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Gazzettino – Lia Sartori agli arresti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

3

lug

2014

MOSE – I verbali del manager di Condotte. La Sartori ai domiciliari

Tomarelli:«Mazzacurati mi parlò di soldi dati a Orsoni e Milanese»

GLI AVVOCATI «L’onorevole Sartori aspetta con serenità di potersi difendere nell’interrogatorio di garanzia, nel quale verranno contestati fermamente gli addebiti mossi dalla Procura veneziana»

VICENZA – I domiciliari notificati ieri dopo che ha perduto il posto da eurodeputato

Lia Sartori agli arresti

Mazzacurati: pagata 4 volte. La difesa: non chiederà il patteggiamento

POTENTE Lia Sartori con Giancarlo Galan nel 2005: per molti anni è stata la politica più in vista del Veneto

Ieri mattina alle 8 i finanzieri hanno suonato alla porta di casa di quella che fu una delle donne più potenti del Veneto ai tempi di Giancarlo Galan. E da ieri mattina Amalia “Lia” Sartori, 67 anni, è agli arresti domiciliari. Sarebbe già stata arrestata con tutti gli altri nel mega blitz del 4 giugno se non fosse stata ancora in carica come europarlamentare, ma siccome da ieri non è più deputato – non è stata rieletta e ieri si è insediato il nuovo parlamento europeo – da libera cittadina è diventata in poche ore cittadina agli arresti domiciliari. Lia Sartori, non è un mistero per nessuno, è la donna che ha fatto grande Galan, insegnandogli tutto quello che c’era da insegnare sulla politica. Ex socialista, era diventata potentissima nelle fila di Forza Italia fino a diventare presidente del Consiglio regionale del Veneto ed eurodeputato dal 1999 a ieri. In Regione decideva molto soprattutto nel settore della sanità del Veneto, dai nuovi ospedali ai direttori generali, dai primari ai finanziamenti dei reparti.
Lia Sartori è accusata dalla Procura di Venezia di aver accettato finanziamenti “in nero” e “in bianco” dal Consorzio Venezia Nuova. Nel 2009, quando correva per il parlamento europeo, ha accettato dalla Coveco 25mila euro “in bianco”. Lo testimonia Pio Savioli. Questi 25mila euro derivano da false fatturazioni che poi il Consorzio Venezia Nuova “rimborsa” alla Coveco. La Sartori – sempre stando all’accusa – sapeva perfettamente che i soldi arrivavano dal Consorzio. Dice infatti Giovanni Mazzacurati che il finanziamento, «l’ha chiesto a me la Sartori». Dunque, il meccanismo era il solito: il politico chiede a Mazzacurati e Mazzacurati fa fare una fattura falsa per un lavoro inesistente a qualche ditta che lavora per il Consorzio Venezia Nuova e che, di sicuro, non può dire di no se vuole continuare a lavorare per il Consorzio. Anche Piergiorgio Baita conferma: «Il Consorzio credo che abbia finanziato la campagna elettorale per le europee del 2009». E poi Baita specifica che era stato «lo stesso Mazzacurati nella sede del Consorzio a consegnare 50 mila euro in nero alla Sartori».
In realtà Mazzacurati ricorda 4 “dazioni” alla Sartori dal 2006 al 2012. Ogni volta erano mazzette in nero da 50mila euro e quindi il conto finale è di 200mila euro “in nero” più i 25mila “in bianco”. Ma una di queste volte è “certificata” dalla stessa Guardia di finanza che assiste all’incontro tra Mazzacurati e Lia Sartori all’Holiday Inn – ex Motel Agip di Marghera – il 6 ottobre 2010. Poi ci sarebbero una valanga di intercettazioni telefoniche che però non possono essere utilizzate in Tribunale perché Lia Sartori era eurodeputato e quindi le intercettazioni che la riguardano devono essere buttate alle ortiche.
Ma lei, la donna che fu tra le più potenti del Veneto, come si difende? «L’onorevole Sartori – riferiscono in una nota gli avvocati Pierantonio Zanettin e Alessandro Moscatelli – aspetta con serenità di potersi difendere nell’interrogatorio di garanzia, che avrà luogo a breve, nel quale verranno contestati fermamente gli addebiti mossi dalla Procura veneziana. Non ricercherà quindi facili vie di patteggiamento, né altre scorciatoie giudiziarie, ma si difenderà con ogni mezzo, affinché la propria immagine pubblica e privata rimanga specchiata, come lo è stata sino ad oggi».

Maurizio Dianese

 

GLI ATTI DEL RIESAME

«Piva, corruzione di inusuale gravità, Magistrato asservito al Consorzio»

VENEZIA – È «solido ed esauriente» il quadro indiziario a carico dell’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, accusata dalla Procura di essere stata al soldo del Consorzio Venezia Nuova. Lo scrive il Tribunale del riesame nelle motivazioni del provvedimento con cui le ha concesso gli arresti domiciliari, ritenendo che non lavorando più a Venezia dal 2008 (dopo il trasferimento a Bologna) la misura cautelare meno afflittiva sia sufficiente ad evitare «il ripristino di quelle relazioni e di quelle situazioni che l’hanno coinvolta per anni in questa attività criminosa». Nel provvedimento si rileva che «la ricostruzione del quadro indiziario configura, in modo univoco, un reato di corruzione di inusuale gravità; la Piva infatti non ha compiuto solo qualche atto di favore in cambio di somme di denaro, ma è andata oltre, consegnando la gestione del suo ufficio non tanto a soggetti terzi, quanto piuttosto al personale e ai tecnici dell’ente controllato». Un vero e proprio «asservimento dell’Ufficio Pubblico agli interessi privati, ricompensato con un flusso costante di denaro». Il Tribunale scrive che il Magistrato alle acque fu lasciato per soldi «in mano ad un gruppo di privati che ha potuto così delinquere in varie forme per un periodo di tempo durato molti anni».
Dalle indagini emerge che la dottoressa Piva ha accettato che «all’interno del Mav operassero dipendenti dello stesso ente controllato e percependo da Mazzacurati e dai suoi collaboratori flussi di denaro costante». L’allora presidente del Consorzio ha riferito ai magistrati di aver retribuito la Piva con 400mila euro all’anno e l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha raccontato di essersi occupato di corrispondere metà di quella somma. L’allora presidente del Mav sarebbe stata ricompensata anche attraverso l’assegnazione, da parte della Regione Veneto, del collaudo dell’ospedale di Mestre, per oltre 300mila euro. La Piva, assistita dall’avvocato Emanuele Fragasso, ha respinto ogni addebito, ammettendo soltanto di aver fatto parte della commissione di collaudo dell’ospedale, ma nessuna corruzione: sostiene, infatti, di essere stata sempre in contrasto con il Cvn. Quanto al personale del Consorzio utilizzato dal Magistrato, ha spiegato che serviva per far fronte alla carenza di organico. Versione che, secondo il Riesame, sarebbe smentita dai documenti rinvenuti nel computer dell’ingegner Brotto, responsabile della progettazione del Mose, ma anche dalle dichiarazioni dell’ex vicedirettore del Cvn, Roberto Pravatà, secondo il quale l’80% degli atti formalmente redatti dal Mav «erano in realtà prodotti da personale del Cvn», e la Brotto avrebbe «redatto perfino i voti che sarebbero stati espressi dai componenti del Comitato tecnico, poi integralmente recepiti nel documento ufficiale del Mav». (gla)

 

IL CASO – Polemiche su Incalza, Lupi conferma la fiducia al dirigente del ministero che non voleva mazzette

ROMA – Il ministro Maurizio Lupi conferma la fiducia a Ercole Incalza, l’alto funzionario che non voleva i “soldi sporchi” del Mose. Il dirigente a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture era finito nel mirino dei deputati del M5S, che avevano chiesto la revoca dell’incarico perché il suo nome «è apparso nelle intercettazioni delle inchieste sul Mose, Expo, indagato dalla procura di Firenze per la Tav». Incalza – ha risposto Lupi – ha ricoperto «importanti incarichi da molti anni» e «gli organi giuridici mai hanno rilevato elementi di reato né di irregolarità amministrativa». In effetti negli atti dell’inchiesta sul Mose il nome di Incalza appare negli interrogatori dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati: era lui per anni il referente ai vertici del ministero, ma non gli venne elargita alcuna somma. E come lui anche l’ex presidente del Magistrato alle acque, Felice Setaro. La spiegazione di Mazzacurati ai pm: «Alcuni i soldi non li vogliono».

 

 

 

ALLA CAMERA Il relatore: dalle carte emerge un quadro corruttivo ramificato

Galan, la giunta non conclude: il voto resta fissato per l’11 luglio

GIUNTA – Il presidente Ignazio La Russa

MESTRE – Il voto resta fissato per l’11 luglio, ma ieri la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera ha deciso di non concludere il dibattito sulla richiesta di carcerazione per Giancarlo Galan. Secondo il presidente Ignazio La Russa, ci vogliono altre due sedute per ragionare sulle integrazioni alla memoria di Galan, che il Gazzettino ha anticipato ieri. «Il rinvio non farà slittare il voto della Giunta, fissato per l’11 luglio», assicura La Russa il quale ha ricordato che dal 27 giugno non è necessario il carcere «nel caso in cui il giudice ipotizzi una pena finale detentiva inferiore ai 3 anni». E questo sarebbe proprio il caso di Galan. Alla dichiarazione soft di La Russa fa da contraltare quella di Mariano Rabino, di Scelta Civica, relatore sul caso Galan. «Quello che risulta dal materiale che ci è arrivato dalla Procura di Venezia e dalle memorie difensive di Galan è un quadro corruttivo sistemico e ramificato».
Dunque, par di capire che il relatore appoggerà la richiesta di arresto di Galan. Poi si tratta di vedere se l’ex governatore passerà l’estate ai domiciliari nella sua villa con parco e fiume incorporato o nelle patrie galere. Galan spiega nella sua memoria difensiva che i giudici veneziani non possono mandarlo in galera dal momento che molti reati sono in prescrizione e per tutti gli altri messi insieme, nel caso di condanna, non si arriverebbe, per l’appunto, a superare i 3 anni di carcere e dunque si rientrerebbe nella nuova legge svuotacarceri – ma in questo caso si tratta di mancato riempimento – appena approvata. Alla memoria difensiva Galan ha allegato anche l’ordinanza del Tribunale del riesame di Venezia su Boscolo Bacheto Stefano. Quell’ordinanza contiene la certificazione che il Consorzio era un soggetto di natura pubblica che aveva come riferimento il Cipe, il ministero per le Infrastrutture e quello dell’Economia. Come dire che la Regione non c’entra un bel nulla con il Mose dopo il 2006. E tutto quello che è avvenuto prima è coperto dalla prescrizione.

(m.d.)

 

MOSE, GALAN, POVERO O MILIARDARIO?

In un articolo apparso sul Gazzettino nel luglio 2011, in occasione di un’intervista all’allora ministro Galan, lo stesso si lamentava perchè era “il meno pagato fra i ministri, godendo di un netto mensile di 8.100 euro, di cui la metà gli serviva per vivere a Roma. In quell’occasione ho provato molta pena per il povero ministro, in difficoltà, quando invece molti godevano delle famose “pensioni d’oro” da 1500 euro lordi, il cui adeguamento fu bloccato proprio in quei giorni dal Governo di cui faceva parte.In questo periodo, alla luce delle recenti dichiarazioni dello stesso sig. Galan, che afferma di essere miliardario da sempre, cosa dobbiamo pensare noi poveri pensionati? Viste le ultime vicende relative allo scandalo Mose, e a quanto sembrerebbe fosse emerso nei suoi confronti, qual è la verità: ci prendeva in giro nel 2011 o dobbiamo pensare che in questi ultimi tre anni ha avuto la fortuna e la possibilità di arricchirsi nel modo e nella quantità che ha dichiarato? Qualche dubbio sorge spontaneo anche perchè, in tempi abbastanza recenti, qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina.

Augusto Verza – Treviso

 

SCANDALO MOSE – Il manager Tomarelli: «Era arrabbiato per lo scontro sull’Arsenale»

E Mazzacurati disse: «Orsoni ingrato»

«Orsoni? Un ingrato». Giovanni Mazzacurati avrebbe definito così il sindaco di Venezia quando, un anno fa, “scippò” una parte dell’Arsenale di Venezia al Consorzio Venezia Nuova con l’obiettivo di aprirlo alla città. A raccontarlo ai pm è stato il manager romano Stefano Tomarelli, spiegando che all’epoca Mazzacurati gli confidò «che lui l’aveva aiutato a farlo eleggere sindaco, dandogli i soldi… aveva un forte risentimento verso Orsoni», ha spiegato il dirigente della società Condotte. La versione fornita da Tomarelli conferma, anche se indirettamente, quella di Mazzacurati sul finanziamento elettorale, ma anche la difesa di Orsoni che ritiene di pagare proprio la sua battaglia sull’Arsenale.

 

IRRICONOSCENTE – Il “re” del Mose sosteneva di aver contribuito all’elezione a sindaco

IL VERBALE – Il manager romano parla anche dei rapporti diventati problematici col Comune

LA PROCURA – La testimonianza per i pm è la conferma che la versione di Mazzacurati è attendibile

E Mazzacurati sbottò: «Orsoni ingrato»

Tomarelli: «Giovanni era arrabbiato per l’atteggiamento sugli spazi dell’Arsenale»

Mazzacurati finanzò la campagna elettorale per l’elezione di Giorgio Orsoni a sindaco di Venezia e si aspettava da lui riconoscenza. Lo ha raccontato il manager romano della società Condotte, Stefano Tomarelli, nel corso del lungo interrogatorio sostenuto lo scorso 25 giugno davanti ai sostituti procuratore Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto. Il verbale con le sue dichiarazioni sono state depositate ieri mattina al Tribunale del riesame e, tra le 95 pagine di cui è composto – numerose delle quali coperte da omissis – ce n’è anche una dedicata al sindaco di Venezia. Tomarelli riferisce ai pm lagunari ciò che gli raccontò Mazzacurati nel periodo in cui era scoppiato un feroce scontro tra amministrazione comunale e Consorzio Venezia Nuova in relazione all’utilizzo di alcuni spazi all’interno dell’Arsenale (tra fine 2012 e inizio 2013); spazi che Mazzacurati voleva in concessione e che, al contrario, il sindaco volle per la città: «Di Orsoni mi disse che era un ingrato, che lui l’aveva aiutato a farlo eleggere sindaco, dandogli i soldi, insomma». Ingrato perché? gli chiede il difensore, l’avvocato Pisani: «Perché praticamente lui l’aveva fatto eleggere sindaco. Bella domanda… dando sol.. non lo so, però qui lui aveva un grosso risentimento verso Orsoni».
La versione di Tomarelli, seppure di seconda mano, costituisce per il magistrati della Procura l’ennesima conferma dell’attendibilità della confessione di Mazzacurati, il quale ha raccontato di aver consegnato personalmente a Orsoni una cifra tra i 450 e i 500mila euro per finanziare la sua campagna elettorale. Il sindaco dimissionario nega di aver mai ricevuto personalmente quei soldi, ma nel corso dell’interrogatorio sostenuto davanti ai pm ha ammesso di essersi rivolto a Mazzacurati per chiedere un finanziamento. Orsoni ha poi dichiarato che a suo avviso i soldi arrivarono (all’epoca credeva fossero leciti) in quanto tutte le spese a rischio della campagna elettorale furono poi pagate. Ai magistrati ha ammesso di aver percepito l’inopportunità di farsi finanziare dal soggetto che stava realizzando l’opera pubblica più importante in città (la legge peraltro vieta a soggetto come il Cvn, destinatari di contributi statali, di finanziare i partiti), ma si è giustificato spiegando di aver dovuto cedere alle pressioni del Pd. In caso contrario avrebbe dovuto tirare fuori di tasca propria i soldi necessari. Lo stesso Orsoni ha dichiarato che Mazzacurati ce l’aveva con lui per la vicenda dell’Arsenale e che per questo motivo ha raccontato di avergli versato personalmente i soldi. Cosa che il sindaco continua a negare sia mai avvenuta, pur ammettendo che Mazzacurati andava spesso a casa sua e più di una volta lasciò buste con documenti: erano amici e si rivolgeva al suo studio di avvocato per varie pratiche.

 

Felice Casson: «La prescrizione può anche essere rifiutata»

«La prescrizione? Vale per Giorgio Orsoni, per altri imputati dell’inchiesta Mose e non solo per quelli. Sta a lui decidere se accettare o rifiutare». Firmato Felice Casson, ex magistrato e senatore del Pd. Che, invitato a esprimere un’opinione sulla concreta possibilità che il processo dell’ex sindaco possa non coprire tutti i gradi di giudizio per scadenza dei termini, precisa di non voler commentare la vicenda in sè, soffermandosi invece sulla prescrizione «che così com’è va modificata, perché all’origine della “decapitazione” di troppe inchieste». E sottolineando di avere già depositato in Senato un disegno di legge in tal senso. Quanto all’intento dell’ex primo cittadino di voler dimostrare la totale estraneità personale dai fatti contestatigli, Casson aggiunge che «è facoltà dell’imputato rifiutare la prescrizione, nella convinzione che l’onore gli possa essere restituito solo dall’esito di più processi».

(V.M.C.)

 

«Sequestrare i beni degli indagati»

Offensiva di Rifondazione Comunista che ha consegnato un’istanza di parte civile sul caso Mose

Si sono presentati ieri mattina alla segreteria del Procuratore capo Luigi Delpino con una richiesta chiara: chiedere il sequestro cautelativo dei beni, mobili e immobili, dei principali indagati nelle vicenda Mose. É questa l’iniziativa politica che ieri un drappello di esponenti di Rifondazione comunista (Renato Cardazzo, Pietrangelo Pettenò, Andrea Bonifacio e Sebastiano Bonzio) ha presentato ai magistrati che stanno conducendo l’indagine, una vera e propria istanza relativamente ai procedimenti penali in atto sulla vicenda del Mose e, per collegamento, sul Consorzio Venezia Nuova.
«Stiamo valutando con i nostri legali – sottolinea in una nota il Prc – la congruità della costituzione di parte civile/persona offesa nell’inchiesta veneziana sul Consorzio Venezia Nuova e sulle vicende ad esso collegate. Al fine di limitare i danni arrecati alla comunità veneziana, chiediamo un autorevole intervento affinché siano immediatamente sottoposti a sequestro cautelativo i beni, mobili ed immobili dei principali indagati nella vicenda su indicata. In particolare crediamo sia doveroso attivare tutte le procedure legali di merito verso quegli imputati che hanno già abbondantemente ammesso e illustrato i reati dei quali sono imputati. Nello specifico, vista l’entità del danno subito dalla città, verso gli amministratori del Consorzio Venezia Nuova e della ditta Mantovani». Insomma, una richiesta dettagliata e circostanziata che punta ad avere ulteriore chiarezza sul prosieguo dell’indagine e per offrire maggiore chiarezza ai cittadini.
«Avvertiamo nella cittadinanza tutta la preoccupazione, – sottolineano nella lettera i rappresentanti del Prc – che facciamo nostra, che i maggiori responsabili del malaffare, per loro stessa ammissione spontanea, possano salvaguardare buona parte degli illeciti guadagni accumulati in anni di attività corruttiva, usufruendo di varie agevolazioni di legge o patteggiando la pena. Fatte salve le legittime garanzie per gli imputati pensiamo sia doveroso e urgente garantire anche ai cittadini veneziani gravemente danneggiati dalla vicenda, un giusto risarcimento».

 

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