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La proposta di legge fissa le chiusure obbligatorie. Martella (Pd): «Punto di equilibrio», Da Villa (M5S): «Bisogna fare di più»

Il testo approderà in aula solo dopo la pausa estiva Previsto anche un fondo per sostenere i piccoli negozi

Ma è ancora privo di copertura finanziaria

Aperture festive: la battaglia dei dodici giorni. C’è chi sostiene che siano troppi, altri ritengono che siano pochi, e c’è anche chi, come Andrea Martella, del Pd, pensa che siano il «giusto punto di equilibrio per tutelare il libero mercato e le esigenze di coesione sociale». Il testo della proposta di legge approvato dalla commissione Commercio della Camera e ora alla fase degli emendamenti – la discussione in aula è prevista tra settembre e ottobre – prevede infatti dodici giorni di chiusura obbligatori all’anno per gli esercizi commerciali. La proposta – osteggiata dai grandi gruppi – è stata presentata dal deputato Pd Angelo Senaldi, relatore in commissione, e dopo lunghe trattative, il 18 giugno hanno votato a favore Pd, Ncd, Sel, Forza Italia e Lega. L’arco costituzionale al gran completo, a parte Scelta Civica e i Cinque Stelle che furono tra i primi, oltre un anno fa, a sollevare il problema della stagione delle «liberalizzazioni selvagge» aperta dal decreto Salva Italia del governo Monti che ha scatenato la dura battaglia, che aveva uno dei suoi avamposti in città, delle commesse, della Confesercenti e anche delle parrocchie contro le aperture domenicali, colpevole di minare il tempo della famiglia. Alla commissione Commercio siedono due deputati veneziani: oltre a Martella c’è Marco Da Villa, dei Cinque Stelle, che ha fatto parte anche del comitato ristretto di lavoro. L’ultimo testo approvato prevede, come si diceva, dodici chiusura all’anno: Capodanno, Epifania, 25 aprile, Pasqua, Pasquetta, 1° maggio, 2 giugno, Ferragosto, 1° novembre, 8 dicembre, Natale e Santo Stefano. A discrezione dei comuni però, e in accordo con le associazioni di categoria, sei di queste festività potranno essere sostituite con altrettante chiusure domenicali. «È un provvedimento che è ancora nella fase emendativa», dice il Pd Martella, «e che dovrà prevedere altre audizioni, dalle Regione all’autorità per l’Antitrust ma che segna la volontà di raggiungere un equilibrio di buon senso. Questa è la volontà prevalente nel partito, ed è anche la volontà del governo. Tanto più che alcuni giorni di chiusura sono previsti in molti paesi europei ». L’obiettivo è tenere insieme l’impianto delle liberalizzazioni – dalle cosiddette lenzuolate di Bersani al Salva Italia di Monti – e rispondere alle esigenze sollevate dai rappresentanti del piccolo commercio e dai negozio di vicinato, ma anche della Cei, delle associazioni di commesse, di tutto quel mondo che ha alzato le barricate contro le aperture domenicali rivendicando il diritto al riposo e agli affetti familiari. Un mondo che però è deluso dai lavori delle commissione, per quello che molti ritengono un compromesso al ribasso. «Rispetto a un anno fa, quando sembrava che la discussione non si potesse neppure aprire», spiega Da Villa, «è stato fatto un piccolo passo avanti. Ma ancora non basta, perché 12 giorni sono ancora pochi, considerando poi che ricalcano le principali festività e quindi sostanzialmente toccano solo in parte le domeniche ». I grillini sono convinti che la maggioranza, e il Pd in testa, stiano facendo melina, per tenere la proposta in commissione ed evitare di portarla in aula, dove «potrebbe diventare palese la spaccatura del partito sul tema. In commissione i lavori vanno a rilento, il limite per gli emendamenti è stato spostato ad agosto, e in aula arriveremo a settembre, forse». La proposta prevede anche la creazione di un fondo di sostegno per le piccole aziende, al momento però privo di copertura.

Francesco Furlan

 

LE REAZIONI – Confersercenti e commesse «È una soluzione ipocrita»

«È una soluzione ipocrita. Fingono di dare una risposta alle nostre esigenze, ma in realtà non lo fanno». È fortemente negativo il giudizio di Maurizio Franceschi della Confesercenti sulla proposta di legge che stabiliste 12 giorni di chiusura. Franceschi, che a Mestre più di tutti ha trainato l’iniziativa “Libera la domenica” promossa a livello nazionale dall’associazione con il sostegno della Conferenza episcopale italiana (Cei), in una città dove i negozi del centro sono, dopo l’apertura della Nave de Vero di Marghera, circondati dai centri commerciali. Il giudizio è negativo per due motivi sostanziali. «Primo perché non è stata accolta la nostra proposta di restituire la competenza in materia alle regioni, e secondo perché 12 chiusure in un anno sono davvero poca cosa, considerando che le principali festività come il Natale e la Pasqua non dovevano neppure entrare nel conteggio». «Diciamoci la verità», riflette Franceschi, «le aperture domenicali non hanno dato i frutti sperati: non è aumentata l’occupazione, non sono aumentati i consumi, non è aumentato il Pil. Si guarda spesso all’Europa, ma nei maggiori Paesi, molto più liberali di noi, sono non più di una dozzina le domeniche nelle quali è concessa l’apertura». Per non parlare poi, sottolinea Confesercenti, dei riflessi sociali, quelli sottolineati con maggiore forza dal movimento “Domenica No grazie” costituito dalle commesse e dai dipendenti della grande distribuzione. La leader è Tiziana D’Andrea: «L’accordo sulle 12 domeniche è troppo poco e non ci basta perché non intacca il nostro modello di società, ora dobbiamo arrivare a Renzi, far sapere al presidente del consiglio che di questa proposta non ce ne facciamo nulla». E intanto a fine luglio, a Roma, è previsto un incontro con l’arci- vescono Bregantini, Presidente della Commissione Cei dei Problemi sociali e del lavoro.

(f.fur.)

 

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