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Nuova Venezia – Villa di Galan, svelati tutti i lavori

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6

lug

2014

Villa Galan, svelati i segreti

Ecco tutti i lavori realizzati

Impianti nuovi, marmorini, stucchi e affreschi: l’edificio completamente rifatto

L’architetto Zanaica, che fu il direttore del cantiere, già sentito dalla Finanza

VENEZIA «Lui è amico di Gesù che moltiplicava i pani e i pesci. Gli ha insegnato il trucco anche con gli euro». La mordace battuta dell’imprenditore Paolo Sinigaglia, che per trascorsi politici conosce bene il laico Giancarlo Galan, dice tutto il disincanto con il quale è stata accolta la spiegazione pubblica che l’ex presidente del Veneto ha dato delle sue ricchezze. Quella trecentesca villa sui Colli Euganei, per esempio, dove è andato ad abitare. Per anni era stata il cruccio del precedente proprietario, Salvatore Romano, medico condotto e dentista di Lozzo Atestino, che si è svenato per rimetterla in sesto. Senza riuscirci. Dopo il restauro della struttura grezza, il consolidamento dei pavimenti e il rifacimento del terrazzo nella forma originale, cominciavano a scarseggiare i soldi. Per il tetto si era arrangiato alla bell’e meglio. Per l’impianto elettrico aveva provato a fare tutto da solo, passando i fili di notte, attaccando e staccando differenziali. Ne aveva fatto una malattia. Quando Giancarlo Galan acquista il complesso (il rogito dal notaio Franco Cardarelli di Abano è per 750 mila euro) deve rimettere mano a tutto. Non solo rifare l’impianto elettrico, perché manca la certificazione di conformità. Attraverso la Galatea snc, una società poi sciolta tra lui e la moglie Sandra Persegato, commissiona i lavori a un’impresa di Mestrino, la Tecnostudio dell’architetto Danilo Turato. Il quale è uno degli arrestati del 4 giugno. Motivo: sarebbe stato pagato con incarichi affidatigli dalla Mantovani Costruzioni all’epoca dell’ingegner Baita e liquidato con sovrafatturazioni. Secondo la Guardia di Finanza, tra questi incarichi c’era anche il nuovo mercato ortofrutticolo di Mestre e la sistemazione dell’area di via Torino. La Mantovani non tirava fuori il conquibus dai propri utili, bensì dalle opere pubbliche finanziate con i soldi delle tasse. Saranno contenti i mestrini del contributo dato. A seguire giorno per giorno i lavori nella villa Pasqualigo- Rodella-Galan, l’architetto Turato aveva delegato il collega Diego Zanaica, con studio a Lozzo Atestino. Un nome che finora non era circolato. Figurava solo quello di Turato. È Zanaica l’uomo che può elencare al centesimo i costi del restauro per le varie parti della villa: il corpo padronale, la barchessa e la chiesetta. Ed è quello che ha fatto alla Guardia di Finanza di Mestre. Zanaica è l’ultimo testimone ascoltato sulla vicenda della villa di Galan. «Sono stato chiamato e ho detto tutto», taglia corto al telefono. E se ne va in vacanza con la famiglia. A quanto risulta il professionista ha confermato che tutti gli interni di Villa Rodella sono stati radicalmente rifatti. I lavori sono durati quattro anni, non uno solo. Nel 2006 è stato completato il corpo padronale, 800 metri quadrati. Poi è stata rifatta la barchessa, completata nel 2008.Che è un’altra villa, con 750 metri quadrati coperti. Infine la chiesetta. In totale si arriva a 1700 metri. Non è stato un restauro normale. Il precedente proprietario aveva lasciato le pareti intonacate e bianche. Galan ha voluto in tutte le stanze del piano terra della villa le decorazioni in stile di fabbricato veneziano: balzorilievi tirati a stucco e decorati a mano, con marmorino e poi lucidati. Per dare un’idea, decorare con marmorino una parete dritta e non in rilievo, costa 40 euro a metro quadrato. Per una parete affrescata la stima a metro quadrato è almeno dieci volte superiore. Si aggiunga che le stanze di Villa Rodella, come tutti gli edifici storici, hanno altezze di quattro metri e mezzo, non di due e settanta. Poi c’è l’arredamento. I coniugi Galan hanno buon gusto e chiunque al posto loro, potendolo fare, avrebbe scelto il meglio. Lo studio dell’ex presidente per esempio è tutto in boiserie, coperto di pannelli in legno intarsiato. I lampadari delle stanze sono in vetro di Murano, si viaggia a decine di migliaia di euro. I mobili sono di antiquariato vero. I tappeti persiani hanno dimensioni e costi proporzionati, non vorremo mica sfigurare. La barchessa è stata rifatta totalmente. Sono stati tolti i pavimenti e i divisori precedenti, pensati per una clinica odontoiatrica dal dottor Romano. Galan e consorte l’hanno attrezzata a camere per un Bed and Breakfast agrituristico Poi c’è il giardino, la corte incassata con i marmi, un tappeto erboso di non meno di 6000 metri quadrati, piante e fiori. La vulgata per una gestione economica del parco, ha messo in giro che sarebbe affidato a due giardinieri pensionati. Mah, pèzo el tacon del sbrego. Finisce che qualcuno s’inventa che vengono pagati in nero. In realtà la villa ha un personale fisso: sono due filippini e una governante. Ovviamente in regola. Ma anche al netto di eventuale vitto e alloggio, questo personale ha un costo. Insomma, non è bastato ristrutturare la villa, bisogna anche mantenerla. Aggiungiamo l’impianto esterno di videosorveglianza, posizionato sull’intero perimetro della villa, da fare invidia ad una banca. È dotato di telecamere a raggi infrarossi, che percepiscono la presenza, ruotano nella direzione richiesta e inquadrano: scatta lo zoom con la messa a fuoco e la registrazione nella centrale interna di comando del sistema. Quanto è costato tutto questo? L’architetto Zanaica ha parlato per le opere edili di un milione e mezzo di euro, cifra che corrisponde al restauro di un’abitazione normale, indicato mediamente dai professionisti in 1000 euro a metro quadrato. Ma per Villa Pasqualigo- Rodella-Galan ci sono le finiture e tutto il resto. Una stima prudenziale non può andare sotto il 2000 euro a metro quadrato. Il che significa raggiungere i tre milioni e mezzo di euro, nei quali non ci stanno i costi delle altre case e proprietà immobiliari: dall’Appennino Emiliano a Rovigno e a Mali Lussini. Ma per le case in Croazia non c’è ancora un architetto Zanaica chiamato a testimoniare.

Renzo Mazzaro

 

l’interrogatorio dell’ex deputato che risponde ma nega tutto

Milanese: «Mai preso denaro»

Il contrattacco: Mazzacurati usò i soldi per comprare casa a Roma

VENEZIA – Ha scelto di rispondere e di controbattere alle accuse. E soprattutto ha sollevato la questione dell’illegittimità dell’ordinanza che lo ha portato in carcere, in quanto non emessa dal giudice naturale. Marco Milanese, ex deputato del Pdl e braccio destro dell’ex ministro Giulio Tremonti, arrestato venerdì scorso nell’inchiesta Mose, con l’accusa di aver intascato da Giovanni Mazzacurati una mazzetta da mezzo milione di euro, è stato sentito dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’interrogatorio di garanzia. Milanese ha risposto per circa due ore alle domande del giudice. L’interrogatorio è avvenuto nel carcere della cittadina in provincia di Caserta. Secondo quanto riferito dal suo difensore, l’avvocato Bruno La rosa, Milanese ha risposto alle domande, anche se ritiene l’ordinanza di custodia cautelare in carcere illegittima. Secondo Milanese, tra le altre cose ex ufficiale della Guardia di Finanza, e il suo legale hanno fatto presente che l’ordinanza di custodia è stata emessa da un giudice incompetente. Infatti secondo l’accusa la mazzetta a Milanese, sarebbe stata consegnata da Mazzacurati all’ex parlamentare, a Milano. Di conseguenza la competenza spetta alla Procura e al Tribunale del capoluogo lombardo. Questa “obiezione” può essere facilmente superata nel momento in cui la Procura meneghina chiede e ottiene un’ordinanza per lo stesso reato nei confronti di Milanese. E in vista di questo il sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancillotto, titolare con i colleghi Paola Tonini e Stefano Buccini dell’inchiesta, domani si recherà a Milano per consegnare il fascicolo relativo a Milanese. Durante l’interrogatorio di ieri l’imputato ha chiesto di poter ascoltare le registrazioni delle intercettazioni che lo coinvolgono e su cui si basano le esigenze cautelari sostenute dal gip veneziano che lo ha fatto arrestare. Ma ieri, il giudice campano, non ha potuto esaudire la richiesta in quanto non in possesso delle registrazioni. Milanese ha negato di aver ricevuto tangenti sostenendo tra l’altro di non aver potuto interferire su un finanziamento di 400 milioni di euro e di non aver avuto alcun ruolo nelle procedure relative al Mose. Inevitabile, a quel punto, la domanda del giudice su perché Giovanni Mazzacurati, allora, lo avrebbe coinvolto in questo modo pesante nella vicenda Mose. All’inizio Milanese ha spiegato di non sapere e di capire per quale motivo l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, lo ha tirato in ballo, pur non negando di conoscere bene Mazzacurati. Successivamente l’ex parlamentare ha dato una spiegazione, anche se poco dettagliata e fumosa. Ha ricordato che da alcune notizie di stampa emergerebbero intercettazioni in cui Mazzacurati si riferisce all’acquisto di un appartamento in piazza di Spagna a Roma di 250 metri quadri affermando che sapeva «come far uscire fuori i soldi dal consorzio». L’ipotesi prospettata da Milanese è che Mazzacurati avrebbe sostenuto falsamente di aver versato tangenti a Milanese, per mezzo milione di euro, per giustificare i soldi presi dai conti del consorzio per acquistare l’appartamento. Al termine dell’interrogatorio il suo legale ha chiesto la scarce- Marco Milanese, ex deputato di pdl razione di Milanese.

Carlo Mion

 

Sartori si aggrappa al salvagente deposita una memoria e tace

VICENZA L’interrogatorio è durato un amen. Lia Sartori è arrivata a palazzo di giustizia, a Vicenza, subito dopo mezzogiorno. Si è seduta davanti al giudice Stefano Furlani, che doveva sentirla per rogatoria. Ha depositato una memoria di alcune pagine e cinque minuti dopo si è allontanata sul Suv con cui era giunta a borgo Berga. Formalmente, si è avvalsa della facoltà di non rispondere: «Parlerò con i pubblici ministeri lagunari quando sarò una libera cittadina ». Sartori ha infatti chiesto l’immediata scarcerazione, con la revoca dei domiciliari. Due i motivi. «Il primo è che il giudice ha firmato il provvedimento nell’ipotesi della reiterazione del reato. In realtà, Sartori non solo non è più parlamentare europea, ma si è dimessa da ogni incarico pubblico che ricopriva». Il secondo è il decreto legge numero 92, entrato in vigore il 28 giugno scorso, ha cambiato le carte in tavola. Il provvedimento, chiamato anche “Salva Galan” dalle opposizioni al governo, esclude la misura cautelare se il giudice ritiene che all’indagato, quando ci sarà la sentenza, sarà disposta una pena che possa essere sospesa. Secondo i suoi legali, Sartori rientrerebbe a pieno titolo tra i beneficiari del provvedimento. Poi spiegherà.

 

Assicurazioni sanità

La Corte dei Conti apre un’inchiesta

Nel mirino il brokeraggio di Assidoge ad affidamento diretto

Garantiva 8-10 milioni all’anno: l’ipotesi è danno erariale

A destare sospetti le ricche provvigioni dal 10 fino al 14% ora scese tra 0,7 e 1%

La procura contabile si chiede perché si sia ricorso in esclusiva all’agente di Mirano

PADOVA Si alza il sipario su un altro capitolo della gestione della res publica da parte di Giancarlo Galan finché è stato governatore del Veneto. Stavolta è la Corte dei Conti veneziana a illuminare una delle tante zone grigie del quindicinale regno dell’ex Doge padovano. La Procura generale contabile ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di danno erariale. Nel mirino il mondo delle assicurazioni e la Sanità veneta. In particolare l’azione di Assidoge, la società di broker di Mirano (riconducibile a Giuliano Benetti, morto nel 2012 e ora venduta alla Cervit spa e trasferita a Roma) utilizzata da Galan in affidamento diretto per scegliere le compagnie di assicurazioni che successivamente partecipavano alle gare d’appalto «per la gestione stragiudiziale dei sinistri di Rct delle Aziende Usl ed ospedaliere del servizio sanitario regionale ». Consulenze costate in più di un decennio un fiume di denaro “carsico” (tra premi assicurativi e costi), perché tutt’ora impossibile da quantificare per poca trasparenza e collaborazione da parte dell’ente regionale. Tuttavia, il calcolo è semplice. Il monte assicurativo annuale della Sanità Veneta era (all’epoca) di circa 80 milioni di euro. Assidoge operava (quasi in regime di monopolio) con una provvigionedel10- 14% per cento. Tanto per dare un ordine di grandezza Assidoge nel 2006 era broker di 18 su 22 Usl e 1 su 2 aziende ospedaliere (quella di Padova). Facile ipotizzare che la società di Benetti intascasse per il servizio dagli 8 ai 10 milioni di euro all’anno. La Corte dei Conti veneziana ha chiesto alla Guardia di Finanza di fare chiarezza. Soprattutto dopo che il nuovo Governatore Luca Zaia ha bandito (nel marzo scorso) un concorso anche per la scelta del broker, vinto dall’americana Willis (in cordata con Arena) che offre le stesse prestazioni di Assidoge a un costo stupefacente: solo l’1% del monte assicurativo. L’altra concorrente, Marsh (provvigione dell’ 0,7%) ha ricorso al Tar, che si pronuncerà domani. Ma questa è un’altra storia. Tornando ad Assidoge, la domanda della Procura è: perché la Regione ha usato il broker di Mirano quasi in via esclusiva senza mai affidarsi al mercato? Detto che il Consiglio di Stato ha sentenziato più volte (su questioni simili) che l’affidamento diretto da parte di un ente pubblico per incarichi di brokeraggio è lecito (o, per lo meno, non è vietato), è evidente che le percentuali chieste da Assidoge per il servizio appaiano fuori mercato. Una cosa è certa: semmai la Procura contabile dovesse accertare il danno erariale non potrebbe chiedere alla Regione (che poi si dovrebbe rivalere sull’ex governatore) un risarcimento retroattivo per più di 7 anni. Causa prescrizione. Ma chi era Giuliano Benetti? Assidoge nasce nel 1994. Anno anche della discesa in campo in politica di Galan. Capitale sociale 20 milioni di vecchie lire. Benetti inizia come agente per la Ras, lavorando successivamente anche per i Lloyd’s. Poi il grande salto grazie all’amico Galan. Benetti si avvale di alcuni collaboratori. Tra questi Gianni Pesce, padovano, 70 anni, titolare della Pesce and Partners Insurance di Piazzetta Pedrocchi. Pesce, persona discreta e capace, è conosciuto anche come uno degli organizzatori delle feste annuali in Croazia, dove si ritrovava il gotha della sanità veneta. Appuntamenti che servivano per cementare amicizie e pianificare gli affari. Scriveva Mariano Maugeri sul Sole24Ore solo un mese fa. «La cordata celebrava la sua festa annuale in luglio nel parco nazionale di Brioni, in Croazia, isolotti selvaggi e mare cristallino a un tiro di schioppo da Rovigno, il buen retiro di Galan e molti veneti. Con tanto di organizzatori e sponsor, dalla banca Antonveneta alla valigeria Roncato, e la benedizione di monsignor Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’opera romana pellegrinaggi ». Benetti e Pesce fanno prosperare Assidoge che oltre alla Sanità veneta mette le mani anche sui Comuni di Padova e Venezia e su società partecipata dalla Regione. Gli affari vanno a gonfie vele. Nulla e nessuno riesce a scalfire il dominio quasi assoluto. L’incarico è annualmente garantito. Così come il guadagno. Lo spartiacque è l’elezione di Luca Zaia a governatore. Altre agenzie di broker si fanno avanti. Tra queste anche la Hill Insurance riconducibile a broker napoletani e con sede a Gibilterra che fa una proposta a Adriano Cestrone (dg dell’Asl di Padova) e Fortunato Rao (dg dell’Usl 16). Il sospetto è dietro l’angolo: la Hill Insurance recede pur non emergendo nulla di significativo. Assidoge tiene stretto il patto. Fino a marzo scorso. Nel frattempo Giuliano Benetti non c’è più. Assidoge è stata venduta. E la compagna di Pesce, Maria grazia Clede, padovana, ha fondato Assibest srl, società di brokeraggio di Padova, si dice con l’obiettivo di sostituirsi ad Assidoge. Intanto si sono accesi i fari della Corte dei Conti. Non propriamente luci della ribalta.

Paolo Baron

 

Le palancole in ferro rilasciano inquinanti

Sono state infisse dal Magistrato alle Acque con il Consorzio. Lo rivela uno studio ambientale

VENEZIA In laguna sono aumentate le percentuali di metalli pesanti presenti nell’acqua. In particolare nelle aree vicine alla Zona industriale di Marghera. Lo rivela uno studio dell’Ufficio antinquinamento del Magistrato alle Acque. Concluso qualche anno fa con una serie di rilievi e studi, ma mai reso noto. Nel frattempo l’Ufficio è stato depotenziato, e il suo dirigente, Giorgio Ferrari, emigrato a Milano in un’azienda privata. Cosa diceva lo studio? Che se la laguna ha migliorato negli ultimi anni la sua qualità ambientale, anche per i depuratori e la diminuzione delle industrie chimiche, aumenta invece la concentrazione dei metalli pesanti a Marghera. Quale la causa? «Le palancole in ferro», scrivono gli esperti. Per i «marginamenti » dell’area inquinata delle fabbriche chimiche il Magistrato alle Acque con il Consorzio Venezia Nuova ne ha infisse decine di migliaia sui fondali della laguna. Dovevano essere provvisorie, in attesa degli interventi di disinquinamento. Ma si sono trasformate in protezione definitiva. Nel frattempo il ferro è arrugginito, i materiali sono stati aggrediti dalla salsedine e rilasciano inquinanti che vanno a depositarsi sul fondo. Decine di chilometri di «protezione» che in realtà andrebbero protetti dal degrado. Un fenomeno che invece passa abbastanza sotto silenzio. Ma che ha conseguenze disastrose per la qualità delle acque di gronda. Se è vero che il rilascio delle sostanze chimiche pericolose presenti nei terreni è stato bloccato, è anche vero che non si tratta di un sistema a costo zero. Eppure l’intervento era stato definitivo prioritario, e affidato dal Magistrato alle Acque e dal ministero per l’Ambiente con il suo direttore Mascazzini direttamente al Consorzio a partire dalla fine degli anni Novanta. Adesso le palancole invece di fermare l’inquinamento lo producono.

Alberto Vitucci

 

«Renzi sciolga il Consorzio»

Il premier oggi aVenezia. Manifestazione all’Arsenale

«Stop al Mose e a nuovi canali in laguna»

Una lettera aperta per fermare le grandi opere in laguna. Italia Nostra: adesso bisogna revocare la concessione unica

«Renzi fermi il Mose e le grandi opere che la città non vuole. Sospenda i finanziamenti del Cipe al Consorzio Venezia Nuova e istituisca una commissione di esperti indipendenti che dia risposte alle tante domande irrisolte sulle criticità del sistema Mose». Il premier arriva in laguna e comitati e associazioni sono pronti ad accoglierlo per rilanciare la loro richiesta, inascoltata da anni. Una «lettera aperta» al Presidente del Consiglio sarà consegnata dai comitati «Ambiente Venezia e No-Mose », che manifesteranno anche davanti all’ingresso dell’Arsenale dalle 10,30. «Chiediamo di votare subito, per affrontare con un nuovo governo della città tutti i problemi sul tappeto», dice il portavoce Armando Danella, «se Renzi vuole può farlo con un decreto. Nel frattempo vanno sospesi i finanziamenti e i lavori della grande opera e nel frattempo non vanno prese decisioni». Sulla stessa linea anche Italia Nostra, che ieri ha inviato a Renzi una lettera aperta firmata dalla presidente veneziana Lidia Fersuoch. «Quanto è successo a Venezia non ci meraviglia», scrive la presidente a Renzi, «perché da anni ci battiamo contro la concessione unica che ha permesso allo stesso soggetto di progettare, studiare e realizzare le opere. Nel frattempo stando all’inchiesta della Procura il Consorzio Venezia Nuova ha comprato il silenzio di molti, e in particolare di chi doveva controllare come il Magistrato alle Acque, tentando di far tacere gli irriducibili. Adesso occorre finalmente ascoltare i tecnici indipendenti che hanno sempre criticato l’opera. E dar vita a un nuovo Magistrato alle Acque, non più legato alle Infrastrutture ». Stop al Mose, dunque. Perché dopo le rivelazioni dell’inchiesta tutto va rivisto sottouna nuova luce. «Chiediamo rispetto per Venezia», continua la lettera di Italia Nostra, «anche per quanto riguarda la questione grandi navi». «Caro presidente », scrive ancora la Fersuoch, «le chiediamo anche di non imporre alla nostra città una nuova grande opera contro il parere della comunità scientifica e dei cittadini veneziani, come lo scavo di un canale in mezzo alla laguna per farci passare le grandi navi. Non sarebbe compatibile con la tutela della laguna prevista dalla legge». No al Contorta, dunque, grande opera voluta dal Porto per far passare le navi dirette in Marittima senza attraversare San Marco e il canale della Giudecca. Ipotesi che però non va bene neanche ai comitati Ambiente Venezia e “No Grandi Navi”. «Chiediamo di prendere in considerazione», dice Danella, «progetti più economici e compatibili, come il nuovo terminal a San Nicolò, fuori dalla laguna. Così si tutela la laguna e anche l’attività delle crociere». Ipotesi che il Comitato Cruise Venice però non condivide. E il suo presidente Davide Calderan consegnerà a sua volta una lettera al premier Renzi. Chiedendo la «tutela del lavoro e scelte coraggiose che possano difendere il comparto e i posti di lavoro». «Troppe incertezze e troppo tempo perso», scrive, «hanno causato alle nostre attività soltanto danni». Non ultimala scelta della Costa crociere di dirottare alcune grandi navi su Trieste. «La responsabilità», replica Silvio Testa, ex portavoce del Comitato, «è di chi invece di trovare alternative praticabili ha insistito in questi anni con ipotesi distruttive come lo scavo di nuovi canali. Noi non siamo contro le crociere, ma contro le navi incompatibili».

Alberto Vitucci

 

Premier all’Arsenale dalle 10,30. Fuori manifestazione anti-Consorzio

Sarà una toccata e fuga quella di oggi a Venezia del presidente del Consiglio Matteo Renzi in occasione della Digital Venice Week, la manifestazione in programma in laguna fino al 12 luglio che è la prima del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea. Renzi prenderà parte dalle 10.30 alle 12.30 all’Arsenale a una riunione con il vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroes a cui prenderanno parte altri rappresentanti di governi europei, in cui verrà discussa la “Carta di Venezia”, un memorandum sui punti chiave per le strategie sulle politiche digitali in Europa. Ma è probabile che nell’occasione Renzi anticipi anche, a margine, alcuni dei programmi per il semestre italiano di presidenza europea. Ma già nella tarda mattinata o al più tardi nel primo pomeriggio Renzi, dovrebbe lasciare Venezia per tornare subito a Roma. Presenti per la Digital Venice Weekanche i ministri Beatrice Lorenzin, Federica Guida e Marianna Madia. I comitati, riuniti in campo all’Arsenale, manifesteranno invece chiedendo al premier di sciogliere il Consorzio Venezia Nuova e bloccare il Mose.

 

Mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin

Il Fai “espone” il problema grandi navi

Anche il Canale della Giudecca proposto tra i Luoghi del Cuore italiani da tutelare

Il Fai – il Fondo per l’Ambiente Italiano – prende decisamente a cuore il problema del passaggio delle Grandi Navi per il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. Venerdì alle 12 infatti a Villa Necchi Campiglio, a Milano, verrà inaugurata la mostra fotografica «Mostri a Venezia», dedicata proprio alle immagini delle grandi navi da crociera che passano di fronte a Piazza San Marco scattate dal grande fotografo veneziano Gianni Berengo Gardin. Le ventisette fotografie di Berengo Gardin che saranno esposte in mostra ritraggono appunto il quotidiano passaggio delle mastodontiche navi da crociera nel Canale della Giudecca. Un segno forte che il Fai intende lanciare in un momento cruciale per le decisioni del Governo sul problema del passaggio delle Grandi Navi all’interno di Venezia e che coincide anche con l’avvio della nuova campagna del Fondo per la scelta dei Luoghi del Cuore, quelli che cioè gli Italiani amano maggiormente e che sono invitati a votare, proprio per garantirne la tutela. E proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del passaggio delle Grandi Navi da San Marco, il Fai avrebbe già inserito tra i nuovi Luoghi del Cuore che potranno essere indicati dai cittadini anche il canale della Giudecca, per sottolineare così la necessità di difendere – attraverso la principale arteria acquea a fianco del Bacino di San Marco – l’integrità dell’intera Venezia e la sua immagine, messa a repentaglio per molti proprio dal passaggio delle grandi navi da crociera. Un tema caro anche a Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del Fai e ora sottosegretario ai Beni Culturali.

 

L’OPINIONE – Silvio Testa- Autore dei libri “E le chiamano navi” e “Invertire la rotta”

Grandi navi, soluzioni devastanti a Venezia

Se Costa Crociere va a Trieste la colpa non è di chi a Venezia si è opposto a un crocierismo incompatibile proponendo da subito soluzioni alternative ambientalmente sostenibili, rapide da realizzare, che garantirebbero lavoro, indotto, il futuro della Marittima, ma di chi come i ministri Clini (arrestato), Passera, Lupi, la Regione col presidente Zaia e l’assessore Chisso (arrestato), il sindaco Orsoni (arrestato), i presidenti dell’Autorità Portuale, Costa, e della Venezia Terminal Passeggeri, Trevisanato, si sono ostinati per tre anni a sostenere l’indifendibile avanzando “soluzioni” devastanti per la laguna e per la città. Senza dimenticare i sindacati. Paolo Costa è uno dei padrini del Mose,mala sua storica predilezione per il progetto non dovrebbe impedirgli di vedere quanto l’odierno frusciare di tangenti e tintinnare di manette sia frutto anche di una procedura totalmente anomala e costellata di forzature politiche come quella di cui fu protagonista egli stesso il 4 aprile del 2003 quando, in Comitatone, guidò la trasformazione del no del consiglio comunale al Mose in un sì subordinato a undici condizioni “impossibili” che avrebbero imposto una radicale revisione del progetto. Infatti gli undici punti caddero nel dimenticatoio già a partire dal giorno dopo, senza che nessuno in città ritenesse di trarne qualche conseguenza. Vogliamo imparare qualcosa dalla lezione? Continuare con le forzature ambientalmente insostenibili e maturate nel clima e nelle logiche che oggi tutti dicono di voler cancellare? Vogliamo scavare il Contorta Sant’Angelo o, peggio, il folle canale dietro la Giudecca, dato che altre soluzioni, come dice Lupi in un’intervista,sono impraticabili perché così sostiene l’Autorità portuale, cioè Costa stesso? Non sarà il caso, invece, di avviare finalmente un percorso aperto, trasparente, partecipato che eviti le forzature e rimetta le scelte in una carreggiata corretta? Se le cose stanno così, è possibile tenere un Comitatone al quale non partecipi il sindaco della città ma un commissario che dovrebbe limitarsi alle scelte di ordinaria amministrazione? È possibile decidere il futuro della città e della laguna fondandosi su quei progetti che incidentalmente e verrebbe da dire quasi per caso sono sul tavolo senza fare un bando che inviti le migliori intelligenze a risolvere il problema delle grandi navi in laguna prendendo in considerazione anche l’estromissione di quelle incompatibili e incardinando le soluzioni nelle procedure ordinarie? È possibile disegnare il futuro della portualità veneziana senza redigere un nuovo Piano regolatore portuale da sottoporre a Valutazione ambientale strategica e a Valutazione di impatto ambientale? Renzi dovrebbe andarci con i piedi di piombo, se non altro perché, fin che Costa non presenta alla città le carte anziché limitarsi alle dichiarazioni, il progetto di scavo del Contorta vede coinvolti nella sua progettazione gli stessi soggetti al centro dello scandalo del Mose: Magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova(e studi professionali vicini), Mantovani. La delibera regionale che chiede di incardinare il progetto nella legge obiettivo è dell’assessore Chisso, ancora agli arresti. Tutto ciò non vorrà dire nulla, ma sul fatto che anche quel progetto sia figlio appunto di quel clima e di quelle logiche che ora vanno respinte non ci piove. Non si tratta di togliere dal cesto qualche mela marcia e poi continuare tutto come prima: bisogna cambiare cesto. Voltare pagina. Ripristinare il buon senso, finora asservito al potere delle lobby.

 

l’intervento

di Gianfranco Bettin – Assessore alla Cittadinanza digitale 2010/2014 Comune di Venezia

Renzi e il summit europeo Venezia capitale digitale

‘‘Il ruolo della nostra città è stato conquistato negli anni dall’azienda “Venis” con forti investimenti

Lo scandalo Mose non può cancellare certi risultati

La banda del Mose e la banda larga a fibre ottiche, una cricca di corruttori e corrotti e l’infrastruttura più innovativa sviluppata dalla città in questi anni, si fronteggiano mentre si apre il “Digital Venice 2014”, che vedrà oggi all’Arsenale la presenza di Matteo Renzi. Non è certo per caso che l’importante summit europeo si tiene a Venezia. La città l’ha ottenuto per il suo ruolo d’eccellenza nel contesto digitale italiano ed europeo. Un ruolo conquistato sul campo, insieme alla propria azienda “Venis”, con fortissimi investimenti (circa 14 milioni di euro in pochi anni) che hanno seminato 126 kmdi cavo a 144 fibre ottiche, altri 60 km di cavo a 12/14 fibre per rilegamenti di sedi pubbliche, centinaia di hotspot sia outdoor (oltre 200) che indoor (oltre 70, in biblioteche, sedi civiche, musei, uffici giudiziari ecc.), che hanno consentito la formazione di una eccezionale “comunità civica digitale” (circa 40 mila cittadini residenti e oltre 11 mila city users, coloro che vengono in città per studio o lavoro), centri di alfabetizzazione digitale presenti in tutta la città perché superare il “digital divide” significa sia investire nell’infrastruttura sia promuovere, anche presso i non “nativi digitali” l’uso degli strumenti informatici e della Rete. A questo investimento strutturale, quasi unico nel suo genere in Italia da parte di una amministrazione pubblica, si affianca la più solenne dichiarazione d’impegno, nello stesso Statuto del Comune, a considerare “Internet un’infrastruttura essenziale per il diritto di cittadinanza” e quindi a garantirne l’accesso “in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che lo impediscono, ad adottare “procedure atte a favorire la partecipazione dei cittadini all’azione politica e amministrativa tramite internet” favorendo “la crescita della cultura digitale con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione”. In coerenza, il Comune, in collaborazione con attivisti digitali e gruppi di partecipazione molto attivi in città (come il gruppo #opendatavenezia e la Consulta delle cittadine) ha approvato un Regolamento sulla pubblicazione, l’accessibilità telematica e il riutilizzo dei dati pubblici (open data) fra i più avanzati d’Italia, che dispone la pubblicazione dei dati presenti nelle banche dati comunali e ne consente il libero utilizzo, oltre a essere socio fondatore di “Free Italia WiFi” la rete nazionale di amministrazioni che – insieme a una rivista come “Wired” e a innumerevoli realtà di base impegnate per la cittadinanza digitale – chiedono una svolta nell’insufficiente politica dei governi nazionali in questo campo, in cui l’Italia è ancora molto indietro in Europa e nel mondo, come ha ricordato qui Claudio Giua. Per questi motivi e con questi titoli Venezia ha chiesto e ottenuto di ospitare l’evento europeo. Matteo Renzi è bene che lo sappia, attento com’è alle potenzialità della Rete, strumento vitale di formazione, comunicazione, trasparenza e democrazia nonché infrastruttura decisiva di sviluppo socio-economico e culturale. Lo scandalo – finalmente scoppiato – e l’indagine della Procura – finalmente giunta a scoperchiare il marcio, in città come, anzi soprattutto, in Regione e nei Ministeri romani – non possono offuscare tutto questo. Se Renzi vuol farci un augurio, nel difficilissimo momento attuale, ci dica non tanto “state sereni” (ironici scongiuri a parte) quanto “state serenissimi”, cioè siate all’altezza delle vostra storia, tra attenzione agli elementi basici dell’ecosistema lagunare (il contrario del Mose) e investimento lungimirante sulle nuove tecnologie. Lo stesso che ci aspettiamo dal governo nazionale.

 

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