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L’INCHIESTA MOSE – GALAN. Oggi l’interrogatorio dal gip. La procura ascolta i medici sul giallo delle due diagnosi

Ora svelerà al magistrato quei misteriosi otto “omissis”

LA DIFESA – Oggi primo interrogatorio davanti al gip. L’ex governatore, intenzionato a non rispondere, consegnerà un dossier

Pesanti accuse a Claudia Milutillo licenziata dopo quattro anni di lavoro a fianco del governatore

Pronto il memoriale al veleno, nel mirino l’ex segretaria e Mazzacurati

Il brogliaccio del memoriale era pronto da giorni, concordato con i difensori, ma alle rifiniture Giancarlo Galan ha lavorato anche ieri, nella stanzetta-cella del braccio sanitario del carcere di “Opera”, a Milano. Si è interrotto solo per i controlli medici, apprendendo con soddisfazione che la nuova lastra alla gamba sinistra, effettuata mercoledì, ha confermato la frattura del 4 luglio. Poi un incontro a mezzogiorno con l’avvocato Niccolò Ghedini che lo difende assieme ad Antonio Franchini. Un altro con la parlamentare Daniela Santanchè.
L’ex governatore del Veneto i sassolini dalle scarpe vuole toglierseli personalmente. Per questo si è preparato all’incontro di oggi con il gip milanese Cristina Di Censo, delegata all’interrogatorio di garanzia dal collega veneziano Alberto Scaramuzza. Sarà presente solo l’avvocato Giuseppe Lombardino, sostituto di Franchini, visto che Galan non risponderà, ma consegnerà il memoriale.
Lo ha scritto con un occhio all’ordinanza di custodia cautelare e con la memoria che corre alle frequentazioni negli anni di politica regionale, soprattutto con Claudia Minutillo, per quattro anni sua segretaria. Ma anche con Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova, e con Piergiorgio Baita dell’Impresa Mantovani. Sono i suoi tre principali accusatori.
Secondo l’avvocato Franchini «il documento darà una risposta a tutte le contestazioni». In realtà si tratta di meno di dieci pagine, scritte dall’ex governatore, mentre la difesa tecnica affiderà a una memoria più corposa le argomentazioni per il Tribunale del Riesame, nell’udienza dell’1 agosto. Il memoriale di oggi non si limita a negare la corruzione, ricalcando il dossier preparato a fine giugno per i Pm veneziani e mai depositato dopo il rifiuto dei magistrati di sentire l’indagato. Contiene importanti novità, il disvelamento degli otto “omissis” che riguardano la Minutillo.
Non a caso le 28 pagine di giugno cominciavano con un attacco diretto all’ex segretaria. Galan l’accusava di «ostentare un lusso (capi di vestiario, accessori, gioielli…) del tutto ingiustificato rispetto al compenso percepito». Le attribuitva numerosi flirt. Raccontava della «contrapposizione anche caratteriale con mia moglie» e della «estrema antipatia» che suscitava negli altri collaboratori. Ma alla cornice mancava il dipinto. Ora l’affresco si fa più velenoso (e arrabbiato). Galan dice di aver assunto la Minutillo nel 2000, al suo secondo mandato, preferendola a una cugina, visto che molti avevano intercesso per lei. Lo fece nonostante l’onorevole Paolo Scarpa Bonazza Buora, coordinatore regionale di Forza Italia, l’avesse licenziata. «Tra i due non vi fu un buon rapporto» scrive Galan. Ma anche tra lui e la Minutillo alla fine ci fu una rottura brusca. «Le ragioni in quell’occasione furono gravi e molteplici…».
Oggi le spiegherà. La prima risale al 2004, quando lei stava diventando sempre più potente. Un secondo è legato «all’inclinazione di quella donna, rafforzatasi nel corso degli anni, di gestire in prima persona come propri ed esclusivi molti rapporti con interlocutori, pubblici e privati, senza riferirmi alcunchè». Questioni di ufficio. Ma non solo. Galan parlerà anche della gestione di Forza Italia, all’epoca della “fronda” di Giorgio Carollo, del riassestamento del partito e delle spese della struttura veneta.
Cosa c’entra la Minutillo con questo, visto che era ormai un’imprenditrice? Di certo Galan negherà di averla raccomandata all’ingegner Baita o a Mazzacurati (smentendone le dichiarazioni messe a verbale), per farle ottenere nel 2005 un’assunzione da Thetis, con un’integrazione di stipendio fino a 250 mila euro annui, come lei voleva.
La memoria ripercorrà poi le tesi difensive già rese pubbliche a giugno. Galan non ha chiesto, nè ottenuto denari. Non ha interferito sui project finacing della Mantovani. Non era a libro paga del Consorzio Venezia Nuova. Non si è fatto ristrutturare la villa a spese di Baita. Non aveva conti operativi a San Marino. Le quote in due società della galassia Mantovani erano solo un pro-forma, senza sostanza economica. I rapporti con l’assessore Renato Chisso sono stati improntati a collaborazione amministrativa, non configuravano un sodalizio criminale. E la Finanza ha preso un granchio quando sostiene che le sue entrate hanno superato di oltre un milione di euro le sue spese.

Giuseppe Pietrobelli

 

Doppia diagnosi, la procura interroga i medici

IL CAPITOLO SANITARIO – Dopo il sequestro delle cartelle cliniche convocati i dottori

Prima il sequestro delle cartelle cliniche; ora l’interrogatorio dei sanitari che si sono occupati negli ultimi quindici giorni del paziente Giancarlo Galan. La Guardia di Finanza, su incarico dei sostituti procuratore che coordinano l’inchiesta sul “sistema Mose”, ha iniziato ieri a raccogliere a “sommarie informazioni testimoniali” – quelle che in termini giudiziari vengono chiamate “sit” – le dichiarazioni di medici e infermieri che hanno visitato l’ex Governatore del Veneto (firmando i numerosi certificati finiti agli atti del fascicolo d’inchiesta) e che gli hanno prestato assistenza. Nessuno di loro è indagato: i magistrati stanno semplicemente cercando di ricostruire nei dettagli il “capitolo sanitario” della vicenda, per capire come sia stato possibile passare da una diagnosi inizialmente di una certa gravità, che ha spinto la difesa a chiedere ripetutamente gli arresti domiciliari e il rinvio del voto alla Camera per l’impossibilità assoluta di trasportare Galan (ricoverato in terapia intensiva di Cardiologia, dopo una distorsione alla caviglia sinistra, con frattura del malleolo), ad un’improvvisa sua dimissione dall’ospedale di Este con rientro a casa. Dimissione comunicata al paziente alle 9.30 del 22 luglio, poche ore prima che, davanti al Parlamento, iniziasse la discussione dell’ennesima istanza di rinvio del voto, motivato proprio con il ricovero ospedaliero.
SOSPETTA TROMBOSI – Nella lettera di dimissione risulta che il motivo del ricovero – avvenuto il 12 luglio – è stato un «episodio di dispnea (sospetta TEP in TVP)», ovvero una difficoltà respiratoria con sospetta tromboembolia polmonare in trombosi venosa profonda. Problemi affrontati, dopo una serie di esami diagnositici, con un’adeguata terapia farmacologica, a seguito della quale le condizioni del paziente sono state ritenute tali da non destare più preoccupazioni. I medici ascoltati finora dalle Fiamme Gialle hanno confermato che le condizioni del paziente, al momento dei rispettivi interventi, corrispondeva a quanto annotato nei certificati.
I magistrati stanno cercando di verificare se qualche sanitario abbia ricevuto “raccomandazioni” o pressioni di qualche tipo nell’affrontare il caso del paziente Galan.
DIAGNOSI CONFERMATE – Nel frattempo, l’ex presidente della Regione Veneto è stato visitato nel reparto ospedaliero del carcere milanese di Opera, nel quale è detenuto. Uno dei suoi difensori, l’avvocato Niccolò Ghedini, a conclusione di un colloquio di un’ora con il proprio assistito, ha riferito che nel centro clinico sono state confermate tutte le diagnosi cliniche fatte dai medici negli ospedali di Padova ed Este, dove Galan è stato accolto nelle ultime due settimane: ovvero la frattura del malleolo e i problemi circolatori conseguenti all’ingessatura e al diabete di cui il paziente soffre, con l’indicazione di continuare tutte le terapie che gli sono state prescritte. L’esito dei primi esami effettuati nella struttura sanitaria del carcere è stata accolta con soddisfazione dal secondo difensore di Galan, l’avvocato Antonio Franchini, secondo il quale è la dimostrazione che nessuno si è inventato malattie inesistenti.
Galan si trova da solo in una delle cosiddette ‘camere di pernottamento’ del carcere: in questo modo può essere sottoposto a un monitoraggio sanitario permanente.

Gianluca Amadori

 

L’EX GOVERNATORE NON CHIAMATELO ULTIMO DOGE

I giornali, in questi giorni, definiscono l’ex governatore del Veneto l’ultimo Doge. Al di là del fatto che sarà la magistratura che dovrà dimostrare o meno la colpevolezza di Galan, trovo l’accostamento dei politici attuali con quelli della passata Repubblica di Venezia, poco calzante. Nella Serenissima Repubblica il bilanciamento dei poteri era estremo e veniva controllato da un complesso sistema di magistrature, ciascuna con un compito preciso di controllo e tutte a loro volta controllate. L’unico che formalmente non aveva controllori era il Doge, ma con poteri estremamente limitati. Questi poteri erano circoscritti nelle Promissioni Dogali, una serie di impegni che il Doge assumeva all’atto della sua elezione. Dal ’500 in poi venne inoltre introdotta “l’inquisizione sopra il morto”, in sostanza una apposita Magistratura era incaricata dell’esame post mortem, cioè di indagare sul “rendiconto” finale del dogado, per valutare la legittimità delle spese personali fatte e delle entrate percepite, e se c’erano irregolarità toccava agli eredi pagare. I costi per lo svolgimento dell’incarico di un diplomatico Veneto erano assolutamente a carico personale, così come il Doge stesso doveva provvedere al mantenimento del Palazzo Ducale e perfino ai suoi sfarzosissimi funerali di Stato. In generale tutta la carriera politica era costellata da sacrifici finanziari ed enormi rischi personali, fin dall’inizio, come Giovani di Galera, o difendendo la propria Patria a costo della vita, come fecero Paolo Erizzo, Marcantonio Bragadin, Bellisandra Maraviglia, Agostino Barbarigo, Biagio Zulian e tanti altri, dimenticati dai libri di storia italiani che continueranno a parlarci della dinastia dei Tudor o della disfida di Barletta. Perciò per cortesia non chiamatelo Doge.

Alessandro D. Bragadin

 

Vertice di Pm, Venezia e Milano collaboreranno delle indagini

VENEZIA – (gla) Vertice in Procura ieri mattina, tra magistrati milanesi e veneziani. Il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, accompagnato dai pm Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi, si è incontrato con il procuratore capo di Venezia, Luigi Delpino, e con due dei tre sostituti che si stanno occupando dell’inchiesta sul “sistema Mose”, Stefano Ancilotto e Paola Tonini. Oggetto della riunione, impostare il coordinamento delle indagini, in particolare quelle relative alle presunte “mazzette” versate a Marco Mario Milanese, all’epoca stretto collaboratore del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e al generale della Guardia di Finanza, ora in pensione, Emilio Spaziante. Episodi nei quali è indagato anche l’amministratore di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo. Il fascicolo relativo a questi due capi d’imputazione è da alcune settimane a Milano (per competenza territoriale in quanto il denaro sarebbe stato consegnato a Milano). Meneguzzo, interrogato dai pm del pool anti corruzione, ha ammesso le conoscenze ad alto livello nella Guardia di Finanza e di aver introdotto a Milanese l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, negando però di aver fatto da intermediario di tangenti.

 

VENEZIA – Giampietro Marchese del Pd si è dimesso, dopo l’arresto non è più consigliere regionale

VENEZIA – Con una lettera via mail, Giampietro Marchese (ex Pd) si è dimesso da consigliere regionale. Marchese, sospeso dal 31 maggio dall’incarico consiliare perché agli arresti domiciliari a seguito dell’inchiesta giudiziaria sul Mose e le tangenti in laguna, ha comunicato al presidente dell’assemblea, Clodovaldo Ruffato le dimissioni «irrevocabili». Al suo posto, il 9 luglio, era entrato in Consiglio Alessio Alessandrini che diventerà consigliere a tutti gli effetti da martedì prossimo, con il voto dell’aula. Resta consigliere supplente Francesco Piccolo, subentrato a Renato Chisso, agli arresti nel carcere di Pisa, che resta sospeso da consigliere regionale.

 

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