borse di studio, il trasporto locale, la manutenzione viaria. Non accetteremo che siano sacrificate».

Filippo Tosatto

 

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