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Nuova Venezia – Galan in carcere a Milano

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23

lug

2014

Galan in carcere a Milano

L’arresto nella sua villa dopo il sì della Camera alla richiesta della Procura di Venezia: 395 contro 138

A Este ricovero finito. L’ira dell’ex governatore quando lascia l’ospedale «Sono incazzato nero»

I pm dell’inchiesta mose. Soddisfazione per il voto.

La detenzione a Opera garantisce tutte le cure

La Camera spalanca il carcere a Galan

I deputati (395 sì, 138 no) autorizzano il tribunale di Venezia ad arrestarlo

Scintille centrodestra-M5S, Lega colpevolista, Boldrini “silenzia” La Russa

ROMA – Non è Alfred Dreyfus. Non è la vittima ignara di una persecuzione politica. Giancarlo Galan è imputato di gravi fatti di corruzione, l’inchiesta a suo carico poggia su elementi concreti e Montecitorio rifiuta di sottrarlo al carcere. Così, alle 14.28, dopo tre ore di discussione, la Camera autorizza il tribunale di Venezia ad arrestare il parlamentare di Forza Italia: 395 i deputati favorevoli, 138 i contrari, 2 le astensioni. Una maggioranza ampia e prevedibile, scalfita appena da qualche defezione “colpevolista” nel voto segreto. La giornata che spalanca le porte del penitenziario al padovano che per 15 anni si volle doge della Regione, inizia in conferenza dei capigruppo, dove Renato Brunetta chiede e ottiene che l’aula valuti uno slittamento della seduta, alla luce delle «gravi condizioni di salute del collega», impedito a presenziare al dibattito. L’istanza dà luogo alla prima schermaglia verbale tra Giulia Grillo del M5S ed Antonio Leone (Ncd). Lei contesta la «strumentalizzazione dilatoria in atto», rimarcando che l’onorevole indagato ha già esposto le sue ragioni in tre memorie difensive cui la Giunta ha dedicato quaranta giorni di approfondimento rispetto ai trenta regolamentari: «Rispettiamo la sua malattia ma l’immunità non coincide con l’impunità», conclude. Tagliente la replica dell’alfaniano: «È barbaro e vergognoso negare il diritto al contraddittorio a chi è allettato in ospedale, perché la presidente Boldrini non ha disposto un’indagine medica per fugare ogni dubbio? Stiamo parlando della galera per reati in gran parte prescritti e che in ogni caso le nuove norme puniscono con pene inferiori a tre anni, escludendola custodia in carcere». Tant’è. L’aula boccia il rinvio e il relatore di maggioranza,Mariano Rabino di Scelta Civica, apre il confronto di merito: «Questo non è un processo parallelo, dobbiamo soltanto verificare l’esistenza di un fumus persecutionis, l’istruttoria di Venezia investe fatti gravissimi e getta una luce sinistra sul Mose e i grandi appalti nel Veneto. Le carte rivelano un collaudato sistema di frodi fiscali e false fatturazioni, più testimoni sostengono che Galan ha intascato somme milionarie. Gli arresti hanno investito destra e sinistra, non c’è traccia di intenti persecutori. Diamo atto a Galan di grande correttezza: si è difeso nel processo, non dal processo, ma ora è doveroso concedere alla magistratura di operare. Semmai, è riprovevole che a soggetti rei confessi siano state comminate pene assai miti, che consentono loro di proseguire i rapporti con la pubblica amministrazione. Per i corrotti ci vorrebbe il Daspo, l’allontanamento coatto come per i violenti da stadio». Di tutt’altro avviso il forzista Gianfranco Chiarelli, relatore di opposizione che denuncia la «violazione di elementari principi di garanzia» e si scaglia contro l’emisfero semivuoto: «È sconsolante che gran parte dei deputati ignori la trattazione in corso e faccia capolino qui solo per alzare la mano, obbedendo a ordini di scuderia che mortificano il diritto e la coscienza». «Galan ha gravi responsabilità nella gestione delle grandi opere », ribatte Giulio Marcon di Sel «lui definiva delinquenti gli oppositori del Mose e, ironia della sorte, sollecitava la magistratura a incriminarli. Ora risponda delle sue azioni e il Governo sciolga il Consorzio Venezia Nuova». Nervi tesi. «Quanti pm d’aula improvvisati», graffia il berlusconiano Francesco Paolo Sisto, penalista di professione «ai Torquemada privi di titoli, ricordo che il codice in vigore prevede la cattura come extrema ratio allorché tutte le altre misure siano inadeguate. I pm hanno iscritto Galan nel registro degli indagati con grave ritardo, ledendo così le sue garanzie, il giudice ha rifiutato di ascoltarlo e ora paventa un pericolo di reiterazione del reato: vi sembra accettabile?». Il Pd, reduce dal caso Genovese, sceglie toni pacati ma evita tentennamenti; Sofia Amoddio e Anna Rossomando ribadiscono che l’assenza evidente di fumus e le motivazioni «rigorose» dell’ordinanza impongono di accogliere la richiesta della magistratura nel segno del «leale rapporto di collaborazione tra le istituzioni». «Questo non è un processo in contumacia e avremmo preferito che i giudici ascoltassero le ragioni di Galan », fa eco Claudio Fava (Libertà e diritti) «ma a Venezia la custodia cautelare è stata richiesta per tutti i presunti corrotti e la storia del Mose appare un’autobiografia della filiera criminosa di questo Paese». Lapidaria la Lega, con il veronese Matteo Bragantini che spende un minuto scarso per annunciare il sì all’arresto, suscitando irritazione nei banchi del centrodestra. A giocare l’ultima carta ci prova Ignazio La Russa, il presidente della Giunta per le autorizzazioni, che riferisce di un colloquio telefonico tra l’«amazzone » Michaela Biancofiore e Galan, con quest’ultimo disponibile a presentarsi in aula «magari con le stampelle» tra una settimana. Nulla da fare. «Abbiamo già escluso ulteriori rinvii», lo tacita Laura Boldrini. C’è il tempo per un’ultima bordata grillina, affidata a Marco Brugnerotto: «Mi auguro che il processo a Galan e ai suoi complici sia rapido e ponga fine alla metastasi che ha aggredito il Veneto». Si vota e in un giro di lancette cala il sipario. Il deputato della Repubblica Giancarlo Galan non è più un uomo libero.

Filippo Tosatto

 

Alle 20.17 l’arresto «Mi sento tradito»

Prelevato in ambulanza dalla villa di Cinto e trasferito a Opera

Nel pomeriggio aveva lasciato l’ospedale di Este: «Sono incazzato»

Prelevato in ambulanza dalla villa di Cinto e trasferito a Opera

Nel pomeriggio aveva lasciato l’ospedale di Este: «Sono incazzato»

CINTO EUGANEO – Alle 20.17 Giancarlo Galan è stato arrestato a Villa Rodella, la sua lussuosa residenza a Cinto Euganeo. La Guardia di Finanza gli ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare per corruzione firmata il 4 giugno dal giudice delle indagini preliminari di Venezia Andrea Scaramuzza e divenuta esecutiva nel primo pomeriggio di ieri, dopo l’autorizzazione concessa dalla Camera. A prelevarlo, un’ambulanza con medico e infermieri scortata dalle vetture della polizia penitenziaria e dei carabinieri. Destinazione, il carcere milanese di Opera, dotato di un padiglione ospedaliero dove l’imputato di spicco dello scandalo Mose potrà ricevere le cure necessarie. Galan ha accolto i militari della Finanza nella stanza da letto (i medici, nel dimetterlo, gli hanno prescritto l’immobilità) e la procedura giudiziaria, avvenuta alla presenza di un difensore, è stata accompagnata dal commiato dell’arrestato dai familiari e da un’ultima visita medica accompagnata dalle prescrizioni terapeutiche. Il convoglio di auto, così, è partito alla volta del penitenziario lombardo mezz’ora dopo le 22, sotto una pioggia battente. La mattinata di passione. Un passo indietro, alle 15.17, quando l’ex governatore veneto lascia in sordina l’ospedale di Este. «Incazzato sono, ma tanto. Ma tanto», l’unica battuta rilasciata ai pochi cronisti che hanno eluso il suo tentativo di evitare microfoni e flash. Sono passati 48 minuti da quando la Camera ha votato l’autorizzazione al suo arresto: il deputato di Forza Italia imbocca un’uscita laterale e sale sull’ambulanza che lo porterà a villa Rodella, in attesa che la magistratura gli notifichi l’ordinanza di custodia cautelare. Soltanto la moglie accanto. Galan era ricoverato all’ospedale di Este – non senza polemiche – da sabato 12 luglio. Accolto in una delle otto camere di degenza all’Unità coronarica del reparto di Cardiologia, da tre giorni era stato trasferito nell’ala ovest di Medicina, al quarto piano. Il ricovero era arrivato in seguito alla frattura del malleolo della gamba sinistra, aggravato da una tromboflebite e dal diabete di cui l’ex ministro soffre da tempo. La seduta di Montecitorio è convocata alle 11, ma Galan decide di non seguirla. Nessun tablet, né televisore, né radio. La porta della stanza è chiusa e a tenergli compagnia c’è solo la moglie Sandra Persegato, giunta ben prima dell’orario di visita che comincia alle 12. A metà mattina arriva anche un giovane avvocato, collaboratore di Antonio Franchini, il penalista che lo assiste insieme a Nicolò Ghedini. Via via che all’ingresso del reparto si moltiplicano e i giornalisti e le telecamere, anche l’atteggiamento degli operatori ospedalieri si irrigidisce: il primario ordina che, nonostante l’orario di visita termini alle 13.15, le porte siano chiuse al pubblico, eccezion fatta per chi ha familiari in reparto. Entrano solo il difensore Franchini e un altro collaboratore. Le notizie da Montecitorio. Pochi minuti prima che la Camera si esprima, Franchini esce e confida: «Tra un’ora lo arrestano sicuramente. Questo non è un voto di coscienza, ma politico. Galan è teso ma è reattivo e battagliero, come sempre, e lo sarà anche dopo la sentenza ». Qualche attimo dopo si apprende che il parlamentare ha già in mano la lettera di dimissioni dall’ospedale,almeno da quattro ore. Contemporaneamente, alle 14.28, arrivano il sì all’arresto da Roma e l’annuncio che Galan sarà dimesso. Mentre media e curiosi si assiepano all’ingresso principale, il politico-paziente è scortato all’uscita attraverso un percorso secondario: esce in carrozzina, la moglie lo precede con due borse e ne va autonomamente. Lui, invece, sale su un’ambulanza del 118. «Incazzato sono, ma tanto. Con chi? Provate ad indovinare», le sue parole. Con Forza Italia, colpevole si non averlo adeguatamente difeso, soprattutto in Veneto? Con Pd e grillini che hanno fortemente voluto il suo arresto? O con l’Ulss 17 che ha firmato la lettera di dimissioni? Dice di sentirsi «tradito» e l’abbandono forzato dall’ospedale ha effettivamente un sapore strano. Este: sorpresa e polemiche. L’Azienda sanitaria diretta dall’amico (di Galan) Giovanni Pavesi aveva rischiato la faccia concedendogli il ricovero prolungato. Ieri mattina, a poche ore dal voto romano, il quadro clinico di Galan è improvvisamente migliorato: il controllo glicemico ogni quattro ore e le terapie per le apnee notturne, secondo il parere medico, potevano essere gestite anche a casa. Ora sarà curato nell’ala ospedaliera del penitenziario di Opera.

Nicola Cesaro

 

l’eco dei LORO LIBRI in aula

Citazioni per Mazzaro e Possamai

Due i libri di giornalisti veneti citati nel corso della discussione parlamentare culminata nel sì all’arresto di Galan. I padroni del Veneto di Renzo Mazzaro, definito «Un bel saggio anticipatore» dal deputato di Sel Giulio Marcon. E Il Nordest sono io, l’autobiografia galaniana in forma di intervista curata da Paolo Possamai: in quest’ultimo volume Marco Brugnerotto (M5S) ha colto la prova dello «Strettissimo rapporto» tra Galan e il suo «pigmalione» Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno mafioso.

 

I pm: recluso a Opera perché sia curato

La Procura: nel carcere milanese cure assicurate. La difesa presenta ricorso contro il rifiuto del gip di disporre i domiciliari

VENEZIA – Sono partiti dopo le 19 dagli uffici del Nucleo di Polizia tributaria di Mestre non appena si è liberata un’autoambulanza e alcuni agenti della Polizia penitenziaria: i finanzieri sono arrivati a Cinto Euganeo, davanti a villa Rodella, intorno alle 20 e hanno notificato al parlamentare di Forza Italia Giancarlo Galan l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice veneziano Alberto Scaramuzza per corruzione. Viste le condizioni di salute precaria, anche se nel pomeriggio i sanitari dell’ospedale di Este dove era ricoverato lo avevano dimesso e mandato a casa perché c’era bisogno del letto che occupava per un paziente da ricoverare con urgenza, era necessaria un’ambulanza con la Polizia penitenziaria, che è stata trovata ieri sera, e anche un medico. Il viaggio da affrontare, infatti, è stato piuttosto lungo, visto che l’indagato è stato destinato al carcere di Opera, vicino a Milano, l’unico assieme al penitenziario di Parma che nel Nord Italia è dotato di un vero e proprio reparto ospedaliero per i detenuti. E la Procura vuole garantire a Galan che venga curato per le sue patologie così come accadeva nel nosocomio di Este Nel primo pomeriggio si era sparsa subito anche negli uffici della Procura la notizia che la Camera aveva votato a favore dell’arresto di Galan, escludendo a grande maggioranza quindi che vi sia stato da parte dei magistrati lagunari un’azione persecutoria nei confronti dell’esponente politico del Centro destra ed ex presidente della giunta regionale veneta. Nessuna dichiarazione ufficiale ma un’evidente soddisfazione da parte dei pubblici ministeri che hanno coordinato le indagini della Guardia di finanza e che hanno già raccolto parziale conferme sulla bontà dei loro accertamenti prima dal giudice delle indagini preliminari, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, poi dai tre magistrati del Tribunale del riesame, che hanno sostanzialmente confermato – seppur mettendo in discussione le esigenze cautelari nei confronti di alcuni indagati – l’impianto accusatorio per quanto riguarda la ragnatela di corruzione ideata e portata a termine dai vertici del Consorzio Venezia nuova nei confronti di politici e pubblici funzionari. Ieri, intanto, uno dei difensori di Galan, l’avvocato Antonio Franchini ha depositato nella cancelleria veneziana l’appello contro l’ordinanza del giudice Alberto Scaramuzza in cui ha dichiarato il non luogo a provvedere per la richiesta di arresti domiciliari dell’esponente politico visto che era stata presentata prima che l’arresto avesse il via libera da parte del Parlamento. Toccherà decidere al Tribunale del riesame, ma rischia di rimanere una questione di principio, visto che ora l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata eseguita. E, infatti, l’avvocato Franchini assieme all’altro difensore, Nicolò Ghedini, ieri ha già dichiarato di essere già pronti a chiedere al giudice gli arresti domiciliari e in secondo luogo a presentare ricorso al Tribunale del riesame e non solo sull’assenza totale delle esigenze cautelari nei confronti del loro cliente.

Giorgio Cecchetti

 

ESTE, DIRETTORE GENERALE NELLA BUFERA

Tante ombre sul ricovero

GIOVANNI PAVESI

Il manager nella bufera potrebbe dimettersi da direttore

PADOVA – L’ultima puntata della vigilia carceraria di Giancarlo Galan passa attraverso la ricostruzione di un infortunio in giardino, un ricovero ospedaliero «sospetto » e una improbabile richiesta di rinvio che ha reso ancora più plateale il sì all’arresto dell’ex governatore del Veneto. Il risultato? Un direttore generale sull’orlo delle dimissioni, una manciata di medici sotto accusa e un’uscita di scena che meno dignitosa non poteva essere per l’ex potente Doge. A seguito di un banale infortunio in giardino («stavo potando le rose»), su suggerimento dei suoi legali Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, Galan cerca di far slittare di qualche giorno il suo arresto. Una strategia che si rivela disastrosa, non solo per Galan. Nell’occhio del ciclone, adesso, ci sono il direttore generale dell’Usl di Este, Giovanni Pavesi (socio di Galan in una società di consulenza), accusato di aver chiuso un occhio sui dieci giorni di degenza ospedaliera, un gesso forse eccessivo per una frattura che probabilmente risale a cinque anni fa e il ritorno a casa in ambulanza, trattamento riservato non proprio a tutti i comuni mortali. Un ciclone che rischia di travolgere almeno un altro paio di dirigenti medici che avrebbe attestato le condizioni mediche di Galan. I fatti. Il 7 luglio Galan dichiara di essere caduto in giardino mentre pota le rose. Tra il 9 e il 10 luglio Galan si sottopone ad accertamenti medici: il 9 il radiologo del Sant’Antonio, Luigi Tosques, registra la presenza di una frattura al malleolo, mentre il direttore di Medicina Generale, Giovannella Baggio, attesta che Galan soffre di una serie di patologie (diabete, ipertensione arteriosa) e assume regolarmente molti farmaci. Il 10 l’angiologo Fabio Ceccato conferma inoltre la presenza di una «trombosi venosa profonda». Il primario ortopedico del Sant’Antonio, Sergio Candiotto, dopo aver prescritto una risonanza, sottoscrive il referto confermando la presenza di una «frattura pressoché composta del malleolo peroneale sinistro» formulando una diagnosi di 40 giorni. Gli viene applicato un gesso dal ginocchio in giù ma viene rimandato a casa. Nel pomeriggio del 12 luglio Galan si rivolge al reparto di cardiologia dell’ospedale di Este, guidato dal dottor Scattolini. Porta con sè una relazione cardiologica del dottor Giulio Melisburgo del San Raffaele di Milano. Accusa forti dolori cardiaci e il medico conferma, in questi casi, la possibilità di complicazioni cardiocircolatorie nel paziente affetto da tromboflebite e diabete. Per queste ragioni ne dispone il ricovero nella terapia intensiva della cardiologia. Il prolungato ricovero – dieci giorni – scoppia tra le mani del direttore generale Giovanni Pavesi, che non sa più che pesci pigliare: sollecita i suoi medici a dimetterlo ma la procedura richiede qualche giorno. Le dimissioni erano pronte sin da lunedì sera. Ma Galan se ne va giusto nel giorno del suo arresto. Rendendo inverosimile tutta la vicenda.

Daniele Ferrazza

 

MEDIOCRE USCITA DI SCENA

Gli ultimi giorni

Una recita che poco appassiona l’opinione pubblica, interessata a ciò che accadrà al processo

Anche i dogi nel loro piccolo s’incazzano. Succede a Giancarlo Galan, che tuona tutta la propria ira nel passare dalla condizione di ricoverato a quella di arrestato. E che così conclude nel più inglorioso dei modi una parabola di sapore veneziano, idealmente iniziata a Palazzo Ducale per concludersi ai Piombi. D’altra parte nella Serenissima, quella vera, a un doge venne perfino tagliata la testa per alto tradimento: successe a Marin Faliero, nel 1355, e il giorno dell’esecuzione diventò festa della Repubblica. Il suo declino inizia tuttavia ben prima dell’esplodere dell’inchiesta legata al Mose, ed è politico. Si manifesta in modo vistoso nel 2010, quando il governatore uscente lotta fino all’ultimo per ottenere il quarto mandato alla guida del Veneto, vedendosi sbattere sul naso tutte le porte: compresa la più importante, quella del suo mentore Silvio Berlusconi che sedici anni prima l’aveva passato dagli uffici di Publitalia a quelli della neonata Forza Italia. Le aveva provate tutte, Galan: perfino spedire un manipolo di imprenditori amici a braccare il Cavaliere in una saletta dell’aeroporto veneziano per implorarne la conferma. La Regione era stata lasciata alla Lega, che poi aveva però dimostrato sul campo di essersela guadagnata, con un sonoro 35 per cento e con un bruciante sorpasso sul Pdl. Nessuna sorpresa: era solo la conseguenza dell’irresistibile declino del partito azzurro, prima egemone in Veneto. Quel partito, in una terra visceralmente e geneticamente di centrodestra, negli anni precedenti era riuscito a perdere roccaforti ritenute inespugnabili, come Verona e Vicenza; a Padova era stato regolarmente spazzolato dal centrosinistra; per riuscire a riprendersi prima Verona e poi Padova ha dovuto ricorrere a due leghisti. Oggi, con le dimissioni ancor fresche d’inchiostro del sindaco di Rovigo, non amministra più neppure un capoluogo della regione. E in tutte le sette province è squassato da velenose faide interne. Galan sene chiama fuori, ma l’uomo forte del Veneto è stato lui. Del partito non si è interessato gran che, per usare un eufemismo; anzi, ha sparato a palle incatenate contro una serie di suoi autorevoli colleghi, da Tremontia Lunardi, da Brunetta a Sacconi. In compenso, si è lautamente auto incensato. La pesante vicenda giudiziaria che oggi lo investe è solo la spinta, probabilmente decisiva, a un fine corsa che era comunque già stato decretato sul piano politico. Un sipario che cala oltretutto in modo meschino. Galan, che all’inizio aveva definito ineccepibile il lavoro dei giudici, alla fine ha tirato fuori un “fumus persecutionis” a suo dire palese. Ha ottenuto un ricovero per una frattura a tibia e perone rimediata potando delle rose, e poi derubricata a infrazione a un malleolo. Ha esibito dichiarazioni mediche che manifestavano l’assoluta esigenza di rimanere fermo a letto in corsia, perfino adombrando rischi letali; poi ieri mattina ancor prima del voto della Camera è stato dimesso d’ufficio. Una mediocre uscita di scena, davvero, per uno che le scene era abituato a calcarle da primattore. Ma in ogni caso, una recita che poco appassiona l’opinione pubblica: alla quale interessa ciò che accadrà non in un carcere ma in un’aula di giustizia. Auspicando che si arrivi, e non in tempi biblici, a stabilire se siano fondate o meno le pesantissime accuse elevate nei confronti dei vari accusati, Galan incluso. E nella speranza che nel frattempo la beneficiata della prescrizione non sommerga la verità sotto le acque alte della vergogna.

Francesco Jori

 

LE GRANDI OPERE NELLA POLVERE

Il racconto

Quella “grandeur” da governatore destinata a terminare nella polvere

Nel 2010 Galan era all’apice della carriera e la politica delle grandi opere marciava a passo di carica

Qualche giorno fa diceva: «Temo vengano ad arrestarmi a casa, davanti alla mia bambina»

Un attimo dopo il voto della Camera, giravano già le battute via sms.«Se fossi Galan in carcere», scrive un veneto che ha avuto incarichi di prestigio e lo conosce bene,«non mangerei niente se prima non assaggiato sotto i miei occhi dal secondino. In particolare i caffè alla Sindona». Addirittura un parallelo con il bancarottiere siciliano ucciso in carcere con il veleno. Poi dicono che sono i giornalisti a lavorare di fantasia. Stiamo con i piedi per terra: più che il carcere è la paura del carcere che attanaglia Giancarlo Galan. Prima non doveva andarci perché era innocente. Poi non doveva andarci perché era ammalato. Lui e i suoi amici a costruire trincee, sempre arretrando. Fino a ieri mattina, quando l’ospedale l’ha dimesso nonostante i rischi della frattura, che in paziente diabetico con problemi cardiaci, gli impedivano di muoversi per 40 giorni. Galan va in carcere e farà quello che fanno tutti in carcere: aspettano di uscire. Nel frattempo magari potrebbe cercare di capire come ci è finito, senza raccontarsi pietose bugie. «Ho paura che vengano ad arrestarmi a casa, davanti alla mia bambina», diceva giorni fa ad un’amica di famiglia. «Non preoccuparti per la bambina, Giancarlo», gli rispondeva questa. «A lei penseremo noi, tu piuttosto tieniti su, solo alla morte non c’è rimedio ». Nessuno che l’abbia consigliato ad andarsene da quella villa dello scandalo, se davvero voleva il bene della bambina. Con la rabbia popolare che ha scritto da mesi «Galan ladro» sui cartelli stradali, con i fotografi appostati, i giornalisti che suonano alla porta e la moglie che replica «veneti ingrati ». Ingrati per che cosa, vivaddio? Difficile smontare dal senso di onnipotenza con cui si è convissuto per anni. Si fa l’abitudine che tutto è dovuto, tutto è permesso. Ma non è solo il potere che dà le vertigini. Giancarlo Galan ha l’esagerazione incorporata, lo sanno bene quelli che lo conoscono. In forma goliardica, da guascone simpatico, quando è di buon umore, in forma greve e dura da sopportare in altri momenti. Voleva fare il presidente del Veneto a vita. Ci stava riuscendo: sul finire della terza legislatura, vicino al giro di boa dei 15 anni di presidenza, dalle pagine del libro-intervista «Il Nordest sono io» si permetteva di distribuire ceffoni a destra e a sinistra, senza risparmio. Toni liquidatori, giudizi tranchant su avversari e colleghi di partito, sbertucciati per nome e cognome. Era maggio 2008 e solo uno con solide coperture politiche – veniva da pensare – poteva permetterselo. Berlusconi, che aveva non pochi problemi a comporre il nuovo governo per fare spazio a tutti gli appetiti, si ritrovò a fronteggiare per soprannumero le proteste dei vari Brancher, Cicchitto, Scajola (per citare solo alcuni nomi) messi alla berlina dall’intrepido Galan. Il quale non se ne curava e dava per scontata la rielezione nel 2010. Mai avrebbe pensato, all’apice del successo personale, che quella era l’ultima estate della grandeur galaniana. Anche se la politica delle grandi opere marciava a passo di carica: Passante, Rigassificatore e nuovo ospedale di Mestre già completati; nuovi ospedali previsti a Padova, nella Bassa Padovana e a Mestre con il Centro Protonico, un ospedale per forme rare di tumore; ampliamenti e ristrutturazioni in project financing avviati per gli ospedali di Treviso e di Verona; una serie impressionante di project stradali in cantiere, con il primo, la nuova autostrada Pedemontana, ormai appaltata; il Mose senza più ostacoli; il disinquinamento di Marghera cosa fatta con la Mantovani di Baita; il porto offshore in Adriatico portato avanti da Paolo Costa. Invece proprio Berlusconi, al quale Galan deve tutto (l’ha ripetuto un sacco di volte in 15 anni), lo stava sgambettando. L’accordo con Bossi per candidare Luca Zaia alla presidenza del Veneto, coglie Giancarlo impreparato. È l’estate del 2009, il presidente scompare. I suoi amici dicono che è in depressione, si sta facendo curare. Faticherà a rimettersi. Neanche la nomina a ministro dell’agricoltura e poi a ministro della cultura riesce a lenire il suo magone. Oggi sono ben altre le sue preoccupazioni. Chissà cosa ne pensa il suo vecchio maitre a penser, quel Luigi Migliorini avvocato in Adria, già segretario regionale del Pli negli anni Ottanta, alla cui scuola sono cresciuti assieme a Galan una piccola schiera di giovani liberali, da Niccolò Ghedini a Enrico Marchi, a Fabio Gava. Tutti «posizionati» da Giancarlo presidente del Veneto in posti di comando. Meno lui, il maestro: Migliorini rifiutò l’iscrizione a Forza Italia nel 1993 e la candidatura in Parlamento nel 2006. Lo racconta lui stesso in un libro appena uscito, «L’eccentrico liberale», pieno di storie controcorrente, di episodi al fulmicotone. Ne citiamo uno: «Durante la Tangentopoli del 1992 venne a trovarmi un Tizio dicendomi che aveva un progetto importante per il Polesine, che doveva passare al vaglio del Ministro dell’Ecologia Valerio Zanone, chiedendomi se potevo appoggiare la sua iniziativa. L’uomo aprì la cartella da cui pensavo estraesse il progetto e mi mostrò invece delle banconote, al che presi in mano la cornetta del telefono, sentendomi chiedere: «Telefona a Zanone?”. La mia risposta fu: “No, ai carabinieri”. Repentinamente il Tizio sparì con la sua cartella e non lo incontrai mai più». Per questo libro Giancarlo Galan ha scritto la post-fazione e nel mettere in risalto l’anima borderline di Migliorini cita, come riferimento contrario, il motto latino «in medio stat virtus»: «Gigi, questo di te nessuno lo potrà mai dire». Tutti quelli che conoscono l’autore sottoscrivono. Ma Migliorini sapeva dov’è il nord in politica.

Renzo Mazzaro

 

RIESAME: È difesa dall’avvocato coppi

Lia Sartori resta in arresto

VENEZIA – C’era anche Franco Coppi, l’avvocato che è riuscito a far assolvere Silvio Berlusconi per lo scandalo Ruby, ieri davanti i giudici del Tribunale del riesame di Venezia presieduto da Angelo Risi per convincerli a scarcerare l’esponente di Forza Italia Amalia Lia Sartori. Ma nel tardo pomeriggio il Tribunale ha confermato gli arresti domiciliari per l’ex europarlamentare, anche se alcune accuse mosse alla Sartori dal presidente del Consorzio Venezia Nuova sarebbero cadute. Lia Sartori è accusato di finanziamento illecito al partito per aver ricevuto in cinque diverse occasioni consistenti cifre da parte dei vertici del Consorzio. Il pubblico ministero Paola Tonini ha depositato uno stralcio dell’interrogatorio di Franco Morbiolo, presidente delle cooperative rosse, in cui afferma che era stato Giovanni Mazzacurati a fare pressioni su Pio Savioli e le cooperative perché contribuissero alla campagna elettorale dell’esponente di centro destra. Per i giudici del Tribunale, su due delle 5 “dazioni” da 50 mila euro le prove sarebbero insufficienti, mentre sarebbero provate le altre due da 50 mila euro e quella da 25 mila euro. Nei prossimi giorni le motivazioni della loro decisione.

(g.c.)

 

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