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«Consegnai il denaro a Galan e anche all’assessore Chisso»

Claudia Minutillo confessa di aver ricevuto da Baita le buste con i soldi per i due uomini politici

Mazzacurati conferma, i rapporti con la Regione erano tenuti dal presidente di Mantovani

VENEZIA A incastrare sia l’ex presidente della giunta regionale Giancarlo Galan sia l’assessore Renato Chisso sono in particolare Claudia Minutillo, un tempo segretaria particolare del primo e poi del secondo, e soprattutto Piergiorgio Baita. Ecco ampi stralci dei loro interessanti verbali d’interrogatorio. La prima a parlare è lei. «L’imprenditore» racconta, «che per primo accettò di finanziare i politici veneti fu Baita, che io ebbi l’onere di presentare a William Colombelli su incarico di Galan a Venezia, organizzando un appuntamento all’hotel Santa Chiara. Ricordo che in quell’occasione ricevetti da Baita una busta contenente del denaro da consegnare a Galan, cosa che feci immediatamente dopo… Ricordo che io stessa in alcune occasioni mi recai nelle sede del Consorzio Venezia Nuova portando somme di denaro che consegnavo a Baita. In un’occasione ricordo che Baita divise la somma all’interno di una saletta del primo piano e una parte me la restituì affinchè io la consegnassi a Renato Chisso, cosa che feci lo stesso giorno». Infine, Minutillo conferma che «Chisso e Galan erano perfettamente a conoscenza del meccanismo che faceva perno sulla Bmc Broker di San Marino per la creazione della provvista necessaria a esaudire le richieste illecite provenienti dal mondo politico. Chisso più volte mi sollecitò di affidare “consulenze” alla Bmc al fine di ottenere la corresponsione delle somme di denaro che si aspettava». Ma è Baita che pagava in prima persona e che in quattro interrogatori lo rivela al pubblico ministero Stefano Ancilotto. «Il Consorzio», sostiene l’ingegnere della Mantovani, «ha sempre avuto un atteggiamento ecumenico verso le campagne elettorali, cioè pagava tutti. E soprattutto aveva un atteggiamento che ci ha creato delle difficoltà, come dirò dopo, perché pagava tutti ma non pagava i partiti, cioè pagava le persone, e questo ha creato non pochi malumori a livello di segreterie dei partiti, perché questi non vedevano arrivare una lira nelle campagne elettorali, ma qualche candidato del partito disponeva di più mezzi di altri, quindi con questo finanziamento alcuni candidati riuscivano a imporsi anche all’interno del proprio partito. Quindi, la linea non era di pagare i partiti o di pagare un partito, ma le singole persone che avessero una probabilità di vincere o di andare a fare i deputati, fare il sindaco». «Ho pagato come socio la campagna elettorale delle regionali 2005 consegnando 200 mila euro alla signora Minutillo, che allora lavorava col Presidente Galan, come contributo elettorale alla campagna del Presidente Galan», prosegue, «e ho consegnato i soldi all’hotel Santa Chiara di Piazzale Roma e in quell’occasione la signora Minutillo mi ha presentato Colombelli… Poi ho consegnato personalmente all’assessore Chisso circa 250 mila euro in due occasioni ». Domanda– Dove li ha dati? » Risposta– «Una parte era nella sede di Adria Infrastrutture e un’altra parte all’hotel Laguna a Mestre». Domanda– Esattamente ricorda a che distanza l’una dall’altra consegna? Risposta– «Ravvicinate perché li voleva tutti subito, io non li avevo tutti subito, quindi gli ho dato una prima parte e poi gli ho detto: “Cercherò di fare”. Quindi a distanza metta di un mese l’uno dall’altro». Infine Baita racconta: «La Regione, inteso il governatore Galan e l’assessore Chisso, non hanno mai avuto da noi pagamenti per nessuno dei project financing in termini monetari. Abbiamo riconosciuto alcune utilità e le specifico: la più grossa che abbiamo riconosciuto all’assessore Chisso è la valutazione della quota di partecipazione ad Adria Infrastrutture di una società che si chiama Investimenti Srl, formalmente intestata a Claudia Minutillo, sostanzialmente riconducibile all’assessore Chisso, che ha molto insistito, e uso un eufemismo, perché liquidassimo questa quota non al valore di bilancio ma al valore che la quota avrebbe avuto se i project fossero andati avanti». Piergiorgio Baita, infine, si lamentava «delle richieste di Galan, ma da quello che ha sempre detto quando c’era Galan filava tutto liscio. Le cose sono cambiate poi con il cambio di giunta»: a dirlo, nel marzo 2013, è Claudia Minutillo. «Da quando è andato via Galan ed è arrivato l’attuale governatore Zaia?» è la domanda e lei risponde «Zaia, sì». Il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati con le sue dichiarazioni al pubblico ministero Paola Tonini conferma quelle di Baita: «Con Galan i rapporti li teneva Baita. Noi non abbiamo mai avuto rapporti con lui… Abbiamo avuto rapporti diciamo di conoscenza, di amicizia, di lavoro, ma non di dazioni». In quelle stesse pagine, Mazzacurati sostiene di aver avuto rapporti con l’allora sindaco Massimo Cacciari. «Ho avuto rapporti con Cacciari, che mentre era sindaco mi ha chiesto di aiutare un’impresa che si chiamava Marinese». «Cacciari» prosegue, «mi ha chiesto una sponsorizzazione di 300mila euro per la squadra di calcio, però, insomma, una roba così». «Poi», conclude il presidente del Consorzio, «abbiamo un’altra persona che si occupava di finanziamenti era un certo Marchese, al quale abbiamo versato per questa campagna elettorale dai 200 ai 300 mila euro».

Giorgio Cecchetti

 

oggi la commissione, PARLA RABINO (SC)

«Sull’ex governatore chiederò ulteriore documentazione»

VENEZIA «Sono intenzionato a chiedere ulteriore documentazione a corredo della richiesta di arresto del collega Giancarlo Galan, pervenuta da Venezia». Lo afferma, al telefono, l’onorevole Mariano Rabino, deputato di Scelta civica, cui Ignazio La Russa, presidente della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, ha affidato l’istruttoria. L’appuntamento è fissato per le ore 13 quando la giunta inizierà l’esame della «domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Giancarlo Galan ». Rabino si è letto le quasi 800 pagine dell’ordinanza del gip Alberto Scaramuzza. «Nella mia relazione», anticipa l’esponente di Scelta civica, «dirò che mi sembra necessario acquisire la documentazione integrale della richiesta di arresto e le informative di Polizia giudiziaria. Nei prossimi giorni arriverà la memoria dell’indagato deputato Galan, che sarà sentito dalla giunta». Poichè l’organo parlamentare si riunisce di regola il mercoledì, è facile prevedere che all’«affaire Galan», deputato di Forza Italia, saranno dedicate almeno quattro sedute. Di fatto, la questione va definita entro il 4 luglio, ma credo che per mercoledì 2 dovremmo aver deciso». A quel punto il parere sarà trasmesso all’assemblea di Montecitorio che potrebbe pronunciarsi entro metà luglio. Ieri sera a Venezia Galan ha affermato che «prima si parla con i magistrati, poi anche fuori». Sono ventuno i componenti della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, presieduta da Ignazio La Russa, esponente di Fratelli d’Italia. Ne fanno parte i vicepresidenti Antonio Leone (Ncd) e Danilo Leva (Pd). E ancora i segretari Matteo Bragantini, leghista veronese; Marco Di Lello, coordinatore nazionale del Psi; Davide Zoggia, veneziano, già responsabile nazionale Enti locali dei democratici. Saranno inoltre chiamati a decidere la sorte di Galan tre esponenti del Movimento Cinque Stelle (Paola Carinelli, Vincenzo Caso e Giulia Grillo); il forzista Gianfranco Giovanni Chiarelli; i pd Sofia Amoddio, David Ermini, Giampiero Giulietti, Leonardo Impegno, Maino Marchi, Anna Rossomando, Franco Vazio e Valter Verini; Gea Schirò, vicepresidente di Per l’Italia. Claudio Baccarin

 

Per perquisire Meneguzzo furono chiamati i pompieri

La moglie al citofono, saputo che era la Gdf, non volle più aprire la porta blindata

Gli inquirenti chiamarono l’avvocato Malvestio che la convinse a togliere i paletti

VENEZIA – È William Ambrogio Colombelli che decreta la fine dell’impero, scrolla la Mantovani e il Consorzio Venezia Nuova, l’arresto di politici, amministratori pubblici, imprenditori, in una ramificazione di illegalità che dà le vertigini. Se Colombelli non avesse registrato le conversazioni con Piergiorgio Baita, che pure era suo socio in affari, la Guardia di Finanza avrebbe avuto armi spuntate. Ma per quale motivo Colombelli diffidava di Baita, al punto da predisporsi a ricattarlo? L’ex console di San Marino pretendeva che Baita comprasse la sua azienda, la Bmc Broker, che fabbricava le fatture false per il gruppo Mantovani. Baita non voleva saperne: sarebbe stata un’acquisizione anomala, che avrebbe indotto a sospetti. Per giunta Colombelli pretendeva cifre che non potevano essere giustificate nei bilanci. È qui che Baita s’infuria nei verbali di interrogatorio: «Mi hanno fatto commettere reati che mi hanno portato in carcere » dice «obbligandomi a seguire un percorso che lasciava tracce, in mano a un incapace come Colombelli». Quando bastava pagare le tangenti in contanti, con gli utili dell’azienda. Sovrafatturati, possiamo aggiungere oggi. Ma senza lasciare tracce. Naturalmente bisognava fare attenzione al contante, quando ne hai troppo in casa. Il generale Emilio Spaziante, per esempio, aveva sepolto 200.000 euro in giardino, anche se non era il campo dei miracoli di Pinocchio, dove gli zecchini ricrescono. Nella perquisizione in casa sua a Roma, di Spaziante non di Pinocchio, gli hanno trovato un’altra scatola sotto un armadio con 100.000 euro avvolti nel celofan, pieni di muffa. Per gli inquirenti li aveva dimenticati. Ma niente batte in spettacolarità la perquisizione fatta l’anno scorso in centro storico a Vicenza, Contrà Zanella, in casa di Roberto Meneguzzo, fondatore e ad di Palladio Finanziaria. Un pezzo grosso, lui e la sua società, del Veneto che conta, un uomo di relazioni importanti che il 4 giugno è finito in carcere. I precedenti sono in quella perquisizione: è il 12 luglio 2013, la sveglia suona alle 5 ma non è quella sul comodino. Scampanellano alla porta. Al citofono va la moglie: «Chi è?». «Guardia di Finanza, apra». «Un momento» dice lei. E non dà più segni di vita. Stallo. I finanzieri sono chiusi fuori, le porte sono blindate. Che si fa? Vengono chiamati i vigili del fuoco e un fabbro, si ragiona se abbattere il portone d’ingresso. Prima di fare troppi danni, cercano un’entrata attraverso un cortile interno. Viene sfondato il balcone di un bagno,ma inutilmente. Sono le 7 di mattina e una telefonata sveglia l’avvocato Massimo Malvestio. Che da Malta, dove si è trasferito, continua oggi il racconto: «Mi dicono, qui è la Guardia di Finanza, dica a Meneguzzodi uscire. Uscire da dove?, rispondo io. Da casa sua o sfondiamo la porta, abbiamo un ordine di perquisizione. Lei che è il suo avvocato lo convinca. Io sono il sindaco della Palladio nominato da Veneto Banca, non il suo avvocato: ma c’entro anch’io? Se le telefoniamo, mi rispondono, evidentemente no. Ho tirato un sospirone ».E com’è finita? «Che la moglie ha aperto. Meneguzzo era all’estero». Secondo i verbali era invece all’hotel Principe di Savoia a Milano, lo stesso nel quale è stato arrestato venerdì l’ex generale Emilio Spaziante. Coincidenze.

Renzo Mazzaro

 

Padova, il vescovo tuona contro la corruzione

Manifesta preoccupazione per gli «episodi di illegalità, corruzione e paventate infiltrazioni mafiose» il vescovo di Padova, monsignor Antonio Mattiazzo, nel messaggio diffuso ieri a pochi giorni dalla festa del patrono della città, Sant’Antonio, che verrà celebrata venerdì prossimo. «La disoccupazione rimane una ferita aperta per molti» aggiunge Mattiazzo che, sul piano sociale, sottolinea altri problemi del capoluogo euganeo, città – sottolinea – «dove nascono pochi bambini e con un progressivo invecchiamento».

 

«Portai soldi al ministro Matteoli»

L’ex presidente di Venezia Nuova: «Li consegnai nella sua casa in Toscana»

«Aiutavamo Orsoni, Brunetta si risentì e lo accontentammo». La replica: «Tutto lecito»

Ghedini nomina Giulia Bongiorno difensore Colombelli: «Mai rapporti con Berlusconi»

VENEZIA – Sempre più in alto. Le rivelazioni di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, puntano su politici di primissimo piano. «Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013», scrive Mazzacurati in un memoriale del 25 luglio 2013, «ho versato dei denari al senatore Altero Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana». L’ex ministro Matteoli, difeso dagli avvocati Giuseppe Consolo e Francesco Compagna, ribadisce di «non aver mai percepito denaro né utilità di sorta». Bongiorno difende Ghedini. L’avvocato Giulia Bongiorno, ex parlamentare Pdl e Fli, candidata nel 2013 per Scelta civica, annuncia di aver «ricevuto mandato dal senatore Niccolò Ghedini di agire in sede legale in merito alla pubblicazione di notizie assolutamente false e disancorate dagli atti processuali, di cui alla vicenda Mose, apparse su alcuni quotidiani nazionali, in relazione alla quale l’avvocato Ghedini è del tutto estraneo e non risulta indagato ». Ghedini era stato tirato in ballo da Piergiorgio Baita. Il contributo a Brunetta. L’onorevole Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, precisa che «risulta, dagli atti di indagine e dai verbali degli interrogatori del dottor Baita, che a sostegno della mia campagna per le Comunali veneziane del 2010, è stato deliberato un contributo elettorale, e per di più non dal Consorzio Venezia Nuova, regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo la legge, e nient’altro». «Il Consorzio», spiega Baita in un interrogatorio, «sosteneva Orsoni. Brunetta era molto risentito. Credo abbiamo accontentato anche lui, in misura minore. L’abbiamo fatto come Adria Infrastrutture, saranno stati 50 mila euro, una cosa così… e non in contanti». Gianni Letta, mandato a Coppi. L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha dato incarico al professor Franco Coppi «di procedere in via legale a tutela della sua reputazione per quanto insinauto circa richieste o ricezioni di denaro da parte del dottor Letta per sé o per altri», si legge in una nota dell’avvocato Coppi. Colombelli: mai avuto rapporti con Berlusconi. «Non ho mai avuto rapporti economici o rivestito incarichi politici con il presidente Silvio Berlusconi e con l’avvocato Ghedini». Lo afferma William Ambrogio Colombelli, console di San Marino. «L’avvocato Ghedini si è limitato a presentarmi Galan e Claudia Minutillo». Meloni: i politici coinvolti facciano un passo indietro. «In attesa di conoscere gli esiti dell’inchiesta e le singole responsabilità », afferma l’onorevole Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, «chiedo alla politica un sussulto di dignità. Reputo che i rappresentanti delle istituzioni coinvolte nell’inchiesta debbano fare un passo indietro, a cominciare dal sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che dovrebbe rassegnare le dimissioni». Serracchiani: questione di regole. Debora Serracchiani, vicesegretario nazionale del Partito democratico, afferma che «serve un cambio culturale, che deve partire dalle scuole. La politica non deve nascondersi. Il Partito democratico chiede una cesura. Noi le persone disoneste non le vogliamo nel partito».

 

Un fiume di denaro “retrocesso” per alimentare tangenti

Mantovani accantonava un milione e mezzo di euro l’anno Fatture per il doppio del reale valore della prestazione

VENEZIA Il 5-6% dei ricavi derivanti dai lavori in sasso; il 50-60% degli importi indicati nei contratti per prestazioni di servizio; il 50-60% degli importi indicati nelle istanze di anticipazione di riserve. Il tariffario del sistema Mazzacurati, il Grande Corruttore, funzionava così da almeno dieci anni. Un sistema di fatturazione due a uno, esattamente come avviene per coinvolgere gli sponsor nelle associazioni calcistiche locali. È il 28 maggio 2013 quando in un ufficio della Guardia di Finanza, Piergiorgio Baita fa mettere a verbale venti righe che descrivono la cornice all’inchiesta di questi giorni: riferisce un episodio accaduto nel 2002, al subentro della Mantovani nel Consorzio Venezia Nuova (che acquisì per 78 milioni la quota di Impregilo). «Quando ha saputo che eravamo subentrati a Impregilo, l’ingegnere Mazzacurati – all’epoca direttore e presidente del Consorzio – mi ha chiamato e mi ha detto se, al di là dei documenti del subentro, ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Consorzio Venezia Nuova, cioè impegni chiamiamoli non trasferibili in atti statutari. Gli impegni di cui mi fece parola erano due: uno relativo alla retrocessione di un certo importo; (…) mi disse anche che le tre imprese principali del Consorzio, Impregilo alla quale stavo per subentrare, Grandi Lavori Fincosit e Condotte, insieme esprimono il 90%del fondo consortile. Per cui se io intendevo continuare come Impregilo bastava confermare l’affidamento in subappalto ai subappaltatori di Impregilo; se invece avessi voluto eseguirlo in proprio, avrei dovuto provvedere io alla retrocessione della differenza, ovviamente tenuto conto del fatto fiscale, cioè: ho il 10% di margini in più dedotte le tasse». Anche Pio Savioli, l’uomo delle cooperative rosse, conferma il sistema ai magistrati che lo interrogano il 30 luglio scorso: «Venivo convocato dall’ingegnere, il quale mi diceva. Abbiamo come Consorzio Venezia Nuova delle particolari esigenze. Bisogna che anche voi ci diate una mano. Puoi chiedere alla cooperativa San Martino se ci dà una cifra – in nero, ovviamente – di una certa entità. Provvederemo poi a compensare la cooperativa. Intanto chiedegli questo». Rubinetti aperti come fontane per almeno dieci anni, da quando cioè il governo Berlusconi II decide di finanziare copiosamente il Mose.Mail sistema, per cifre più ridotte, esisteva anche prima e Baita lo ritrova già perfezionato dall’ingegner Mazzacurati. Il sistema Mazzacurati, così, ha drenato dalle casse delle imprese decine di milioni di euro: almeno 22 secondo i calcoli degli investigatori della Guardia di Finanza che lavorano per la Procura di Venezia. Ma sono almeno il doppio secondo la stima che si può fare di un meccanismo che durava almeno da dieci anni. Solo la Mantovani, che da sola detiene poco meno di un terzo delle quote del Consorzio, ha dovuto «accantonare» mediamente un milione e mezzo l’anno (845 mila nel 2006,poco più di due milioni nel 2009), da Mazzi mediamente un milione e mezzo l’anno. La cooperativa San Martino di Chioggia dai 240 mila euro ai 539 mila euro l’anno. La Pietro Cidonio da 272 a 776 mila euro l’anno. Mezzo milione l’anno per Coedmar e Nuova Coedmar. Un fiume di denaro continuativamente attinto dalle casse del Consorzio Venezia Nuova. E girato a Mazzacurati per pagare politici e funzionari. I soldi, attraverso factotum di assoluta riservatezza – Pio Savioli, Federico Sutto e Piergiorgio Baita – sono passati così nelle tasche di politici e funzionari. Fino a che Baita, stremato dopo tre mesi di carcere, ha deciso di raccontare. Edè venuto giù tutto.

Daniele Ferrazza

 

CALCOLO DEFINITIVO DEGLI IMPORTI “RETROCESSI”

MANTOVANI spa
2005 526.899
2006 422.962
2007 680.066
2008 804.071
2009 1.023.123
2010 706.675
2011 525.249
2012 280.404
TOTALE 4.969.451

COVECO/SAN MARTINO
2005 243.512
2006 408.133
2007 539.766
2008 308.430
2009 515.320
2010 329.191
2011 374.984
2012 91.377
TOTALE 2.810.716

PIETRO CIDONIO spa
2005 272.189
2006 704.514
2007 775.390
2008 701.675
2009 744.059
2010 776.357
2011 319.990
2012 555.787
TOTALE 4.849.964

COEDMAR srl e NUOVA COEDMAR srl
2005 497.500
2006 472.500
2007 472.500
2008 495.000
2009 495.000
2010 382.500
2011 483.500
TOTALE 3.298.500

COVECO/RISMONDO ANDREA, FALCONI ANDREA (BOSCA) E SCARTON FRANCESCO
2008 122.500
2009 190.000
2010 262.000
TOTALE 574.500

 

IL CONSORZIO VENEZIA NUOVA – Tutti gli stipendiati del sistema Mazzacurati

Magistrati alle Acque e Corte dei conti. Politica romana e funzionari regionali

VENEZIA Pagavano tutti. Dalla segreteria particolare del Ministro dell’Economia al ministro delle Infrastrutture. Dal Magistrato delle Acque all’assessore regionale. Dal magistrato delle Corte dei Conti al piccolo imprenditore di Chioggia. Con botte da tre, quattrocentomila euro. Cifre che un impiegato o un operaio non vedono neanche dopo trent’anni di lavoro. Un «sistema perfetto» che teneva insieme politica e burocrazia, destra e sinistra, Roma e Venezia. A spese del contribuente, perché la totalità dei fondi usciva – indirettamente – dalle casse del Consorzio Venezia Nuova, autentica greppia. Il Grande Corruttore è Giovanni Mazzacurati, 82 anni, riparato negli Stati Uniti per ragioni di salute, uscito dal Consorzio l’anno scorso con una liquidazione di sette milioni di euro. A Roma aveva aperto gli uffici in piazza San Lorenzo in Lucina, nello stesso palazzo dove riceveva Giulio Andreotti. L’Ingegnere toscano, poche parole e molta diplomazia, entrava nell’ufficio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta quasi senza anticamera, arrivava al ministro Giulio Tremonti attraverso i buoni uffici del suo consigliere Marco Milanese (500 mila euro), intratteneva rapporti diretti con il ministro Altero Matteoli e Giancarlo Galan. A Venezia pranzava con il Patriarca di Venezia (era Procuratore di San Marco) e cenava con il sindaco. Si teneva buona l’opposizione in Regione (Giampietro Marchese, consigliere Pd). Il sistema Mazzacurati aveva a libro paga praticamente tutti. Il presidente del Magistrato alle acque (dal 2008 al 2011) Patrizio Cuccioletta sarebbe stato beneficiario di uno «stipendio» dal Consorzio pari a 400 mila euro l’anno e di una «stecca» da 500 mila euro accreditata in un conto cifrato svizzero intestato alla moglie. Faceva avere alla figlia un contratto di collaborazione con il Consorzio, poi un’assunzione in una società collegata. Si faceva pagare alberghi, pranzi e cene tra Venezia e Cortina. Il successore al Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva (dal 2001 al 2008) beneficiava di uno «stipendio annuale di circa 400 mila euro», ha ottenuto l’incarico di collaudatore dell’ospedale di Mestre (per 327 mila euro) e si faceva scrivere le lettere dai funzionari del Consorzio. Al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante era finita una busta con 500 mila euro (da dividere con Milanese) ma soprattutto la pattuizione di un versamento complessivo pari a 2,5 milioni di euro per fermare le verifiche fiscali sul Consorzio. Giancarlo Galan, ex ministro ed ex governatore, sarebbe stato aiutato a coprire i costi della ristrutturazione di villa Rodella a Cinto Eugeneo (per circa 1 milione) e avrebbe percepito uno stipendio annuale di un milione e due versamenti da900 mila euro ciascuno tra il 2007 e il 2006 nel 2008 in cambio del via libera di una commissione regionale del progetto Mose. A Renato Chisso uno stipendio oscillante tra i 200 e i 250 mila euro per accompagnare le procedure del Mose e tacitare la struttura regionale. A Chisso andò anche una liquidazione d’oro della sua quota della società Adria Infrastrutture (pari a 2 milioni). Due funzionari della Regione sarebbero stati fidelizzati: Giovanni Artico attraverso l’assunzione della figlia in una società del gruppo Mantovani. Giuseppe Fasiol attraverso l’ottenimento di alcuni incarichi di collaudi in corso d’opera per poco più di 10 mila euro. Per Vittorio Giuseppone, magistrato in servizio alla Corte dei conti, uno stipendio oscillante tra i 300 mila e i 400 mila euro l’anno a partire dai primi anni 2000 e fino al 2008. E poi i contributi non registrati: ad Amalia Sartori, europarlamentare uscente di Forza Italia; a Giampietro Marchese, consigliere regionale del Partito Democratico, per un totale complessivo di 170 mila euro; a Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, per un valore di 390 mila euro non registrati. Ma anche a Davide Zoggia, Andrea Martella, Flavio Tosi, ma regolarmente registrati. Dieci anni vissuti al di sopra del bene e del male. Fino alle manette del 4 giugno scorso.

(d.f.)

 

Intercettazioni e microcamere negli atti. Nel film anche i passaggi dei contanti

VENEZIA. Tre anni di appostamenti, intercettazioni telefoniche, riscontri ambientali. Con qualche episodio anche divertente tra gli investigatori. Come l’incontro, avvenuto il 18 maggio 2011 in un ristorante di Sasso Marconi (Bologna), tra Pio Savioli (in foto), Stefano Tomarelli e Sandro Zerbin. Secondo gli investigatori doveva servire per una delle consegne di denaro più delicate e importanti. La Guardia di Finanza decide quindi di utilizzare un furgone e un’autovettura e di alcune strumentazioni di registrazione video forniti da una ditta specializzata. Gli agenti della Finanza attendono all’interno dell’auto e del furgone nel parcheggio del ristorante, quando l’auto di Savioli si ferma giusto accanto ai finanzieri, creando un attimo di panico nel timore di essere scoperti. Poco dopo arriva anche Tomarelli, proveniente da Roma, che parcheggia esattamente accanto al furgone in uso agli altri finanzieri. Altro attimo di panico. Poi, mentre gli indagati pranzano all’interno del ristorante, i finanzieri fanno parcheggiare al posto dei due veicoli civetta due auto dotate di microcamera e microfoni ambientali. E al ritorno degli indagati possono filmare e registrare il passaggio del denaro. Nell’auto di Tomarelli, durante il pranzo, gli investigatori hanno inserito una microcamera che filma le due buste posate nel sedile anteriore. Nel corso del viaggio verso Roma, a causa della tortuosità del tratto appeninico, le buste si spostano e Tomarelli cerca di occultarle mentre sta alla guida. Il filmato si trova agli atti dell’inchiesta, a disposizione delle difese. Madovranno essere gli indagati a spiegare il perché di quelle buste, gonfie di denaro, passate dalle mani di Savioli a quelle di Tomarelli, rappresentante del gruppo Condotte.

(d.f.)

 

La denuncia di Bettin: «Mazzette sulle bonifiche di Porto Marghera»

VENEZIA. Nell’ambito dell’inchiesta sul “sistema Mose” emerge un aspetto che riguarda le bonifiche delle aree contaminate di Porto Marghera. Lo denuncia l’assessore veneziano all’ambiente Gianfranco Bettin. «Apprendiamo dalle carte e dagli sviluppi dell’inchiesta – dice l’amministratore – che da parte di politici, ministri e funzionari in particolare dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture si sarebbe lucrato per milioni e milioni di euro». Una parte di questi fondi, secondo l’assessore veneziano, «sarebbe stata distratta dalla bonifica in favore di tangenti pagate a imprese nullafacentimacon il ruolo di canalizzare tangenti verso politici e funzionari di riferimento».

 

Ripartiamo da zero con il progetto

In questi giorni leggiamo sui giornali delle accuse mosse dalla Magistratura sulla gestione del Consorzio Venezia Nuova: accuse dalle quali sta prendendo forma nei dettagli e nelle responsabilità personali un quadro di corruzione e di abusi che, se provato in giudizio,avrebbe caratterizzato la vita del sistema politico-industriale che ha impostato e sviluppato il sistema Mose, ne ha definito le soluzioni progettuali e la realizzazione, e attraverso il quale dal progetto sarebbero state drenate negli anni grandissime quantità di denaro, che si sarebbero disperse in un universo di interessi illeciti personali tali per cui sarebbe ben difficile recuperarle. L’entità di tali risorse economiche è valutata nell’ordine delle decine di milioni di euro e forse anche molto di più dall’inizio del progetto:ed è da sperare che, se queste accuse verranno confermate, coloro che hanno abusato delle proprie funzioni per trarne guadagni e vantaggi per sé, per parenti, amici e sodali, siano chiamati a risponderne penalmente ed in solido, restituendo alla comunità il maltolto. Gran parte del sistema politico ha reagito a questi eventi prevalentemente con richiami al necessario garantismo, per cui (com’è assolutamente giusto che sia!) solo dopo tre livelli di giudizio sarà possibile chiamare ladro chi è accusato di aver rubato; esso inoltre si affretta a dichiarare che il progetto uscito da questo sistema, anche se viziato da perversi e criminosi processi decisionali, deve comunque essere portato a termine, dal momento che i soldi sono già stati spesi: e questo è molto meno giusto, perché vorrebbe dire che l’aver fatto scelte tecniche volte a massimizzare i costi dell’opera per aumentare le risorse economiche disponibili per appropriazioni indebite sarebbe comunque di per sé sinonimo di merito tecnico ed efficacia sicura. Insomma,occorre chiedersi e capire se il sistema abbia solamente allungato il percorso del Mose o se invece abbia fatto scegliere il sentiero sbagliato, perché se così fosse sarebbe inutile affrettarsi per giungere al traguardo. Dunque, pur rispettando assolutamente le necessarie garanzie per le responsabilità personali, in contrasto con queste ultime affermazioni, vogliamo richiamare l’attenzione sul fatto che il danno che, a nostro avviso,è stato portato alla comunità è ben maggiore dei denari che, secondo le accuse dei Magistrati, sarebbero stati illegalmente elargiti dal CVN per garantirsi la posizione di gestore unico e incontrollato del progetto Mose e dei reati contabili relativi. Infatti, il danno subito dalla comunità italiana e veneziana in particolare è dato anzitutto dal fatto che il progetto Mose non risponde ai requisiti di gradualità, sperimentalità e reversibilità posti per legge all’opera di salvaguardia e che i suoi costi sono molto superiori a quanto era previsto (e che era certamente più che congruo) e sono destinati a protrarsi nel tempo per le gravi criticità funzionali del progetto non ancora risolte, per l’impatto ambientale e per la complessità estrema della sua architettura, che imporrà costi elevatissimi di gestione e manutenzione. Vogliamo ribadire che questi esiti del progetto non sono stati una necessità imposta dalle premesse poste dalla Legge speciale, ma sono la conseguenza di aver perseguito un progetto inutilmente complesso: soluzioni diverse, più economiche e tecnicamente vantaggiose erano state definite e proposte, ma non furono esaminate in modo appropriato e sviluppate perché il Consorzio non lo ha voluto. Per ciò che riguarda le gravi criticità funzionali vogliamo ricordare che nel documento di approvazione del progetto definitivo del Mose da parte del Comitato tecnico del Magistrato alle acque, sull’aspetto fondamentale del comportamento dinamico delle paratoie mobili, ci sono evidenze di come queste problematiche siano state affrontate in modo non congruo e del fatto che problemi di instabilità dinamica, già noti dalla fase di progetto di massima e ancora presenti nel progetto definitivo,non siano stati adeguatamente valutati per garantire la sicurezza prestazionale delle opere e dei dimensionamenti strutturali assunti. A nostro parere, quindi, l’entità del danno subito dai cittadini e da Venezia non è costituito solo dalle tangenti che oggi si sostiene che siano state distribuite in vario modo(e sulle quali lasciamo il giudizio alla Magistratura), ma è commensurabile al costo intero dell’opera, che è levitato a dispetto del tanto sbandierato prezzo chiuso di 4.300 milioni, già di per sé lievitato rispetto alle stime precedenti di 3.440 milioni, oggi arrivato a 5.600 (e forse non è ancora finita). Facciamo presente che con costi notevolmente inferiori a quelli del Mose, sono state realizzate nel mondo opere di difesa oggi operative ed efficaci da più di 15 anni (le paratoie ad arco), che furono scartate per un supposto eccessivo impatto ambientale, nei fatti comunque non maggiore di quello che oggi ha già sconvolto le bocche di porto della laguna. Nel 2006, in occasione della presentazione di progetti alternativi al Mose sollecitata dal Comune di Venezia,presentammo il progetto di massima basato sulla Paratoia a gravità, ovvero di una paratoia a ventola innovativa, soluzione che per le caratteristiche vantaggiose e in quanto (a differenza del Mose)perfettamente rispondente ai requisiti di gradualità, sperimentalità, reversibilità, fu considerata dalla commissione tecnica del Comune più promettente del Mose stesso. Questa soluzione che tra l’altro sarebbe costata circa un quarto del costo del Mose allora stimato di 3.440 milioni di Euro, fu avversata dalle strutture tecniche che qualche tempo prima avevano approvato il passaggio alla fase di progetto esecutivo del Mose. Le argomentazioni addotte a supporto del giudizio negativo da parte di quei tecnici erano infondate e per noi fu facile confutarle punto per punto. Successivamente si è anche scoperto un documento del CVN dove si parla correttamente della instabilità della paratoia singola e dei problemi conseguenti questa condizione, mentre i tecnici del Comitato tecnico di Magistratura hanno attribuito, in modo tecnicamente non corretto, la instabilità alla schiera. La nostra soluzione doveva essere presentata e proposta per una valutazione ufficiale nel Comitatone del 2006dal sindaco di Venezia. In quella occasione l’ingegner Di Tella fu invitato dal sindaco Cacciaria partecipare al Tavolo tecnico istituito presso la presidenza del Consiglio per controbattere la valutazione negativa, ma non gli fu concesso neppure di parlare. La nostra soluzione fu bocciata e non fu ripresa in considerazione neppure dopo che il Comune di Venezia incaricò la società francese Principia – esperta riconosciuta internazionalmente nel campo della simulazione di sistemi dinamici complessi in moto ondoso – un’analisi dinamica della schiera di paratoie Mose per la bocca di Malamoccoe per confrontoanche della schiera di Paratoia a Gravità: e questo anche se lo studio di Principia smentisce senza equivoci le argomentazioni del Comitato tecnico di Magistratura sul comportamentodinamico della paratoia e della schiera e dal confrontoemerge che la Paratoiaa gravità, scartata a beneficio del “sistema Mose”, funziona perfettamente, mentre la paratoia Moserisulta dinamicamente instabile al motoondosoper condizioni di marereale già verificatesi alla bocca nei dueanni di monitoraggio delmotoondoso alla stessa bocca. Anchein questo casonon è stato maipossibile unconfronto tecnico di merito che analizzasse gli effetti evidenziati dallo studio Principia, neppuredopoche il Consorzio VeneziaNuova ha persouna causa civilepromossa contro gli scriventi, in cui li avevaaccusati di “diffamazione” per le loroben motivate critiche tecniche al progetto, causa alla fine della quale il Tribunale di Venezia ha respinto ledomandedel Consorzio, riconoscendo che lenostre critiche nonerano affatto diffamatorie. Questa sentenzaè passata in giudicato, diventando quindi definitiva,maneppure questo ha smosso il Consorzio dalle sue posizioni. Perquanto sopra le barriere del sistema Mose, ancora da finire, anchese gli sconquassi ambientali e gli esborsi economici relativi sonogià stati eseguiti per grandissimaparte, non possono enon devono, a nostro parere, essere completate prima chefondamentali aspetti critici funzionali tante volte denunciati e sui qualinonè maistata dataunarisposta accettabile, siano pubblicamente valutati e verificati, Questocontrollo nonèmai stato eseguito da Istituzionie persone che avevanoil compitoe il dovere di farlo e che ora, per quantosembraemergere dalle indagini,nonsono più credibili.È quindi necessario che idocumenti del progettoMosee i processi decisionali chehannoportato alle scelte sulle sue soluzioni tecnichee ai dimensionamenti siano resi pubblici, peruna valutazione da parte di esperti terzi di chiara famae competenza professionale specifica, inmododa verificare se l’opera sia realmente efficace, ovvero quali rischi essa possa comportare unavolta entrata in esercizio. Il nostro auspicio è che questa bufera sia l’occasione peruna rivalutazione di tutto il progetto e perunavera ripartenza. Ingegneri Vincenzo Di Tella, Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani

 

Tutti i rischi di incompatibilità del legale di Orsoni

L’avvocato Daniele Grasso, legale di fiducia del sindaco di Venezia, ora sospeso, Giorgio Orsoni, rischia di diventare incompatibile in quanto patrocinante il Comune in diversi processi nei quali Ca’ Farsetti si è costituito parte civile. Inoltre sempre il legale con studio a Chioggia, è presidente dell’Ordine degli Avvocati e teoricamente potrebbe essere parte civile nei contro Orsoni, pure lui avvocato. Ieri, con la decisione della giunta comunale, di costituirsi parte civile nel processo che seguirà all’inchiesta, il rischio di incompatibilità è diventato quasi una certezza. Nonva dimenticato che il Comune, comunque, è obbligato a costituirsi parte civile, in un eventuale processo a carico di Giorgio Orsoni.

 

Mose, Comune contro Orsoni

Ca’ Farsetti parte civile. L’avvocato del sindaco: «Atto inconsulto»

«Il Comune parte civile» L’avvocato: «Inconsulto»

Una dichiarazione di Simionato fa esplodere la rabbia dei legali di Orsoni

Mozione del centrosinistra per far sciogliere il Consorzio Venezia Nuova

VENEZIA Lo chiede il centrosinistra nella mozione che punta a far sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, lo ribadisce una nota di Sandro Simionato, sindaco facente funzioni di Venezia. «Riaffermo in modo chiaro l’assoluta estraneità dell’amministrazione comunale di Venezia », dice Simionato, ed è «del tutto evidente che la città di Venezia nella sua interezza si considera parte lesa». Simionato quindi annuncia: «Ritengo a questo punto necessario, a tutela del buon nome della città, delle persone oneste che ci lavorano, delle persone oneste che ci vivono, insomma di tutti i cittadini, procedere a tempodebito alla costituzione di parte civile contro quel sistema criminogeno che ha prodotto corruzione, concussione e malaffare». Ma la notizia della costituzione di parte civile contro tutti gli indagati fa andare su tutte le furie il sindaco Giorgio Orsoni e i suoi difensori e così in tarda serata l’avvocato Daniele Grasso detta una breve dichiarazione di fuoco: «Avevamo previsto anche iniziative proditorie ed inconsulte » ed il riferimento è naturalmente alla decisione della giunta di costituirsi parte civile. Le parole di Simionato rafforzano la mozione depositata dal centrosinistra veneziano in consiglio comunale (primo firmatario il Pd ma ci sono anche le firme di In Comune, Rc, Udc, Socialisti, Federalisti Riformisti). E una parte del centrodestra potrebbe sostenere la mozione che verrà votata lunedì prossimo. La mozione chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sul Consorzio Venezia Nuova per far luce anche su società collegate e fondi spesi dal 1984 ad oggi. Il documento impone lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e l’affidamento del controllo sui cantieri aperti ad una Authority indipendente; la rapida ripresa dell’esame parlamentare della riforma della legge speciale e il passaggio di poteri e competenze del Magistrato alle acque alComune di Venezia, «unica istituzione- viene ricordato – adessersi opposta alle procedure del Mose e i cui atti politico-amministrativo sono risultati estranei a comportamenti illeciti ». Costituendosi parte civile il Comune, dicono i partiti, deve ottenere il risarcimento delle «ingenti somme economiche sottratte alla salvaguardia e alla rivitalizzazione socio- economica della città». Algoverno Renzi si chiede di superare il regime della concessione unica per le opere di salvaguardia e di affidare ad una commissione indipendente la «immediata verifica tecnico scientifica e contabile» del progetto Mose anche su efficacia, sicurezza e costi. Infine si chiede di abrogare le norme della Legge Obiettivo che consentono di limitare le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) e di superare i pareri dellecomunità locali.

Mitia Chiarin – Giorgio Cecchetti

 

Le categorie economiche preoccupate «La giunta resti in carica fino a luglio»

VENEZIA. La Giunta vada avanti sino all’approvazione del bilancio di previsione 2014 e poi si sciolga. È questo il primo messaggio, positivo, che arriva al Comune dalle categorie economiche, che si propone di incontrare , proprio per sentire il loro parere su questo punto. «Il bilancio è un atto troppo importante per la città per lasciarlo nelle mani di un commissario – commenta il direttore dell’Associazione veneziana albergatori Claudio Scarpa – e fissi già fin d’ora il giorno del Consiglio comunale in cui lo approverà, per poi sciogliersi, perché non ci sono più le condizioni politiche per pensare ad altri provvedimenti». Simile la posizione del segretario della Confartigianato veneziana GianniDe Checchi: «Siamo più che disponibili a discutere con l’Amministrazione e non capiamo, anzi, perché ciò non sia avvenuto prima. Capisco che ci sia chi politicamente tenti di sfruttare la debolezza di questa Giunta,main questo momento la priorità va alla città, e l’approvazione del bilancio è un atto indispensabile. La Giunta pertanto vada avanti sino ad allora e poi lasci spazio al commissario. Mi auguro che questa volta non sia solo un burocrate ministeriale,maqualcuno che conosca le difficoltà e i problemi di Venezia, perché la situazione è difficile». Maurizio Franceschi, Direttore Confesercenti Venezia, dichiara a sua volta: «Ci sono numerosi progetti che riguardano la riqualificazione ed il riordino della nostra città che devono essere portati a compimento e non lasciati in sospeso, come accadrebbe se il Comunedi Venezia fosse commissariato. Venezia e la sua cintura urbana hanno bisogno, soprattutto in questo particolare momento, di un’Amministrazione che abbia pieni poteri. L’invito di Confesercenti Venezia pertanto, rivolto a tutte le forze politiche, è quello di sostenere la continuità amministrativa fino al 2015 con l’assunzione da parte del Vicesindaco Sandro Simionato delle funzioni del Sindaco». L’Aepe, l’associazione pubblici esercenti, invece, attende prima di conoscere le intenzioni della Giunta. Siamo disponibili a incontrare il Comune – spiega il segretario Ernesto Pancin – e decideremo la nostra posizione sul bilancio sulla base di ciò che ci dirà».

(e.t.)

 

NUOVA VENEZIA – Mantovani e A4 a Meolo, ispezioni Dia nei cantieri

LOTTA ALLE INFILTRAZIONI MAFIOSE. L’AZIENDA: «NESSUN RILIEVO»

Ispezione Dia nei cantieri della Mantovani e dell’A4

VENEZIA Uomini della Direzione investigativa antimafia (Dia), nei cantieri della Mantovani a Fusina. Ma la vicenda del Mose non c’entra nulla. Si tratta di “accessi” per verificare se nei cantieri aperti per grandi opere vi sia l’impiego di manodopera in nero ose le aziendeche vi lavorano hanno collegamenti con le organizzazioni criminali di stampomafioso. I controlli sono avvenuti nel cantiere aperto dalla Mantovani per la realizzazione del terminal dell’Autostrada del Mare. Stessi controlli sono stati eseguiti in un cantiere lungo l’A4 a Meolo aperto, invece, per i lavori relativi alla realizzazione della terza corsia. Si tratta di “accessi ispettivi” per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti pubblici e dunque con finalità di prevenzione. Nei controlli, le forze di polizia eseguono verifiche documentali sulle ditte appaltatrici e subappaltatrici, interessate ai lavori di realizzazione del Terminal Autostrada del Mare, a Fusina, nonché all’installazione delle barriere fonoassorbenti e ad altre opere per l’ampliamento della terza corsia dell’autostrada A4 nel tratto Quarto d’Altino -San Donà di Piave. Gli “accessi ispettivi”, promossi dalla Prefettura di Venezia, sono finalizzati sia a potenziare l’attività di verifica antimafia, sia a tutela della legalità e del rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e di prevenzionedel “lavoro nero”. Queste attività nel Veneziano, da tempo programmate e coerenti con analoghi interventi effettuati nei mesi scorsi su altre opere pubbliche in territorio veneziano, sono state decise dal Gruppo Interforze, costituito presso la Prefettura di Venezia e vedono l’impiego, con il coordinamento tecnico- operativo della Direzione investigativa antimafia-Centro operativo di Padova, diuna cinquantina di uomini della Guardia di Finanza, della polizia e dei carabinieri, oltre ad un gruppo di ispettori del lavoro. Gli esiti degli accessi saranno poi approfonditi nei prossimigiorni. Controlli simili sono stati eseguiti lo scorso anno, sempre nei cantieri lungo l’A4 e alcuni mesi fa pure alla Fincantieri. «Sono controlli ordinari, doverosi e necessari – ha detto Carmine Damiano,presidente della Mantovani Spa -. L’azienda è e rimane a completa disposizione dell’autorità giudiziaria. E siamo felici di collaborare. Da quanto sono a conoscenza nessun rilievo è stato mosso nei nostri confronti», conclude il presidente Damiano. Da quanto si è appreso anche la verifica nell’altro cantiere controllato è risultata negativa.

Carlo Mion

 

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