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NUOVO FRONTE – La Procura di Venezia apre un’indagine sul lotto della A4 realizzato da Mantovani, Coveco e Impregilo

Mose, l’inchiesta corre in Terza Corsia

E Galan accusa: «La Minutillo intascò 500mila euro versati da due imprenditori per la mia campagna elettorale»

L’AUTOSTRADA – L’inchiesta Mose ora interessa anche la terza corsia in costruzione sulla A4. La Procura apre un’indagine sul lotto realizzato da Mantovani, Coveco e Impregilo.

IL MEMORIALE – Nel dossier consegnato ai pm Galan accusa: «Cacciai la Minutillo perchè si intascò 500mila euro versati da 2 imprenditori per la mia campagna elettorale».

A VENEZIA – Si indaga sui lavori da Quarto d’Altino a San Donà di Piave

GRANDE OPERA – I lavori affidati a Mantovani, Impregilo e Coveco

IL MAGISTRATO – È il pm Ancillotto a condurre l’indagine: alcune anomalie sarebbero già emerse

L’OBBIETTIVO – Si cerca di capire se anche in questo caso sia stato applicato il “sistema Mose”

Dopo il Mose, la terza corsia inchiesta della procura sulla A4

La Procura della Repubblica di Venezia ha aperto un’inchiesta sui lavori della terza corsia A4 Venezia-Trieste. La conferma è venuta ieri dagli ambienti giudiziari lagunari, dove gli accertamenti vengono coordinati – in parallelo con le inchieste attorno al Mose – dal Pubblico ministero Stefano Ancillotto.
Gli inquirenti, che hanno a suo tempo acquisito sia gli atti in possesso della Regione Veneto (come si è già riferito) che altri documenti relativi ai cantieri del primo lotto Quarto d’Altino-San Donà, intendono accertare se possano essere configurate analogie fra il “sistema” messo a nudo per il Mose e le gare d’appalto relative alla grande arteria autostradale del Nordest.
Le indagini sono coperte dal massimo riserbo, tuttavia si è appreso che la Procura avrebbe già riscontrato alcune anomalie, sulle quali si stanno ora realizzando approfondimenti istruttori. Come si sa, il primo lotto della terza corsia è stato aggiudicato a un’Associazione temporanea d’imprese alla quale partecipano Mantovani, Impregilo e Coveco. La presenza della Mantovani non rappresenta, naturalmente, una prova, tuttavia sostanzia il sospetto degli inquirenti.
Ma in realtà l’indagine potrebbe spaziare anche su altri lavori della medesima grande opera. La domanda alla quale la Procura veneziana intende trovare risposta è in sostanza: i metodi illegali scoperti sul fronte veneziano sono stati o meno adottati anche per altri grandi lavori pubblici come la terza corsia? Occorrerà probabilmente del tempo per scrivere questa pagina in un senso o nell’altro.
Intanto sale l’incertezza sul terzo lotto (Tagliamento-Gonars, ora Portogruaro-snodo di Palmanova), già nel 2010 assegnato all’associazione fra Pizzarotti e Rizzani de Eccher. Quest’ultima è stata colpita da un decreto di revoca dell’affidamento per mano della presidente-commissario Debora Serracchiani, sulla base di un’informativa interdittiva adottata dalla Prefettura di Udine. Entrambe le misure sono ora soggette a impugnazione davanti al Tar, con ricorso che sarà formalizzato dall’impresa all’inizio della prossima settimana.
La Rizzani de Eccher, che opera in 20 Paesi sparsi in tutto il mondo, considera fortemente ingiusta la misura, che le impedisce di partecipare a gare indette da Pubbliche amministrazioni italiane. Ma perché si è ritenuto di mettere in campo una misura interdittiva così pesante, per conseguenze e per immagine? Storie vecchie di decenni? O storie “fresche” riguardanti il Mose o appalti ad esso correlabili? Nossignori, niente di tutto questo.
Occorre spostarsi all’Est del Nordest, in quell’incantevole baia di Sistiana, nel Golfo di Trieste, dove la Rizzani de Eccher ha realizzato un villaggio turistico da sogno: Portopiccolo. Secondo l’impostazione che ha ispirato l’informazione interdittiva, infatti, il sistema di micro-parcellizzazione in sub-appalti adottato dalla società friulana porrebbe in linea teorica la questione del rischio di infiltrazioni da parte della malavita organizzata. A Sistiana hanno lavorato 287 imprese con circa tremila lavoratori complessivi e picchi di presenza di 700 addetti al giorno.
Un teorema, secondo la Rizzani de Eccher, che non ha costrutto alcuno. E che ora si prova a “smontare” in due distinte sedi istituzionali: innanzitutto il Tar, come si è detto, per conseguire prima la sospensione e poi l’annullamento della misura interdittiva e del decreto di revoca dei lavori firmato dal commissario Debora Serracchiani (peraltro un atto tecnicamente dovuto); ma anche il Ministero dell’Interno, dal quale dipende la Prefettura di Udine che ha emanato il “veto” antimafia.

Maurizio Bait-Antonella Lanfrit

 

LA STORIA DELL’OPERA – Mezzo secolo di attesa, c’è voluta una strage per sbloccare il progetto

Il progetto terza corsia nasce ancora negli anni Cinquanta come progetto politico di strategia di collegamento. Ma assume sostanza operativa soltanto a partire dal 2007, anno della prima convenzione fra Autovie Venete e Anas per realizzare la grande opera. Dopo la strage autostradale di Cessalto (7 morti), nel 2008 il Governo istituisce il commissario straordinario su richiesta di Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Nel 2009 si stipula una nuova convenzione con piano finanziario che supera i 2 miliardi di euro. Nello stesso anno avviene l’aggiudicazione definitiva del primo di 4 lotti della terza corsia: da Quarto d’Altino a San Donà all’associazione d’imprese Mantovani, Impregilo, Coveco, Socostramo e Carron. Oggi questo lotto è realizzato quasi all’80%. Sempre nel 2009 aggiudicato anche il casello di Meolo a Vidoni e Brussi (inaugurato nel 2012).
Nel maggio 2010 aggiudicazione definitiva al consorzio Pizzarotti-Rizzani de Eccher del terzo lotto. È in corso la progettazione definitiva, mentre i lavori – già affidati definitivamente senza provvista di liquidità – sono ora revocati dal commissario Serracchiani.
Nel luglio del medesimo anno si aggiudica provvisoriamente il quarto lotto Gonars-Villesse a Cmb in associazione con ccc, Cgs e Consorzio stabile grecale. Quanto al secondo lotto, da San Donà al Tagliamento, è stata completata la progettazione definitiva ma il cantiere dev’essere ancora posto a gara.
Aggregata al progetto terza corsia A4 la trasformazione in autostrada della Villesse-Gorizia, opera di 17 chilometri completata in tre anni nel 2013.

 

IL SEGRETO – Il caso non venne mai denunciato: solo pochi in Forza Italia sapevano

I FINANZIATORI – Fatti ai magistrati i nomi dei due generosi sponsor: saranno interrogati

TESTE CHIAVE – La funzionaria è una delle “gole-profonde” dell’inchiesta Mose

LA CONTROFFENSIVA – Così l’ex ministro cerca di demolire la credibilità della sua ex segretaria

VENEZIA – Sono 35 le pagine del nuovo memoriale di Galan, erano 28 quelle del dossier contrappuntato da omissis preparato a fine giugno. Significa che sono 6 o 7 le pagine nuove, scritte e corrette in carcere, con l’attacco a Claudia Minutillo. Ieri all’interrogatorio di garanzia a “Opera” era presente l’avvocato Giuseppe Lombardini. Galan si è avvalso della facoltà di non rispondere, anche perchè non aveva di fronte il gip che ne ha ordinato l’arresto. ««Abbiamo dato una risposta puntuale a tutte le contestazioni» ha poi spiegato l’avvocato Antonio Franchini. Ma la difesa, oltre che con l’ex segretaria, ne ha anche con Piergiorgio Baita e l’ex presidente del Consorzio venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. «Non si comprende – continua il legale – chi gli abbia mai consegnato dei soldi. Risulta poi dalle carte processuali che Mazzacurati si appropriava dei soldi. È comodo quindi dire “li ho consegnati” a questo o a quello per poi coprire le proprie responsabilità». Il riferimento è alle spese pazze di Mazzacurati (e della sua famiglia), che potrebbe essersi approfittato del denaro del Consorzio Venezia Nuova, simulando pagamenti di tangenti in realtà non avvenuti.
Il memoriale replica alle altre accuse. «È fantasioso che Galan abbia ricevuto dal Consorzio uno stipendio annuale di un milione di euro. Poco credibili i pagamenti a distanza di anni per il Mose. Non vi sono conferme al versamento di 200 mila euro da Baita alla Minutillo per Galan all’hotel Santa Chiara di Venezia». E il conto in una banca di San Marino dove furono movimentati 50 mila euro? «Era un conto “ufficiale e trasparente” aperto per un accordo della Regione Veneto con la Repubblica. Non operai alcuna movimentazione, ma è stato utilizzato da terzi con la falsificazione delle mie firme». La villa di Cinto Euganeo asseritamente ristrutturata con i soldi della Mantovani? «Non esiste che lui abbia pagato – taglia corto l’avvocato Franchini – abbiamo portato i bonifici e le fatture di tutti i versamenti».

Giuseppe Pietrobelli

 

Galan: «Cacciai la Minutillo perchè si prese 500mila euro»

Nel memoriale consegnato ai pm l’ex governatore accusa: «Erano soldi che due imprenditori avevano versato per finanziare la mia campagna elettorale alle regionali 2005: li intascò lei»

In carcere, mentre stava ritoccando il memoriale consegnato ieri al gip di Milano Cristina Di Censo, Giancarlo Galan aveva detto: «Venderò cara la pelle». Ora sappiamo a cosa si riferiva. Ha svelato gli otto “omissis” di una precedente memoria riguardanti Claudia Minutillo, la sua ex segretaria in Regione Veneto dal 2000 al 2005, anzi la “segretaria di ferro” che tutto controllava e dirigeva, perfino il presidente. E che un anno fa ha cominciato ad accusarlo di avere intascato tangenti. Chi di spada ferisce, a volte di spada perisce. Infatti, Galan parte al contrattacco e accusa la Minutillo di essersi appropriata nel 2005 di una cifra ragguardevole, tra i 400 e i 500 mila euro provenienti da due imprenditori veneti che intendevano in tal modo finanziare la campagna elettorale che si sarebbe conclusa con la rielezione di Galan per la terza volta.
Ma il governatore era all’oscuro sia dell’intenzione dei due munifici finanziatori, sia del fatto che il denaro fosse stato consegnato alla sua segretaria. La quale non gliene aveva parlato. Lui lo aveva saputo solo dopo le elezioni della primavera 2005 quando, incontrando i due imprenditori, era rimasto spiazzato. Loro si aspettavano un ringraziamento per la generosa offerta, lui era caduto dalle nuvole. Ed era venuto fuori il pasticcio.
Questa è la spiegazione che Galan dà in alcuni “omissis” del perchè «dopo poco più di quattro anni di collaborazione decisi di licenziare Claudia Minutillo». È la «più grave delle «molteplici ragioni che mi indussero a tale decisione». Un affondo non da poco. Perchè la Minutillo, già arrestata per false fatturazioni nel 2013, è una delle “gole profonde” che sostengono l’inchiesta sul Mose. Ha confermato di aver ricevuto da Baita, proprio durante la campagna elettorale del 2005, 200 mila euro all’hotel Santa Chiara di piazzale Roma, somma destinata a Galan. La risposta velenosissima del deputato avviene proprio su quella campagna elettorale. Se la sua versione troverà conferma, riuscirebbe a dimostrare, innanzitutto, l’inattendibilità della donna che lo accusa. Inoltre, la plausibilità del fatto che egli fosse stato tenuto all’oscuro anche del finanziamento di 200 mila euro di Baita, per conto della Mantovani. In terzo luogo, l’incontrollabilità, da parte sua, della Minutillo nei contatti esterni a nome del presidente.
Chi sono i due misteriosi imprenditori? Galan ne fa il nome. È ovvio che i pm di Venezia li interrogheranno, per capire se la difesa di Galan sia veritiera. Se si dovesse configurare un finanziamento illecito dei partiti (ma potrebbero anche essere stati vittime di una truffa), il reato è ampiamente prescritto. Galan ha inoltre indicato un numero ristrettissimo di persone, all’interno di Forza Italia, che furono informate della sconcertante scoperta. I responsabili aministrativi e politici del partito diventano testimoni importanti di un capitolo inedito ed esplosivo.
Perchè il Governatore e il partito non denunciarono tutto all’autorità giudiziaria, pur essendo vittime di un’appropriazione indebita? A questa domanda Galan risponderebbe con la parte di memoriale in cui racconta quel 2005, da una parte trionfale, ma anche turbolento per Forza Italia in Veneto. «Dopo le elezioni del 2005 la struttura di Forza Italia si era modificata a livello regionale – ha scritto l’indagato – e ciò a seguito di una profonda spaccatura politica avvenuta con l’allora coordinatore Giorgio Carollo, che aveva seguito con me quella campagna elettorale». Infatti Carollo fondò un proprio partito, ma fu un flop. «Il coordinamento fu commissariato con la nomina dell’avvocato Ghedini (mi pare verso la fine del 2005) il quale aveva il compito di rimettere insieme le varie anime del partito». L’attività politica fu affidata a Marino Zorzato, la delega alla tesoreria andò all’onorevole Lorena Milanato. Insomma, il partito era impegnato su fronti turbolenti.
Galan aggiunge che «per Statuto i coordinamenti regionali di Forza Italia non avevano capacità di spesa, nè potevano impegnarsi in alcun modo, poichè ogni pagamento era centralizzato presso la sede nazionale». Un modo per ribadire che se la Minutillo chiese dei soldi, lo fece al di fuori delle regole del partito.
L’ex governatore è poi tassativo nell’escludere di aver raccomandato la Minutillo a Piergiorgio Baita, dopo averla messa alla porta. Anche se poi se la ritrovò davanti quando nel 2006 e 2007 acquistò quote di due società, Adria Infrastrutture e Nordest, riconducibili proprio all’ex segretaria e al gruppo Mantovani, e diventate una carta in mano all’accusa.

 

Dalle case alle società, un dossier per «spiegare tutto»

Sono sette le nuove pagine aggiunte in carcere al dossier da Galan. L’avvocato Franchini: «Abbiamo dato una risposta puntuale a ogni contestazione»

DENARO E MISTERI – L’ex doge sarebbe stato all’oscuro di quella ricca “donazione”

In carcere, mentre stava ritoccando il memoriale consegnato ieri al gip di Milano Cristina Di Censo, Giancarlo Galan aveva detto: «Venderò cara la pelle». Ora sappiamo a cosa si riferiva. Ha svelato gli otto “omissis” di una precedente memoria riguardanti Claudia Minutillo, la sua ex segretaria in Regione Veneto dal 2000 al 2005, anzi la “segretaria di ferro” che tutto controllava e dirigeva, perfino il presidente. E che un anno fa ha cominciato ad accusarlo di avere intascato tangenti. Chi di spada ferisce, a volte di spada perisce. Infatti, Galan parte al contrattacco e accusa la Minutillo di essersi appropriata nel 2005 di una cifra ragguardevole, tra i 400 e i 500 mila euro provenienti da due imprenditori veneti che intendevano in tal modo finanziare la campagna elettorale che si sarebbe conclusa con la rielezione di Galan per la terza volta.
Ma il governatore era all’oscuro sia dell’intenzione dei due munifici finanziatori, sia del fatto che il denaro fosse stato consegnato alla sua segretaria. La quale non gliene aveva parlato. Lui lo aveva saputo solo dopo le elezioni della primavera 2005 quando, incontrando i due imprenditori, era rimasto spiazzato. Loro si aspettavano un ringraziamento per la generosa offerta, lui era caduto dalle nuvole. Ed era venuto fuori il pasticcio.
Questa è la spiegazione che Galan dà in alcuni “omissis” del perchè «dopo poco più di quattro anni di collaborazione decisi di licenziare Claudia Minutillo». È la «più grave delle «molteplici ragioni che mi indussero a tale decisione». Un affondo non da poco. Perchè la Minutillo, già arrestata per false fatturazioni nel 2013, è una delle “gole profonde” che sostengono l’inchiesta sul Mose. Ha confermato di aver ricevuto da Baita, proprio durante la campagna elettorale del 2005, 200 mila euro all’hotel Santa Chiara di piazzale Roma, somma destinata a Galan. La risposta velenosissima del deputato avviene proprio su quella campagna elettorale. Se la sua versione troverà conferma, riuscirebbe a dimostrare, innanzitutto, l’inattendibilità della donna che lo accusa. Inoltre, la plausibilità del fatto che egli fosse stato tenuto all’oscuro anche del finanziamento di 200 mila euro di Baita, per conto della Mantovani. In terzo luogo, l’incontrollabilità, da parte sua, della Minutillo nei contatti esterni a nome del presidente.
Chi sono i due misteriosi imprenditori? Galan ne fa il nome. È ovvio che i pm di Venezia li interrogheranno, per capire se la difesa di Galan sia veritiera. Se si dovesse configurare un finanziamento illecito dei partiti (ma potrebbero anche essere stati vittime di una truffa), il reato è ampiamente prescritto. Galan ha inoltre indicato un numero ristrettissimo di persone, all’interno di Forza Italia, che furono informate della sconcertante scoperta. I responsabili aministrativi e politici del partito diventano testimoni importanti di un capitolo inedito ed esplosivo.
Perchè il Governatore e il partito non denunciarono tutto all’autorità giudiziaria, pur essendo vittime di un’appropriazione indebita? A questa domanda Galan risponderebbe con la parte di memoriale in cui racconta quel 2005, da una parte trionfale, ma anche turbolento per Forza Italia in Veneto. «Dopo le elezioni del 2005 la struttura di Forza Italia si era modificata a livello regionale – ha scritto l’indagato – e ciò a seguito di una profonda spaccatura politica avvenuta con l’allora coordinatore Giorgio Carollo, che aveva seguito con me quella campagna elettorale». Infatti Carollo fondò un proprio partito, ma fu un flop. «Il coordinamento fu commissariato con la nomina dell’avvocato Ghedini (mi pare verso la fine del 2005) il quale aveva il compito di rimettere insieme le varie anime del partito». L’attività politica fu affidata a Marino Zorzato, la delega alla tesoreria andò all’onorevole Lorena Milanato. Insomma, il partito era impegnato su fronti turbolenti.
Galan aggiunge che «per Statuto i coordinamenti regionali di Forza Italia non avevano capacità di spesa, nè potevano impegnarsi in alcun modo, poichè ogni pagamento era centralizzato presso la sede nazionale». Un modo per ribadire che se la Minutillo chiese dei soldi, lo fece al di fuori delle regole del partito.
L’ex governatore è poi tassativo nell’escludere di aver raccomandato la Minutillo a Piergiorgio Baita, dopo averla messa alla porta. Anche se poi se la ritrovò davanti quando nel 2006 e 2007 acquistò quote di due società, Adria Infrastrutture e Nordest, riconducibili proprio all’ex segretaria e al gruppo Mantovani, e diventate una carta in mano all’accusa.

 

IL PERSONAGGIO – L’ex consigliere Pd Marchese parla e torna libero

Lascia gli arresti domiciliari e torna libero l’ex consigliere regionale Pd Marchese, accusato di aver ricevuto soldi dalle coop. Decisive per la liberazione alcune sue ammissioni.

LA SANZIONE – L’ex consigliere regionale democratico dovrà anche pagare una multa

L’INDAGINE Era accusato di aver ricevuto da alcune coop circa mezzo milione di euro

La Procura accoglie la proposta dell’ex Pd di patteggiare 11 mesi per finanziamento illecito

LA CONFESSIONE Le sue ammissioni, seppur parziali, decisive per porre fine ai “domiciliari”

Marchese parla e torna libero

VENEZIA – Il parere favorevole i pubblici ministeri veneziani lo hanno dato non appena è stata formalizzata la lettera di dimissioni dal consiglio regionale. Lasciare la carica politica era una delle condizioni, contenute nell’accordo con la Procura, perchè potesse finire il regime di arresti domiciliari di Giampietro Marchese, esponente di spicco del Partito Democratico arrestato nella retata del Mose. Si è ripetuto un po’ quanto accaduto più di un mese fa con il suo compagno di partito, l’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, per il quale l’uscita da Ca’ Farsetti era diventata una delle clausole della trattativa tra magistrati e imputato. E così anche per Marchese è arrivata ieri pomeriggio la svolta, preludio per la chiusura della sua vicenda giudiziaria con il patteggiamento.
L’avvocato rodigino Francesco Zarbo aveva presentato l’istanza giovedì pomeriggio. Ieri mattina l’ok dei pubblici accusatori, quindi la decisione del gip, che ricalca altri analoghi provvedimenti, quando si profila una pena patteggiata che rimane al di sotto dei due anni ed è quindi coperta dalla prescrizione. Marchese, accusato di finanziamento illecito dei partiti, se la caverà con una pena di undici mesi di reclusione e con il pagamento di una sostanziosa multa. Naturalmente serve ora l’assenso del gip, che accolga l’accordo. Nel caso di Orsoni il giudice aveva invece ritenuto la pena troppo bassa, ma si trattava di 4 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa.
Da Marchese, nell’ultimo interrogatorio, sono venute ammissioni parziali, ma sufficienti a convincere i pm che non esistevano più ragioni per lasciarlo ai domiciliari. Un’altra casella si riempie nei conti dell’accusa. I soldi pagati a esponenti del Pd hanno trovato una conferma con le ammissioni degli interessati, dimostrazione che le confessioni di Baita e Mazzacurati non erano invenzioni. Il consigliere regionale è stato tirato in ballo innanzitutto per aver incassato 58 mila euro nella campagna elettorale regionale del 2010. I soldi provenivano dalle cooperative rosse che erano impegnate nei lavori del Consorzio Venezia Nuova. La seconda accusa riguarda una somma complessiva oscillante tra i 400 e i 500 mila euro ricevuta, a rate di 15 mila euro, dalla Cooperativa San Martino di Chioggia.
La via del patteggiamento è aperta anche per Mario e Stefano Boscolo Bacheto, proprio della San Martino, assistiti dal profeSsor Loris Tosi e dall’avvocato Antonio Franchini. Erano già stati coinvolti negli arresti di un anno fa, quando venne a galla la turbativa d’asta che portò in carcere Giovanni Mazzacurati. Nella retata di giugno è stato arrestato Stefano Boscolo. Nei confronti della San Martino l’elenco dei reati è lungo: oltre alla turbativa d’asta, le false fatturazioni e la corruzione (che però il Tribunale del riesame aveva poi valutato come una concussione). L’accordo per il patteggiamento dovrebbe chiudere entrambe le inchieste, quella del 2013 e quella di quest’anno, con una pena fissata in due anni (sotto la condizionale) e con una multa molto elevata, 670 mila euro, che riflette l’entità delle contestazioni fiscali.

G. P.

 

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