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Nuova Venezia – Mose, arrestato l’uomo di Tremonti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

5

lug

2014

Mose, arrestato l’uomo di Tremonti

In cella l’ex deputato Marco Milanese, sequestrati beni per500mila euro

Arrestato Milanese, dirottò i fondi del Cipe

L’ex braccio destro di Tremonti accusato di aver incassato mezzo milione

Il giudice ha chiesto anche il «sequestro per equivalente» di 500 mila euro

L’ex ufficiale della Gdf continua a intessere rapporti con militari politici e faccendieri

VENEZIA – Il trentacinquesimo arresto è scattato ieri, a un mese dagli altri, in un ristorante romano all’ora del pranzo. È quello di Marco Milanese, accusato di corruzione. I finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia lo hanno cercato per l’intera mattinata e alla fine lo hanno rintracciato nel locale della capitale e poi trasferito nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: in realtà, la richiesta di arresto per Marco Milanese, ex ufficiale della Guardia di finanza, ex consigliere dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ed ex parlamentare di Forza Italia, era stata avanzata già nel dicembre dello scorso anno, assieme a tutte le altre, ma poi i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini avevano revocato la richiesta perché c’erano alcune telefonate intercettate sui cellulari di Giovanni Mazzacurati e di Roberto Meneguzzo in cui spuntava la voce di Milanese, all’epoca parlamentare, che non poteva essere intercettato neppure indirettamente. Il 10 giugno scorso hanno riproposto al giudice veneziano Alberto Scaramuzza l’arresto, evitando di utilizzare quelle intercettazione e usando i nuovi interrogatori degli arrestati, come quello dell’amministratore della «Palladio Finanziaria», il vicentino Roberto Meneguzzo, e quello dell’imprenditore romano Stefano Tomarelli di «Condotte». Il Tribunale del riesame, però, la settimana scorsa aveva spiegato che proprio la tangente di 500 mila euro a Milanese il presidente del Consorzio Venezia Nuova aveva raccontato di averla consegnata a Milano, nella sede nel capoluogo lombardo della «Palladio» di Meneguzzo. Dunque a indagare dovevano essere i pubblici ministeri di Milano e per questo i giudici veneziani avevano spedito per competenza territoriale a Milano il fascicolo che riguarda Milanese, Meneguzzo e il generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante. Così, il giudice veneziano Scaramuzza, nella sua ordinanza di custodia cautelare, ha dovuto spiegare che c’era «l’urgenza a provvedere, nonostante la dichiarazione di incompetenza territoriale ». «Nonostante Milanese fosse ormai perfettamente a conoscenza dell’indagine a suo carico », scrive il magistrato lagunare, «stando all’ultima integrazione della Procura del 2 luglio, ha continuato anche di recente in comportamenti analoghi a quelli del passato: contattando un elevatissimo ufficiale della Guardia di finanza per influire su dinamiche interne ai corsi dell’Accademia, ottenendo quanto richiesto; continuando a contattare utenze del Comando generale della Guardia di finanza a Roma; venendo contatto da appartenente al Nucleo di Polizia tributaria di Roma, che gli chiede come favore di intervenire su una questione relativa alla sospensione da parte del ministero della Salute di un decreto autorizzativo per imbottigliare e commercializzare un’acqua minerale, organizzando per questo motivo incontri riservati». Per il giudice «tutto ciò conferma che Milanese è ancora in grado adesso di contare su elevatissime relazioni che gli permettono di interloquire e soprattutto di interferire nell’esercizio di pubblici poteri per interessi privati, nonostante i precedenti e le pendenze giudiziarie. Questo rende indispensabile emettere subito la misura richiesta contestualmente alla dichiarazione di incompetenza ». A Milanese, per cui c’è la richiesta di sequestro di beni per 500 mila euro, nell’ordinanza veneziana, viene contestato di aver agito con «atti contrari ai doveri d’ufficio nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera del Cipe numero 31 del 2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio, inizialmente esclusi dal ministro dell’Economia Tremonti, in cambio del pagamento di 500 mila euro dallo stesso Milanese sollecitato: somma che gli veniva consegnata personalmente da Mazzacurati. Tutto questo grazie all’intermediazione di Meneguzzo che si attivava per mettere in contatto i due». A riferire con dovizia di particolari, ad esempio che i 500 mila euro erano dentro una scatola, sono stati Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita. Meneguzzo, oltre a presentare Milanese al presidente del Consorzio era anche riuscito a organizzare gli incontri di Mazzacurati con Gianni Letta, allora sottosegretario a Palazzo Chigi, e soprattutto con Tremonti, prima della riunione del Cipe che poi aveva dato via libera ai finanziamenti per il Mose, in precedenza bloccati, perché destinati ad altre opere in Italia. Al Consorzio arrivarono così 420 milioni dei 1424 complessivi.

Giorgio Cecchetti

 

il giudice del riesame

«Un fiume di denaro per politici e funzionari»

La complessità del sistema ha portato il Consorzio a instaurare «rapporti particolari»

Mazzacurati telefonò a Gianni Letta per finanziare un film del figlio Carlo

VENEZIA Il giudice di Milano avrà venti giorni di tempo, in base alla legge, per rinnovare l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal collega di Venezia e che ieri ha portato in carcere per corruzione l’ex parlamentare del Pdl Marco Milanese. Ad occuparsi dell’inchiesta stralcio sul Mose proveniente dalla laguna sono i pubblici ministeri Roberto Pellicano e Luigi Orsi, in base alla decisione del procuratore Edmondo Bruti Liberati: i due pm hanno già ricevuto la scorsa settimana la prima documentazione. Ieri, intanto, il presidente del Tribunale del riesame Angelo Risi ha depositato le motivazioni a causa delle quali è stato respinto il ricorso dell’imprenditore della «Grandi Lavori Fincosit» di Roma […………………….], che è rimasto in carcere. Nel documento il magistrato riassume l’intera vicenda a partire dalla Legge speciale del 1984 e dalla Legge obiettivo del 2001. «La complessità dell’intera procedura e la continua necessità di finanziamenti da parte del potere politico e amministrativo», si legge, «hanno portato i dirigenti del Consorzio ad instaurare uno stretto legame con i pubblici ufficiali da cui dipendeva la sopravvivenza del Consorzio… Sono maturate elargizioni del denaro aventi due direzioni: da una parte in favore del potere politico, allo scopo dei evitare interruzioni nell’attività di finanziamento, dall’altro lato nei confronti dei singoli funzionari preposti al rilascio delle autorizzazioni e ai controlli, al fine di accelerare qualunque atto e comunque a non ostacolare l’attività». Per il Tribunale, grazie alle dichiarazioni di Mazzacurati, Baita, Savioli e Tomarelli, il presidente del Consorzio «convocava regolarmente i consorziati aventi perso decisionale maggiore per numero di quote, vale a dire […………], Baita e Tomarelli allo scopo di comunicare le decisioni assunte e chiedere il loro assenso, Stando ai conti del magistrati, il fondo nero costituito per pagare tangenti e contributi elettorali sarebbe stato di 15 milioni e 700 mila euro in pochi anni. Nel documento si ricostruisce con esattezza la vicenda della tangente di 500 mila euro versata il 14 giugno 2010 a Milanese, dopo che il Cipe il 13 maggio precedente aveva dato il via libera ai finanziamenti del Mose, grazie all’intervento del ministro Tremonti, di cui Milanese era uno strettissimo collaboratore. Oltre a Mazzacurati, della mazzetta per l’ex ufficiale della Guardia di finanza parlano Baita e Claudia Minutillo. E poi c’è l’incrocio dei tabulati dei cellulari di Mazzacurati, Milanese e Meneguzzo. Infine, nel documento, si fa anche riferimento a una telefonata che Giovanni Mazzacurati avrebbe fatto al sottosegretario Gianni Letta per finanziare attraverso il ministero dei Beni culturali un film del figlio Carlo. Giorgio Cecchetti

 

L’APPELLO DEI DOCENTI IUAV STEFANO BOATO E CARLO GIACOMINI

«La concessione unica al Cvn è illegittima e va revocata»

C’è una legge dello Stato, la 139, che da vent’anni ha abolito la concessione unica. Ma non è mai stata applicata. E ci sono altre due leggi – tra cui la 537 del 1995 – che non sono mai state prese in considerazione. Dunque, la concessione unica è «illegittima». Un appello al premier Renzi, annunciato in visita in laguna martedì prossimo e ai parlamentari veneziani viene da un gruppo di urbanisti veneziani. Stefano Boato e Carlo Giacomini, entrambi docenti Iuav noti per la loro decennale battaglia anti Mose, hanno messo a punto un dossier, studiando leggi e direttive comunitarie, che sarà adesso consegnato al presidente del consiglio. Chiedono di sospendere gli «atti aggiuntivi», convenzioni successive alla grande Convenzione quadro del 1991 che definiscono «artifici per aggirare la legge che abolisce la concessione unica». «Bisogna fare una pausa e sospendere l’erogazione dei fondi», dicono Boato e Giacomini, «affidare i controlli dei lavori e del progetto a un ente scientifico terzo, autorevole e indipendente, per vedere cosa si può fare». Difficile a questo punto rimuovere dai fondali i cassoni di calcestruzzo e tornare indietro. «Anche questi sono interventi contro la Legge Speciale, che parlava di gradualità, reversibilità e sperimentalità», dice Giacomini. Che propone al governo di mettere in piedi «una nuova struttura pubblica efficiente per il controllo», affidata al ministero dell’Ambiente. «Anche per toglierla dalle mani», dice, «di chi da trent’anni governa il Mose e la laguna come fosse un’infrastruttura». Sospensione dei cantieri, dunque. E una verifica su quello che si può ancora fare, a cominciare dai controlli sulle cerniere e sulle profondità dei fondali, sui rischi di rottura e la manutenzione». Togliere la concessione, dicono i due docenti. E intanto ridurre gli «oneri del concessionario» dal 12 al6 per cento. E impedire in futuro che lo stesso soggetto che progetta i lavori sia quello che li esegue. (a.v.)

 

Galan, tour de force per la Giunta della Camera

La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera tornerà a discutere, la prossima settimana, della richiesta di arresto per Giancarlo Galan, chiamato in causa per l’inchiesta sul Mose. La Giunta è stata convocata per mercoledì 9 alle ore 13 e per giovedì 10 alle 13.15.A seguire ci sarà l’ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi. Secondo il calendario previsto la votazione in Giunta sulla richiesta di arresto dovrà arrivare entro l’11 luglio.

 

La resistibile ascesa dell’ombra di Tremonti

Vita e carriera politica dell’ex parlamentare del Popolo delle libertà

Nell’inchiesta le auto, i viaggi e gli orologi pagati perché vicino al ministro

VENEZIA – Per almeno dieci anni è stato l’ombra di Giulio Tremonti. Ed ora il prossimo obiettivo dell’inchiesta veneziana potrebbe essere proprio l’ex potente ministro dell’Economia dei governi Berlusconi. Ma per lui, Marco Milanese, la definizione più azzeccata è probabilmente quella dell’assicuratore Paolo Viscione che, ascoltato da un magistrato napoletano, lo definisce «uno scapocchione», un fancazzista, spinto a pedate dal padre negli ambienti che contano. Con ottimi risultati. Cinquantacinque anni, ufficiale della Guardia di Finanza (arriva al grado di generale), Milanese è lo stesso che da deputato del Pdl offre ospitalità in un appartamento di via Campo Marzio a Roma al suo ministro, facendosi pagare in nero l’affitto (Tremonti ha patteggiato per questo quattro mesi di reclusione). In un paese normale dopo tre inchieste, due richieste d’arresto e un rinvio a giudizio, sarebbe stato cacciato persino da un caffé di periferia. E invece Milanese, non più deputato, è oggi professore della Scuola superiore dell’Economia e delle Finanze – la scuola del Ministero dell’Economia, oggi guidato da Pier Carlo Padoan –: un incarico da 194 mila euro l’anno (ridotto della metà dallo scorso dicembre). Del resto, il suo curriculum parla da solo: laurea in Giurisprudenza a Salerno, laurea in Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria a Roma Tor Vergata, master in Diritto Tributario dell’Impresa «cum laude» alla Bocconi, corso di perfezionamento alla Luiss su «elusione ed evasione fiscale internazionale ». Dal 2001 ufficiale Aiutante di campo del ministro Tremonti, poi consigliere politico e infine deputato del Pdl, a muoversi nel mondo romano deve aver imparato molto bene e molto in fretta: tranquillizzava gli imprenditori preoccupati di qualche verifica fiscale con un rassicurante «ci penso io». Amante dei viaggi all’estero, delle barche, delle belle auto e degli orologi di prestigio, i suoi accusatori hanno ammesso di avergli concesso la disponibilità di una Bentley nera, di avergli regalato una Ferrari 612 Scaglietti e di avergli pagato diversi orologi Patek Philippe. L’assicuratore napoletano che lo accusa ha riferito di avergli pagato anche il Capodanno 2010 a New York, prenotato in un’agenzia di viaggi romana il cui nome calza a pennello: «Liberi tutti, srl». A Venezia è accusato di aver intascato mezzo milione di euro da Giovanni Mazzacurati, consegnati negli uffici milanesi di Palladio finanziaria per agevolare lo sblocco dei fondi Cipe per il Mose. Dietro a quei soldi persino una storia curiosa: il contante fu recuperato con il meccanismo della «retrocessione» dal contabile del Consorzio Venezia Nuova Luciano Neri, giusto nel giorno in cui la Guardia di Finanza iniziava la verifica fiscale negli uffici del Mose. Neri, che teneva i soldi nel cassetto, li nasconde dietro l’armadio e poi torna a recuperarli la sera, a uffici chiusi. Il giorno dopo Mazzacurati li porta a Milano. E pure si vanta al telefono dell’impresa.

Daniele Ferrazza

 

Quelli rovinati dal Mose

Il diritto di critica processato nei tribunali

L’ultimo caso riguarda gli ingegneri Di Tella, Vielmo e Sebastiani che presentarono a Cacciari il progetto “Paratoie e gravità”

VENEZIA – I danneggiati del Mose. Non c’è soltanto chi ha preso soldi (tangenti, contributi, studi) dal Consorzio Venezia Nuova. Ma anche chi avendo criticato la grande opera si è ritrovato in tribunale con richieste danni. L’ultimo caso è quello di Vincenzo Di Tella, ingegnere esperto in tecnologie sottomarine. Suo, insieme agli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani, il progetto delle «Paratoie a gravità», alternativa al Mose – «meno costosa e più affidabile », garantivano gli ingegneri – presentata in Comune nel 2006 dal sindaco Massimo Cacciari. Il governo non l’aveva nemmeno considerata. E il Consorzio aveva citato in tribunale Di Tella, chiedendogli mezzo milione di euro di danni. Alla fine l’ingegnere era stato assolto. «Diritto di critica», aveva sentenziato il giudice. «Non avevo offeso nessuno», ricorda, «solo messo in dubbio il funzionamento della struttura, perché il sistema con cui avevano fatto le prove era quello dei modelli matematici, senza prove in vasca. Li ho sfidati pubblicamente, ma non hanno mai accettato il confronto. Nemmeno quando la società di ingegneria Principia aveva messo nero su bianco le «criticità » del sistema Mose e la tenuta delle paratoie in caso di mare agitato. Altra querela milionaria quella presentata nel 2005 dal Consorzio ai danni di Carlo Ripa di Meana, ex commissario europeo all’Ambiente ed ex presidente della Biennale che da candidato sindaco aveva condotto allora una campagna molto forte contro i danni ambientali della grande opera. «Mi avevano chiesto tre milioni di euro», ricorda, «poi la querela era stata ritirata davanti al Tribunale di Perugia. Adesso la storia ci dà ragione». Un plotone di avvocati di peso – a Venezia Alfredo Bianchini e Alfredo Biagini, a Milano lo studio Vanzetti. Cause e risarcimenti che in qualche caso hanno prodotto l’uscita degli interessati dalla battaglia contro il Mose. Come nel caso di Riccardo Rabagliati, ex direttore dell’Accademia di Belle Arti e presidente della sezione veneziana di Italia Nostra. Alla fine degli anni Ottanta aveva affisso in città decine di locandine del settimanale «Il Mondo» con la foto del Mose davanti a San Marco e lo slogan «Le idiozie che costano miliardi». Querela ritirata dopo molti anni. Ma Italia Nostra nel frattempo era stata «azzoppata» dalle richieste di danni. Denunce qualche anno più tardi anche per i dimostranti del Morion che avevano occupato i cantieri e la sede del Consorzio in campo Santo Stefano. Una delle cause più note era stata quella intentata ai due fratelli Spagnuolo, geometri padovani che avevano lavorato per la diga del Vajont. Per anni avevano esposto manifesti e distribuito volantini e dossier in campo San Salvador, denunciando la «pericolosità» del Mose. La vicenda penale si era conclusa per la morte di entrambi. «Non solo richieste danni, molti di noi hanno pagato per la loro opera di tecnici indipendenti», ricorda Andreina Zitelli, docente Iuav e componente della commissione Via (Valutazione di Impatto ambientale) che nel 1998 aveva bocciato il Mose. «Io, Zitelli e Vittadini fummo oggetto di una campagna denigratoria», ricorda Carlo Giacomini, anche lui docente Iuav, «solo perché avevamo fatto il nostro dovere. All’epoca c’erano i tecnici inossidabili e quelli ossidabili. Noi facevamo parte della prima categoria». Difficoltà al Cnr anche per Georg Umgiesser, che aveva dimostrato l’efficacia delle opere alternative al Mose per ridurre le acque alte, per l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos («Il Mose aggrava lo squilibrio della laguna») e per Paolo Pirazzoli, del Cnr francese. Polemiche e vicende che dopo l’inchiesta vanno rilette sotto un’altra luce.

Alberto Vitucci

 

‘‘LAVORI TERZA CORSIA A4

La prefettura di Udine emette una interdittiva antimafia

UDINE – La Prefettura di Udine ha emesso un’interdittiva antimafia nei confronti dell’impresa di costruzione Rizzani De Eccher, su segnalazione della Direzione investigativa antimafia. L’impresa sta realizzando, insieme ad altre, i lavori per la terzia corsia dell’A4 Mestre-Trieste. In una nota diffusa, l’azienda friulana esprime «stupore e sconcerto» assicurando la massima collaborazione e minacciando azioni legali a tutela della propria immagine. «Il Presidente del Consiglio di Amministrazione Marco de Eccher – recita la nota dell’impresa – manifesta il proprio stupore e personale sconcerto per un provvedimento che, ove effettivamente adottato, sarebbe senza alcun dubbio privo di qualsivoglia fondamento, del tutto ingiustificato e gravemente lesivo dell’immagine del Gruppo». Il provvedimento di interdittiva riguarda la società Tilliaventun – società di progetto costituita al 50% da Rizzani DeEccher spa e Pizzarotti&C. Il commissario della terza corsia conferma di aver ricevuto l’interdittiva e di aver interpellato l’Avvocatura generale dello Stato per conoscere le procedure del caso. La Tilliaventum risulta aggiudicataria, in via provvisoria con la formula del general contractor (che comprende la progettazione definitiva e la realizzazione di un’opera) del terzo lotto della terza corsia della A4 da Ponte Tagliamento a Gonars. La comunicazione di interdittiva serve per scongiurare il pericolo che nei lavori gestiti dall’impresa vi possano essere delle infiltrazioni della criminalità organizzata. De Eccher si è aggiudicata i lavori insieme a Pizzarotti (con un ribasso del 46%) ma i lavori non sono ancora cominciati perché è in fase di completamento la progettazione esecutiva. L’importo del cantiere è di 299,7 milioni di euro. Quanto ai lavori tra Quarto d’Altino e San Donà, in corso di ultimazione, le imprese che si sono aggiudicate (ribasso del 28%) il lavoro sono Impregilo, Mantovani, Consorzio veneto cooperativo, Cosostramo e Carro, per un valore di 224,6 milioni di euro. La società di costruzioni, pur non potendo allo stato «esprimere alcuna considerazione sul contenuto del citato provvedimento che non è stato in alcun modo e forma comunicato alla Società, si dichiara certa che lo stesso sia frutto di scarsa conoscenza dell’operatività del Gruppo e sia stato adottato su presupposti del tutto errati e fuorvianti. A tal proposito ricorda che il Gruppo ha sempre operato nel pieno rispetto di tutte le disposizioni di legge e misure atte a prevenire qualsiasi rischio di illegalità nei propri cantieri ed in particolare, nel caso della Terza Corsia della A4, ha sottoscritto con la Committente e la Prefettura competente uno specifico Protocollo di Legalità ». Rizzani De Eccher è attiva nel settore infrastrutture e grandi lavori in oltre 20 paesi del mondo con 2.800 dipendenti.

Daniele Ferrazza

 

L’AZIENDA: «STUPORE E SCONCERTO»

La De Eccher nel mirino Dia

Scandalo soprattutto veneto e romano

Un mese fa, grazie alla formidabile indagine della magistratura veneziana, scoppiava lo “scandalo Mose”che in realtà è lo “scandalo Consorzio Venezia Nuova”. Sene parla come di una vicenda “veneziana” ma Venezia, in questa pessima storia, è solo la scena del crimine. I veri luoghi in cui siè ordito e perpetrato il malaffare sono gli uffici di comando del Consorzio Venezia Nuova e, istituzionalmente, sono soprattutto la Regione Veneto e i ministeri romani, con le loro propaggini locali,come il Magistrato alle Acque, e i servitori dello Stato infedeli presenti nelle Finanza e nella Corte dei Conti e altrove, insieme ai loro complici, a volte sedotti a volte corrotti. Lo scandalo, quindi, è anche veneziano ma soprattutto veneto e romano. A Ca’ Farsetti, sede del Comune, la corruzione legata al Consorzio non è mai entrata,anche se le accuse a Orsoni, da candidato sindaco, ne hanno causato lo scioglimento (di cui rischiano di giovarsi soprattutto i poteri locali e romani alleati da sempre proprio al Consorzio).È importante ribadirlo, per non offrire alibi e nascondigli ai veri responsabili e ai veri covi del malaffare. Un mese dopo, i materiali della cruciale indagine della Procura veneziana lo confermano: occorre tagliare non solo la testa ma rimuovere tutte le membra del sistema corruttivo che hainquinato e distorto la democrazia e l’economia e pesantemente condizionato la stessa opinione pubblica.

Gianfranco Bettin – Associazione “In Comune”, Venezia

 

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