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Gazzettino – “Galan puo’ corrompere ancora”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

10

ago

2014

L’INCHIESTA – Depositate le motivazioni del Tribunale: «Chi lo accusa è pienamente credibile»

«Galan può corrompere ancora»

I giudici: personalità allarmante e possibile reiterazione del reato, ecco perché l’ex governatore deve restare in carcere

IL VERDETTO – Secondo i giudici del Riesane, l’ex governatore Giancarlo Galan è una «personalità allarmante» e può reiterare il reato. Ecco perchè deve rimanere in carcere.

GLI ACCUSATORI – Per i magistrati Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo sono testimoni credibili. E non c’è prova che l’ex segretaria di Galan «abbia preso somme altrui».

AUTOGOL «Le ammissioni nel memoriale si sono ritorte contro di lui con nuove accuse»

L’ARRESTO «I domiciliari non sono sufficienti per chi ha commesso fatti gravissimi»

LA RAGNATELA – Rete di conoscenze e potere costruita negli anni da presidente e ministro

L’AGGRAVANTE «Il denaro che ha usato per la sua corruttela era della collettività»

«Personalità allarmante Galan rimanga in carcere»

Il Tribunale del riesame spiega perché è stata respinta la richiesta di scarcerazione: «Può reiterare il reato. Dedito al sistematico mercimonio della funzione pubblica»

La personalità di Giancarlo Galan, così come emerge dai risultati delle indagini «si palesa come allarmante e caratterizzata da una particolare, pregnante e radicata negatività… un soggetto che la Procura descrive come dedito al sistematico e continuio mercimonio della pubblica funzione come esercitata e sfruttata allo scopo di ottenere benefici economici della più varia tipologia». Il tutto aggravato dal fatto che «il denaro utilizzato per la sua corruttela giungeva da imprenditori concessionari di un appalto pubblico (tale è il Consorzio venezia Nuova), ed erano denari pubblici appartenenti alla collettività…»
Sono parole pesantissime quelle utilizzate dal Tribunale del riesame nelle 70 pagine che spiegano le ragioni per le quali è stato confermato il carcere per Galan, accusato di essere stato per molti anni al soldo dell’allora presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, e dell’ex presidente dell’impresa di costruzioni Mantovani, Piergiorgio Baita, in cambio di appalti e aiuto per il Mose.
RAGNATELA DI POTERE – Le motivazioni dell’ordinanza, emessa la settimana scorsa, sono state depositate nella tarda mattinata di ieri dal presidente Angelo Risi. Il Riesame ritiene che vi siano gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Galan e che le esigenze cautelari siano concrete e attuali, anche se l’ultimo episodio corruttivo contestatogli risale al 2011: ciò a causa della fitta rete di conoscenze e di potere creata in 15 anni di presidenza della Regione e dell’attività politica nell’ambito di Forza Italia, proseguita fino all’arresto, prima in qualità di ministri, poi di deputato e presidente della Commissione Cultura della Camera. Ma non solo. I giudici rilevano che dagli atti prodotti dalla Procura emerge che Galan aveva la «capacità di profittare di qualcunque occasione, anche di mera convivialità, per avanzare le sue richieste e le sue pretese sfruttando le sue cariche istituzionali…» Ciò induce il Tribunale a «ritenere che il medesimo, se posto in una condizione di occasione favorevole, darebbe corso all’ennesima richiesta illecita…».
«FATTI GRAVISSIMI – I giudici hanno ritenuto che gli arresti domiciliari non siano misura cautelare sufficiente alla luce di «fatti gravissimi, reiterati e perduranti nel tempo…» nonché ad esigenze cautelari di «eccezionale gravità…. preso atto della vasta ragnatela di interessi, complicità e colpevoli connivenze che hanno accompagnato Galan nell’intera vicenda».
AUTOGOL DIFENSIVO – Quanto alle lamentate condizioni di salute dell’ex Governatore del Veneto, il Tribunale scrive che «non sono tali da integrare una condizione di incompatibilità con il regime carcerario, come comprovato dal fatto che la misura cautelare gli è stata applicata dopo la sua dimissione dall’ospedale… Le residue esigenze di cura sono già state tutelate con il suo inserimento in una struttura medico carceraria in grado di garantirgli una costante attenzione».
Le stesse ammissioni rese in sede di memoriale difensivo da Galan, relative a presunti finanziamenti illeciti percepiti nella campagna elettorale 2005 (versamenti prescritti e peraltro negati dagli imprenditori chiamati in causa da Galan) «sembrano essersi ritorte contro di lui, tanto da aver costituito l’elemento scatenante di nuove ed analoghe accuse nei confronti suoi e del Chisso, allo stato provenienti, quanto meno, dagli imprenditori Mevorach ed Alessandri. Il primo ha dichiarato che Galan gli chiese di finanziarlo nel 2006-2007 e, di fronte al suo rifiuto, lo avrebbe minacciato di ritorsioni; il secondo ha riferito di aver dovuto pagare l’ex Governatore e l’ex assessore Chisso (tra 2006 e 2010) per poter entrare nella cerchia degli imprenditori amici della Regione e dunque per poter ottenere appalti e lavori. Conferma “esterna” dei racconti di Baita, Mazzacurati e Minutillo.
PRESCRIZIONE – Il Tribunale ha accolto le eccezioni della difesa di Galan per quanto riguarda il tropppo tempo trascorso in relazione ad una parte dei reati contestati, ritenendo prescritti gli episodi corruttivi antecedenti il 22 luglio del 2008, per i quali al momento dell’arresto di Galan (22 luglio 2014) erano già decorsi sei anni. L’esecuzione della misura cautelare costituisce atto interruttivo e, di conseguenza, da quel momento in poi il termine di prescrizione si allunga di un terzo.
I giudici hanno respinto, invece, l’eccezione relativa alla competenza del Tribunale dei ministri per i fatti avvenuti nel 2010, quando Galan fu prima all’Agricoltura e poi alla Cultura: secondo il Tribunale, i pagamenti illeciti si riferivano ancora al precedete ruolo di Governatore, tanto più che come ministro non aveva più alcun competenza sul Mose.

Gianluca Amadori

 

ENTRATE E USCITE – Per i giudici del riesame l’ex governatore avrebbe pagato in nero parte della villa acquistata a Cinto Euganeo per un milione e 100mila euro

Uno stipendio annuale da Mazzacurati e in dono Adria Infrastrutture

Galan pagò “in nero” (un milione e 100mila euro) parte del prezzo della villa acquistata a Cinto Euganeo: secondo i giudici questo è un «importante riscontro di natura oggettiva» della disponibilità di provviste non dichiarate, compatibili con lo “stipendio” che Mazzacurati dice di avergli versato in cambio del suo aiuto per il Mose. Lo scrive il Riesame nella parte in cui, affrontando dettagliatamente ogni accusa, dichiara fondato il quadro probatorio.
“STIPENDIO” ANNUALE – Ne parlano Baita, Mazzacurati e Minutillo, con dichiarazioni ritenute «convergenti». Nel capo d’imputazione si parla di 1 milione a Galan, 200mila a Chisso. Baita dice che si fermarono quando Galan lasciò la Regione, Minutillo che proseguirono anche dopo. L’accusa parla anche di due ulteriori dazioni da 900mila euro ciascuna per una delibera della Salvaguardia sul progetto definitivo del Mose (2004) e sulle dighe di Chioggia e Malamocco (2004-5). Ne parla Baita nel maggio 2013 dice di aver saputo da Mazzacurati delle richieste di denaro di Galan; Mazzacurati il 31 luglio 2013 conferma una dazione sollecitata da Galan per le dighe (2007-8): soldi in più rispetto allo “stipendio” da lui indicato in 500mila euro.
PROJECT FINANCING – A Galan viene contestato di essersi fatto “regalare” da Baita quote azionarie per 237mila euro di Adria Infrastrutture (projec financing) e della società Nordest Media (pubblicità per i quotidiani freepress Epolis). Quote intestate alla società Pvp, fittiziamente di proprietà al commercialista Paolo Venuti. Lo stesso fece con Chisso: li «reclutò come soci…» per rendere più appetibili i progetti da realizzare, scrivono i giudici.
VILLA RODELLA – Galan è accusato di essersi fatto pagare parte dei lavori di restauro da Baita attraverso soldi versati al suo architetto Dario Lugato per incarichi fittizi. (gla)

 

ALESSANDRO GALAN – Stimato e conosciuto oculista padovano

PADOVA – Dal Consorzio soldi anche al fratello oculista

Anche il fratello dell’ex Governatore del Veneto, Alessandro Galan, avrebbe usufruito della “generosità” di Giovanni Mazzacurati. La circostanza emerge da un colloquio avvenuto nel gennaio del 2011 tra il conosciuto e stimato medico (direttore del Centro oculistico San Paolo dell’ospedale Sant’Antonio di Padova) e l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, nel corso del quale il primo sollecitava Mazzacurati a versare 20mila euro per un convegno. Nella stessa conversazione Alessandro Galan precisava che il contributo era «del doppio rispetto a quello dell’anno prima».
Il contenuto di questo colloquio, trascritto dalla Guardia di Finanza e depositato dai pm Stefano Ancilotto e Paola Tonini nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame, viene citato dai giudici per dimostrare l’estensione della rete di potere costruita dall’allora presidente della Regione e come «non solo il Galan, ma il suo intero gruppo familiare sia in qualche modo coinvolto in situazioni di scarsa trasparenza con il Mazzacurati i cui interessi imprenditoriali erano certamente del tutto estranei al campo medico».

CLAUDIA MINUTILLO – Da grande accusatrice e grande accusata da Galan: ma il Tribunale del Riesame crede alla sua versione ed è sicuro che non si è intascata soldi nei suoi anni a fianco del governatore Galan

LA CONVINZIONE DEI MAGISTRATI

«Tre testimoni credibili non c’è prova che la Minutillo abbia preso somme altrui»

I giudici: «Confessioni spontanee, è evidente che la collaborazione mira a un premio ma questo non esclude la veridicità dei fatti»

(gla) Sono pienamente credibili le versioni rese dai principali accusatori di Giancarlo Galan: l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita e l’ex segretaria dello stesso Governatore del Veneto, Claudia Minutillo, diventata successivamente al 2005 presidente di Adria Infrastrutture, la società che Baita utilizzava per presentare alla Regione le opere da realizzare in “project financing”.
Lo sostiene il Tribunale del Riesame replicando alle eccezioni dei difensori di Galan, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, secondo i quali, al contrario, le accuse mosse al loro assistito sono del tutto infondate, prive di riscontri e pronunciate unicamente per poter uscire dal carcere.
CONFESSIONI SPONTANEE – I giudici rilevano innanzitutto la «spontaneità e immediatezza» delle confessioni di Minutillo e Mazzacurati, i quali hanno iniziato a parlare subito dopo l’arresto. Baita si è deciso a collaborare con la Procura dopo qualche mese di carcere, a seguito del cambiamento dei difensori e dopo aver saputo delle altre confessioni. «Quanto al disinteresse – scrive il Riesame – è evidente che la cosiddetta collaborazione mira quasi sempre ad un trattamento cautelare e sanzionatorio premiale, ma ciò di per sé, non esclude automaticamente la veridicità dei fatti denunciati».
NESSUNA MENZOGNA – I giudici esprimono «un giudizio di affidabilità delle dichiarazioni dei tre soggetti citati», evidenziando come «non esiste una motivazione che possa consentire di affermare che si siano accordati fra loro allo scopo di porre in essere una fraudolenta ricostruzione dei fatti».
I rapporti pregressi tra Baita e Mazzacurati da un lato e Galan dall’altro erano buoni, «sostanzialmente orientati ad un rapporto di complicità…» e non risulta alcun motivo per il quale dovrebbero mentire accusandolo ingiustamente. Così come, secondo i giudici, non vi è alcuna prova che Mazzacurati si sia impossessato di beni o altre utilità o abbia indebitamente trattenuto somme di denaro del Consorzio. La sua attività imprenditoriale, evidenzia il Tribunale, si svolgeva «certamente in una logica deviata e criminosa, ma apparentemente mossa dall’intento che l’opera denominata Mose andasse, in qualche modo, a compimento».
Il Riesame aggiunge che, neppure della Minutillo «vi è prova né indizio alcuno che ella si sia impossessata di somme destinate ad alimentare la campagna elettorale del Galan». Al contrario di quanto dichiarato da Galan, il quale l’accusata di aver fatto la “cresta” su alcuni finanziamenti elettorali e di aver avuto un tenore di vita al di sopra delle sue possibilità.
Quanto a Baita, concludono i giudici «nei suoi confronti la difesa neppure a livello di congettura ha individuato un suo interesse a calunniare il Galan».
VERSIONI CONVERGENTI – Secondo il Tribunale, le versioni rese dai tre «finiscono per convergere», al contrario di quanto sostiene la difesa. I giudici evidenziano come nessuna somma risulti essere stata versata direttamente a Galan, ma tutte per tramite della Minutillo o di Chisso «in una sostanziale commistione di ruoli e di sovrapposizioni tra tutte le dazioni». Per questo le dichiarazioni vanno lette tenendo presente il contesto, i ruoli e la prospettiva di ciascuno nel raccontare i vari episodi, alcuni dei quali si intrecciano e si confondono. La Minutillo, in particolare, visse da dentro «entrambi i meccanismi», in quanto inizialmente era nella Segreteria di Galan e successivamente fu tra i più stretti collaboratori di Baita. «Il risultato finale, al di là delle singole dazioni, è quello di una circolazione interna del denaro tra i correi sulla base di loro accordi spartitori allo stato non ancora completamente ricostruiti, ma che in nessun modo inficiano l’affidabilità della ricostruzione accusatoria…»

 

LE INDAGINI DA CONCLUDERE – Accordi spartitori non ricostruiti del tutto

LO SPECIALE – Quel blitz scattato all’alba

La storia dello scandalo Mose

Tutto iniziò all’alba del 4 giugno. Quel giorno iniziò l’operazione che ora fa tremare il Veneto. Da oggi una serie di pagine ricostruiscono l’inchiesta.

SPECIALE a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese

INDAGINE – Appalti e mazzette, tre anni fa i primi indizi del malaffare

I PERSONAGGI – In cella il sindaco Orsoni e i magistrati alle acque

Galan “dentro” il 22 luglio

All’alba l’operazione anti-corruzione: 35 indagati. È la nuova Tangentopoli veneta

In carcere politici, manager e imprenditori. Al centro il Consorzio Venezia Nuova

L’inchiesta sul Mose ha mosso i primi passi più di 3 anni fa. Il via a quella che diventerà l’indagine delle indagini sulle tangenti era stata una “banale” verifica fiscale – a marzo 2008 – alla Cooperativa San Martino di Chioggia, impegnata nella costruzione del Mose, e l’intuizione investigativa che le fatture “gonfiate” portavano alla creazione di fondi neri. Nel frattempo le manette per Lino Brentan, amministratore delegato della Venezia-Padova, collegato alla cricca degli appalti in Provincia. E da Brentan all’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani. Infine l’ultimo passaggio, da Baita e Mazzacurati, il patron del Consorzio Venezia Nuova, che sta realizzando il Mose, a Galan e Chisso. Il filo rosso che lega queste indagini è la corruzione.

 

Lo scandalo che ha sconvolto il Nordest

Il 4 giugno 2014 è una data che ha tracciato un confine tra passato e futuro. Per Venezia e per il Veneto, ma in qualche misura anche per l’Italia. Per me quella giornata iniziò un po’ prima del solito, intorno alle 6 quando un sms mi informò che l’atteso blitz sul caso Mose era scattato. Qualche decina di minuti più tardi arrivò sul mio telefonino via mail l’articolo di Monica Andolfatto che anticipava la notizia degli arresti. Nomi clamorosi e anche inattesi, primi fra tutti quello del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e dell’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan. A quell’ora, ovviamente, non c’era modo di avere alcuna conferma ufficiale sul blitz in corso, ma non ho avuto alcun dubbio su ciò che bisognava fare: dare immediatamente la notizia, che infatti, prima delle 7 apriva il sito del nostro giornale, Gazzettino.it. Le agenzia di stampa l’avrebbero confermata solo un’ora dopo.
Proprio il 4 giugno è anche l’incipit dei tre capitoli chiave de La Retata Storica, il racconto-inchiesta della clamorosa operazione investigativa sul sistema Mose, mandò in carcere o agli arresti domiciliari alcuni dei personaggi di primo piano della politica veneta. Una storia scritta dai tre giornalisti del Gazzettino – Gianluca Amadori, Monica Andolfatto, Maurizio Dianese – che sin dal primo giorno hanno seguito l’inchiesta e che verrà proposta a puntate ai lettori a partire da questa domenica e nei prossimi fine settimana. Una ricostruzione ricca di dettagli e di particolari inediti di quella giornata e di quelle che la seguirono. Ma anche un’occasione per capire e riflettere su ciò che è accaduto e ciò che potrà ancora accadere.

Buona lettura.

Roberto Papetti

 

4 giugno. «Ci siamo»

Scatta il maxi-blitz contro la cricca Mose

Alle 4 del mattino del 14 giugno 2014 il colonnello della Guardia di Finanza Renzo Nisi riceve un sms: “Ci siamo”. Nisi assiste, lontano quasi 400 chilometri e quasi 300 giorni, al rogo innescato, alla capitolazione della Serenissima: è scattata l’ora che – in un cinico calembour – trasforma uno degli eventi clou della Venezia da visitare, la regata, in “retata”. Storica. Un mero cambio di consonante. Il colpo mortale al malaffare nella terra dei Dogi.
LA NOTIZIA – Sono trascorsi nove mesi. Tanti? Pochi? I “suoi” stanno eseguendo in mezza Italia le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip lagunare Alberto Scaramuzza: il sindaco Giorgio Orsoni, l’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, gli ex magistrati alle Acque, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, il magistrato della Corte dei Conti, Vittorio Giuseppone, il tycoon della finanza nordestina Roberto Meneguzzo, il generale di Corpo d’Armata ed ex numero due delle Fiamme Gialle, Emilio Spaziante, il consigliere regionale Pd, Giampietro Marchese, l’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan. E poi le richieste di arresto per l’onorevole Giancarlo Galan, per tre lustri fino al 2010 governatore del Veneto quindi ministro di e con Berlusconi, e per l’ex europarlamentare Amalia Sartori – che verranno arrestati rispettivamente il 22 e il 2 luglio. L’elenco conta 35 nomi. Cui si aggiungerà il 4 luglio anche quello di Marco Milanese, in passato consulente dell’ex ministro Tremonti. Il colonnello Nisi li conosce uno a uno. Amministratori pubblici, uomini delle istituzioni, imprenditori, politici di destra e di sinistra: corrotti, a vario titolo, sullo sfondo del Mose, o meglio del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del Modulo sperimentale elettromeccanico, il complesso e tanto discusso sistema di dighe mobili ideato per difendere la città più bella del mondo dal fenomeno dell’acqua alta. Sei miliardi e mezzo di euro il costo finale, mazzette comprese. Finanziato interamente dallo Stato. Cioè dai cittadini. Questa, se fosse una finzione letteraria, sarebbe una spy story, un thriller poliziesco. Purtroppo però in questo romanzo di inventato non c’è nulla – anche se è giusto attendere, da bravi garantisti, le sentenze dei Tribunali.
A ROMA – 4 giugno 2014. Il sole è ormai alto. Il colonnello Nisi è solo nella stanza che occupa dall’autunno precedente nella sede del comando generale della Guardia di Finanza, in via XXI Aprile, a Roma. A lato dell’entrata, sulla parete, la targhetta che sintetizza le sue mansioni: Capo Ufficio Ordinamento. L’aria è di vetro. Ha ancora negli occhi la schermata del sito del Gazzettino che alle 6.55 annunciava in anteprima lo tsunami che si stava abbattendo su Venezia, sul Veneto, su Milano, sull’Urbe. Poi accende la tv e la notizia – poteva essere altrimenti? – monopolizza le aperture di ogni singolo telegiornale per guadagnare la ribalta dei più importanti notiziari stranieri. I pensieri si accavallano nella sua mente. A fine febbraio 2013, c’era stato l’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani spa, di Claudia Minutillo, l’ex segretaria del Governatore del veneto, Giancarlo Galan e amministratrice delegata di Adria Infrastrutture, una delle tante società della galassia Mantovani. Con loro era finito in carcere anche William Ambrogio Colombelli, che ricopriva la carica di console onorario di San Marino e che nella Repubblica del Titano gestiva la Bmc Broker, quella che, si scoprirà poi, era la “cartiera” di Baita. Della Mantovani viene arrestato anche Nicolò Buson, il responsabile amministrativo. È l’operazione Chalet e la dirige il colonnello Nisi.
TUTTI DENTRO – Il luglio successivo, ecco la decapitazione del Consorzio Venezia Nuova, con l’arresto insieme a mezzo consiglio, del suo demiurgo, quel Giovanni Mazzacurati, che appena quindici giorni prima, forse intuendo quanto stava per accadere, si era dimesso dalla presidenza del Consorzio, dopo quasi un trentennio di dominio indiscusso e ininterrotto. È l’operazione “Profeta” e la dirige il colonnello Nisi. E prima, nel gennaio 2012, le manette erano scattate ai polsi di Lino Brentan, l’uomo del Pd nella società autostradale Venezia-Padova. È l’operazione “Ragnatela” e la dirige il colonnello Nisi. Ma a Brentan si era arrivati dopo che, nell’aprile 2010, gli uomini delle Fiamme gialle del colonnello Nisi avevano arrestato due funzionari della Provincia, Claudio Carlon e Domenico Ragno. Era l’operazione “Aria Nuova”. […]
VENT’ANNI DOPO – Il leit motiv è sempre lo stesso, la corruzione nella res publica. Da almeno vent’anni, dalla Tangentopoli del 1992, a Venezia non si svolgevano indagini mirate sull’amministrazione pubblica. Queste sono le prime, iniziano in sordina e finiscono con il cambiare il mondo. Venezia non sarà mai più la stessa dopo lo scoppio dello scandalo del Mose. Ci volevano Nisi e il suo gruppo, nonché la caparbietà e tenacia di pm come Paola Tonini e Stefano Ancilotto per scoprire che il sistema delle “dazioni” purtroppo era ancora ben radicato e ramificato. Con Baita, che qualche capello in meno e qualche ruga in più, recita ora come allora la parte non certo di comparsa.
«La pietra ha cominciato a rotolare e diventerà una valanga». Impossibile fermarla. Una promessa. L’aveva pronunciata il colonnello Nisi il 5 settembre 2013 quando c’era stato il passaggio di testimone con il colonnello Roberto Pennoni a capo del Nucleo di polizia tributaria di Venezia.
4 giugno 2014. Gli torna alla memoria l’episodio verso le sei del mattino, mentre sente il bisogno di muoversi, di sfogare la tensione: da sempre l’attività fisica mattutina gli restituisce calma e concentrazione. Disciplina e passione, eredità forse degli anni trascorsi all’Accademia militare di Bergamo, lui ragazzo romano nato per caso a Torino, che nel capoluogo lombardo conoscerà la donna che sposerà e che gli darà due figli, e marito e padre che sceglierà di risiedere a pochi chilometri dalla città, nel paese di lei, facendo il pendolare. Sveglia alle sei, maglietta, pantaloncini, scarpe da ginnastica. E via a correre. Quand’era a Mestre al parco San Giuliano. Adesso invece è il parco della vicina Villa Torlonia a offrirgli percorsi suggestivi e pregni di storia. Ma c’è anche l’alternativa di un tuffo nella piscina interna del mega complesso dove alloggia e lavora. Fino alle otto. La doccia, la barba, la divisa. Per colazione succo di frutta e fette biscottate. Alle 8.30 puntuale dietro la scrivania.

(La prossima puntata venerdì 15 agosto)

 

I protagonisti della grande inchiesta

L’INVESTIGATORE – Un sms al colonnello al comando di Roma: il giorno è arrivato

Uno è estroverso e pronto alla battuta – Stefano Ancilotto – l’altra è introversa, con un carattere di ferro – Paola Tonini; il terzo – Stefano Buccini – affiancato ad inchiesta già iniziata, è il più giovane. Sono i magistrati della procura di Venezia protagonisti di questa inchiesta giudiziaria (coordinata dal procuratore Luigi Delpino e dal procuratore aggiunto Carlo Nordio). Hanno lavorato con il colonnello della Guardia di finanza Renzo Nisi, un uomo rimasto sempre in ombra, ma senza di lui l’inchiesta non sarebbe mai arrivata da nessuna parte. I quattro “eroi” di questa storia hanno caratteri e profili professionali diversi, ma hanno lavorato come una squadra, riuscendo a portare alla luce uno scandalo di tangenti senza precedenti.

 

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