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di Ferruccio Sansa

La vuole Giorgio Napolitano. La vogliono Pd, Pdl e Nuovo Centro. Da Pierluigi Bersani al ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. Per non dire dei governatori delle regioni, di destra e sinistra. E poi le cooperative e le banche. Ma soprattutto la vuole Vito Bonsignore, europarlamentare Pdl e imprenditore dell’asfalto.

Non la vogliono il M5S, ma ancora prima decine di migliaia di abitanti, riuniti in associazioni e comitati. Secondo voi chi la spunterà?

Parliamo dell’autostrada Mestre-Orte (nel primo tratto chiamata “Nuova Romea”), probabilmente la più grande opera pubblica prevista in Italia: 5 regioni attraversate, 396 chilometri di percorso (di cui 139 su ponti e viadotti), 147 sovrappassi, 268 sottovie, 17 nuovi svincoli. Costo: 9.8 miliardi, di cui 1,8 a carico dello Stato in termini di sgravi fiscali (senza contare la concessione ai privati per 49 anni). Quattro miliardi più del Ponte sullo Stretto. Un paio più del Tav. Un’opera che cambierà il paesaggio del Centro Italia. Provate a immaginare concretamente l’impatto su alcuni dei paesaggi più belli d’Italia: si parte dal Veneto, sfiorando zone delicatissime dal punto di vista ambientale come la Laguna di Venezia e la Riviera del Brenta, quell’angolo di pianura dove Tiziano cercava i suoi colori e dove oggi si sono già riversati milioni di metri cubi di cemento e asfalto. Poi giù a due passi dal Delta del Po, attraversando le Valli del Mezzano in Emilia Romagna, toccando Marche e Toscana, in alcune tra le zone più belle del Paese. Siamo a una manciata di chilometri dalla Valmarecchia cantata dal poeta Tonino Guerra. Quindi l’Umbria. Qui, secondo uno studio del Wwf, 37 siti archeologici sarebbero a meno di mezzo chilometro dall’autostrada. Tanto che il Wwf sostiene: “Il progetto, almeno nel tratto umbro, non pare conforme alla legge Galasso”.

“Unirà l’Italia”, è la versione dei sostenitori dell’opera. Secondo i critici rischia di tagliarla in due. Sembrava che tutto si fosse arenato, poi ecco che nei mesi sonnacchiosi del governo Letta è arrivata la delibera del Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica). Le promesse: i lavori partiranno tra due anni e finiranno entro il 2021. Pochi ci credono davvero.

Ma in questo progetto più dell’ambiente naturale pare contare quello politico e finanziario. E qui i sostenitori dell’opera contano su un sostegno ai massimi livelli. Durante una visita a Venezia nel 2007 il presidente Napolitano disse: “Pare anche a me incontestabile l’importanza del corridoio autostradale Civitavecchia-Venezia come naturale integrazione del corridoio europeo numero 5 da Lisbona a Kiev. Il progetto, anche come project financing, che è stato apprestato, merita una tempestiva valutazione di impatto ambientale, cui consegua senza indugio un avvio dei lavori”. Strano passaggio: si faccia la valutazione di impatto ambientale, ma ad essa deve seguire la realizzazione dell’opera. Addirittura il Capo dello Stato sponsorizzava l’estensione dell’opera fino a Civitavecchia, altri cento e passa chilometri attraverso la splendida campagna laziale. Ma quello nemmeno più i signori dell’asfalto osano sperarlo. Troppa grazia.

L’intervento del Quirinale ottenne applausi bipartisan. A cominciare ovviamente dal centrodestra che da sempre è favorevole alle autostrade. Ma che in questo caso vedrebbe come realizzatore dell’opera direttamente un suo europarlamentare: Vito Bonsignore. Che, però, vantava buoni agganci anche con il centrosinistra, basti ricordare le intercettazioni delle inchieste sui furbetti del quartierino. Diceva Massimo D’Alema parlando al telefono con Giovanni Consorte: “Ho parlato con Bonsignore, che dice cosa deve fare, uscire o restare un anno… Se vi serve, resta… Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico”.

E Consorte: “Chiaro, nessuno fa niente per niente”. Chissà che cosa intendevano D’Alema e Consorte.

Di sicuro l’affare della vita per Bonsignore è la Mestre-Orte. Avendo presentato per primo un progetto avrà diritto a una prelazione che vale oro al momento della gara europea.

Del resto nessuno sembra volerlo ostacolare, a parte M5S, qualche raro leghista e i comitati. Il centrosinistra spinge per la mega-autostrada: Pierluigi Bersani, per dire, ha guidato l’Associazione Nuova Romea che ha come scopo la realizzazione dell’opera. Di più: il 28 ottobre 2008 ha presentato un’interrogazione alla Camera. A un occhio maligno non sfugge che diversi punti paiono presi con il “taglia incolla” dal documento elaborato dalla Fondazione Nord-Est di Confindustria (potrebbe anche essere avvenuto il contrario). Ecco la versione di Bersani: “La vecchia Romea ha un tasso di mortalità di 97,22 morti ogni mille incidenti. In cinque anni si contano 5.950 feriti e 37 persone che hanno perso la vita. È la strada più pericolosa d’Italia”. Mattia Donadel del comitato Opzione Zero , replica: “Vero, ma perché costruire un’autostrada invece di rendere più sicuro il percorso esistente ? E poi con quei 10 miliardi si potrebbe risolvere il problema della sicurezza stradale in tutta Italia”.

Secondo gli oppositori dell’opera l’autostrada, nel solo tratto emiliano-veneto, consumerà 3.800.000 metri quadrati di suolo. Senza contare che l’asfalto si porta sempre dietro cemento. Milioni di metri cubi pronti a crescere accanto al percorso dell’autostrada.

Sono circa 36mila i chilometri l’estensione della rete autostradale in Europa, con una densità pari a 8,6 chilometri per mille km quadrati di superficie territoriale per i 27 Paesi appartenenti all’Unione Europea. Con riferimento ai Paesi di più antica appartenenza all’Unione (Ue15), il valore medio sale a 18,1 km di autostrade per mille km quadrati. L’Italia, con un indice pari a 21,9 si colloca al di sopra di tale media, con un’estensione della rete autostradale per mille km quadrati di superficie superiore a quella di Francia e Regno Unito (rispettivamente 19,7 e 15,1 km). I valori massimi di densità si registrano nei Paesi Bassi (più di 3 volte il valore medio Ue15), in Belgio e Lussemburgo (oltre 55 km di rete per km quadrati). L’estensione della rete autostradale italiana, considerata nel suo complesso, è pari a 6.588 km e copre la penisola attraversando tutte le regioni con l’eccezione della Sardegna, che nel suo territorio non presenta questa tipologia di rete.7

AI PRIMI POSTI

Nell’anno 2007 in Europa c’erano 65.431 km di autostrade. L’Italia ne conta oltre seimila. Il doppio della Gran Bretagna che ha un territorio di dimensioni simili. La Francia ne conta 10.900 ma ha una superficie quasi doppia rispetto al nostro Paese. Siamo quindi ai primi posti tra le nazioni più sviluppate.

 

RENZI PUNTERÀ SUL GRIGIO O SUL VERDE?

Il nostro futuro. “Chi semina strade e parcheggi raccoglie traffico e code”. A dirlo non è un fondamentalista dell’ecologia, ma l’ex presidente della Ford Germania, Daniel Goeudevert. Chissà se Matteo Renzi conosce questa frase. Il nodo delle autostrade sarà una cartina al tornasole del concetto di modernità del premier. Vedremo se punterà su mezzi di trasporto diversi, che coniugano rapidità, vivibilità e lotta all’inquinamento. Oppure se come tanti che l’hanno preceduto sposerà la falsa equazione: costruire uguale innovare. Una formula sostenuta da destra e sinistra, e dai signori del cemento e dalle banche. Vedremo se in un momento di sacrifici si deciderà di investire quasi 35 miliardi in opere di utilità dubbia. Sull’Italia incombono duemila chilometri di nuove autostrade. Oltre quindici nuovi progetti che toccano praticamente tutte le regioni. L’Italia ha davvero bisogno di nuove autostrade? Nel nostro Paese ci sono già 6.554 chilometri di autostrade. Siamo allo stesso livello di nazioni più ricche di noi: la Francia conta 10.958 chilometri, ma ha una superficie doppia della nostra. Il Regno Unito ha appena 3.670 chilometri. Per le strade secondarie – cioè non a pedaggio – abbiamo più asfalto di qualsiasi paese europeo: 668.673 chilometri. Aumentare le autostrade significherebbe quindi, rendere più costosi gli spostamenti. Mentre puntiamo ancora una volta sull’asfalto, come negli anni ‘60 per fare uno dei tanti regali alla Fiat, siamo indietro per il trasporto ferroviario. In Lombardia, la Giunta Formigoni ha avviato progetti per oltre 400 chilometri di autostrade e tangenziali. L’area metropolitana di Milano confrontata con agglomerati di dimensioni simili (Londra, Parigi, Madrid) conta 576 chilometri di autostrade contro i 315 di Londra e i 613 di Parigi. Mentre è indietro per quanto riguarda il ferro: 75 chilometri di metropolitane rispetto ai 408 di Londra (che saranno presto raddoppiati), i 210 di Parigi e i 283 di Madrid. Come, però, racconta il nuovo libro “Strade senza uscita” di Roberto Cuda (Lit Edizioni) le ragioni che spingono alla costruzione di autostrade sono soprattutto altre. Poco logistiche. Ci sono interessi – legittimi, se volete, ma privati – di gruppi come Gavio e Benetton. Ci sono imprenditori amici della politica come Vito Bonsignore. E le grandi banche, vedi Intesa dell’epoca di Corrado Passera, che nelle autostrade lombarde si è giocata centinaia di milioni. Ma nessuno ne parla. Come nessuno parla del finanziamento di queste grandi opere: un project financing all’amatriciana: il privato propone l’opera e lo Stato se ne assume i rischi. Il contrario di quello che avviene all’estero. Altro che modernità! E cala il silenzio sulle colate di cemento ai margini dell’asfalto. Grigio su grigio. In un Paese come il nostro dove il 15% del pil viene dall’ambiente e dal turismo. Allora, presidente Renzi, alla roulette italiana lei punterà sul grigio o sul verde?

 

Addio Maremma, ora vince il catrame

RUSPE AL LAVORO PER COSTRUIRE LA CIVITAVECCHIA-LIVORNO:

CHILOMETRI E CHILOMETRI DI AUTOSTRADA CHE INTACCHERANNO PARCHI, MACCHIA VERDE, CITTÀ ETRUSCHE. QUANDO SAREBBE BASTATO RADDOPPIARE L’AURELIA. MA DIETRO CI SONO (I SOLITI) COLOSSI DELLE INFRASTRUTTURE

di Alessandro Ferrucci inviato a Orbetello

Le lenzuola bianche tracciano il percorso, sono come le briciole di Pollicino, basterebbe seguire “loro” per capire dove, quando e in che modo la Maremma è prossima a cambiare – per sempre – la sua fisionomia. Sopra le lenzuola le scritte figlie dell’abbandono, della rabbia dei cittadini, della solitudine dei cittadini, delle non risposte della politica, l’ottusità della politica: “No al corridoio Tirrenico”; “No alla Sat”; “Pd vergogna”. E via così, chilometro dopo chilometro, tra una ruspa, una scavatrice e una betoniera, una deviazione e un rientro di carreggiata, polvere ovunque, per buona parte dei 242 chilometri necessari a unire Civitavecchia a Livorno. “È una battaglia in solitaria – racconta Emma, una delle proprietarie prossime all’esproprio – e la portiamo avanti da decenni. Adesso, però, sembra realmente tutto finito. Siamo stati sconfitti”. Pessimismo, con qualche ragione. “Non possiamo parlare, almeno credo – spiega uno degli operai durante il turno della mattina – comunque negli ultimi mesi abbiamo stretto i tempi di lavoro”. Traduzione: è il momento di segnare il tracciato, di rendere irreversibile un processo partito alla fine degli anni Sessanta, a partire dal 1968, quando l’Italia viveva l’ultima eco del boom dei Cinquanta e scopriva cosa voleva dire contestare. Scopriva le bombe, gli attentati, i morti, gli insabbiamenti. Ma puntava ancora alla velocità su gomma.

Un’idea nata negli anni Sessanta

Quarantasei anni di genesi, di grandi progetti, in parte mutati, cambiati per necessità, per oliare il sistema, non per rispondere alle aspettative dei cittadini. Di miliardi da distribuire sempre ai soliti “e come spesso accade non è l’interesse generale a dominare le scelte infrastrutturali, ma la sete di guadagno di singoli gruppi industriali o finanziari, come nel caso della Livorno-Civitavecchia” spiega Roberto Cuda, autore del libro Strade senza uscita. Ma per raggiungere certi traguardi è fondamentale la politica. Accade così che Capalbio, paesino al centro del progetto e storica roccaforte della sinistra radical-chic, nelle prossime amministrative vivrà un aspro momento di scontro tra due liste. Peccato che sono tutte e due del Pd. Peccato che sono tutte e due a favore del corridoio tirrenico. “Da queste parti non si scappa – interviene Maria, cittadina di Capalbio – decidono loro, vogliono loro, ci imbavagliano. Ma c’è anche di peggio, vada a vedere chi c’è tra i protagonisti…”. La signora Maria si riferisce ad Antonio Bargone, uomo di Stato “prestato” ai privati e con cognizione di causa. Ex deputato comunista, quindi Pds, quindi progressista, trova la sua perfetta collocazione parlamentare grazie a Romano Prodi che nel suo primo governo, epoca Ulivo, lo nomina sottosegretario per i Lavori pubblici, incarico poi confermato da Massimo D’Alema. Caduto l’esecutivo presieduto dal líder Máximo, Bargone diventa l’uomo giusto per l’incarico di amministratore delegato di Sat, Società autostrade Tirrenica Spa. Non solo, sempre a lui, il 15 settembre del 2009, viene assegnata la carica di commissario della Livorno-Civitavecchia: controllato e controllore nella stessa persona, alla faccia del conflitto d’interessi. “Pagheremo tre volte” , urla un anziano che vive vicino a Tarquinia. Perché? “Primo: ci devastano il paesaggio, secondo ci prendono le terre e crolla il valore degli immobili. Terzo, una strada gratuita diventerà a pagamento, anche per i residenti. E senza alcun motivo. Ma lo ha visto il vecchio progetto?”. Vecchio, nuovo, ancora vecchio diventato improvvisamente nuovo. Dipende dalle stagioni, dalle necessità, dalla pecunia a disposizione, dal tempo che passa. Sta di fatto che in questi quarantasei anni il tracciato ha subito varie evoluzioni. La prima ipotesi, sponsorizzata per decenni, era quella di costruire un’autostrada parallela all’Aurelia: tutti pronti ad asfaltare 13 Siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale, boschi e colline, i monti dell’Uccellina e la laguna di Orbetello, parchi e riserve naturali , alterare gioielli etruschi come Tarquinia e Vulci. Ovvi i dubbi generali. Con la stessa Anas coinvolta nel presentare un progetto alternativo e di minore impatto paesaggistico ed economico: potenziare l’Aurelia e basta, con il costo di un solo miliardo. Niente da fare, e nonostante l’idea piacesse persino agli ambientalisti. Poi nel 2010 improvvisamente cambia tutto: il Cipe boccia il rimborso da 3,8 miliardi concesso ad Anas e Sat per la realizzazione del primo progetto, follia far pagare allo Stato l’intero importo. Cosa accade, quindi? Che torna attuale la sovrapposizione dell’Aurelia, ma non come strada a quattro corsie (come diceva l’Anas), ma proprio un’autostrada, e un budget da due miliardi. Tutti finanziamenti a favore dei soliti di sempre, perché Sat è in mano a tre grandi società: Holcoa (vari soggetti legati al mondo cooperativo), Vianco (Vianini Lavori Spa-Caltagirone) e Autostrade, quindi Benetton; ognuno dei tre possiede il 25 per cento, seguiti da Monte dei Paschi (15%) e Società autostrade Ligure Toscana (Gavio). “Occhio alla ruspa”, urla un operaio nei pressi di Tarquinia, “non intralci il lavoro”. Ci mancherebbe. Poco lontano Gassman e Trintignant sfrecciavano con la loro Aurelia verso Castiglioncello. Era l’Italia del 1963, l’Italia del Sorpasso, quando l’asfalto era simbolo di progresso e le lenzuola servivano solo per vestire il letto di casa.

 

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