Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

Nuova Venezia – Mose, Galan resta in carcere

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

3

ago

2014

Mose, Galan resta in carcere

No del Riesame. L’80%delle accuse in prescrizione

Galan resta in cella, respinto il ricorso

Prescritti però tutti i reati commessi prima del 22 luglio 2008 comprese parte dei lavori alla villa e la mazzetta al S. Chiara

L’accusa rimane quella di corruzione. Il Riesame respinge la presunta illegittimità costituzionale

VENEZIA – Giancarlo Galan resta in carcere, in quello milanese di Opera. Ieri, il presidente del Tribunale del riesame di Venezia Angelo Risi intorno alle 13,30, dopo più di tre ore di discussione con gli altri due giudici (Daniela Defazio e Sonia Bello), ha depositato l’ordinanza con la quale «conferma il provvedimento cautelare nel resto». I giudici veneziani hanno dichiarato prescritte tutte le contestazioni riguardanti i reati che sarebbero stati commessi dall’esponente di Forza Italia prima del 22 luglio 2008. La data non è casuale: il 22 luglio 2014 la Camera dei deputati ha dato il via libera all’arresto con il suo voto a stragrande maggioranza e si tratta dell’atto interruttivo della prescrizione, che per la corruzione è di sei anni senza quell’atto e si alza a sette anni e mezzo da quel momento in poi. Così, sono cadute (l’elenco si può leggere nello stesso provvedimento firmato dal presidente Risi) le ricezioni di cospicui finanziamenti in occasione delle campagne elettorali precedenti al 2008 confessate da Piergiorgio Baita; la consegna di 200 mila euro presso l’hotel Santa Chiara di Venezia da parte di Claudia Minutillo: il finanziamento della maggior parte delle opere di ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo da parte della «Mantovani»; il versamento nel 2005 di 50 mila euro nel suo conto corrente alla «S.M.International Bank» di San Marino. Restano in piedi soprattutto le accuse mosse da Giovanni Mazzacurati, che racconta di aver consegnato uno stipendio annuo di un milione di euro in modo da ottenere il via libera dalla Commissione regionale per la Salvaguardia e per la Valutazione di impatto ambientale. Inoltre dovrà ancora rispondere di aver fatto intestare al suo commercialista Paolo Venuti le quote di «Adria Infrastrutture » e di «Nordest Media ». Infine, rimane indagato per la ristrutturazione della barchessa di villa Rodella, lavori eseguiti dopo quelli sul corpo principale dell’edificio, mai pagati a chi li portò a termine abbondantemente dopo il 22 luglio 2008. Per quanto riguarda Mazzacurati e il Mose, nel suo memoriale, Galan cerca di convincere gli inquirenti che lui, anche nel ruolo di presidente della Regione Veneto, avrebbe avuto un ruolo molto marginale. Scrive infatti: «Mazzacurati mi chiese di non mancare mai al Comitato interministeriale per la salvaguardia della laguna di Venezia, riunioni a cui partecipai sempre anche se molto spesso avevo la sensazione che la mia partecipazione fosse quanto meno “ultronea”, tutto del resto era già stato elaborato e deciso in altra sede, quella romana… Del resto tutto ciò non mi meraviglia affatto: il Mose era ed è un’opera statale, a contare sono solo i ministeri». Gli investigatori del Nucleo di Polizia tributaria, anche in vista del Tribunale del riesame, hanno raccolto la testimonianza di Stefano Boato, docente allo Iuav e rappresentante del ministero dell’Ambiente per 12 anni in Commissione di salvaguardia. Boato smentisce Galan (si veda l’intervista qui sotto,ndr), sostenendo che nei «Comitatoni» del 2003, governo Berlusconi, e del 2006, governo Prodi, l’allora governatore veneto ebbe un ruolo notevole sia per far avviare i lavori alle bocche di Porto per il Mose sia a ribadirne l’importanza tre vanni dopo. Non solo, quando nel 2004 toccò alla Commissione regionale di salvaguardia dare le autorizzazioni per gli interventi in laguna per la prima e unica volta si presentò proprio Galan a presiederla (sempre ha avuto il compito di farlo un dirigente regionale delegato dal presidente) e avrebbe imposto di votare (passò a maggioranza il via libera) anche se nessuno aveva ancora potuto leggere le decine di faldoni. A influire sulla decisione del Tribunale del riesame potrebbero essere stati decisivi gli stralci dei verbali degli imprenditori depositati dal pubblici ministeri Stefano Anciltto e Paola Tonini. «Non fare il furbo, sai bene di cosa parlo, la politica va aiutata…». Sarebbero esattamente queste, secondo l’imprenditore veneziano Andrea Mevorach, interrogato dai pm,le parole con cui Galan gli si sarebbe rivolto dopo averlo invitato a «mettersi d’accordo » con l’ex assessore Renato Chisso in relazione alla possibilità di sviluppare un immobile di importanza strategica per la Regione». «A distanza di molti anni non posso ancora dimenticare le sue esatte parole», ha aggiunto Mevorach, «gli risposi che non era il mio modo di concepire e fare l’imprenditore ». L’episodio sarebbe avvenuto in Croazia, dove, secondo Galan, Mevorach gli avrebbe invece parlato di 300mila euro consegnati alla segretaria, Claudia Minutillo. «Non avendo mai consegnato alcunché né a lui né alla Minutillo o ad altri non so spiegarmi come possa riferire, in maniera falsa e fantasiosa, del racconto da parte mia della consegna di 300mila euro», ha concluso, sottolineando dinon aver «mai corrisposto finanziamenti, nemmeno leciti, ad alcun partito politico o a suoi esponenti». «Preciso, anzi, che Galan mi aveva chiesto in più occasioni di corrispondergli somme di denaro, ma io non ho mai aderito a tali richieste e, in ragione di ciò, Galan mi ha più volte apostrofato in modo poco simpatico ». Importante anche il racconto fatto da un altro imprenditore veneziano, Pierluigi Alesandri della Sacaim: ha riferito di dazioni fatte a Galan in mini tranche da 50mila fino a 15mila euro, per un totale di 115mila, per far lavorare la propria azienda nelle opere pubbliche, perchè – ha affermato – «purtroppo il sistema era questo ». Alessandri ha aggiunto che, su invito di Galan, avrebbe dato 30mila euro anche all’ex assessore Renato Chisso. L’ex titolare della Sacaim ha parlato inoltre di un corrispettivo di 100mila euro con una sola fattura da 25mila euro, mai onorata, per lavori fatti dalla sua azienda fino al 2009 nella villa di Cinto Euganeo. Da ricordare che il Tribunale ha anche dichiarato «manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale avanzata dagli avvocati di Galan, che hanno sostenuto in udienza che l’articolo 34 del codice di procedura penale sull’incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento dal magistrato dovrebbe riguardare anche il giudice del Riesame.

Giorgio Cecchetti

 

I pm Ancilotto Buccini e Tonini sono soddisfatti per la ordinanza del Tribunale del riesame che ha confermato la solidità dell’inchiesta sul Mose e delle accuse

I difensori esultano «Cadono molte accuse deve tornare libero»

L’avvocato Franchini: «Ora faremo ricorso in Cassazione Giancarlo è sempre battagliero, l’ho incontrato in carcere»

PADOVA – Vince la Procura, ma la difesa esulta: Giancarlo Galan resta in carcere anche se la prescrizione ha già cancellato l’80 per cento delle accuse contestate al deputato di Forza Italia dal Gip Alberto Scaramuzza, che il 4 giugno ha fatto scattare il blitz con i 35 arresti per lo scandalo del Mose. E i difensori Niccolò Ghedini e Antonio Franchini quasi quasi esultano, se non fosse che l’ex ministro resta ancora rinchiuso a Opera di Milano: «Il ricorso in Cassazione è già pronto, penso che a settembre ci sarà la sentenza: la prescrizione ha cancellato il presupposto giuridico che sta alla base della custodia cautelare e quindi l’onorevole Galan deve ottenere i domiciliari. Ieri lo abbiamo incontrato nella sua cella. E’ dimagrito, soffre sempre di diabete però non ha perso il buon umore. Il suo carattere battagliero non è stato scalfito dalla detenzione, che sta diventando disumana e contraria all’articolo 273 del cpp che vieta la carcerazione per i fatti caduti in prescrizione», dicono Ghedini e Franchini. Prescrizione: il colpo di spugna che scatta quando l’azione penale non può essere esercitata perché è trascorso troppo tempo, che salva l’indagato quando la macchina della giustizia è lenta perché oberata da troppi processi. Il copione si ripete come ai tempi di Tangentopoli, con big della politica assolti senza entrare nelle aule dei tribunali, ma il record delle prescrizioni spetta ovviamente a Berlusconi che ne conta sette, che si sommano ai 9 procedimenti archiviati, alle 11 assoluzioni per insussistenza del fatto e perché il fatto non costituisce più reato; ai due processi amnistiati e all’unica condanna definitiva nel processo Mediaset che lo ha fatto decadere da senatore con la legge Severino. Due mesi dopo il blitz dello scandalo Mose, l’unico big della politica uscito di scena è l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni che si è dimesso dall’incarico, mentre Galan e Renato Chisso sono rinchiusi in carcere, alla pari di Marco Mario Genovese, ex deputato ed ex segretario di Tremonti: la prescrizione per Galan cancella tutte le accuse contestate fino al 22 luglio 2008 ma per gli altri indagati la situazione è diversa. E se i tre pm di Venezia Stefano Ancilotto, Stefano Bucccini e Paola Tonini si dichiarano soddisfatti dell’ordinanza del Riesame che ha confermato il carcere per Galan, di avviso opposto sono i difensori del deputato di Forza Italia. «Ma quale colpo di spugna, qui restano in piedi solo le accuse legate ad Adria Infrastrutture e a quello stipendio di un milione di euro che Mazzacurati sostiene di aver versato a Galan nel 2009-10 e 11. Tutto il resto è cancellato: siamo molto ottimisti per il processo», dicono Ghedini e Franchini, «perché dopo aver letto gli atti dell’inchiesta emerge che non ci sono le prove dei versamenti effettuati.Ne parla solo Mazzacurati, in aperta contraddizione con le dichiarazioni di Piergiorgio Baita secondo il quale i pagamenti avvenivano solo per le campagne elettorali e mai per i lavori del Mose. Siamo sorpresi e amareggiati per la decisione del tribunale del riesame che doveva concedere gli arresti domiciliari». Di ritorno dal carcere di Opera, l’avvocato Antonio Franchini torna a parlare del suo incontro con il deputato padovano: «Ho visto Giancarlo sereno, si vuole difendere fino in fondo, sempre battagliero. È ricoverato nel centro clinico di Opera in una stanza da solo e soffre di una glicemia molto alta, è un diabetico cronico. Aspettiamo di leggere le motivazioni dell’ordinanza del Riesame e poi presenteremo ricorso in Cassazione. La prescrizione ha cancellato quasi tutte le accuse, restano solo le fantasiosi affermazioni di Mazzacurati, ma non esistono date, luoghi e circostanze precise dei presunti pagamenti dello stipendio annuo di 1 milione di euro. E per il 2011 la competenza spetta al tribunale dei ministri perché all’epoca Galan ricopriva il ruolo di ministro dell’ Agricoltura e poi della Cultura. Non è possibile costruire un processo sulla base delle affermazioni generiche di Mazzacurarti che non trovano riscontro nelle deposizioni di Baita e nemmeno della Minutillo». E quei dieci imprenditori citatida Galan come finanziatori della sua campagna elettorale del 2005, molti dei quali hanno smentito? «Si tratta di una iniziativa autonoma del deputato padovano, proprio per dimostrare la sua volontà di collaborare con la giustizia e di dire la verità sui costi della politica», concludono Niccolò Ghedini e Antonio Franchini.

Albino Salmaso

 

Boato: «Così venne approvato il Mose»

Il professore sentito dagli inquirenti giovedì per sapere quanto pesò l’ex governatore in Salvaguardia

la votazione Ci impose di votare senza esaminare i fascicoli. Uscimmo per protesta

VENEZIA – Giancarlo Galan prova a ricostruire la storia a suo uso e consumo, raccontando che il ruolo del presidente della Regione nelle decisioni del Mose era ininfluente: non c’era motivo per cui l’ingegner Mazzacurati gli desse dei soldi. Peccato che la storia lasci in giro dei testimoni. Uno è Stefano Boato, che con gli scandali non ha niente a che fare, ma che del Mose sa tutto, avendo fatto parte della Commissione di Salvaguardia, l’unico organismo tecnico che abbia mai dato un parere sul Mose. Parere favorevole, strappato da Galan con un autentico blitz. E remunerato, ha rivelato Mazzacurati nell’interrogatorio del 31 luglio 2013 ai Pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto, «con un regalo extra da mezzo milione». Boato è professore universitario, insegna pianificazione territoriale e ambientale. Fa parte della Commissione di Salvaguardia come tecnico, in rappresentanza del ministero dell’Ambiente. Giovedì è stato convocato dagli inquirenti. Cosa volevano sapere? «Se Galan, da governatore, ha avuto importanza o no nell’approvazione del Mose». La sua risposta? «Ho detto di sì per due motivi. Il primo è che Galan ha partecipato a due Comitatoni, nel 2003 con Berlusconi e nel 2006 con Prodi, approvando e avviando politicamente il Mose con Berlusconi, poi rinunciando alle verifiche di qualità e merito con Prodi, verifiche che erano doverose ». Nel Comitatone c’è anche il Comune di Venezia. «Sì malo Stato pesa più di tutti, perché ha il voto del presidente più i ministri. Nel 2003 il Comune di Venezia fu corresponsabile, in quanto il sindaco Costa subordinò l’accordo a 11 prescrizioni farsa. Ma nel 2006 il Comune con Cacciari sindaco votò contro; lo Stato dette un solo voto, perché Prodi per superare le divergenze nel governo votò anche per conto dei ministri, altra follia accaduta; il terzo decisore favorevole fu Galan». Altro che ininfluente, allora. «Galan è protagonista e coautore di una decisione presa con comportamenti da kamikaze. Io c’ero e so di cosa parlo: veniva con la maglietta e su scritto Viva il Mose. Roba da matti per il livello richiesto». Lei ha parlato di due motivi. «Galan ha contato molto di più a livello tecnico: i Comitatoni davano l’approvazione politica, senza l’ok ai progetti non si andava avanti. Il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici è stato saltato. La commissione Via nazionale è stata disattesa. L’unico voto tecnico sul Mose è stato dato in Commissione Salvaguardia. In 15 anni Galan non era mai venuto a presiederla, si presentò solo quella volta». Che anno era? «Fine 2003, inizio 2004. Teorizzò l’esatto contrario di quello che dicono la legge e l’esperienza della Commissione, la quale ha sempre votato sul merito. Essendoci già due pareri positivi, quello del Magistrato alle Acque e quello del ministero dei Beni culturali di Roma, peraltro avversato dalla Soprintendenza di Venezia, disse che bastava prendere atto e votare a favore, seduta stante». E il giudizio di merito? «Il giudizio di merito era in 82 fascicoli, che bisognava esaminare. Avevamo tre mesi di tempo, ne avevamo cominciati 9, tre per seduta, ne mancavano 73. Ogni fascicolo è un malloppo di 400-500 pagine, con progetti e relazioni. Galan impose la decisione con la sua maggioranza. Così il Magistrato alle Acque, che era sotto esame, approvava se stesso». In Commissione Salvaguardia quante persone ci sono? «Minimo 14 perché siano validi i voti. Siamo usciti in cinque o sei commissari, rifiutandoci di avallare il comportamento. Ma non fu sufficiente, loro avevano fatto i conti con precisione sul numero legale». Su cosa votarono, visto che non avevano visionato i progetti? «Un attimo dopo che eravamo usciti dalla porta, spuntò un documento che nessuno aveva visto prima, ovviamente scritto dal Consorzio Venezia Nuova, anche se non lo potrà mai dimostrare. Pieno di follie. In mezz’ora lo approvarono. Decidendo tra l’altro che da quel momento la Commissione Salvaguardia non si sarebbe più occupata del Mose».

Renzo Mazzaro

 

gli altri indagati

Patteggia anche l’architetto del nero

     ha chiesto di uscire dall’inchiesta per una pena di 15 mesi

VENEZIA – Anche lo svizzero        , che non è stato arrestato, ma che si trova indagato nella vicenda Mose di frode fiscale assieme a Piergiorgio Baita e Nicolò Buson ha raggiunto l’accordo con i pubblici ministeri per patteggiare. La pena su cui il difensore, l’avvocato Antonio Franchini, ha trovato l’accordo è quella di un anno e tre mesi di reclusione.                      avrebbe concorso in qualità di consulente finanziario ad ideare la formazione di fondi neri in Svizzera attraverso la sovra fatturazione per l’acquisto in Croazia dei sassi da affondare alle bocche di porto in laguna, tutto a favore della «Mantovani ». Intanto altri due indagati che hanno raggiunto l’accordo con la Procura per patteggiare la pena vogliono precisare la loro posizione. Il difensore dell’imprenditore di Cavarzere delle coop rosse Franco Morbiolo (un anno), l’avvocato Massimo Benozzati, spiega che la decisione è stata molto sofferta per l’indagato, che è rimasto coinvolto in questa vicenda «in ragione del ruolo formale che rivestiva nel Coveco e non certo per un suo sostanziale coinvolgimento». Per gli avvocati Loris Tosi e Franchini, che difendono l’ingegner Maria Teresa Brotto (due anni) «l’indagata ha sempre svolto funzioni tecniche all’interno del Consorzio Venezia Nuova e non ha mai preso parte alle decisioni relative alle illecite dazioni», come ha dichiarato lo stesso Giovanni Mazzacurati. È accusata di concorso in corruzione e «nella consapevolezza che perseguire un positivo accertamento della sua estraneità ai reati contestati», sostengono i due legali, «che pure qui viene riaffermata, significherebbe affrontare un percorso processuale estremamente lungo e complesso, costantemente accompagnato da clamore mediatico e certamente non propizio a fare trovare una nuova collocazione professionale nel privato, necessariamente esterna ed estranea al Consorzio, col che il danno personale e familiare, effetto di una scelta positiva di difesa nel dibattimento, sarebbe enorme». Per questo ha scelto di uscire con il patteggiamento.

(g.c.)

 

la proposta

«Renzi dirotti al Comune i soldi del Consorzio»

Bettin e Caccia: «Basterebbe ridurre dal 12 al 6 per cento le spese di gestione»

I soldi per salvare il bilancio del Comune arrivino dal Consorzio Venezia Nuova, attraverso la riduzione dal 12 attuale al 6 per cento della percentuale sulle spese di gestione per il Mose e le opere di salvaguardia in laguna affidate all’associazione di imprese che è concessionario unico. È la proposta che indirizzano al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al commissario straordinario Vittorio Zappalorto – che guida ora il Comune – con una lettera aperta l’ex assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin e Beppe Caccia, dell’Associazione In Comune, già consigliere comunale. Di fronte alle «tensioni sociali che scelte di taglio indiscriminato del Welfare e alle retribuzioni dei dipendenti comunali comporterebbero », Bettin e Caccia avanzano quella che definiscono «una concretissima proposta»per il superamento delle attuali difficoltà di bilancio del Comune di Venezia e per un iniziale risarcimento alla città, che è «la prima vittima del sistema della corruzione legato al progetto Mose». Bettin e Caccia sottolineano infatti che, nonostante quanto emerso dalle inchieste della Magistratura, il Consorzio Venezia Nuova continua a vedersi riconosciuta una quota del 12 per cento per “spese generali di gestione” su ogni cifra stanziata dallo Stato per le opere di salvaguardia della Laguna. E questo quando ad analoghe figure di “general contractor” lo Stato concede abitualmente percentuali, già discutibili e discusse, non superiori al 6. In questo momento sono in ballo oltre 1.250 milioni di Euro, stanziati dal Cipe per il completamento delle dighe mobili alle Bocche di porto. «Con un semplice e immediato provvedimento del Governo – propongono Bettin e Caccia – si potrebbe ridimensionare il compenso del Consorzio e ottenere la disponibilità di almeno 75 milioni di Euro, utili per sanare il bilancio comunale per l’anno corrente e per accantonare un avanzo positivo per affrontare le spese del 2015». Bettin e Caccia concludono, chiedendo a Renzi e Zappalorto “un atto di innovazione e di coraggio, che consenta davvero a Venezia di voltare pagina e di iniziare una fase politica e amministrativa nuova partendo col piede giusto”.

 

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui