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Il ministero dell’ambiente estromesso. Così Chisso aggirò i controlli

Pecoraro scanio e realacci «Ci siamo opposti ma è stato inutile»

VENEZIA Il Mose? «Nasce senza Via, la valutazione d’impatto ambientale, e si procede con deroghe e l’autoassegnazione degli appalti », dice l’onorevole Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera. A lanciare il campanello d’allarme nel 2008 è stata l’Europa, che ha chiesto all’ Italia di affidare i controlli sui lavori a un organo autorevole e neutrale ma, grazie all’ intervento dell’ assessore Renato Chisso, il monitoraggio tornò sotto il controllo di quegli uomini che in Regione Veneto venivano, secondo l’accusa, regolarmente stipendiati dal Consorzio Venezia Nuova con l’perché non creassero problemi. L’episodio è raccontato nell’ ordinanza di custodia cautelare che ha fatto scattare i 35 arresti, tra cui Chisso. La Commissione europea aveva aperto una procedura di infrazione per violazione della direttiva comunitaria di salvaguardia della biodiversità in relazione ai lavori del Mose, che fu chiusa in seguito ad un piano di monitoraggio elaborato dal magistrato delle acque di Venezia. Come ricorda l’allora ministro Pecoraro Scanio, il governo aveva deciso di affidare l’incarico all’Ispra, ente strumentale del ministero dell’Ambiente con un mandato fino al 2012. É a questo punto che interviene Chisso. Il 21 gennaio 2013, con un successivo accordo di programma con il ministero, la Regione subentrava all’Ispra nei monitoraggi sulle attività connesse al progetto Mose. La vicenda è finita al parlamento Ue con una interrogazione, ma Chisso ha tirato dritto. «Si assiste», scrive il Gip Scaramuzza, «all’estromissione dell’Ispra dai monitoraggi e alla sua sostituzione con la Regione che, tenuto conto della riorganizzazione, poteva preludere, come in effetti poi è emerso, ad accordi di tipo corruttivo tra i vertici del Consorzio Venezia Nuova e i vertici della Regione, finalizzato a facilitare gli iter autorizzativi ». E qui entrano in gioco Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, e l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che nell’ordinanza viene erroneamente chiamato Carlo. La telefonata è del 20 settembre 2012 e l’argomento della conversazione sono i fondi europei. Ad un certo punto, annota la Gdf nel brogliaccio, la Minutillo gli «rinfaccia di non esser stato lui a raccomandarla con Clini». Torniamo al giudizio politico: «Sono stato l’unico ministro con Fabio Mussi a votare contro il Mose fin dal Comitatone del 2006», ricorda Pecoraro Scanio, «sono sempre stato contrario alle grandi opere, al ponte sullo Stretto di Messina e al Mose: le dighe mobili giapponesi costavano 5 volte di meno, Bettin ed io siamo stati gli unici a dire di no». Rincara la dose Ermete Realacci (Pd): «Ho sempre avuto dubbi sul Mose, se il livello dell’Adriatico si alza le dighe diventeranno fisse e non mobili e allora viene a cadere la ragione stessa dell’opera i cui costi sono triplicati. Ora va concluso, ma con 5.-6miliardi di poteva fare di meglio e sprecare meno».

Albino Salmaso

 

Strade, inchiesta della procura

Indagato Vernizzi. Acquisiti documenti anche sull’ospedale dell’Angelo

Veneto Strade, caccia alle false fatture

Uno dei primi filoni della grande inchiesta riprende quota: acquisizione di documenti da parte della Guardia di Finanza

VENEZIA – Dopo il Mose è tempo di strade. Dei “project” utilizzati per realizzare opere pubbliche che tanto hanno fatto esultare gli amministratori regionali che li portavano ad esempio del Veneto efficiente. In realtà, come hanno raccontato Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo, dopo il loro arresto, altro non erano che un sistema per garantire alle solite imprese amiche i lavori e ai soliti politici, di destra e sinistra, le tangenti. Dopo gli ultimi arresti riprende a correre anche il filone dell’inchiesta che riguarda le grandi opere stradali e Veneto Strade. Del resto tutti coloro che tiravano le fila del sistema corrotto di queste opere sono indagati. Si tratta di Giancarlo Galan, ex presidente della Regione, dell’assessore alle infrastrutture Renato Chisso, del dirigente regionale sezione strade Giuseppe Fasiol e dell’ex ad di Veneto Strade Silvano Vernizzi. Fasiol e Chisso sono in galera, per Galan c’è una richiesta di arresto che deve valutare il Tribunale dei Ministri e Vernizzi è solo indagato e dallo scorso anno. In questi giorni sono continuate le acquisizioni di documenti in undici abitazioni private da parte della Guardia di Finanza. Documenti riguardanti opere pubbliche e in particolari strade e infrastrutture legate alla viabilità. Del resto Baita e Minutillo hanno riempito pagine pagine di verbali al riguardo. Hanno spiegato che praticamente non c’è un’opera stradale importante, realizzata con soldi pubblici, passata attraverso l’assessorato ai trasporti regionale e Veneto Strade, che non sia stata realizzata col “trucco” per assegnare gli appalti agli amici. Dalla Pedemontana alla “Nogara Mare”, al “Passante”, per citarne alcune. Discorso analogo per le opere destinate alla sanità. Claudia Minutillo spiega in un verbale, che all’inizio dell’era Galan Silvano Vernizzi era considerato dalla “cupola delle tangenti”: «Bravissimo perché sapeva come far andare le cose in modo perfetto anche da un punto di vista tecnico ». Poi negli ultimi anni Renato Chisso e lo stesso Baita non lo ritengono più affidabile per i loro interessi e gli preferiscono l’astro nascente Giuseppe Fasiol. Vernizzi è indagato dallo scorso anno, Fasiol è stato arrestato. Ma il filone delle grandi opere stradali non è stato ancora sviluppato fino in fondo. La stessa Minutillo racconta ai magistrati che anche su opere locali viene imposto il sistema dei “project” e di far andare deserta la prima asta per poi consentire a chi si deve aggiudicare l’opera la possibilità di “offrirsi” a realizzarla. Spiega che Baita in alcune circostanze si mise d’accordo con Mario Della Tor, all’epoca vice presidente della Provincia di Venezia, attualmente senatore e uomo ombra di Renato Chisso. Della Tor non è indagato. Uno dei maggiori fruitori del “sistema Baita”, cioè nell’ utilizzo di fatture false, per creare “fondi neri”, i cui importi venivano messi a bilancio è stata Veneto Strade. Quando i finanzieri, coordinati dal pm Stefano Ancillotto hanno verificato i conti correnti della Bmc Broker, la “cartiera”, si sono trovati davanti a numerosi bonifici compiuti da Veneto Strade, che superano i 2 milioni di euro. Soldi pagati per delle fatture prodotte dalla “cartiera” che all’epoca era gestita da William Colombelli. Cioè carte false. Stando alla Guardia di Finanza infatti quei bonifici alla società di Colombelli sono giustificati con documenti falsi. Dove sono finiti quei soldi?

Carlo Mion

 

IL MANAGER INDAGATO – Padre del Passante e della Pedemontana

Silvano Vernizzi è il supermanager delle infrastrutture nel Veneto, «padre» del Passante di Mestre e della Superstrada Pedemontana Veneta. Rodigino classe 1953, ingegnere civile, dal 1988 è dirigente regionale e, dal2000 e fino a pochi mesi fa, segretario regionale alle Infrastrutture e Mobilità. Nelle carte dell’inchiesta veneziana è citato più volte soprattutto a proposito dell’incarico, assegnatogli dalla giunta Galan, di sovraintendere alla Commissione di valutazione di impatto ambientale, fino ad allora di competenza della Direzione ambiente. Galan – e soprattutto Chisso – vollero invece affidare la presidenza della Commissione Via e le relative competenze a Vernizzi, manager di provata capacità e fedeltà. La Procura ritiene che questo agevolasse le procedure di approvazione delle opere di salvaguardia di Venezia. Dal 2001 è amministratore delegato di Veneto Strade. Dal 2003 commissario delegato per il Passante di Mestre e per la Pedemontana.

 

Veneto Strade, replica di Vernizzi: non sono indagato

Proseguono gli accertamenti della Guardia di Finanza sull’operato di Veneto Strade, ma l’amministratore delegato della società regionale Silvano Vernizzi non ci sta e respinge la parte che lo riguarda che lo riguarda della ricostruzione apparsa sul nostro giornale: «Leggo con stupore l’articolo dal titolo “Strade, inchiesta della Procura” – scrive l’ingegner Vernizzi – Buona parte dei contenuti dell’articolo riportano le stesse informazioni presenti in un altro articolo pubblicato oltre un anno fa, articolo per il quale Veneto Strade ha presentato querela». Poi la parte della replica che riguarda direttamente l’estensore: «Il sottoscritto, Silvano Vernizzi – scrive l’amministratore delegato di Veneto Strade – fino ad oggi, non ha ricevuto alcun avviso di garanzia, non solo, ma recentemente era stato sentito dal pm Stetano Ancilotto come persona informata sui fatti, e di conseguenza non può essere indagato da più di un anno».

 

Il business collaudi: tesoro di 50 milioni pagato ai soliti noti

Gli ex presidenti del Magistrato alle Acque Piva e Cuccioletta in un elenco che in 25 anni ha allineato tanti alti burocrati

La legge prevede una parcella dell’1% di ogni appalto

Di Pietro aveva affidato ai tecnici del suo ministero il verdetto definitivo sul Mose

VENEZIA Una pioggia di denaro su consulenti e collaudatori. Centinaia di milioni di euro distribuiti negli ultimi 25 anni. Funzionali a «promuovere» l’opera nelle situazioni di criticità. Incarichi affidati sempre o quasi agli stessi soggetti. Decisi dal presidente del Magistrato alle Acque e pagati direttamente dal Consorzio Venezia Nuova. Cioè da coloro che realizzano le opere da sottoporre a controllo. «Il sistema dei lavori pubblici va riformato», dice Lorenzo Fellin, ingegnere che si era dimesso per protesta dal Comitato tecnico di Magistratura in polemica con i pareri facili pro-Mose, «le norme attuali nutrono un verminaio di corrotti e di corruttori». Nel mirino gli incarichi «extra funzione », tutti regolarmente autorizzati e lautamente pagati. «Affidati», racconta Fellin, «a funzionari della Regione, delle Province, dei Comuni ma soprattutto del Magistrato alle Acque e del ministero. «Brodo di coltura dove possono attecchire i semi della corruzione». Un sistema ben collaudato. 24 milioni di collaudi per il Mose elargiti in pochi anni, dal 2004 al 2008. Una cifra totale che si avvicina intorno ai 50. L’1 per cento come previsto dalla legge. Ma qui si tratta di cifre enormi, oltre 5 miliardi di euro. A chi andavano questi collaudi? Il record spetta all’ex presidente dell’Anas Vincenzo Pozzi, un milione e 200 mila euro, poi il suo successore Pietro Ciucci (747). E dietro alti funzionari del ministero dei Lavori pubblici. Mauro Coletta e Massimo Averardi, l’ex Magistrato del Tar Vincenzo Fortunato. A decidere dei collaudi era sempre il presidente del Magistrato alle Acque. Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta – che hanno governato dal 2000 al 2011, oggi in carcere – li distribuivano tra gli ingegneri dei Lavori pubblici. Ma anche a Giampietro Mayerle, vicepresidente del Magistrato e responsabile di molti progetti del Mose. Erano stati beneficiati da Cuccioletta anche Angelo Balducci, per anni presidente del Consiglio superiore e coinvolto nell’inchiesta della cricca a Firenze e il suo braccio destro Fabio De Santis. E poi Roberto Daniele, dirigente delle Infrastrutture, oggi presidente del Magistrato alle Acque. La stessa Piva aveva ricevuto l’incarico di collaudare il nuovo ospedale di Mestre, costruito dalla solita cordata Gemmo-Mantovani-Studio Altieri. Collaudi e parcelle per consulenze. Famose quelle denunciate dalComune e dai comitati che avevano promosso il Mose nonostante i tanti dubbi tecnici emersi e le alternative presentate dalla giunta Cacciari. L’allora ministro Di Pietro, d’accordo con Prodi, aveva incaricato un gruppo di suoi tecnici del ministero di dare il giudizio definitivo sul Mose. Gli ingegneri Valentino Chiumarulo, Angelo Ferrante, Pietro Ciaravola, Aldo Burgignoli, Luigi Natale, Luigi Da deppo, Donato Fontana, Renato Gavasci, Giuseppe Veca, Salvatore Fiadini avevano detto sì. A Venezia il Magistrato alle Acque stroncava le critiche con un altro gruppo di esperti del Ctm (Comitato tecnico di Magistratura): gli ingegneri Mayerle, Santin, Caielli, Datei, Fellin, Foccardi, Mammino, Stura. La relazione del Consorzio era stata approvata anche da Roberto Cecchi (Beni culturali), Pierpaolo Campostrini (Corila), Giancarlo Zacchello (Autorità portuale). E dalla commissione regionale con la firma di Giancarlo Galan.

Alberto Vitucci

 

VERBALE DI SAVIOLI  «Mazzacurati impose ditta vicina a Matteoli»

Tra il 2001 e il 2002 i lavori per 120 milioni di euro per le bonifiche fronte laguna a Marghera dovevano essere fatti, per ordine di Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, dalla Socostramo, che non era neppure nel Cvn. L’indicazione della ditta sarebbe arrivata – secondo quanto riferisce Pio Savioli, rappresentante delle coop rosse in Cvn – dal ministero dell’Ambiente, guidato all’epoca da Altero Matteoli. La circostanza, tutta da verificare, è contenuta negli interrogatori di Savioli messi a disposizione delle parti nell’inchiesta Mose. Savioli racconta che erano scattate le bonifiche a Marghera e «a questo punto – sostiene Savioli – il Consorzio Venezia Nuova inizia a lavorare». «A questo punto – racconta sempre Savioli – arriva l’ingegner Mazzacurati in direttivo e ci dice che su richiesta, fa il nome lui, per cui…su richiesta del Ministro Matteoli bisogna dare questo lavoro a Socostramo». «Questo lavoro – è riportato ancora nell’interrogatorio – significava 120 milioni di euro».

 

Mestre, sospetti sul project dossier ospedale in Procura

La documentazione dell’opera entra nell’inchiesta dopo i rilievi di Corte dei Conti

Il dg dell’Ulss avvia un braccio di ferro con i privati su prezzi e standard qualitativi

VENEZIA L’ospedale «All’Angelo» di Mestre entra nel raggio d’interesse, diciamo così, dei magistrati che indagano sull’intreccio criminoso tra opere pubbliche e partito degli affari. Un’ampia documentazione sarebbe già stata acquisita dalla Procura di Venezia né l’iniziativa desta stupore perché è conseguente ad azioni giudiziarie già avviate dalla Corte dei Conti – che sospetta il danno erariale – e alle denunce politiche echeggiate in questi giorni in Consiglio regionale, nel corso del dibattito dedicato allo scandalo Mose. Di cosa parliamo? Del project financing sottoscritto per realizzare l’ospedale mestrino, precursore in Italia di questa formula innovativa che combina capitali pubblici e privati. Un’opera inaugurata il 25 settembre 2007 e costata 241 milioni (a fronte dei 220 preventivati inizialmente) dei quali 140 coperti dalla spa Veneta Sanitaria Finanza di Progetto, l’associazione temporanea d’impresa costituita dai partner Astaldi (capofila), Mantovani,Gemmo, Cofathec Progetti, Aps Sinergia, Mattioli e Studio Altieri. Tant’è. L’Ulss 12 – diretta all’epoca da Antonio Padoan – si è impegnata a rimborsare gli investimenti privati entro il 2031 con rate annuali di 40 milioni: 24 attraverso la concessione di alcuni servizi (rifiuti, pulizia, lavanderia, mensa, trasporti, calore) e il resto in forma di ammortamenti liquidi. Complessivamente, l’azienda sanitaria di Venezia sarà chiamata ad erogare quasi un miliardo. Troppo, secondo molti osservatori. Ma il punto non consiste tanto nel dettato contrattuale astratto quanto nella sua concreta attuazione. L’Ulss Asolo- Castelfranco-Montebelluna, ad esempio,ha sottoscritto un project identico al mestrino, ritrovandosi con due ospedali completamente rinnovati ed un cospicuo avanzo di cassa. L’azienda sanitaria veneziana, invece, si è ritrovata un buco in bilancio di 208 milioni, scesi poi a un centinaio e dimezzati ora dal dg Giuseppe Dal Ben al prezzo di tagli impietosi. Ma il tarlo riguarda le modalità effettive del project cioè la qualità e la quantità dei servizi erogati. Composizione del menù destinato ai pazienti, condizioni di riscaldamento e di aria condizionata, manutenzione, introiti del laboratorio analisi (riservati al privato); su questo versante, maggiore è la compressione della spesa, più ghiotti diventano i margini dell’utile d’impresa, perciò Dal Ben- su mandato esplicito del governatore Luca Zaia – sta incalzando i partner per chiedere un più elevato standard di prestazioni. Fin qui siamo nell’ambito amministrativo, ma ad evocare scenari di altro genere sono stati esponenti politici di opposti schieramenti. Dapprima il consigliere Moreno Teso, di Forza Italia, che ha citato i direttori generali della sanità galaniana Franco Toniolo e Giancarlo Ruscitti – il primo condannato in primo grado, il successore indagato nel caso Mose – indicando un concorso chiacchierato per dirigente svoltosi all’Ulss 10. Poi il gruppo del Pd, che ha sollecitato a Zaia l’elenco completo dei project in corso e l’avvio di una revisione dei prezzi. Il sospetto di fondi neri accantonati a margine di questa, ed altre opere, è ormai trasversale.

Filippo Tosatto

 

Padova, a cena c’era il rettore Zaccaria

PADOVA. Attorno al tavolo, quella sera di giugno del 2011 al ristorante Le Calandre, c’erano Giovanni Mazzacurati, l’allora sindaco Flavio Zanonato, Giancarlo Ruscitti, Pio Savioli e il rettore Giuseppe Zaccaria. L’invito a cena, formulato da Mazzacurati, serviva per ragionare sul nuovo ospedale di Padova cui era interessato Mazzacurati e le imprese a cui faceva riferimento. Nell’edizione di ieri, per un nostro errore, abbiamo riportato che a quella cena era presente l’ex rettore Vincenzo Milanesi, che all’epoca aveva peraltro già lasciato la carica accademica. C’era invece il successore, Zaccaria. Il nomedi Milanesi compare nelle trascrizioni delle telefonate tra Ruscitti e Pio Savioli a proposito di una possibile nomina a dg dell’Azienda sanitaria padovana, che non si è mai verificata: «Milanesi mi voleva al posto di Cestrone» dice Ruscitti parlando al telefono con Pio Savioli.

 

IL RUOLO DI VENETO BANCA – La masseria di Consoli e Rossi Chauvenet

Nella società Amigdala Galan sarebbe socio della famiglia del dentista padovano

MONTEBELLUNA Si chiama Masseria Cuturi srl, si trova in provincia di Taranto ed è la culla del Primitivo di Manduria. É l’azienda agrituristica – 270 ettari di cui 25 coltivati a vite e 80 di uliveto – la cui proprietà fa riferimento alla moglie del manager di Veneto Banca Vincenzo Consoli, alla moglie del dentista padovano Paolo Rossi Chauvenet e alla moglie del giornalista Rai Bruno Vespa. Un filo sottile collega questa operazione, perfezionata nel 2008 per una cifra vicina ai tre milioni di euro,alla galassia di società che farebbero riferimento a Giancarlo Galan. Perché l’ex ministro sarebbe socio, attraverso il suo commercialista Paolo Venuti, di una società – la Amigdala spa – le cui quote sarebbero in parte controllate anche dalla famiglia di Rossi Chauvenet. E dal commercialista padovano di Galan, sospettato di essere un suo prestanome, Paolo Venuti. Nessun collegamento diretto ma un legame indiretto, secondo «l’Espresso» in edicola questa settimana, che sottolinea come il dentista padovano Paolo Rossi Chauvenet abbia fatto parte del consiglio di amministrazione di Veneto Banca fino a poco più di un mese fa, quando il consiglio di amministrazione fu costretto alle dimissioni in massa da un’imposizione di Banca d’Italia. Le frequentazioni di Bruno Vespa a Veneto Banca sono note, anche per il cospicuo pacchetto di azioni che detiene: circa otto milioni di euro. Così come Galan non ha mai nascosto i suoi legami con Veneto Banca, di cui è cliente da molti anni. I finanzieri hanno passato al setaccio le operazioni di Venuti, compiute anche attraverso la filiale di Zagabria di Veneto Banka. E avrebbero messo insieme tutti i tasselli della situazione patrimoniale dell’ex ministro. Masseria Cuturi srl, nel Comune di Manduria, è controllata per il 62% dalla Pavi di Lorenza Cracco e Maria Rita Savastano, per il 31% da Augusta Iannoni e Bruno Vespa e per il 7%dalla Meridiana Agri di Vincenzo Lanzone e Maria Chierico. Nell’inchiesta veneziana è finito agli arresti anche il finanziere vicentino Roberto Meneguzzo, da sempre in buoni rapporti con Vincenzo Consoli.

 

I favori sollecitati dall’ex portavoce di Zaia

Beltotto chiese invano al Cvn di ospitare giornalisti e saldare conti ministeriali: «Governatore all’oscuro»

VENEZIA «Non mi avrete, sono un giornalista, non uno spulciatore di mattinali, e non cambierò il mio modo di lavorare, né di parlare al telefono. Semmai, sto valutando se rinnovare o meno l’iscrizione all’Ordine». Contrattacca, Giampiero Beltotto. Romano, 59 anni, cattolico di rito ciellino, autore televisivo e saggista, oggi è responsabile della comunicazione e direttore marketing del Teatro La Fenice nonché vice presidente del Teatro Stabile del Veneto. È stato stretto collaboratore di Luca Zaia, dapprima al ministero dell’Agricoltura e poi alla Regione Veneto, dove ha diretto l’ufficio stampa fino agli ultimi mesi del 2012 (gli successe il petroniano Carlo Parmeggiani) e in questa veste è citato negli atti dell’inchiesta sul Mose per tre colloqui telefonici con l’entourage del Consorzio Venezia Nuova. Di che si tratta? Nel primo caso si rivolse a Flavia Faccioli, la portavoce del Cvn, per sondare la disponibilità del colosso d’imprese a coprire le spese d’albergo e di biglietto aereo ad una quindicina di giornalisti stranieri in arrivo a Venezia per seguire la visita di Zaia al cantiere delle dighe mobili: «L’avvenimento coinvolgeva 140 persone, spiegai che in Regione non avevamo un soldo per l’accoglienza alla stampa estera e chiesi se esisteva una possibilità in questo senso da parte consortile ma mi fu opposto un cortese rifiuto». Secondo round, stavolta più pettegolo: Beltotto viene a conoscenza che l’ex portavoce di Giancarlo Galan, il giornalista e critico d’arte Franco Miracco, dispone ancora di un’abitazione a Venezia per svolgere il suo lavoro: «Una conversazione privata di quattro anni fa, una semplice curiosità di interesse pari a zero per l’opinione pubblica», replica. Infine, è il 9 dicembre 2010, Faccioli riferisce a Giovanni Mazzacurati una telefonata di Beltotto che riguarda parcelle in sospeso con alcuni professionisti della comunicazione. Questo il brano dell’intercettazione pubblicato sul Fatto Quotidiano: «Quando ero al ministero dell’Agricoltura avevamo incaricato dei ragazzi di una società con cui mi aveva già fatto lavorare e pagare dei soldi, e dovevamo loro 60 mila euro e il ministero attuale con Galan non vuole più pagare e volevo sapere se potete aiutarci voi». Anche stavolta, nonostante l’iniziale disponibilità dell’ingegnere- presidente, i cordoni della borsa del Consorzio restano annodati. «Non sono riuscito ad ottenere nulla», afferma Beltotto. Che tiene a sottolineare un paio di circostanze. «Di tutte queste conversazioni, e di moltissime altre che investivano il mio lavoro quotidiano, il governatore Zaia non sapeva assolutamente nulla, né vi era motivo perché ne fosse messo a conoscenza». Due: «Mi vanto dell’amicizia con Flavia Faccioli ». Conclusione? «Dormo sonni tranquillissimi, mi spiace solo per la deriva-spazzatura imboccata da molti giornali».

 

Quel benefit da 50 mila euro della Nes

Nel mirino della Procura un contratto che garantiva all’ex questore di Treviso un’Audi A8 e l’uso di un appartamento

TREVISO Nel mirino della Procura è finito un contratto di consulenza da cinquantamila euro, firmato pochi mesi prima di lasciare la guida della polizia trevigiana: un contratto che garantiva denaro, la disponibilità di un appartamento in centro, di un’Audi A8. Il documento da una parte porterebbe la firma dell’ex questore Carmine Damiano (presidente della Mantovani Spa dopo l’arresto di Piergiorgio Baita), dall’altra dei vertici di Nes, l’azienda di vigilanza privata North East Services, al centro di uno scandalo da 104 milioni di euro, spariti e “rispuntanti” in una maxi-indagine per appropriazione indebita. Un documento dietro cui, secondo il pubblico ministero Massimo De Bortoli, potrebbe allungarsi l’ombra della corruzione: ed è proprio per corruzione che l’ex numero uno della polizia di Treviso è stato iscritto nel registro degli indagati insieme a Luigi Compiano. È dopo quella firma infatti che sarebbe apparsa un’altra carta, in cui sarebbe stata garantita la totale regolarità dell’attività di Nes. Ex controllore e controllato che appongono la firma allo stesso contratto? Controllore che nel 2012 aveva denunciato Nes perché, secondo le indagini condotte dalla stessa i furgoni portavalori non sarebbero stati « a norma di legge»? Queste sono le domande cui le indagini vogliono dare una risposta. Damiano respinge le accuse, «non ho preso un euro », ha ribadito.Ma l’ex questore non ha mai nascosto i suoi rapporti con l’istituto di vigilanza avvenuti «alla luce del sole»: Damiano si è insinuato nel fallimento Nes, presentando un conto da 22 mila 500 euro. La Procura conferma le indiscrezioni sulla presenza di una nuova indagine, nata da una costola dello scandalo Nes. «Le contestazioni sono state mosse sia contro Luigi Compiano, sia contro l’ex questore di Treviso Carmine Damiano. L’interrogatorio dell’ex questore è stato fissato a fine mese e aspetteremo di sentire la sua versione», ha affermato il procuratore generale Michele Dalla Costa. Secondo gli inquirenti – l’indagine è ancora avvolta nel massimo riserbo – Damiano potrebbe aver voluto ottenere benefici da Compiano con l’idea di avere un cuscinetto per la pensione, una sorta di buonuscita. Le contestazioni mosse dal pubblico ministero Massimo De Bortoli, titolare delle indagini sia relative allo scandalo Nes che al nuovo filone per corruzione, sostengono che Damiano, nel novembre 2012 (un mese prima di andare in pensione), avrebbe sottoscritto con Nes un contratto di consulenza che prevedeva oltre a compensi in denaro l’affitto di un appartamento in centro storico, vicino a piazza del Grano e l’utilizzo di un’Audi A8. Un totale di 50 mila euro tra retribuzione e benefit. Secondo la tesi accusatoria, ancora in fase embrionale, poco prima di essere “ingaggiato”, Damiano avrebbe firmato un documento nel quale dichiarava la completa regolarità dell’attività svolta da Nes, che lo stesso Damiano aveva più volte attaccato in merito alle irregolarità del trasporto valori. L’ex questore, invitato a comparire in Procura, sarà sentito a fine giugno per spiegare la propria versione dei fatti. A novembre il contratto con Nes, a febbraio, nove mesi prime, le accuse pesantissime mosse ai vertici dell’istituto di vigilanza: milioni di euro prelevati dalla Banca d’Italia e trasportati senza sorveglianza. Documenti ufficiali deliberatamente falsificati per far sparire i carichi eccezionali dai registri di viaggio della società. Quell’inchiesta si è conclusa esclusivamente con una sanzione pecuniaria.

Fabiana Pesci

 

I PARLAMENTARI VENETI DEL MOVIMENTO CINQUE STELLE

«Sospendiamo tutte le grandi opere»

VENEZIA I parlamentari veneti del Movimento 5 Stelle, dopo le vicende “scoperchiate” dall’inchiesta sul Mose, chiedono «la sospensione di tutte le grandi opere» in corso o previste nella regione. «Il sistema di corruzione », affermano in una nota deputati e senatori pentastellati, «è così esteso che non si può parlare di singole mele marce. Lo scandalo Mose fa intuire che non si tratti di un episodio isolato e fa presagire un sistema ben collaudato che probabilmente coinvolge molte altre grandi opere del Veneto, a cominciare dall’autostrada Valdastico». I 5 Stelle ricordano di aver presentato in proposito nel corso dell’ultimo anno numerose denunce a livello istituzionale e interrogazioni al Governo, «rimaste senza risposta ». «In questa deriva generale », concludono i parlamentari veneti del movimento di Grillo, «sarebbe necessaria un’immediata sospensione di tutte le grandi opere ritenute necessarie; esortiamo la Regione a verificare, in piena trasparenza, la corretta gestione del project financing e dei lavori in concessione. Esortiamo anche a verificare se non siano possibili varianti migliorative; solo dopo una conferma con tale ricognizione,troveremmo sensato proseguire».

 

Una carriera come poliziotto

Dalla Digos alla cattura di Felice Maniero

Carmine Damiano, 65 anni, ex questore di Treviso, ha lasciato la carriera in polizia per diventare un manager e guidare la Mantovani, dopo l’uscita di scena di Baita, al centro dell’inchiesta Mose. Damiano resterà in carica fino all’approvazione del bilancio del 2015. Tre anni per risanare l’immagine di una società uscita a pezzi dall’inchiesta che ha inchiodato l’ex amministratore delegato. Entrato in Polizia di Stato nel 76 ha guidato la Digos di Padova, combattuto gli eversivi di destra e di sinistra, catturato criminali: il più importante è il boss Felice Maniero dopo la fuga dal carcere di Padova. Trenta i riconoscimenti ricevuti dal Ministero dell’Interno. Ora l’inchiesta per quel benefit.

 

nominato dalla famiglia chiarotto

Alla Mantovani dopo l’addio di Baita

«Sto preparando un nuovo grande ufficio per il mio amico già questore» raccontò l’ingegnere alla Minutillo prima che scoppiasse lo scandalo del Mose con gli arresti

MESTRE – La storia di Carmine Damiano alla Mantovani non inizia quando la famiglia Chiarotto lo mette a capo della holding in seguito all’arresto di Piergiorgio Baita. Inizia prima. Già ai tempi in cui Baita regnava come presidente e come amministratore delegato. Emerge dagli interrogatori di Claudia Minutillo. L’ex segretaria di Giancarlo Galan, dopo l’arresto, decide di parlare e raccontare tutto. È un fiume in piena e ricorda parecchie cose. Le ripete al sostituto procuratore Stefano Ancillotto e ai finanzieri che stanno portando alla luce la nuova tangentopoli. In un interrogatorio del giugno dell’anno scorso, racconta di quando Piergiorgio Baita, le disse che stava preparando un nuovo e grande ufficio per l’arrivo «del mio amico già Questore ». E lo dice riferendosi a Carmine Damiano. Una frase che non assume nessuna valenza investigativa e non è chiaro se Baita abbia detto questo per dire qualche cosa oppure se veramente ci fossero dei contatti con l’ex questore di Treviso per un posto da manager nella Mantovani. Conoscendo Damiano difficilmente, in quel momento, con voci insistenti di un’indagine sulla società si sarebbe infilato in un’avventura simile. Dall’altra parte c’era il vertice dell’azienda che cercava, in tutti i modi, contatti per poter conoscere la vera entità dell’inchiesta sul sistema Mazzacurati- Baita. Del resto erano già al soldo di Baita, uomini dei servizi segreti, ufficiali della Guardia di Finanza, poliziotti e carabinieri. Una rete che è servita a benpoco. Carmine Damiano, 65 anni, una lunga carriera nella Polizia di Stato, è dal marzo dello scorso anno il nuovo presidente del consiglio di amministrazione della Mantovani. È arrivato in Mantovani, dopo che il colosso degli appalti in Veneto, venne decapitato con l’arresto di Piergiorgio Baita. All’epoca la nomina dell’ex poliziotto a capo della quindicesima impresa di costruzioni d’Italia (un portafoglio di tre miliardi di euro, 400 milioni di fatturato, oltre mille dipendenti) venne interpretata come una scelta simile a quella compiuta dal Gruppo Ilva che aveva nominato presidente l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante.

Carlo Mion

 

LA BUFERA NON FERMA I LAVORI DEL MOSE

Collaudata la nuova conca di navigazione a Malamocco

VENEZIA Conca di navigazione abilitata per le navi fino a 200 metri di lunghezza. Prima prova ieri mattina a Malamocco sull’agibilità della nuova struttura. La nave traghetto greca «Nissos Rodos», messa a disposizione gratuitamente dall’armatore Hellenic Seaways è stata fatta passare attraverso la nuova conca costruita dal Consorzio Venezia Nuova a lato del sistema Mose. «Esperimento perfettamente riuscito», dice soddisfatto il direttore del Consorzio, l’ingegnere Hermes Redi, «noi siamo qui a lavorare. La cosa peggiore sull’onda dell’emozione per l’inchiesta in corso sarebbe buttar via le competenze e il know how accumulato in questi anni». Un collaudo positivo, secondo Redi, che in qualche modo chiude la polemica con l’Autorità portuale e la Venezia terminal passeggeri, disposte a «bloccare» i lavori se la conca non fosse stata collaudata. Struttura già piccola dopo che era stata progettata dici anni fa su richiesta del Comune e dell’allora sindaco Paolo Costa, per navi fino a 270 metri di lunghezza. «Noi siamo pronti ad andare avanti con i lavori, nel cronoprogramma stabilito», dice Redi. Il piano prevede che già dal 19 giugno si comincia la posa dei primi cassoni sul fondale della bocca di porto di Malamocco. «Attendiamo istruzioni », dice redi. C’è anche chi ha chiesto la revoca della concessione unica. Un atto piuttosto improbabile, visti i contratti in essere regolarmente firmati e approvati per anni. Ma pur senza polemiche, il nuovo direttore del Consorzio non ci sta a essere messo sotto accusa per l’intero capitolo Mose. «Giusto fare chiarezza, colpire chi ha sbagliato. Ma alla fine abbiamo visto che i cassoni sono una realtà, le paratoie funzionano e si alzano con tolleranze di pochi millimetri. Anche le cerniere funzionano». Le imprese che da anni lavorano su questo fronte, dice Redi, sono pronte ad andare avanti. Verso la fase finale dell’opera, che dovrebbe concludersi nel 2017 se gli esiti dell’inchiesta sulle tangenti non porteranno a decisioni diverse. Sul fondale di Malamocco saranno calati i cassoni in calcestruzzo costruiti nel cantiere di Santa Maria del Mare. E successivamente dovrebbero essere installate le paratoie, fissate sul fondo con le cerniere.

(a.v.)

 

LA BANDIERA BIANCA DI VENEZIA

FRANCESCO JORI

Pd e affair

Non dev’esserci più spazio per i Penati e i Greganti. Ma neppure per i finti tonti che ricevono buste di euro

Sul ponte sventola bandiera bianca. Ma con avvilente disonore, a differenza della Venezia di Daniele Manin: quella idealmente esposta da ieri sui balconi del Comune, è il simbolo di una città infettata da una peste ben più mefitica del morbo che la falcidiò nel Seicento. Il Mose deputato a salvarla dalle acque alte della laguna, l’ha sommersa sotto quelle di una corruzione pervasiva e nauseabonda: che le ha inflitto un danno irreparabile a livello planetario. E anche le battute finali sono state desolanti: con un sindaco costretto a fare ciò che aveva negato appena24oreprima, e cioè firmare la lettera di dimissioni prima che i consiglieri della sua maggioranza presentassero le loro. In questo, il Pd conclude bene un percorso che aveva iniziato malissimo, dissociandosi dal sindaco su cui aveva puntato quattro anni fa, e che gli era servito per vincere già al primo turno. Non era accettabile trincerarsi dietro un farisaico «non aveva la tessera»; non lo sarebbe stato lasciar gestire la città a una persona che ne esce con l’autocertificazione di sprovveduto. Ma la vicenda va ben oltre una singola figura: investe il rapporto complessivo tra partito e affari. Colpisce la coincidenza con i trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer: del quale, con la consueta retorica, si sono magnificati tanti aspetti tranne il suo fermo quanto inascoltato richiamo alla questione morale. Che riguardava il Pci di allora, e riguarda in pieno il suo erede di oggi. Perché, allora come ora, per citare le sue testuali parole di un’intervista a “Repubblica” del 1981, «tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica». Vizio duraturo e trasversale, come le vicende Expo e Mose stanno confermando. Ma di cui deve liberarsi,e in fretta, soprattutto quello che è nato con l’espresso intento di voler essere «non un nuovo partito, ma un partito nuovo». E che per riuscirci deve operare su due leve fondamentali: mezzi e uomini. Il tesoriere del Pd ha appena scoperto che i conti di casa sono in rosso per 11 milioni. Eha spiegato che le spese della segreteria passeranno quest’anno a 80mila euro, rispetto ai 640mila di due anni fa: come è stata gestita questa abissale differenza? È tempo poi di rivedere drasticamente i costi delle campagne elettorali: se c’è chi le finanzia versando senza battere ciglio somme ingenti, è chiaro che lo fa perché si aspetta che quei soldi gli rientrino con gli interessi. E questo chiama in causa la seconda leva: la scelta degli uomini. Dai suoi predecessori, il Pd ha ereditato una serie di disinvolti faccendieri che sanno come, dove e quando procurarsi il denaro; e ha mantenuto prassi aberranti, come il finanziamento di strutture collaterali a partire dalle coop rosse: dimenticando che anche una cooperativa è tenuta a rispettare le regole della legalità e del mercato, non meno di una grande impresa. Mail nodo-uomini ha un ulteriore risvolto, che il caso Venezia sottolinea con grande evidenza: è tempo di scegliere le persone con ben altri criteri. Non dev’esserci più spazio per i Penati, i Genovese, i Greganti e via elencando, incluse le figure minori coinvolte negli scandali di mezza Italia, da Genova a Firenze,da Bologna a Napoli. Ma neppure per i finti tonti che si trovano in casa una busta piena di euro e neanche se ne meravigliano, o vanno in giro per la strada distribuendo a dritta e a manca il numero del proprio conto corrente: per farci cosa, giocarlo al lotto?Vanno cacciati a calci, annuncia Renzi. Non c’è bisogno di servirsi dei piedi, bastano le mani: per depennarli da qualsiasi incarico. Applicando una saggia regola di Groucho Marx: non dimentico mai una faccia, ma per voi farò un’eccezione.

 

Orsoni se ne va e fa cadere la giunta

Il sindaco contro il Pd: «Sono estraneo alla politica». Commissario in arrivo

LA CAMERA PENALE «Procura contraddittoria patteggiamento di 4 mesi incongruo con l’arresto»

LE INDAGINI – Zoggia e Mognato entrano nel mirino dei pm ma non sono indagati

IL RIESAME – Concessi i domiciliari al consigliere regionale Giampietro Marchese

Orsoni, addio al veleno «Costretto a lasciare»

L’amministratore si dimette e attacca il Pd: «Opportunismo e ipocrisia»

Al Comune di Venezia scattati i venti giorni prima del commissariamento

VENEZIA Il sindaco si dimette e lascia la politica. Colpo di scena a Ca’ Farsetti. Solo 24 ore dopo aver annunciato che restava in sella, Giorgio Orsoni ha gettato la spugna. «Voglio dare un segno chiaro della mia lontananza dalla politica», spiega, visibilmente stanco, davanti a decine di giornalisti, fotografi e operatori tv riconvocati a Ca’ Farsetti. Cosa ha determinato il cambio di rotta? «Reazioni «opportunistiche e ipocrite anche da parte di esponenti della mia maggioranza». Sui giornali e nelle riunioni di partito. Dimissioni annunciate per arrivare primi – come quelle dell’assessora Tiziana Agostini – critiche frontali da parte di consiglieri del Pd e del segretario provinciale di quel partito. Da ieri sono scattati i 20 giorni per la decadenza del Consiglio comunale e l’arrivo del commissario. A meno che già lunedì la maggioranza dei consiglieri (24 su 47) non decida di accelerare i tempi e di dimettersi. In quel caso le dimissioni sarebbero immediate per tutti. Uno scenario di grande confusione, con le forze politiche disorientate. In attesa delle elezioni di primavera. Provato da una vicenda durissima che non ha ancora accettato («Mi hanno rovinato la vita», ha confessato ieri ai suoi collaboratori), stanco e arrabbiato per quei distinguo venuti anche dalla maggioranza, ieri il sindaco ha deciso. Ha convocato la giunta e revocato tutte le deleghe ai suoi 12 assessori. E subito dopo ha presentato le dimissioni nelle mani del presidente del Consiglio comunale Roberto Turetta e del Segretario generale Rita Carcò. «Mi sono confrontato per tutta la giornata di ieri con le forze politiche e con la maggioranza che mi ha sostenuto», dice, «le mie conclusioni sono state molto amare. Ho dovuto constatare che non c’era quella compattezza che mi era stata preannunciata per tentare di affrontare almeno le cose urgenti nell’interesse della città ». Dunque è l’addio, definitivo. O forse posticipato di qualche giorno «se il Consiglio avrà senso di responsabilità». Ieri il sindaco ha presieduto l’ultima riunione della sua giunta, poi ha salutato i dirigenti. Quindi è tornato a casa, dall’altro lato del Canal Grande. Nel pomeriggio la segreteria gli ha portato un atto urgente da firmare, la revoca del presidente dell’Ente gondola Nicola Falconi, arrestato nella stessa inchiesta sul Mose con l’accusa di corruzione. Da ieri Orsoni si occupa solo di «ordinaria amministrazione ». La fine traumatica di un’esperienza cominciata nel 2010 con una coalizione che andava da Udc a Rifondazione. Ora è tutto cancellato in un attimo da un arresto durato una settimana per accuse (il finanziamento illecito) che il sindaco ha soltanto in parte ammesso. «Mi hanno paragonato ai malfattori ma io soldi non ne ho mai visti», ripete, pallido e stanco. Ieri mattina a mezzogiorno la breve comunicazione che segna la fine dell’amministrazione e forse anche di un’era politica. «Con grande amarezza concludo questo mio mandato», ha detto Orsoni, «certo di aver sempre operato nell’interesse della città e dei suoi cittadini».

Alberto Vitucci

 

Ma prima di andarsene licenzia tutta la giunta

Gelo degli assessori con il sindaco. Esplode la rabbia di Bettin che scaglia un bicchiere di vetro contro il muro: «Non si può finire in questo modo»

VENEZIA – Giunta lampo. E un colpo di scena (quasi) imprevisto. Alle 11 del mattino il sindaco Giorgio Orsoni convoca la sua squadra nella sala giunta di Ca’ Farsetti e manda tutti a casa. Assessori «revocati» e rimasti da un momento all’altro senza incarico. Il sindaco ne ha il potere, mentre il Consiglio ha il potere di mandare a casa lui. Un gioco sottile a cui Orsoni, provato da una vicenda pesante, non ha retto. «Mi hanno rovinato la vita», si è lasciato andare, «voglio rimarcare il mio distacco con la politica e la maggioranza che mi aveva sostenuto in questi anni». Una doccia gelata. Per chi non aveva alcuna intenzione di andarsene, almeno in questo modo. E anche per chi aveva annunciato le dimissioni su Facebook, come l’assessora alla Pubblica Istruzione Tiziana Agostini del Pd. Dimissioni che però sono state presentate qualche minuto dopo la revoca da parte del sindaco. Un gesto che ha contribuito a far decidere il sindaco per la rottura immediata. Facce scure e anche un po’ arrabbiate. L’assessore all’Ambiente, il verde Gianfranco Bettin – suo avversario alle primarie nel 2010, poi confluito nella maggioranza di centrosinistra – ha uno scatto di rabbia. «Non si può finire in questo modo!», dice. E lancia un bicchiere di vetro contro la parete, mandandolo in frantumi. Gelo in sala. Più tardi Bettin firmerà un comunicato congiunto con il suo gruppo per chiedere al sindaco di presentare le dimissioni (prima di quelle della maggioranza del Consiglio) in modo da consentire l’approvazione del bilancio. Un’eventualità che sembra ormai remota. Molto critico anche Ugo Bergamo, Udc di lungo corso, già sindaco dal 1990 al 1992. Orsoni lo aveva scelto come «superassessore », affidandogli la Mobilità e i Trasporti. Anello strategico per quell’operazione che sembrava riuscita di allargare la coalizione del centrosinistra dall’Udc a Rifondazione. Bergamo ha rivendicato il suo lavoro nel campo del traffico, con la recente introduzione del sistema Argos per il controllo del moto ondoso in Canal Grande. Per i più è un trauma improvviso. Da ieri pomeriggio tutti a casa e uffici vuoti a Ca’ Farsetti. Ci è rimasto male il vicesindaco Sandro Simionato, che negli ultimi giorni sembrava quasi la vittima sacrificale. Sindaco facente funzioni per una settimana, si era impegnato a «verificare le condizioni per l’approvazione di un bilancio prima di andare a casa». Invece con la mossa di ieri il sindaco ha spiazzato anche lui. «Un segno chiaro di distacco dalla politica», ha detto il sindaco. Che ha confessato di aver già predisposto l’atto di revoca degli assessori nella giornata di giovedì. «Sospeso a seguito dell’invito a una ponderata riflessione ».Mapoi sono arrivati i distinguo dei singoli consiglieri, di opposizione e anche di maggioranza. La riunione dl Pd e la presa di distanza di molti settori della maggioranza, anche tra l’Udc (Simone Venturini) e Rifondazione, con Bonzio che ha riconsegnato la delega del lavoro. E il sindaco ha deciso di dire basta. Tornano a casa i 12 assessori, nominati nella primavera del 2010 e poi integrati dopo il rimpasto dello scorso anno. Due aderivano a Italia dei Lavori (l’ex rettore Pierfrancesco Ghetti e Bruno Filippini), due dell’Udc (Bergamo e Panciera), e poi Simionato, Rey, Agostini, Maggioni e Ferrazzi del Pd, l’avvocato Alfiero Farinea e Angela Vettese chiamati dal sindaco, Gianfranco Bettin per «In Comune». Una squadra che il sindaco ha comunque ringraziato per «l’impegno amministrativo in questi anni di lavoro comune». Un grazie particolare per il vicesindaco Sandro Simionato. Che ha mantenuto in questi anni il «presidio» a Ca’ Farsetti, occupandosi di referati pesanti a cominciare dal Bilancio. E che sulla questione Orsoni è arrivato alla fine quasi a conclusioni opposte della maggioranza del suo partito.

Alberto Vitucci

 

Adesso l’inchiesta scuote la Camera penale

Per il presidente, procura contraddittoria: «Prima l’arresto, poi il patteggiamento a soli quattro mesi»

VENEZIA – Prima c’era chi non aveva digerito quella richiesta della Procura della Repubblica di mandare in carcere il sindaco Giorgio Orsoni per un reato per il quale, soprattutto per un incensurato, la condanna se fosse arrivata sarebbe stata sicuramente inferiore ai due anni cancellati dalla sospensione condizionale della pena. Adesso, dopo quel parere firmato dal procuratore Luigi Delpino, dall’aggiunto Carlo Nordio e da due dei tre pubblici ministeri che conducono l’inchiesta, in cui si consente al patteggiamento di una pena di quattro mesi, c’è chi contesta questa adesione all’istanza della difesa, ricordando che la pena minima prevista per il finanziamento illecito dei partiti è di sei mesi e osservando che con l’arresto, anche se ai domiciliari, è stato fatto il classico «rumore per nulla», quasi che si sia cercato il clamore mediatico (non a caso sulle prime pagine dei giornali nazionali e addirittura internazionali è finita la faccia del sindaco più che degli altri arrestati perché ciò che riguarda Venezia diventa immediatamente importante e nonostante il reato a lui contestati sia molto meno grave che quelli di cui sono accusati gli altri). E ieri il presidente della Camera penale veneziana, l’avvocato Renato Alberini, che in questa inchiesta non è coinvolto professionalmente non essendo stato nominato da alcun indagati, nel suo discorso ai colleghi raccolti in assemblea, riferendosi all’abuso delle misure cautelari, ha sottolineato la contraddittorietà delle posizioni della Procura, la quale soltanto mercoledì 4 giugno ha ottenuto l’arresto del sindaco dopo averlo chiesto e una settimana dopo, l’11 giugno, chiude l’indagine sul suo conto con un patteggiamento di appena quattro mesi. Stando all’avvocato, sarebbe stata enormemente sproporzionata la richiesta iniziale, quella dell’arresto. Ora, comunque, la parola passa al giudice Massimo Vicinanza, che dovrà dire se quei quattro mesi sono una pena congrua o meno. Altre critiche, infine, sono piovute, sul Consiglio dell’Ordine degli avvocati, che ieri avrebbe dovuto discutere se sospendere o meno l’avvocato Orsoni, come prevedono le norme professionali nel caso dell’arresto di un legale, ma il punto dell’ordine del giorno è stato rinviato.

 

GLI EFFETTI – Municipalità, i presidenti resteranno in carica

Venturini (Mestre Carpenedo): «Saremo gli unici interlocutori tra territorio e commissario»

VENEZIA Il sindaco si dimette, cadono gli assessori – ai quali il sindaco ha ritirato le deleghe – ma restano in vita le Municipalità, i vecchi consigli di quartiere. A meno che non siano gli stessi presidenti e consiglieri di Municipalità a rassegnare per motivi politici le dimissioni. I presidenti delle Municipalità, eletti a differenza del sindaco a turno secco, restano quindi in carica perché nessuno, al momento, ha intenzione di farsi da parte. E il perché lo spiega bene Massimo Venturini, presidente della Municipalità di Mestre – Carpenedo. «Quando arriverà il commissario saremo per lui l’unico punto di riferimento per il rapporto con il territorio», dice Venturini, «quindi saremo più importanti adesso che prima, non ha senso dimetterci». Simile la posizione di Flavio Dal Corso (Municipalità di Marghera) che già nei giorni scorsi si era informato su quali sarebbero state le ripercussioni per le Municipalità. Tra i suoi principali obiettivi, nella speranza che un segnale in tal senso arrivi nell’ultimo consiglio comunale di lunedì, a Mestre, c’è quello di garantire la realizzazione del mercato ortofrutticolo a Marghera, in via delle Macchine, con la contestuale realizzazione della piscina. Più possibilista sulle dimissioni il presidente della Municipalità di Venezia centro storico, Murano e Burano, Erminio Viero. «È ancora presto per dire cosa farò, ma se restare in carica potrà essere utile per la città rimarrò a ricoprire il mio ruolo. Anche se prima andrà capito per bene quale sarà il nostro margine d’azione ». A Favaro Veneto c’è Ezio Ordigoni a guidare la Municipalità. «Sono molto addolorato per quello che è successo ma ho deciso di rimanere, perché almeno come realtà locali potremo dialogare con il commissario». Qualcosa di simile era accaduto 14 anni fa quando l’allora sindaco Massimo Cacciari si dimise per candidarsi alla guida della Regione Veneto e presidenti di quelli che erano i consigli di quartiere rimasero in carica.

(f.fur.)

 

Venti giorni di passione, poi il commissario

Le dimissioni del sindaco diventeranno irrevocabili i primi di luglio, sempre che lunedì i consiglieri non stacchino la spina

VENEZIA – E ora che succede? Relazioni politiche tempestose a parte – legge alla mano – il sindaco Giorgio Orsoni ha venti giorni per ripensarci, poi le sue dimissioni diventeranno irrevocabili, sempre che lunedì in aula la maggioranza dei consiglieri comunali non decida di lasciare. In tal caso la partita si chiuderebbe subito e innestando la macchina per il commissariamento, fino alle prossime elezioni: nella primavera del 2015, unica “finestra” elettorale prevista dalla norma taglia spese. Per anticiparle all’autunno, servirebbe una legge ad hoc dello Stato: praticamente, impossibile. «Le dimissioni del sindaco non comportano l’immediato scioglimento del consiglio comunale: divengono efficaci tra venti giorni, durante i quali il sindaco e la giunta conservano tutti i loro poteri, compresa la possibilità di ritiro delle dimissioni », spiega infatti il capo di gabinetto della Prefettura di Venezia, Sergio Pomponio. In teoria, perché il sindaco Orsoni è andato oltre e prima di dimettersi ha ritirato tutte le deleghe ai suoi assessori, restando un uomo solo al comando davanti al consiglio comunale, convocato in seduta per lunedì. In ogni caso, prosegue nell’elencare la norma il capo di gabinetto del prefetto Cuttaia, è solo «allo spirare del ventesimo giorno», che il prefetto procede allo scioglimento del Consiglio comunale, inviando una apposita relazione al ministro dell’Interno e nominando un commissario prefettizio per la gestione dell’ordinaria amministrazione. E qui si innesta la seconda eccezionalità veneziana, perché in ballo c’è la necessità di approvare il bilancio del Comune entro il 31 luglio 2014. Se il Consiglio fosse stato commissariato per l’incapacità dell’amministrazione di arrivare al voto entro la scadenza massima, i consiglieri non avrebbero potuto ricandidarsi alle prossime elezioni. Tant’è – proseguendo con le scadenze previste dalla legge – a questo punto il ministro dell’Interno propone al presidente della Repubblica il decreto di scioglimento del Consiglio Comunale, nel frattempo sospeso. È il presidente a sciogliere definitivamente il Consiglio, con la nomina di un commissario, che guiderebbe con pieni poteri il Comune fino alle elezioni. Ultima eccezionalità: la città metropolitana. Dal 26 giugno il sindaco di Venezia sarebbe dovuto diventare sindaco metropolitano, guidando da qui a fine dicembre il transito dalla Provincia alla Città metropolitana. Che accadrà? In Prefettura allargano idealmente le braccia: una questione tutta ancora da approfondire con il ministero dell’Interno. Il Comune di Venezia è già stata commissariato due volte nella sua storia democratica: è accaduto nel 1993, quando venne “dimesso” dal Consiglio comunale l’allora sindaco Ugo Bergamo e fu nominato il commissario il prefetto Giovanni Troiani, che guidò la città fino alle elezioni che portarono a Ca’ Farsetti Massimo Cacciari, per il suo primo mandato. E fu lo stesso sindaco Cacciari – nel 2000, a metà del suo secondo mandato – a “provocare” il nuovo commissariamento del Comune, dimettendosi per sfidare Galan alle elezioni per guida della Regione, perdendole. Allora il ministero dell’Interno inviò a Venezia il prefetto Corrado Scivoletto, che la conosceva bene e che guidò il Comune fino all’elezione che portò Paolo Costa alla guida di Ca’ Farsetti.

Roberta De Rossi

 

Assessori a casa, tornano ai vecchi lavori

Simionato lunedì si presenterà alla scuola media Volpi di Spinea, Ferrazzi alla Telecom, Panciera ai suoi negozi di souvenir

VENEZIA C’è chi tornerà a insegnare italiano alle scuole medie (Sandro Simionato), chi italiano e storia all’istituto tecnico Zuccante (Tiziana Agostini), chi a tempo pieno all’IuaV (Angela Vettese, Arti visive e moda), chi potrà fare il pensionato (Bruno Filippini e l’ex rettore Ghetti) o l’avvocato, come Alfiero Farinea e lo stesso Ugo Bergamo, da una vita in politica. Tempo di concordare con i dirigenti gli ultimi atti, di raccogliere le foto dalla scrivania e tornare al proprio “vecchio” lavoro, per gli ex assessori della ex giunta Orsoni. E tempo di fare i conti con le delibere rimaste in corso d’opera. «Domani (oggi, ndr) sarò all’assemblea nazionale del Pd e lunedì mi presenterò alla mia scuola, la media Vico di Spinea», racconta un amareggiato, ma sorridente Sandro Simionato, che nei giorni dell’arresto di Orsoni è stato “f.f.” facente funzioni: «f.f. fatto fuori», sdrammatizza Alessandro Maggioni, architetto esperto di web e comunicazione, cheda parte sua si augura «che i dirigenti dei Lavori pubblici potranno chiudere i molti lavori che abbiamo avviato, iniziando dall’approvazione del progetto definitivo per il restauro del Ponte di Rialto». «Ho lavorato con spirito di servizio nell’interesse della città», commenta Simionato, tra un bacio e l’altro ai dipendenti, «accetto la decisione del sindaco, ma siamo in una situazione anomala, che rischia di non far fare valutazioni serene». C’è il bilancio da chiudere, alle prese con 30 milioni da recuperare: «Stavamo facendo un percorso per risolvere il problema della mancata vendita del Casinò, cercando soluzioni che non penalizzassero troppo i cittadini: se non lo voterà il Consiglio, dipenderà dal commissario che arriverà, in una città così delicata». La preoccupazione massima è per i due dirigenti dei Servizi sociali, Gislon e Chinellato, il cui contratto è legato alla scadenza di Orsoni: «Confido che il commissario non vorrà privare un servizio così delicato dei suoi vertici, mantenendone i contratti». L’assessore allo Sport Roberto Panciera è tornato alla catena di negozi di souvenir d’autore di famiglia: «Ho già fatto un giro, chissà se mi rivogliono», ride. È il più polemico con le dimissioni , «un finale insolito che mette la città in balia degli eventi: capisco la non facile situazione psicologia, anche del sindaco, ma una riflessione in più sarebbe servita. Auspico che il Consiglio deciderà per l’approvazione del bilancio, nel rispetto della città». L’ex assessore all’Edilizia e Urbanistica (già Pubblica Istruzione) Andrea Ferrazzi tornerà al suo ruolo di dirigente Telecom Italia: «Molte delibere le abbiamo chiuse, come quelle per lo studentato a Santa Marta, il piano residenza ex ospidaletto Ire, quello per la stazione di Mestre, il recupero Actv di via Torino. In itinere c’è il nuovo regolamento edilizio, il piano di recupero del Palazzo del Cinema al Lido, il piano zona Marzenego e iniziavo l’istruttoria per il parco urbano, al centro di Mestre».

Roberta De Rossi

 

Carla Rey: «Al momento non ho un’attività mi prendo una pausa di riflessione»

VENEZIA. L’ex assessore al Commercio Carla Rey – già amministratrice del Caffè Lavena e vicepresidente degli esercenti Aepe, prima della sua nomina – dice di non avere «un lavoro al quale tornare, nessun paracadute: mi prenderò una pausa: spero breve. Negli ultimi giorni, ho accelerato con gli uffici le delibere accelerabili, per non gettare via 4 anni di lavoro». Così lunedì la Municipalità potrà votare le nuove procedure per la concessione dei plateatici: il piano che ha integrato in un’unica mappale occupazioni di suolo pubblico di ambulanti ed esercizi, con l’obiettivo – dichiarato – di portare dai 2 anni attuali “tempo reale” i tempi per la concessione o negazione di plateatici, fotografando la situazione esistente, con il benestare della soprintendenza. All’ordine del giorno della Municipalità – spiega Rey – anche al revisione dei criteri per la concessione di plateatici nelle aree di passaggio: restano i4 metri liberi per le strade ad alto impatto, scendono a 3,20 per quelle a medio e a un terzo per basso impatto.

 

«Impossibile continuare ormai siamo delegittimati»

I consiglieri comunali erano pronti alle dimissioni, alzano bandiera bianca

Lunedì in aula verificheranno la possibilità di adottare delibere urgenti

VENEZIA Che accadrà lunedì in Consiglio? Dimissioni a catena o si deciderà di approvare la delicata delibera per far entrare il Comune nella Newco con la Regione per l’acquisto e riconversione “green economy” delle aree ex Syndial? Il bilancio resta un obiettivo difficile – date le tensioni ormai esplose – ma ancora possibile. Le prossime 48 ore – compresa l’assemblea nazionale pd- saranno determinanti. Il capogruppo pd Claudio Borghello «prende atto della decisione del sindaco, che va responsabilmente accettata alla luce delle condizioni che sono venute a crearsi». Un giro di parole per concedere l’onore delle armi, ma avendo pronta la mannaia non fossero arrivate le dimissioni: «Avevamo le firme di tutti i consiglieri pd, pronti a dimettersi », commenta. Lunedì che accadrà? «Il Consiglio può proseguire nelle sue funzioni nei prossimi 20 giorni, serve responsabilità nell’accertamento di passaggi cruciali, perché ci sono delibere importanti su Syndial, regolamento Tari, lo stesso bilancio, c’è tempo fino all’ultima seduta ». «Obiettivamente, non c’erano le condizioni per proseguire l’azione amministrativa, anche se bisogna ricordare che non un atto del Comune è coinvolto», commenta il capogruppo Udc, Simone Venturini, «credo che si debba assolutamente andare al voto del rendiconto – o saremo esposti a sanzioni – e poi basta». La lista In Comune è per le dimissioni e l’approvazione del bilancio: «Abbiamo sempre denunciato il ruolo del Consorzio Venezia Nuova e le pressioni affaristiche: l’esperienza della giunta Orsoni è per noi conclusa », scrivono Bettin, Caccia, Seibezzi, «abbiamo comunicato al sindaco di avere pronti 24 dimissioni dei consiglieri di maggioranza e gli abbiamo chiesto un ultimo gesto di responsabilità verso la città: presentare lui stesso le dimissioni, consentendo che siano votati gli atti di bilancio utili ai cittadini». «Per il Psi si deve proseguire almeno per l’approvazione del bilancio», chiosa Giordani. «Per noi restare in una maggioranza “bacata” dal finanziamento occulto del Consorzio era impossibile», commenta Sebastiano Bonzio (Fed. della sinistra), «ma non voglio che a pagare siano i lavoratori, quindi chiedo che il Consiglio voti la delibera Syndial e si cerchi lo spazio per un bilancio non del commissario ». Festeggiano, Fratelli d’Italia: «Il sindaco è indagato per fatti gravissimi. Basta, tutti a casa», chiosa Raffele Speranzon. Il capogruppo FI Michele Zuin è netto: «Non ha più senso niente: non c’è giunta, ci sono 24 consiglieri dimissionari, meglio sarebbe stato non ci fossero stati neanche i 20 giorni previsti per legge ». Anche per il capogruppo del Movimento 5 Stelle Gianluigi Placella è ora del sciogliere le righe: «Il Consiglio è già delegittimato, non ci può essere coesistenza con una maggioranza respinta dal sindaco. Io sono pronto alle dimissioni immediate e mi auguro tutti: anche il bilancio lo lascerei tranquillamente al commissario. Certo c’è qualche rischio tagli, ma un’amministrazione super partes farebbe meno deficit dell’attuale».

Roberta De Rossi

 

E ora Zoggia e Mognato entrano nel mirino dei pm

Dopo la deposizione di Orsoni, la Procura valuta la posizione dei deputati Pd

Il Riesame: Marchese ai domiciliari, a casa anche l’imprenditore Morbiolo

Il duro scontro con Mazzacurati per la gestione dell’Arsenale e le pretese del Consorzio

VENEZIA il Tribunale del riesame di Venezia presieduto dal giudice Angelo Risi, ieri ha mandato a casa, agli arresti domiciliari, sia il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese sia l’imprenditore di Cavarzere Franco Morbiolo, che erano in carcere. Mentre il terzo,l’imprenditore veneziano Andrea Rismondo,ha rinunciato al ricorso e rimane agli arresti domiciliari. Il giudice veneziano Alberto Scaramuzza aveva scritto che Marchese doveva andare in carcere perché c’era il rischio che con la sua attività inquinasse le prove, «essendo emerso che alcuni dichiaranti lo hanno indicato come soggetto interno alla Regione di livello politico-istituzionale che era stato in grado di informare i correi fornendo notizie riservate delle indagini» e aveva però aggiunto che doveva essere una misura a termine, quello di due mesi. Adesso, invece, il Tribunale del riesame ha cancellato la scadenza e Marchese potrà restare agli arresti domiciliari per più mesi. Davanti al Tribunale, oltre ai difensori, si è presentata anche il pubblico ministero Paola Tonini che ha consegnato ai giudici due nuovi verbali d’interrogatorio, quelli resi dal sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e quello dell’ex amministratore delegato dell’Autostrada Venezia Padova: entrambi, infatti, fanno riferimento a Marchese. Il sindaco sostiene sia stato uno di coloro che lo ha spinto a chiedere finanziamenti a Giovanni Mazzacurati per la campagna elettorale delle comunali 2010, mentre Brentan avrebbe riferito di aver ricevuto 12 mila euro come contributo per la campagna elettorale delle Provinciali dello stesso anno e di aver consegnato i soldi a Marchese. La Procura lagunare, intanto, sta valutando se iscrivere o meno nel registro degli indagati, sulla base delle rivelazioni di Orsoni, i due parlamentari del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato, che per ora non sono indagati. Il primo, nel 2010, era candidato alla presidenza della Provincia, poi è stato eletto alla Camera come il secondo, che all’epoca dei fatti era segretario provinciale del partito. Stando ad Orsoni i due, assieme a Marchese, lo avrebbero spinto a chiedere nuovi finanziamenti a Mazzacurati dicendogli «Guarda che il tuo concorrente Brunetta è in vantaggio e dispone di un budget, si dice, di un milione di euro. Fai la figura del pezzente, datti da fare». Durante l’interrogatorio davanti ai pubblici ministeri, poi, il sindaco di Venezia afferma: «Io devo dire mi sono dato da fare, nel senso che ho insistito con Mazzacurati…Si era proposto lui di finanziare la mia campagna elettorale e mi aveva detto che lui aveva finanziato tutte le campagne elettorali precedenti, ma da una parte e dall’altra ». Orsoni, ai magistrati, spiega che si era posto dei problemi di opportunità, ma prima di tutto Mazzacurati avrebbe insistito. Le stesse perplessità sul fatto di essere finanziati dal Consorzio Venezia Nuova le aveva poste anche ai dirigenti del Pd, ma «devo dire con una certa sorpresa», aggiunge il sindaco, « invece di venir dietro alla mia perplessità, trovai una certa… la consideravano come una cosa normale, già rodota». E poi afferma che «avrebbe dovuto seguire con maggior determinazione il suo istinto e dire «Insomma, meglio una manifestazione in meno, ma rimanere in una certa linea». Con Mazzacurati, Orsoni ha avuto anche scontri e ai pubblici ministeri spiega pure questo: «Il Consorzio e Mazzacurati nel 2012 avevano disegnato uno scenario che prevedeva sostanzialmente di prendersi una grossa fetta dell’Arsenale, ivi compresa la parte nord, per farci un albergo, per farci una grossa speculazione immobiliare ». Nell’interrogatorio Orsoni spiega ai magistrati la «tecnica di Mazzacurati sulle partite che lo interessavano, come l’Arsenale, o la Legge speciale. Aveva una tecnica sua, evidentemente cioè quella di pressare le persone. Lui voleva convincermi delle sue ragioni sull’Arsenale. L’idea era quella di prendere una grandissima fetta da parte loro, metterci il centro operativo del Mose e poi continuare con la gestione del Mose. Io tutto questo l’ho contrastato nel modo più assoluto, misono creato tanti nemici».

Giorgio Cecchetti

 

Renzi va giù duro «Chi patteggia non fa il sindaco»

«Non guardiamo in faccia nessuno. Con Orsoni il Pd è stato chiaro. Comprendiamo il suo dramma umano ma, con tutto il rispetto nonostante le sue frasi incredibili verso di me, nel momento un cui uno patteggia è del tutto evidente che non può fare il sindaco». Così il premier Matteo Renzi, ieri sera, replicando alle dichiarazioni di Giorgio Orsoni. Il quale aveva affermato: «Quello che mi ha amareggiato di tutta questa storia è il comportamento inaccettabile del Partito democratico, il modo superficiale e farisaico con cui hanno trattato la mia vicenda, e in particolare mi riferisco al suo vertice, Matteo Renzi. Il premier sa chi sono, apprezzavo il suo modo di fare politica e ho anche pensato di prendere la tessera».

 

LO STATO MAGGIORE Dei democratici VENETI

Moretti: «Ha fatto bene. E Galan?»

Il segretario De Menech: «Avanti nella pulizia, senza fare sconti»

VENEZIA «Le dimissioni di Orsoni sono un gesto doveroso nei confronti di Venezia, l’ultimo atto di un brav’uomo innamorato della propria città e che l’ha amministrata bene». Così Laura Puppato, senatrice del Pd, commenta le dimissioni del sindaco di Venezia. «Ha certamente commesso un errore, probabilmente fidandosi di alcune persone che non lo meritavano, nel caos di una campagna elettorale può succedere, ma», sottolinea Puppato, «non per questo sono tollerabili gli attacchi vili ad un uomo in difficoltà ». «Se Orsoni ha patteggiato mi conforta come cittadino», commenta il senatore Pd Felice Casson, «vuol dire che i magistrati hanno lavorato seriamente e Orsoni che li criticava ha riconosciuto di dover patteggiare. Le critiche al Pd del sindaco mi trovano consenziente, corrispondono alla realtà. Queste critiche riguardano non solo vecchie strutture ma anche renziani. Orsoni fa benissimo a criticare il partito. Il sindaco non dovrebbe rimanere ma c’è un problema profondo legato alla necessità di approvare un bilancio per mettere in sicurezza i conti della città. Poi, approvato il bilancio, tutti a casa. Tutti». «La grandissima maggioranza del Pd, composta da militanti, dirigenti e rappresentanti nelle istituzioni, non ha nulla a che fare con quanto sta emergendo purtroppo ogni giorno dall’indagine sul Mose ». Lo rileva Simonetta Rubinato, parlamentare veneta e componente della direzione nazionale del Pd. «Per questo », dice, «non possiamo aspettare che sia la segreteria nazionale ad intervenire. Lo deve fare la dirigenza regionale invitando tutti coloro che in qualche modo sono coinvolti direttamente o indirettamente con questo “sistema opaco” a fare un passo indietro». «Come Pd dobbiamo fare pulizia», afferma il segretario regionale Roger De Menech, «e, una volta accertate le responsabilità, lo dobbiamo fare senza guardare in faccia nessuno. La scelta di Orsoni di dimettersi », commenta, «era ciò che si doveva fare per riportare tutto ad una situazione di normalità, per rimettere in linea la città di Venezia. Andremo fino in fondo, senza fare sconti, lo abbiamo detto chiaramente, senza distinzioni tra chi è iscritto e chi no». «Il passo indietro di Orsoni», afferma Alessandra Moretti, eurodeputata, «è un importante segnale di chiarezza e di opportunità politica: bene ha fatto il sindaco a rassegnare le dimissioni. Mi domando come mai altri che sono coinvolti in questa inchiesta non facciano un passo indietro», avverte Moretti, «penso prima di tutto a Giancarlo Galan, su cui pendono le accuse maggiori; anche qui l’opportunità politica raccomanderebbe ben altre scelte rispetto a quelle che sta prendendo».

 

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